Biografie della Resistenza
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Nato a Venezia il 30 maggio 1914.
Nato a Napoli il 3 gennaio del 1914. Rimasto orfano di entrambi i genitori (il padre era morto durante la prima guerra mondiale), all'età di tre anni si trasferì in Veneto, a Villafranca di Verona, in casa dello zio. Allievo della scuola militare della Nunziatella, si laureò in Giurisprudenza e in Scienze Politiche e vinse il concorso della magistratura. Chiamato alle armi, l’8 settembre del 1943 era ufficiale carrista dell’allora Regio esercito. Decise che la scelta giusta era di combattere contro i nazisti e i fascisti per la pace e la democrazia e non esitò a svestirsi della divisa per scegliere le file dei partigiani, in Veneto. Aderì al Partito d'Azione e con il nome di battaglia "Maestro", divenne presto uno dei comandanti di divisioni partigiane più apprezzati e combattivi. Catturato dalle SS, fu da queste consegnato alla banda di torturatori del fascista Carità e rimase per due mesi nelle loro mani. Interrogato e ferocemente torturato, tacque e fu condannato a morte. L’insurrezione di Padova e l’arrivo degli alleati gli salvarono la vita. Finita la guerra, lasciò la magistratura e aprì uno studio di avvocato a Vicenza. Orofessore ordinario di Diritto penale, studioso attento e appassionato, autore di numerose pubblicazioni, fu nominato giudice costituzionale dal Parlamento il 30 giugno 1982, e poi eletto presidente della Consulta il 30 gennaio 1991. Dopo la scadenza del mandato diventò presidente del Consiglio nazionale degli utenti. E' morto a Roma il 29 giugno del 2001, all'età di 87 anni.
Nato a Meana di Susa nel 1907. Era
poco più di un ragazzo quando, a Torino, approdò alle rive dell'antifascimo. Era la
Torino di Gramsci, di Gobetti, di Venturi, la città che Vittorio Foa descrive come una
specie di "zona franca, una zona che accompagna l'Italia senza farsene
integrare". Sarà il delitto Matteotti a sospingerlo nell'agone. Via via, conseguita
la laurea in Lettere, si dipanerà una milizia epica, che parte dal ricordo di Piero
Gobetti all'Università nel 1927. In quegli anni nasce a Torino un movimento di giovani
intellettuali "che si situano fuori del fascismo, contro il fascismo e che non sono
comunisti". Un gruppo di cui Garosci e Mario Andreis sono gli animatori e che dà
vita al foglio clandestino "Voci d' officina". L'intonazione è
"operaistica", risente della suggestione delle idee gobettiane, ed ha una certa
diffusione nelle università e nei licei. Nel gennaio del 1932 tutto il gruppo, Garosci in
testa, viene arrestato. Dopo il carcere la fuga a Parigi capitale dei fuoriusciti e punto
d'incontro e di scontro tra le varie correnti politiche e ideologiche. Nazismo e fascismo
trionfavano in gran parte d'Europa. In Spagna erano in corso le prove generali di una
guerra civile considerata l'anticamera del conflitto mondiale. Gramsci, insieme a Carlo
Rosselli, fu tra i primi, nell'estate del 1936, ad avvertire che l'ora dell'azione era
arrivata. La colonna italiana, di cui Garosci faceva parte, contava 150 uomini di tutte le
età e condizioni, intellettuali e operai, in maggioranza anarchici (un'ottantina), venti
i giellisti, e i restanti repubblicani, socialisti e comunisti. In Aragona Garosci
partecipò tra l'altro alla battaglia di Monte Pelato, e fu anche ferito. Dopo la
sconfitta in Spagna, e l'occupazione nazista della Francia, la fuga negli Stati Uniti. A
New York Garosci sarà nel 1941 uno degli animatori della "Mazzini society"
pattuglia liberaldemocratica e liberalsocialista - intelligente, estrosa, e litigiosissima
- che propugnava la creazione di una Legione italiana da affiancare agli alleati.
Collaborò anche ai «Quaderni italiani» di Bruno Zevi. Tra le sue opere vanno ricordate la «Vita di Carlo Rosselli» (1945), la «Storia dei fuorusciti» ('53), «Gli intellettuali e la guerra di Spagna» ('59), e «San Marino. Mito e storiografia» ('67).
Nato a Milano il 30 dicembre 1902 da Luigi Gasparotto e Maria Biglia. Laureato in legge, ufficiale di complemento, accademico del club alpino Italiano, istruttore della scuola militare di alpinismo di Aosta. La sua avversione al fascismo gli impedì ogni avanzamento di grado all’interno dell’Esercito. Fermamente convinto delle sue idee rifiutò l’iscrizione sia al Guf sia al sindacato Avvocati di Milano. Profondo conoscitore della catena alpina delle Alpi, la esplorò senza guida sempre alla ricerca di nuove vie. Nel 1929 esplorò il Caucaso centrale scalando per primo la vetta del Ghiuglì. Nel 1934 fu la volta della Groenlandia. Dopo l’8 settembre promosse la formazione a Milano della Guardia Nazionale e, recatosi al Comando del corpo d’armata milanese, insistette inutilmente affinché il generale Ruggeri difendesse a tutti i costi la città. Dopo aver accompagnato la moglie e il figlio in Svizzera, riprese la lotta partigiana e divenne Comandante delle formazioni "Giustizia e Libertà" operanti in Lombardia. Incurante dei pericoli si spostò incessantemente in Val Codera, nell’alta Val Brembana, sul Pian del Tivano organizzando svariate stazioni di comando. Arrestato in Piazza Castello a Milano, l’11 dicembre del 1943, fu incarcerato a San Vittore e torturato. Trasferito al carcere di Verona fu deportato a Fossoli dove diventò il punto di riferimento per coloro che intendevano preparare un’evasione di massa dal campo emiliano. All’interno del Lager fece opera assidua di propaganda e riuscì a mantenere i contatti con il Clnai; progettò la liberazione di un treno carico di ebrei diretto a Mauthausen e studiò il modo di organizzare la fuga dei detenuti politici. Il generale Harster, responsabile della polizia di sicurezza germanica in Italia, avuti dal sottotenente Titho, responsabile del campo di Fossoli, ragguagli sulla pericolosità del detenuto, ne decise l’eliminazione. Il 22 giugno Leopoldo Gasparotto fu portato fuori dal campo e mitragliato dietro la scusante di un tentativo di fuga. Medaglia d’oro al valore militare. (biografia a cura di Massimiliano Tenconi)
Nata l'8 luglio 1925 a Cividate Camuno. Rimasta orfana di padre, operaio, entra a 11 anni in fabbrica al cotonificio Olcese di Cogno, dove continuerà a lavorare come operaia anche dopo la guerra. Nei giorni dell'8 settembre 1943 don Carlo Comensoli le chiede di collaborare per mettere in salvo gli ex prigionieri dell'esercito italiano, che, numerosi, arrivano alla canonica di Cividate. Questo è il suo primo incarico: quasi tutte le sere, fino a novembre, accompagna a Bienno nella casa di Luigi Ercoli questi gruppi di ex prigionieri e di soldati "sbandati". Dall'ottobre dei 1943 è staffetta del Comando delle Fiamme verdi, fornisce assistenza e tiene i collegamenti fra i centri della Resistenza dislocati lungo la Valcamonica fino a raggiungere, talvolta, la Franciacorta o, nella direzione opposta, i paesi dell'alta valle oltre Edolo. E’ sostenuta in questa sua attività anche dalla madre, che, tra l'altro, riesce a conservare un'ampia documentazione di quel periodo e di quella lotta. Nel marzo del '45, con l'arresto di don Comensoli, è costretta ad allontanarsi dalla valle; trascorrerà gli ultimi mesi di guerra a Milano, nella casa di Adelina Ferighi. Dopo la guerra non assume incarichi politici, svolge un'attività di impegno sociale, che continua attualmente. Muore il 24 giugno 2001 dopo grave malattia. (scheda tratta da AA.VV., I Gesti e i sentimenti: le donne nella Resistenza Bresciana, a cura del Comune di Brescia, 8 marzo 1989)
Professore di filosofia, di 35 anni. Nato a Terlizzi (Bari) il 20 novembre 1908 da Nicola e da Raffaella Vendola. Cattolico, fin da giovanissimo sentì una forte inclinazione verso il socialismo utopistico e la figura di Giuseppe Mazzini. In seguito studiò il pensiero di Marx e di Lenin. Nel ’28, trasferitosi a Roma, s'iscrisse all'Istituto superiore di Magistero, dove si diplomò nel '32. Insegnò prima al liceo di Formia, poi, dal '35, al liceo scientifico "Cavour". Il suo insegnamento, che andava oltre i programmi della scuola fascista, allargandosi anche ad argomenti "proibiti" come il Risorgimento o la Questione Meridionale, proseguiva anche fuori dalla mura scolastiche: riceveva a casa i propri alunni, in un palazzo popolare di Porta Metronia, iniziando molti di loro alle idee del comunismo. Il 25 luglio del '43 lo trovò già in piena attività organizzativa del Pci, al quale aveva aderito a inizio anno per tramite di Giovanni Roveda. Dopo l'armistizio fu a capo del movimento che riuscì ad impedire l'inizio delle lezioni da parte dei professori collaborazionisti. La sua casa diventò un centro di lotta contro i nazifascisti, prima come redazione clandestina dell'Unità, poi come arsenale di armi per i Gap. Amico personale di don Pietro Pappagallo (anche lui originario di Terlizzi), Gesmundo era infaticabile: era a capo del servizio di controspionaggio del Pci, teneva corsi di formazione ideologica dei compagni di lotta, scriveva articoli, preparò una storia completa del comunismo (andata purtroppo perduta), diffondeva copie dell'Unità, armato di un pennello e di un barattolo di vernice tracciava sui muri scritte inneggianti al Pci e alla libertà. Fu arrestato dai tedeschi il 29 gennaio del '44, pochi giorni dopo lo sbarco degli Alleati ad Anzio, durante una perquisizione fattagli dalla polizia fascista mentre stava preparando un'azione di sabotaggio, gli furono scoperti in casa due sacchi di chiodi, a tre punte. Rinchiuso in via Tasso nella cella n. 13, torturato più volte, tentò di togliersi la vita per non parlare. Il 24 marzo fu processato dal Tribunale militare di guerra tedesco, condannato a morte e quello stesso giorno fucilato alle Fosse Ardeatine. Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.
Tenente di fanteria, di 23 anni. Nato a Parigi il 20 dicembre 1920 da Armando e da Anna Isnard. Frequentò il liceo classico a Roma e dopo la maturità si laureò in giurisprudenza. Amava lo sport: la caccia, lo sci, il nuoto, l’alpinismo, l’automobilismo. Nel ‘40 si arruolò volontario per la campagna in Grecia, dove combattè valorosamente. Ferito, fu costretto al riposo forzato per mesi e fu decorato con una medaglia di bronzo al valor militare. Dopo la guarigione, fu comandato presso la commissione d’armistizio con la Francia, a Torino. Ma egli definiva la vita di ufficio "una specie di imboscamento". Ottenne di tornare a un reggimento e fu assegnato all’81° fanteria di stanza nella capitale. L’8 settembre del ‘43 combattè contro i tedeschi a Porta San Paolo nella battaglia di Roma. Poi si diede alla macchia nel Sud, nei pressi di Benevento. Superata la linea tedesca, si mise a disposizione della V Armata americana e, dopo un breve periodo di addestramento, cominciò a collaborare con l’Oss, il servizio segreto americano. Il 28 ottobre tornò nella capitale e, per ingannare il nemico e agire tranquillamente durante il coprifuoco, entrò a far parte della polizia ausiliaria repubblicana. Compì missioni al Sud, procurandosi notizie di carattere militare che poi trasmetteva via radio al Comando Alleato. Preparava inoltre basi per il passaggio di partigiani e militari nell’Italia liberata, in contatto con la spia americana Peter Tompkins. Nella sua attività trovò anche il sostegno di un sacerdote, monsignor Nobles, che nascondeva la sua radio trasmittente nella chiesa di S. Agnese, a Piazza Navona, e gli faceva da "palo", quando si metteva in contatto con gli Alleati. La sua attività fu febbrile: era dappertutto, tanto che fu soprannominato "il Cervo". Il 17 marzo del ‘44, mentre trasportava la radio su un galleggiante, fu fatto arrestare dalla spia fascista della banda Kock, Walter Di Franco. Condotto alla pensione Oltremare, fu torturato e seviziato, ma non rivelò i nomi dei compagni. Fu fucilato il 24 marzo alle Fosse Ardeatine. Medaglia d’oro al valor militare.
Docente universitario e dirigente editoriale, di 34 anni. Nato ad Odessa (Russia) il 4 aprile 1909 da Fiodor e da Vera Griliches. Ebreo, sposato con Natalia Levi, aveva tre figli (Carlo, Andrea e Alessandra). Giunto in Italia da bambino, studiò prima a Viareggio e poi al Liceo D’Azeglio di Torino. Qui si laureò in lettere nel ’31 con una tesi su Maupassant. Nel ’32 ottenne la libera docenza di letteratura russa. Vinse una borsa di studio e si recò a Parigi dove frequentò l'ambiente degli emigrati antifascisti (Carlo Rosselli e Gaetano Salvemini). Nel gennaio del '34 fu esonerato dall'insegnamento per essersi rifiutato di prestare giuramento al PNF. Arrestato il 13 marzo insieme a Carlo Levi, nel novembre dello stesso anno fu condannato a quattro anni di carcere dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato per la sua appartenenza a Giustizia e Libertà. Scontò due anni nel penitenziario di Civitavecchia, poi, grazie a un'amnistia generale, il 13 marzo del ‘36 fu scarcerato. Per la sua condizione di vigilato speciale, gli fu preclusa ogni forma di collaborazione a riviste e giornali. Si dedicò quindi soprattutto al lavoro editoriale: dal ‘33 collaborava con Giulio Einaudi alla fondazione dell'omonima casa editrice, e ne divenne uno dei principali ispiratori. Nel ‘40 fu assegnato al confino a Pizzoli (L'Aquila). Dopo il 25 luglio del '43 fu uno degli organizzatori del movimento Giustizia e Libertà, aderendo poi al Partito d'Azione. Durante l’occupazione tedesca, insieme a Muscetta e Fancello, diresse l'"Italia libera", l’organo romano del Partito d'Azione, di cui curava la stampa nella tipografia clandestina di Via Basento 55. Arrestato dalla polizia fascista il 20 novembre, a seguito di irruzione nella tipografia, fu rinchiuso in un primo momento nel reparto italiano di Regina Coeli, grazie ai documenti falsi in suo possesso, da cui risultava chiamarsi Leonida Gianturco. Ma ai primi di dicembre i tedeschi scoprirono la sua vera identità e così fu trasferito nel terzo braccio, quello dei prigionieri politici. Percosso e ridotto in fin di vita, morì in carcere il 5 febbraio del ‘44.
Dottore in scienze economiche, di 35 anni. Nato a Tamara (Ferrara) il 17 novembre del 1908 da Corrado. Laureato in scienze economiche e commerciali. Capitano di fanteria del 1° Reggimento granatieri in Roma, dopo aver prestato servizio nei Balcani, al momento dell'armistizio si trovava nella Capitale. Dopo essersi battuto contro i tedeschi alla testa della sua compagnia alla Cecchignola e a Porta San Paolo, sfuggì alla cattura ed entrò nel movimento clandestino, nelle file di Bandiera Rossa, guidando numerose azioni di guerra contro i nazifascisti. Nel febbraio del '44 fu arrestato dalla polizia tedesca e sottoposto a tortura, finché il 24 marzo venne ucciso nella strage delle Fosse Ardeatine . Suo padre, il famoso poeta Corrado Govoni, che pure era stato fascista, nel novembre del '44 pubblicò un poema intitolato "La fossa carnaia ardeatina". Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.
Nato a Livorno nel 1920, durante la seconda guerra mondiale fu ufficiale della Guardia di Finanza. Dopo l’8 settembre 1943 partecipa alla guerra di liberazione antifascista con il nome di battaglia 'Gracco' e diventa Comandante della Brigata ‘Vittorio Sinigaglia’ (all'indomani della battaglia di Pian d'Albero) con cui partecipa alla liberazione di Firenze. Decorato di medaglia d’argento al valor militare. Nell’immediato dopoguerra ricopre incarichi nel PCI e nell’ANPI. Nel 1949 si laurea in giurisprudenza. Punito e trasferito più volte per le sue posizioni politiche, è costretto a lasciare l'uniforme nel 1956. La vora a Roma alla Lega nazionale delle Cooperative. Dopo alcune esperienze nei gruppi di sinistra estrema, aderisce a Rifondazione Comunista.
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