Biografie della Resistenza Italiana          

A B C D E F GI J K L M N O P Q R S T U V Z

 

   

pallanimred.gif (323 byte) Alessandro Galante Garrone (1909-2003)

pallanimred.gif (323 byte) Alessandro Gallo

Nato a Venezia il 30 maggio 1914. Consegue la maturità al Liceo classico Marco Foscarini di Venezia. E' proprio negli anni del liceo che  matura l'avversione politica al fascismo, anche se al momento è limitata al piano teorico. Come tanti giovani di allora, è accanito lettore della grande letteratura russa e francese: da Tolstoi ad Anatole France. Fra il 1936 e il 1938 porta a maturazione la sua critica al regime dittatoriale ed entra in relazione con i gruppi antifascisti veneziani, soprattutto intellettuali. Sono di allora le frequentazioni con i socialisti Giavi, Lombroso, Lo Prieno, Sullam, con l'azionista Zanon Dal Bo, con i comunisti Enrico Longobardi, Calò, Maestro e tanti altri. Il loro luogo di incontro serale è ai tavoli del caffè «Piccolo Lavena». Sono, questi, gli anni del passaggio dalla cultura idealistica e illuministica a quella del materialismo storico: è proprio in questo passaggio che matura in Sandro la decisione - nel '37 -  di aderire al Pci. Dopo la laurea in legge, nel 1936 si iscrive a filosofia, sempre a Padova. Patrocina da avvocato qualche piccola causa ma poi sceglie l'insegnamento: prima all'Istituto professionale di Pieve di Cadore e poi al Liceo scientifico G. B. Benedetti di Venezia, dove educa all'amore per la libertà i suoi studenti. Nel '41 collabora attivamente alla ricostituzione dell'organizzazione comunista veneziana, diffondendo clandestinamente volantini e l'Unità. Il 2 gennaio del '42 viene arrestati, insieme ai compagni Maestro e Sullam. Sono prima tradotti al carcere di Regina Coeli a Roma e poi deferiti alla Commissione provinciale presieduta dal Prefetto di Venezia che, il 27 febbraio 1942, li condanna a due anni di confino per «scritte contro il regime e il capo del governo. Gallo è «destinato» ad Avezzano. In agosto però Gallo ed altri sono arrestati «dall'O.V.R.A.-IV^ Zona», ad Avezzano, perché avevano trovato modo, benché molti di essi si trovasero nelle condizioni di confinati od internati, di ascoltare radiocomunicazioni nemiche, in base alle quali svolgevano poi opera disfattista ed antifascista. Così Gallo ritorna a Regina Coeli per essere successivamente, con altri, inviato in quanto confinato, «in colonia» a Tremiti. Qui prende contatti organici con l'organizzazione del Pci e quasi sicuramente fa conoscenza – pure lì confinato – con Omobono Tominez, futuro membro del Triunvirato insurrezionale Veneto (col nome di Antonio), con il quale avrà stretti rapporti durante la lotta di liberazione. Viene «liberato dal confino per fine periodo» il 1 gennaio 1943, ammalato di pleurite. Tornato a Venezia riprende subito l'attività cospirativa ed è uno dei fondatori del ‘Comitato di Unione antifascista‘, progenitore diretto del Cln. Fra marzo e aprile va in Cadore per riprendere le forze: è ospite di fraterni amici di S. Vito di Cadore ai quali si lega molto, specie col patriarca della famiglia Angelo Uziél. L'8 settembre lo trova ancora a Venezia: subito, su decisione del Pci, torna in Cadore per organizzare la resistenza armata. Sarà il fondatore, l'organizzatore e il comandante della brigata «P. F. Calvi», inquadrata nella Divisione Garibaldi «Nino Nannetti». Il suo nome di battaglia è Garbin. E' l'organizzatore militare del Cadore per conto del Cln di Belluno, rappresentante del Pci nell'Esecutivo militare provinciale ed anche, per un certo periodo, responsabile del Pci per il Cadore. Il 27 luglio del '44 un gruppo di 19 partigiani, comandato da Garbin, attacca quello che era un tempo il posto di confine con l'Austria ed ora quello con il Reich – la Dogana Vecchia, alle porte di Cortina – mette in fuga il presidio tedesco e divelle la sbarra di confine. Un'altra azione – importante dal punto di vista militare – è, il 2 settembre: un gruppo garibaldino, sempre comandato da Garbin, fa saltare un ponte sulla Cavallera, tra Belluno Pieve, interrompendo così quella importante via di comunicazione. Tra la fine di luglio e i primi di settembre è nominato comandante della divisione Nannetti. Il 20 settembre, a Lozzo di Cadore, una pattuglia di 4 garibaldini guidata dal comandante Garbin, attacca a colpi di bombe a mano 3 autocarri tedeschi carichi di gendarmi. In seguito alla violenta reazione di armi automatiche avversarie 3 partigiani, fra cui il comandante Garbin, restano uccisi. Nel dopoguerra, gli viene conferita la medaglia d'argento al valor militare.

 

pallanimred.gif (323 byte) Ettore Gallo

Nato a Napoli il 3 gennaio del 1914.  Rimasto orfano di entrambi i genitori (il padre era morto durante la prima guerra mondiale), all'età di tre anni si trasferì in Veneto, a Villafranca di Verona, in casa dello zio. Allievo della scuola militare della Nunziatella, si laureò in Giurisprudenza e in Scienze Politiche e vinse il concorso della magistratura. Chiamato alle armi, l’8 settembre del 1943  era ufficiale carrista dell’allora Regio esercito. Decise che la scelta giusta era di combattere contro i nazisti e i fascisti per la pace e la democrazia e non esitò a svestirsi della divisa per scegliere le file dei partigiani, in Veneto. Aderì al Partito d'Azione e con il nome di battaglia "Maestro", divenne presto uno dei comandanti di divisioni partigiane più apprezzati e combattivi. Catturato dalle SS, fu da queste consegnato alla banda di torturatori del fascista Carità e rimase per due mesi nelle loro mani. Interrogato e ferocemente torturato,  tacque e fu condannato a morte. L’insurrezione di Padova e l’arrivo degli alleati gli salvarono la vita. Finita la guerra, lasciò la magistratura e aprì uno studio di avvocato a Vicenza. Orofessore ordinario di Diritto penale, studioso attento e appassionato, autore di numerose pubblicazioni, fu nominato giudice costituzionale dal Parlamento il 30 giugno 1982, e poi eletto presidente della Consulta il 30 gennaio 1991. Dopo la scadenza del mandato diventò presidente del Consiglio nazionale degli utenti. E' morto a Roma il 29 giugno del 2001, all'età di 87 anni.

 

pallanimred.gif (323 byte) Aldo Garosci

Nato a Meana di Susa nel 1907. Era poco più di un ragazzo quando, a Torino, approdò alle rive dell'antifascimo. Era la Torino di Gramsci, di Gobetti, di Venturi, la città che Vittorio Foa descrive come una specie di "zona franca, una zona che accompagna l'Italia senza farsene integrare". Sarà il delitto Matteotti a sospingerlo nell'agone. Via via, conseguita la laurea in Lettere, si dipanerà una milizia epica, che parte dal ricordo di Piero Gobetti all'Università nel 1927. In quegli anni nasce a Torino un movimento di giovani intellettuali "che si situano fuori del fascismo, contro il fascismo e che non sono comunisti". Un gruppo di cui Garosci e Mario Andreis sono gli animatori e che dà vita al foglio clandestino "Voci d' officina". L'intonazione è "operaistica", risente della suggestione delle idee gobettiane, ed ha una certa diffusione nelle università e nei licei. Nel gennaio del 1932 tutto il gruppo, Garosci in testa, viene arrestato. Dopo il carcere la fuga a Parigi capitale dei fuoriusciti e punto d'incontro e di scontro tra le varie correnti politiche e ideologiche. Nazismo e fascismo trionfavano in gran parte d'Europa. In Spagna erano in corso le prove generali di una guerra civile considerata l'anticamera del conflitto mondiale. Gramsci, insieme a Carlo Rosselli, fu tra i primi, nell'estate del 1936, ad avvertire che l'ora dell'azione era arrivata. La colonna italiana, di cui Garosci faceva parte, contava 150 uomini di tutte le età e condizioni, intellettuali e operai, in maggioranza anarchici (un'ottantina), venti i giellisti, e i restanti repubblicani, socialisti e comunisti. In Aragona Garosci partecipò tra l'altro alla battaglia di Monte Pelato, e fu anche ferito. Dopo la sconfitta in Spagna, e l'occupazione nazista della Francia, la fuga negli Stati Uniti. A New York Garosci sarà nel 1941 uno degli animatori della "Mazzini society" pattuglia liberaldemocratica e liberalsocialista - intelligente, estrosa, e litigiosissima - che propugnava la creazione di una Legione italiana da affiancare agli alleati. Collaborò anche ai «Quaderni italiani» di Bruno Zevi.
Infine il ritorno in Italia, nel '43, e la partecipazione alla resistenza romana, nelle file del Partito d'Azione. Garosci aveva tutti i titoli per essere uno dei protagonisti della nuova politica italiana. Ma il movimento a cui aveva dato vita, il Partito d'azione, era già un astro in via di estinzione. Nel suo primo congresso legale - nell'agosto del 1944 - le due anime del partito, capeggiate da Emilio Lussu e da Ugo La Malfa, erano infatti entrate in aperta collisione.
Nel dopoguerra, dopo lo scioglimento del Partito d'azione, aderì al partito socialista. Anticomunista convinto, nel gennaio del 1947, sarà dalla parte di Saragat nelle agitate giornate di Palazzo Barberini che dettero vita alla scissione del Partito socialista. Qualche anno dopo, nel 1953, Garosci sarà invece accanto a Codignola, Calamandrei, Vittorelli, nel movimento di "unità popolare" che contribuì non poco a far fallire la cosiddetta "legge truffa" voluta fortemente da De Gasperi.
Collaboratore de «Il Mondo» di Pannunzio, insegnò all'Università di Torino storia contemporanea e storia del Risorgimento. E' morto a Roma il 3 gennaio del 2000, a 92 anni.

Tra le sue opere vanno ricordate la «Vita di Carlo Rosselli» (1945), la «Storia dei fuorusciti» ('53), «Gli intellettuali e la guerra di Spagna» ('59), e «San Marino. Mito e storiografia» ('67).

 

pallanimred.gif (323 byte) Leopoldo Gasparotto

Nato a Milano il 30 dicembre 1902 da Luigi Gasparotto e Maria Biglia. Laureato in legge, ufficiale di complemento, accademico del club alpino Italiano, istruttore della scuola militare di alpinismo di Aosta. La sua avversione al fascismo gli impedì ogni avanzamento di grado all’interno dell’Esercito. Fermamente convinto delle sue idee rifiutò l’iscrizione sia al Guf sia al sindacato Avvocati di Milano. Profondo conoscitore della catena alpina delle Alpi, la esplorò senza guida sempre alla ricerca di nuove vie. Nel 1929 esplorò il Caucaso centrale scalando per primo la vetta del Ghiuglì. Nel 1934 fu la volta della Groenlandia. Dopo l’8 settembre promosse la formazione a Milano della Guardia Nazionale e, recatosi al Comando del corpo d’armata milanese, insistette inutilmente affinché il generale Ruggeri difendesse a tutti i costi la città. Dopo aver accompagnato la moglie e il figlio in Svizzera, riprese la lotta partigiana e divenne Comandante delle formazioni "Giustizia e Libertà" operanti in Lombardia. Incurante dei pericoli si spostò incessantemente in Val Codera, nell’alta Val Brembana, sul Pian del Tivano organizzando svariate stazioni di comando. Arrestato in Piazza Castello a Milano, l’11 dicembre del 1943, fu incarcerato a San Vittore e torturato. Trasferito al carcere di Verona fu deportato a Fossoli dove diventò il punto di riferimento per coloro che intendevano preparare un’evasione di massa dal campo emiliano. All’interno del Lager fece opera assidua di propaganda e riuscì a mantenere i contatti con il Clnai; progettò la liberazione di un treno carico di ebrei diretto a Mauthausen e studiò il modo di organizzare la fuga dei detenuti politici. Il generale Harster, responsabile della polizia di sicurezza germanica in Italia, avuti dal sottotenente Titho, responsabile del campo di Fossoli, ragguagli sulla pericolosità del detenuto, ne decise l’eliminazione. Il 22 giugno Leopoldo Gasparotto fu portato fuori dal campo e mitragliato dietro la scusante di un tentativo di fuga. Medaglia d’oro al valore militare. (biografia a cura di Massimiliano Tenconi)

 

pallanimred.gif (323 byte) Salva Gelfi

Nata l'8 luglio 1925 a Cividate Camuno. Rimasta orfana di padre, operaio, entra a 11 anni in fabbrica al cotonificio Olcese di Cogno, dove continuerà a lavorare come operaia anche dopo la guerra. Nei giorni dell'8 settembre 1943 don Carlo Comensoli le chiede di collaborare per mettere in salvo gli ex prigionieri dell'esercito italiano, che, numerosi, arrivano alla canonica di Cividate. Questo è il suo primo incarico: quasi tutte le sere, fino a novembre, accompagna a Bienno nella casa di Luigi Ercoli questi gruppi di ex prigionieri e di soldati "sbandati". Dall'ottobre dei 1943 è staffetta del Comando delle Fiamme verdi, fornisce assistenza e tiene i collegamenti fra i centri della Resistenza dislocati lungo la Valcamonica fino a raggiungere, talvolta, la Franciacorta o, nella direzione opposta, i paesi dell'alta valle oltre Edolo. E’ sostenuta in questa sua attività anche dalla madre, che, tra l'altro, riesce a conservare un'ampia documentazione di quel periodo e di quella lotta. Nel marzo del '45, con l'arresto di don Comensoli, è costretta ad allontanarsi dalla valle; trascorrerà gli ultimi mesi di guerra a Milano, nella casa di Adelina Ferighi. Dopo la guerra non assume incarichi politici, svolge un'attività di impegno sociale, che continua attualmente. Muore il 24 giugno 2001 dopo grave malattia.

(scheda tratta da AA.VV., I Gesti e i sentimenti: le donne nella Resistenza Bresciana, a cura del Comune di Brescia, 8 marzo 1989)

 

pallanimred.gif (323 byte) Gioacchino Gesmundo

Professore di filosofia, di 35 anni. Nato a Terlizzi (Bari) il 20 novembre 1908 da Nicola e da Raffaella Vendola. Cattolico, fin da giovanissimo sentì una forte inclinazione verso il socialismo utopistico e la figura di Giuseppe Mazzini. In seguito studiò il pensiero di Marx e di Lenin. Nel ’28, trasferitosi a Roma, s'iscrisse all'Istituto superiore di Magistero, dove si diplomò nel '32. Insegnò prima al liceo di Formia, poi, dal '35, al liceo scientifico "Cavour". Il suo insegnamento, che andava oltre i programmi della scuola fascista, allargandosi anche ad argomenti "proibiti" come il Risorgimento o la Questione Meridionale, proseguiva anche fuori dalla mura scolastiche: riceveva a casa i propri alunni, in un palazzo popolare di Porta Metronia, iniziando molti di loro alle idee del comunismo. Il 25 luglio del '43 lo trovò già in piena attività organizzativa del Pci, al quale aveva aderito a inizio anno per tramite di Giovanni Roveda. Dopo l'armistizio fu a capo del movimento che riuscì ad impedire l'inizio delle lezioni da parte dei professori collaborazionisti. La sua casa diventò un centro di lotta contro i nazifascisti, prima come redazione clandestina dell'Unità, poi come arsenale di armi per i Gap. Amico personale di don Pietro Pappagallo (anche lui originario di Terlizzi), Gesmundo era infaticabile: era a capo del servizio di controspionaggio del Pci, teneva corsi di formazione ideologica dei compagni di lotta, scriveva articoli, preparò una storia completa del comunismo (andata purtroppo perduta), diffondeva copie dell'Unità, armato di un pennello e di un barattolo di vernice tracciava sui muri scritte inneggianti al Pci e alla libertà. Fu arrestato dai tedeschi il 29 gennaio del '44, pochi giorni dopo lo sbarco degli Alleati ad Anzio, durante una perquisizione fattagli dalla polizia fascista mentre stava preparando un'azione di sabotaggio, gli furono scoperti in casa due sacchi di chiodi, a tre punte. Rinchiuso in via Tasso nella cella n. 13, torturato più volte, tentò di togliersi la vita per non parlare. Il 24 marzo fu processato dal Tribunale militare di guerra tedesco, condannato a morte e quello stesso giorno fucilato alle Fosse Ardeatine. Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

 

pallanimred.gif (323 byte) Enzo Giacchero

 

pallanimred.gif (323 byte) Maurizio Giglio

Tenente di fanteria, di 23 anni. Nato a Parigi il 20 dicembre 1920 da Armando e da Anna Isnard. Frequentò il liceo classico a Roma e dopo la maturità si laureò in giurisprudenza. Amava lo sport: la caccia, lo sci, il nuoto, l’alpinismo, l’automobilismo. Nel ‘40 si arruolò volontario per la campagna in Grecia, dove combattè valorosamente. Ferito, fu costretto al riposo forzato per mesi e fu decorato con una medaglia di bronzo al valor militare. Dopo la guarigione, fu comandato presso la commissione d’armistizio con la Francia, a Torino. Ma egli definiva la vita di ufficio "una specie di imboscamento". Ottenne di tornare a un reggimento e fu assegnato all’81° fanteria di stanza nella capitale. L’8 settembre del ‘43 combattè contro i tedeschi a Porta San Paolo nella battaglia di Roma. Poi si diede alla macchia nel Sud, nei pressi di Benevento. Superata la linea tedesca, si mise a disposizione della V Armata americana e, dopo un breve periodo di addestramento, cominciò a collaborare con l’Oss, il servizio segreto americano. Il 28 ottobre tornò nella capitale e, per ingannare il nemico e agire tranquillamente durante il coprifuoco, entrò a far parte della polizia ausiliaria repubblicana. Compì missioni al Sud, procurandosi notizie di carattere militare che poi trasmetteva via radio al Comando Alleato. Preparava inoltre basi per il passaggio di partigiani e militari nell’Italia liberata, in contatto con la spia americana Peter Tompkins. Nella sua attività trovò anche il sostegno di un sacerdote, monsignor Nobles, che nascondeva la sua radio trasmittente nella chiesa di S. Agnese, a Piazza Navona, e gli faceva da "palo", quando si metteva in contatto con gli Alleati. La sua attività fu febbrile: era dappertutto, tanto che fu soprannominato "il Cervo". Il 17 marzo del ‘44, mentre trasportava la radio su un galleggiante, fu fatto arrestare dalla spia fascista della banda Kock, Walter Di Franco. Condotto alla pensione Oltremare, fu torturato e seviziato, ma non rivelò i nomi dei compagni. Fu fucilato il 24 marzo alle Fosse Ardeatine. Medaglia d’oro al valor militare.

 

pallanimred.gif (323 byte) Leone Ginzburg

Docente universitario e dirigente editoriale, di 34 anni. Nato ad Odessa (Russia) il 4 aprile 1909 da Fiodor e da Vera Griliches. Ebreo, sposato con Natalia Levi, aveva tre figli (Carlo, Andrea e Alessandra). Giunto in Italia da bambino, studiò prima a Viareggio e poi al Liceo D’Azeglio di Torino. Qui si laureò in lettere nel ’31 con una tesi su Maupassant. Nel ’32 ottenne la libera docenza di letteratura russa. Vinse una borsa di studio e si recò a Parigi dove frequentò l'ambiente degli emigrati antifascisti (Carlo Rosselli e Gaetano Salvemini). Nel gennaio del '34 fu esonerato dall'insegnamento per essersi rifiutato di prestare giuramento al PNF. Arrestato il 13 marzo insieme a Carlo Levi, nel novembre dello stesso anno fu condannato a quattro anni di carcere dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato per la sua appartenenza a Giustizia e Libertà. Scontò due anni nel penitenziario di Civitavecchia, poi, grazie a un'amnistia generale, il 13 marzo del ‘36 fu scarcerato. Per la sua condizione di vigilato speciale, gli fu preclusa ogni forma di collaborazione a riviste e giornali. Si dedicò quindi soprattutto al lavoro editoriale: dal ‘33 collaborava con Giulio Einaudi alla fondazione dell'omonima casa editrice, e ne divenne uno dei principali ispiratori. Nel ‘40 fu assegnato al confino a Pizzoli (L'Aquila). Dopo il 25 luglio del '43 fu uno degli organizzatori del movimento Giustizia e Libertà, aderendo poi al Partito d'Azione. Durante l’occupazione tedesca, insieme a Muscetta e Fancello, diresse l'"Italia libera", l’organo romano del Partito d'Azione, di cui curava la stampa nella tipografia clandestina di Via Basento 55. Arrestato dalla polizia fascista il 20 novembre, a seguito di irruzione nella tipografia, fu rinchiuso in un primo momento nel reparto italiano di Regina Coeli, grazie ai documenti falsi in suo possesso, da cui risultava chiamarsi Leonida Gianturco. Ma ai primi di dicembre i tedeschi scoprirono la sua vera identità e così fu trasferito nel terzo braccio, quello dei prigionieri politici. Percosso e ridotto in fin di vita, morì in carcere il 5 febbraio del ‘44.

 

pallanimred.gif (323 byte) Aladino Govoni

Dottore in scienze economiche, di 35 anni. Nato a Tamara (Ferrara) il 17 novembre del 1908 da Corrado. Laureato in scienze economiche e commerciali. Capitano di fanteria del 1° Reggimento granatieri in Roma, dopo aver prestato servizio nei Balcani, al momento dell'armistizio si trovava nella Capitale. Dopo essersi battuto contro i tedeschi alla testa della sua compagnia alla Cecchignola e a Porta San Paolo, sfuggì alla cattura ed entrò nel movimento clandestino, nelle file di Bandiera Rossa, guidando numerose azioni di guerra contro i nazifascisti. Nel febbraio del '44 fu arrestato dalla polizia tedesca e sottoposto a tortura, finché il 24 marzo venne ucciso nella strage delle Fosse Ardeatine . Suo padre, il famoso poeta Corrado Govoni, che pure era stato fascista, nel novembre del '44 pubblicò un poema intitolato "La fossa carnaia ardeatina". Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

 

pallanimred.gif (323 byte) Giuseppe “Peppino” Gracceva

Nasce a Roma il 3 Febbraio 1906. Sin da giovane partecipa all’attività politica del paese come corriere della Sezione di Roma del Partito Comunista Italiano. Viene arrestato il 23 Maggio 1925 assieme al comunista Giuseppe Alberghi in piazza Esquilino a Roma perché
«trovato in possesso di un pacco alquanto voluminoso contente 3500 manifestini volanti, stampati alla macchia intestati: “Lavoratori di tutti i paesi unitevi” che cominciano con le parole : “Lavoratori di Roma! Una persecuzione metodica” e terminano con le altre “Le persecuzioni della polizia romana devono dare questo frutto. Evviva le vittime della reazione borghese. Evviva l’emancipazione del proletariato opera dei proletari stessi!”. “I Comunisti”».
Non riceve la condanna grazie ad una amnistia mentre era in attesa del Giudizio del Tribunale (31 Luglio 1925) di associazione eversiva (comunista) diretta a stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre, alla propaganda comunista verbale o tramite la diffusione di opuscoli, giornaletti e manifestini soprattutto nelle zone di Genzano e dei Castelli Romani. Viene arrestato nuovamente, processato e condannato (1937) a 5 anni di reclusione nel carcere di Civitavecchia per “complotto contro i poteri dello Stato”.
Viene rilasciato nel 1940 grazie ad un indulto chiesto dalla moglie e accettato dal Principe di Savoia ma con la libertà vigilata senza limite. Passa dal Partito Comunista al Partito Socialista a causa dell’ Ottobre Rosso di Stalin e diventa comandante militare delle Brigate Matteotti del Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo sotto la direzione di Sandro Pertini e Giuliano Vassalli.
Benché vigilato dalla polizia riorganizza clandestinamente il Partito Socialista e l’8 Settembre 1943, conquistate le armi, è tra i primi a iniziare la lotta armata contro i tedeschi e i fascisti.
Il suo nome di battaglia era “Maresciallo Rosso”. Fu tra i protagonisti dei famosi combattimenti per la difesa di Porta S. Paolo.
Riuscì assieme ad altri partigiani (Giuliano Vassalli) nella storica opera di far evadere dal carcere di Regina Coeli i comandanti Pertini e Saragat.
Nel Febbraio 1944 è il principale artefice di una delle azioni più incisive della Resistenza romana: l’esplosione alla stazione Ostiense di un treno carico di munizioni ad opera di una squadra di partigiani diretta dai fratelli Vurchio.
Riesce a collaborare con la spia americana Peter Tompkins per inviare sulla stazione gli aerei alleati per la distruzione dei treni. Individuato dalle S.S. che da tempo lo ricercano per stroncare l’organizzazione delle Formazioni, ferito da un colpo di mitra penetrato nel polmone sinistro, si getta dal 2° piano dello stabile in cui era stato accerchiato per sfuggire alla cattura.
Sanguinante e con un braccio spezzato, con l’aiuto del fratello si trascina ad un rifugio dell’organizzazione clandestina.
Sottoposto con mezzi di fortuna a doloroso intervento per l’estrazione del proiettile, appreso che le S.S. hanno individuato e circondato il rifugio, supplica il Medico e a sua moglie (rispettivamente Dott. Alfredo Monaco e la moglie Marcella) di finirlo per non cadere in mano nemica ed assicurare così la salvezza dei compagni e dell’organizzazione. La moglie del medico e un Partigiano lo trascinano invece attraverso i tetti e da questi ad altro rifugio.
Rifiuta sdegnosamente il ricovero in luogo protetto da extra-territorialità e, curato e fasciato alla meglio, si preoccupa soltanto di assicurare la fuga dei famigliari e la continuità della lotta delle Brigate. Purtroppo, dopo 3 giorni viene catturato dalle S.S. e tradotto al carcere tedesco di Via Tasso tristemente noto e, segregatolo in completo isolamento, con la ferita aperta e sanguinante, il braccio spezzato, gli negano qualsiasi cura. Gli propongono il ricovero in clinica a condizione che riveli la dislocazione delle Formazioni, dei depositi di armi e i nomi dei capi della resistenza romana. Oppone uno sdegnoso rifiuto e da quel momento ha inizio il suo doloroso calvario. Per 46 giorni viene sottoposto a crudeli sevizie e interrogatori che molto spesso, come risulta dai verbali originali del carcere più tardi recuperati, si protraggono fino a 12 ore consecutive. Ridotto al limite della resistenza fisica e psichica, ma consapevole che la vita di molti uomini e la continuità della lotta delle “Brigate Matteotti” è legata al suo silenzio, continua a tacere fino a che gli aguzzini, stupiti e ammirati da tanto coraggio, decidono l’esecuzione che per fortuna non può essere effettuata per l’arrivo degli Alleati. Il coraggio e l’indomita fierezza del Comandante Giuseppe Gracceva furono di esempio per tutti i detenuti del carcere, che ne trassero sostegno per affrontare le torture fisiche e morali alle quali furono sottoposti, ed è stato ricordato ed esaltato con grata ammirazione in tutti gli scritti del tragico carcere di Via Tasso. Una volta terminato il conflitto mondiale, rifiuta la Medaglia d’Oro al Valore Militare, accettando invece la Medaglia d’Argento (la sua idea era che altre persone meritavano quella d’ oro).
Riceve la pensione di invalidità a seguito delle torture ricevute durante la sua prigionia. Diventa Presidente dell’ ANPI di Roma nei primi anni della sua formazione. Quando nel 1947 fu deciso l’esilio per l’ex re Vittorio Emanuele e Umberto di Savoia, gli ex regnanti si rifiutarono di lasciare le loro proprietà.
Fu Gracceva assieme ad un altro ex partigiano ad andare dall’ex re e a farlo partire per l’esilio.
Fu membro attivo della Costituente nel Partito Socialista per l’approvazione della “ Carta della Costituzione Italiana”.
Riceve anche una medaglia di commemorazione per questa storica impresa.
Dopo qualche anno si ritira dall’attività politica perché capisce che la politica è fatta di compromessi e questo và contro ogni sua ideologia e coerenza (soprattutto quando il 25 Marzo 1947 vengono costituiti i famosi “Patti Lateranensi” ossia il rapporto tra Chiesa e Stato).
In quegli anni conosce l’ex partigiano Enrico Mattei che nomina Gracceva Presidente dell’ ENI nel Sud Italia. Il Gracceva si trasferisce con tutta la famiglia a Salerno.
Consegna le dimissioni di Presidente dell’ ENI il giorno della morte di Mattei e ritorna a Roma dove decede nel 1978.
Il giorno dei funerali il Presidente della Repubblica Sandro Pertini si presenta con i cavalleggeri in divisa ufficiale.
Oggi è seppellito nel cimitero monumentale del Verano a Roma.

 

pallanimred.gif (323 byte) Angiolo Gracci

Nato a Livorno nel 1920, durante la seconda guerra mondiale fu ufficiale della Guardia di Finanza. Dopo l’8 settembre 1943 partecipa alla guerra di liberazione antifascista con il nome di battaglia 'Gracco' e diventa Comandante della Brigata ‘Vittorio Sinigaglia’ (all'indomani della battaglia di Pian d'Albero) con cui partecipa alla liberazione di Firenze. Decorato di medaglia d’argento al valor militare.  Nell’immediato dopoguerra ricopre incarichi nel PCI e nell’ANPI.  Nel 1949 si laurea in giurisprudenza. Punito e trasferito più volte per le sue posizioni politiche, è costretto a lasciare l'uniforme nel 1956. La vora a Roma alla Lega nazionale delle Cooperative. Dopo alcune esperienze nei gruppi di sinistra estrema, aderisce a Rifondazione Comunista.

 

 

home         ricerca        

anpi

        

dibattito

        scrivici