Biografie della Resistenza
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Nato a Cossano Belbo (Cuneo) il 16 novembre 1988,
morto a Valdivilla di Santo Stefano Belbo (Asti) il 24 febbraio 1945, Medaglia d’Oro
al Valor Militare alla memoria. Lo chiamavano
affettuosamente Pinin quando faceva il capitano di lungo corso. Hanno continuato a
chiamarlo così quando divenne esattore delle imposte e Pinin rimase durante la
Resistenza, combattendo a fianco del figlio Piero, comandante della II Divisione Langhe.
Giovanni Balbo non era più giovane, ma seppe mettere a frutto la sua esperienza
nell’organizzazione delle formazioni partigiane; ciononostante non rimase mai da
parte quando si trattava di affrontare direttamente il nemico. In una di queste azioni,
nel gennaio del 1944, Pinin fu fatto prigioniero.
Nato a Manijump (Australia) il 12 giugno 1916, laureato in legge, Medaglia d’Argento al Valor Militare. Tra coloro che, il 10 ottobre 2000, si sono ritrovati ad Alba ad applaudire in anteprima il film "Il partigiano Johnny" che Guido Chiesa ha tratto dal libro di Beppe Fenoglio, c’era anche Piero Balbo: proprio quel "comandante Nord" che nel lungometraggio presentato al Festival di Venezia è interpretato da Claudio Amendola. Balbo, pur in età tanto avanzata, ha così potuto riassaporare la liberazione di Alba, avvenuta cinquantasei anni prima proprio per merito suo, di Beppe Fenoglio e di tanti altri. La mente di Piero Balbo è fitta di ricordi: dal giugno 1940 al settembre 1943 fu ufficiale di complemento nella XII Flottiglia MAS di Lero, nell’Egeo. Di lì fu trasferito a Pola, dove l’11 settembre i tedeschi lo catturarono. Ma la prigionia durò poco e Piero Balbo, raggiunto l’Astigiano, organizzò subito la resistenza contro i nazifascisti che, non riuscendo a catturarlo, nel marzo del 1944 devastarono la sua casa e la sua azienda agricola di Cossano Belbo (Cuneo). Sino alla Liberazione Balbo comandò la II Divisione Langhe, del Gruppo Divisioni Alpine del maggiore Enrico Mauri, che ebbe tra i suoi tanti meriti l’approntamento e la difesa di un campo di atterraggio a Vesime, molto utilizzato dagli Alleati. La Medaglia d’Argento a Piero Balbo fu conferita dopo la Liberazione, in riconoscimento dell’attività svolta dalla II Langhe che lasciò sul terreno 178 Caduti, fra i quali il padre del comandante. (dal sito dell'Anpi nazionale)
Nata a Bologna l’8 aprile 1915, fucilata al Meloncello di Bologna il 14 agosto 1944, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria. Di famiglia benestante, moglie e madre affettuosa, il suo amore per la libertà la spinse a schierarsi contro gli oppressori. Staffetta nella 7a G.A.P., divenne presto un’audace combattente, pronta alle azioni più rischiose. Fu catturata dai nazifascisti, a conclusione di uno scontro a fuoco, mentre si apprestava a rientrare a casa, dopo aver trasportato armi nella base di Castelmaggiore della sua formazione. Con sé Irma aveva anche dei documenti compromettenti e per sei giorni i fascisti la seviziarono, senza riuscire a farle confessare i nomi dei suoi compagni di lotta. L’ultimo giorno la portarono di fronte a casa sua: "Lì ci sono i tuoi – le dissero – non li vedrai più, se non parli", ma Irma non parlò. I fascisti infierirono ancora sul suo corpo martoriato, la accecarono e poi la trasportarono ai piedi della collina di San Luca, dove le scaricarono addosso i loro mitra. Il corpo di quella che, nella motivazione della massima onorificenza militare italiana, è indicata come "Prima fra le donne bolognesi ad impugnare le armi per la lotta nel nome della libertà…", fu lasciato come ammonimento per un intero giorno sulla pubblica via. (dal sito dell'Anpi nazionale)
Nato a Firenze il 28 novembre 1909, ragioniere. All’anagrafe risulta con la sua professione ufficiale, ma sarebbe più esatto definirlo "storico della Resistenza". Non a caso, proprio mentre l’autore stava per compiere i 91 anni, è uscita la ristampa di uno dei suoi libri più noti, quel "I Sopravvissuti" che aveva visto la luce nel 1972 per le edizioni Feltrinelli. Di Orazio Barbieri si possono citare ancora "Un anno di lotta contro il nazismo e il fascismo", sulla Resistenza fiorentina, uscito già nel 1944, e "Ponti sull’Arno", pubblicato da Vangelista Editore nel 1958 e del quale Ferruccio Parri esaltò l’"alto valore di fonte storica"; soprattutto sono importanti i documenti che Barbieri ha raccolto nell’Archivio, depositato presso l’Istituto storico della Resistenza in Toscana, e che comprende, ovviamente, anche la sua biografia antifascista. Una biografia che comincia con l’arresto, nel 1927, per "aver ricostruito e fatto parte di una sezione del disciolto Partito comunista", continua con la sentenza numero 25 del 1930 che lo condanna ad un anno di reclusione, prosegue con l’attività clandestina sotto il fascismo e si sviluppa con la guerra di Liberazione che vede, tra l’altro, Barbieri (fatti saltare dai nazisti i ponti di Firenze) attraversare fortunosamente, con l’azionista Enrico Fischer, il Corridoio Vasariano per mettere in contatto il Cln fiorentino con quello d’oltr’Arno e con il Comando inglese. Dopo la Liberazione, Barbieri è stato per dieci anni sindaco di Scandicci, parlamentare del PCI per tre legislature, tra i fondatori dell’ARCI, collaboratore dell’"Unità" e di "Rinascita", direttore dei periodici "Toscana nuova" e "Realtà sovietica". (dal sito dell'Anpi nazionale)
Nato a Cecina, provincia di
Livorno, il 28 settembre 1890. Operaio tornitore meccanico. A 13 anni già milita nel
movimento anarchico di Livorno. Quando, due anni più tardi entra come apprendista
tornitore al Cantiere Orlando, si iscrive al Partito Socialista. iovanissimo è già sul
fronte del non intervento nella prima guerra mondiale; successivamente è tra i gruppi
organizzati di Ordine Nuovo; nel ’21 è tra i fondatori del Pci ed è eletto
consigliere comunale, segretario provinciale del PCd’I, responsabile della Camera del
lavoro livornese. E’ il periodo del più brutale terrore fascista; nel ’22
subisce i primi mesi di galera. Perseguitato, arrestato, denunciato più volte, ma sempre
pronto a riprendere, subito dopo, il suo posto di battaglia. Condannato a tre anni dal
tribunale speciale, appena libero, torna in campo; nel ’31 è costretto ad emigrare
(raggiunge la Francia, molto avventurosamente, su una barca via Corsica). Non è che
l’inizio di una milizia politica, condotta tutta sul campo e quasi sempre in
clandestinità, che doveva durare fino al 1945. A Marsiglia, per ordine del partito,
organizza il movimento antifascista ed è in contatto con gli esuli politici di mezza
Europa. Passato in Urss, studia e lavora, seguendo corsi di formazione presso
l’Armata Rossa. Nel '36 è tra i primi ad accorrere in Spagna, è lui a condurre
la battaglia di Guadalajara. Ricorda Pesce: «Barontini sostituì Pacciardi che era stato
ferito e si rivelò uno stratega e un galvanizzatore eccezionale. La battaglia fu
lunghissima, dall’8 al 24 marzo, un tempo da cani. Barontini non stava seduto al
quartier generale, lui. Ogni giorno passava tra le postazioni. Ci spiegava la situazione,
ci incoraggiava. Sempre tranquillo». Nel ’38 l’Internazionale comunista decise
di aiutare la resistenza in Etiopia. Di Vittorio chiama Barontini e forma un terzetto con
lo spezzino Rolla e il triestino Ukmar. Si chiamavano "i tre apostoli".
Barontini era Paulus, Rolla era Petrus e Ukmar Johannes. Il loro compito è di saldare le
forze abissine. Malgrado il pugno di ferro di Graziani, l’Etiopia non si era
sottomessa. Barontini, Rolla e Uckmar avevano un lasciapassare del Negus.
Organizzarono in Abissinia un forte movimento partigiano e un governo provvisorio di
patrioti, diffondendo in due lingue un giornale ebdomadario "La Voce degli
Abissini". In seguito il Negus dette a Barontini il titolo di vice-imperatore. Ras
Destà, rappresentante etiopico alla Società delle Nazioni, li accompagnò fino a
Khartoum. Graziani aveva messo una taglia sulla sua testa, ma lui riesce a sfuggire, a
Khartoum è accolto da Alexander, dal quale sarà poi decorato.
Nato nel 1896. Nel 1910 viene chiamato a riordinare il Museo Sociale
dell'Umanitaria, dove vi resta fino al 1924, anno di ascesa della dittatura fascista. Per la sua attività di oppositore vigoroso e tenace, prima dalle colonne del
giornale "Il Caffè", poi attraverso la collana di pamphlets "Nuova
Libertà" ferocemente critici della politica mussoliniana, infine come esponente del
movimento di "Giustizia e Libertà", nel 1930 subisce una condanna a
vent'anni di carcere dal Tribunale Speciale. Esce dal carcere nel 1943. Fra
l'estate del 1943 e l'aprile del 1945 si apre il periodo più intenso della partecipazione
di Bauer alla Resistenza, anche attraverso frequenti contatti con il Comando Alleato e i
responsabili della "Special Force".
Nato a Cireggio di Omega il 14 luglio 1908. Nel 1932 si laurea in architettura e vince il 2° premio nel concorso per la sistemazione dei lavori del Duomo di Milano. Nel 1936 si sposa con Giuliana Gadda. Richiamato nel maggio del 1943 come ufficiale di artiglieria. I fatti dell’’8 settembre lo colgono in licenza. Rientrato subito al corpo, con l’intenzione di organizzare una resistenza alle truppe germaniche, trova la sua caserma, a Baggio, già occupata dai tedeschi. Ritorna quindi al paese natale e si pone alla testa di alcuni giovani, una dozzina, di cui diviene capitano e comincia, sopra Quarta e in Val Strona, l’attività partigiana. Alto, eretto, massiccio, lo sguardo limpido, la voce penetrante, diventa il "bandito n.1" e sul suo capo penderà, dal 28 novembre, una taglia di 100.000 lire. Il 18 dicembre, assieme alla moglie e ad altri partigiani del suo gruppo erroneamente scambiati per tedeschi, è ferito da uomini del nucleo organizzato attorno ai fratelli Di Dio. Dopo pochi giorni la sua formazione si unirà a quest’ultima dando vita alla "Brigata Patrioti Val Strona", suddivisa nelle compagnie "Quarta" e "Massiola". In più circostanze rifiuta la resa e le proposte formulate dai comandi tedeschi. Il 13 febbraio il suo gruppo subisce un duro attacco presso Megolo dove, con Antonio Di Dio, è colpito a morte. Medaglia d’oro al valore militare. (a cura di Massimiliano Tenconi)
Nato a Milano il 26 maggio 1892, morto a Parigi il 26 aprile 1928, sindacalista. Era rimasto orfano di padre a nove anni e da ragazzo aveva fatto l’apprendista tipografo. A soli 15 anni fu, a Milano, tra i fondatori della Federazione giovanile socialista. Nel 1914 fu arruolato nell’esercito e mandato al fronte, di dove tornò per malattia. Dimesso dall’ospedale militare nel 1919, fu incaricato di dirigere la Camera del Lavoro di Magenta e l’anno dopo gli fu affidata la direzione della CdL di Milano. Consigliere comunale e, come si diceva allora, deputato provinciale, Giovanni Bensi fu per cinque anni oggetto di continui attacchi da parte dei fascisti, ma ciò non gli impedì di continuare a dirigere con intelligenza la maggiore organizzazione operaia milanese. Nel 1925, quando la CdL fu chiusa d’autorità, Bensi rifiutò fermamente di consegnare ai fascisti, che lo picchiarono selvaggiamente, gli elenchi degli iscritti. Le percosse indebolirono ancor più il fisico del dirigente sindacale che decise di riparare in Francia con la sua compagna e il loro figlioletto di tre anni. Per sopravvivere nell’emigrazione si mise a fare il cappellaio e, nonostante la salute malferma, mantenne attivi contatti politici con i dirigenti socialisti riparati in Francia. Morì a soli 35 anni in un ospedale parigino. Sulla sua tomba al Père Lachaise, una lapide dettata da Turati recitava: "Giovanni Bensi/Italiano: Socialista/Morto esule/per la sua fede". Dal novembre del 1949 la salma del dirigente della CdL milanese riposa al Cimitero Monumentale di Milano, dove era stata traslata per volere dei suoi compagni. (dal sito dell'Anpi nazionale)
Medico. Nato a Roma il 22 giugno del 1922. Già negli anni del liceo fu un attivo antifascista. Nel '39, con Leonardo Jannaccone, Corrado Nourian e Nino Baldini, costituì un gruppo detto di "unificazione marxista", che attirò presto l’attenzione della polizia fascista. Arrestato nel 1941, dopo la scarcerazione nel 1943 aderì al Pci. Con l’armistizio e la formazione dei Gruppi di azione patriottica (GAP), fu tra i più valorosi protagonisti della Resistenza, con il nome di battaglia di "Paolo", sia a Roma (assalto a militari tedeschi in piazza Barberini, attacco ad un corteo fascista in via Tomacelli) che nella zona di Palestrina, dove comandò formazioni partigiane. Il 23 marzo del 1944 con Carla Capponi (che sarebbe poi diventata sua moglie e da cui ha avuto una figlia, Elena), fu tra i principali autori dell’attentato di via Rasella. Pochi mesi dopo la liberazione della Capitale, il 21 settembre del '44 Bentivegna decise di continuare la sua lotta contro i nazifascisti in Jugoslavia e in Montenegro, come commissario politico della divisione partigiana italiana "Garibaldi". Rientrato in Italia dopo la conclusione del conflitto, per un paio d’anni fu redattore del giornale l’Unità, prima di riprendere gli studi e di dedicarsi alla professione di medico. Dirigente di base del Pci, è stato anche docente di Medicina del Lavoro. E' stato decorato di medaglia d'argento e di medaglia di bronzo al valor militare per la sua attività partigiana a Roma. Membro dell'Anpi, dal 2001 è vicepresidente dell'associazione della provincia di Roma.
Nato a Molinella (Bologna) il 2 ottobre 1885, fucilato a Bologna il 20 aprile 1945, operaio meccanico, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria. Membro, sin da ragazzo, del Partito socialista, partecipò alla prima guerra mondiale. Alla nascita del fascismo, fu tra i più attivi protagonisti delle lotte contadine degli anni 1919-22. Con l’andata al potere di Mussolini, fu costretto a riparare all’estero. Rientrato in Italia nel 1926, fu confinato per cinque anni nell’isola di Ponza. Dopo l’8 settembre 1943, nonostante la non più giovane età, oltre a dirigere il movimento contadino e socialista in Emilia, Bentivogli fu uno dei più attivi organizzatori della Resistenza. Partigiano combattente della Brigata "Matteotti", fu catturato dai fascisti poche ore prima della liberazione di Bologna, sottoposto a tortura e infine ucciso. Nella motivazione della Medaglia d’Oro a Bentivogli si legge: "…si prodigava nella lotta di liberazione in moltissime azioni quanto mai rischiose, mettendo sempre il nemico nelle più gravi difficoltà. Catturato, sopportava le atroci torture infertegli dal nemico con impassibile fermezza; condannato alla pena capitale, affrontava la morte da eroe". (dal sito dell'Anpi nazionale)
Nato a La Spezia il 19 settembre 1919, fucilato a Ponte Graveglia (Genova) l’11 aprile 1945, carpentiere. Partigiano combattente nelle formazioni "Giustizia e Libertà". Durante la Guerra di liberazione prese parte ai combattimenti dell’agosto 1944 e del gennaio 1945 nella zona di Zeri (Apuania), e a quello dell’ottobre 1944 nella zona di Calice in Cornoviglio (La Spezia). Catturato nel febbraio del 1945, durante uno scontro con reparti della Divisione repubblichina "Monterosa", Benvenuto fu incarcerato per due mesi. I fascisti lo fucilarono per rappresaglia insieme a Roberto De Martin, Roberto Fusco, Dante Gnetti e Paolo Perozzo. (dal sito dell'Anpi nazionale)
Nato a Castellina (Firenze) il 21 febbraio 1895, ucciso dai fascisti a Firenze nel luglio del 1944, operaio. Membro dell’organizzazione comunista clandestina, Igino Bercilli nel 1928 fu arrestato a Firenze e processato dal Tribunale speciale, che gli inflisse otto anni di reclusione. Tornato in libertà, riprese il lavoro di pellettiere, senza rinunciare mai ai suoi ideali democratici. Dopo l’8 settembre del 1943, fu tra gli organizzatori della Resistenza in Toscana e partigiano combattente. Nell’estate del 1944, caduto in mano ai fascisti della tristemente nota banda Carità, Bercilli fu barbaramente torturato. Fu assassinato dai suoi torturatori poco prima della liberazione di Firenze. (dal sito dell'Anpi nazionale)
Nato a Montepulciano (Siena) il 29 ottobre 1907, ucciso a Roma il 24 marzo 1944, ingegnere. Ispettore capo delle Ferrovie dello Stato, era stato sotto il fascismo un militante del Partito d’Azione. Durante l’occupazione nazista, fu attivo nella Resistenza romana e divenne comandante della Prima Zona, organizzando azioni di sabotaggio, squadre armate e diffusione di stampa clandestina. Catturato dalla famigerata banda Koch, fu rinchiuso nella "Villa Triste" di via Romagna dove fu a lungo torturato. I fascisti lo rinchiusero poi nel carcere di Regina Coeli, dove i tedeschi lo prelevarono quando decisero di portare a compimento la strage delle Fosse Ardeatine. Lì Bernabei fu trucidato insieme con altri 334 ostaggi. (dal sito dell'Anpi nazionale)
Nato a Milano il 22 marzo 1912. Laureato in ingegneria presso il Regio Istituto Superiore nel 1938, lavora presso l’azienda familiare. Dopo l’8 settembre svolge un’intensa attività assistenziale e politico-culturale. Nel primo campo collabora attivamente con l’Oscar (Organizzazione Soccorso Cattolico agli Antifascisti Ricercati) ed è il principale ideatore dell’istituto "La carità dell’Arcivescovo", istituto che si proponeva il compito di assistere i ceti cittadini più disagiati. In ambito politico-culturale, fra il gennaio e l’aprile 1944, tiene nei locali del collegio San Carlo una serie di conferenze indirizzate ai laureati cattolici e incentrate sulle tematiche sociali. Nominato presidente della Fuci milanese è, nel contempo, anche membro del Cln. La sua casa diviene recapito clandestino di Teresio Olivelli con il quale collabora, fornendo i cliche, alla pubblicazione e alla diffusione del foglio "Il Ribelle". Con Olivelli, a causa di una delazione, è arrestato il 27 aprile del 1944 in p.za San Babila a Milano. Deportato a Fossoli è fucilato, con altri 67 prigionieri politici, il 12 luglio 1944. (a cura di Massimiliano Tenconi)
Nata a Melara (Rovigo) nel 1919, fucilata il 21 gennaio 1945 a Porlezza (Como), casalinga, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria. Attiva nella Resistenza già dall’8 settembre 1943, Livia Bianchi divenne presto partigiana combattente nella formazione "Ugo Ricci", operante sulle montagne della zona del Lario. Nel corso di un rastrellamento, un gruppo di partigiani, tra i quali c’era Livia, aveva trovato rifugio in una casa di Cima, a Porlezza. La casa, però, fu circondata dai fascisti. Dopo un lungo scambio di colpi, i partigiani, esaurite le munizioni, dovettero arrendersi. I fascisti condussero subito i loro prigionieri verso un muro del locale cimitero; si apprestavano ad eliminarli, quando il comandante dei militi si rese conto che nel gruppo c’era anche una donna. Offrì a Livia la possibilità di sottrarsi alla morte e di andarsene. Lei rifiutò e volle seguire sino in fondo la sorte dei suoi compagni di lotta. (dal sito dell'Anpi nazionale)
Nato a Imola nel 1898 e morto nel 1944. Di professione musicista, aderì al PCI nel 1928. Emigrato in Francia nel 1932, partecipò alla guerra civile spagnola nelle file delle Brigate internazionali. Arrestato dai tedeschi a Parigi nel 1940, venne consegnato alle autorità italiane che lo confinarono a Ventotene. Liberato nell'agosto 1943, passò a Bologna dove organizzò il movimento gappista. Arrestato il 9 gennaio 1944, venne fucilato diciotto giorni dopo al poligono di tiro della città.
Nato a La Spezia il 12 giugno 1873, deceduto nella stessa città il 5 marzo 1944, operaio meccanico. Anarchico militante, partecipò in prima fila ai moti di Lunigiana del 1894. Ricercato dalla polizia, dovette abbandonare il suo posto di lavoro all’Arsenale e lasciare La Spezia. Ciò non gli consentì, tuttavia, di evitare arresti ed anni di confino. Tornato nella sua città nel 1907, Binazzi si unì a Zelmira Peroni e con lei fondò il settimanale "Il Libertario", che assunse presto rilievo nazionale. Sino al 1926, fra molte traversie, sequestri e processi i due anarchici riuscirono a far uscire il giornale; quell’anno, però, "Il Libertario" cessò le pubblicazioni: Binazzi e la Peroni erano stati entrambi condannati al confino per due anni. Per Binazzi non si trattava di una novità: al confino c’era già stato tra il finire dell’800 e i primi anni del ‘900; a Lipari, dove lo mandarono con Zelmira, aveva soggiornato dal dicembre del 1915 alla fine della prima Guerra mondiale, perché antinterventista e antimilitarista. Quando, allora, era tornato a La Spezia, Binazzi aveva ripreso a lottare per i suoi ideali partecipando, nel 1920, all’occupazione delle fabbriche e all’organizzazione degli Arditi del popolo. Sempre avendo al fianco la sua Zelmira, lavorò al giornale fino all’ennesima condanna al confino. Tornato in Lunigiana nel 1928, Binazzi trascorse in libertà vigilata gli anni della dittatura fascista ma, caduto Mussolini, l’anziano anarchico fu subito tra i più attivi nel riorganizzare il movimento libertario e, in seguito, le formazioni partigiane che vi si ispiravano. (dal sito dell'Anpi nazionale)
Nato a Ravenna il 6 settembre 1915, Medaglia d’Oro al Valor militare. Le operazioni belliche erano ancora in corso quando, il 4 febbraio 1945, il generale Mac Creery, comandante dell’VIII Armata, appuntò sul petto del "comandante Bulow" (questo il nome di battaglia di Boldrini) la Medaglia d’Oro al Valor militare. La cerimonia si svolse sulla piazza di Ravenna liberata proprio dalle formazioni di Bulow, che da quel momento si sarebbero aggregate alle armate anglo-americane sino alla resa totale dei nazifascisti. Impossibile dire di Boldrini in poche righe, a cominciare dall’educazione all’amore per la libertà ricevuta dal padre, una popolare figura di internazionalista romagnolo, sino alle sue gesta nella Resistenza e sino all’attività politica e parlamentare nel dopoguerra. Ci hanno provato Silvia Saporelli e Fausto Pullano in un bel documentario presentato il 6 ottobre 1999 nella sala Zuccari di Palazzo Giustiniani. Erano presenti i Presidenti di Camera e Senato e seduto in prima fila c’era proprio "Bulow", "un uomo di pace che – come ha sottolineato il Presidente Mancino – ha sempre onorato la Patria, il Parlamento e la sua parte politica". Di Arrigo Boldrini, parlamentare per diverse legislature e presidente nazionale dell’ANPI, ha scritto a suo tempo Gian Carlo Pajetta: "È un eroe. Non è il soldato che ha compiuto un giorno un atto disperato, supremo, di valore. Non è un ufficiale che ha avuto un’idea geniale in una battaglia decisiva. È il compagno che ha fatto giorno per giorno il suo lavoro, il suo dovere; il partigiano che ha messo insieme il distaccamento, ne ha fatto una brigata, ha trovato le armi, ha raccolto gli uomini, li ha condotti, li conduce al fuoco". (dal sito dell'Anpi nazionale)
Nato a New York il 26 maggio 1921 dall'avvocato Philip e dalla torinese Enrica Carello. Presentatore televisivo. Sedicenne, cittadino americano, era in Italia con la madre dì nazionalità italiana, sfollato l'8 settembre sulle Alpi piemontesi, attraversava nei mesi invernali i valichi alpini innevati, recando messaggi in Svizzera per conto della Resistenza. Catturato dai tedeschi e incarcerato a Milano, a San Vittore, venne scambiato con prigionieri tedeschi in seguito a trattative tra i comandi alleato e germanico, potendo così raggiungere il padre a New York e collaborare alle emissioni radiofoniche in italiano "La voce dell'America". Dopo aver lavorato alla "Stampa" di Torino e aver fatto il tecnico, lo speaker e il programmatore radiofonico in America, torna in Italia, dove Vittorio Veltroni, il padre di Walter, gli offre un contratto di collaborazione per il Radiogiornale. Siccome Mike ha un forte accento americano, gli fanno prendere lezioni di dizione: la sua maestra è Maria Luisa Boncompagni, mamma di Gianni, la prima annunciatrice radiofonica. Per la radio italiana Mike realizza servizi di colore e radiocronache sportive, soprattutto di pugilato. Poi, il primo programma televisivo: "Arrivi e partenze", in cui Mike intervista personaggi stranieri di passaggio a Roma. Il 19 novembre 1955 debutta il programma che "lancerà" la televisione in Italia: "Lascia o raddoppia" probabilmente il più grande successo della storia della televisione. Seguono innumerevoli altri programmi, tra i quali "Rischiatutto", "Scommettiamo?", "Flash", "Telemike", "La ruota della fortuna".
Nato a Barberino di Mugello (Firenze) nel 1922. Partigiano combattente (nome di battaglia "Ivan") dal 1° marzo del 1944 al 17 settembre del 1944 in Toscana, provincia di Firenze, in qualità di comandante della 2° Compagnia "Fanfulla", inquadrata nella Brigata d'assalto Garibaldi "L. Lavacchini". In seguito, dal 1 ottobre del 1944 , operò quale ufficiale di collegamento nella Divisione Garibaldina "Coduri" in Liguria, in provincia di Genova. Dal 31 gennaio all'8 maggio del '45, infine, partecipò alle operazioni di guerra svoltesi in territorio metropolitano col 21° Reggimento .Fanteria -Comp. Cannoni - Gruppo di combattimento "Cremona". Decorato con la croce al merito di guerra in seguito ad attività partigiana. Morto a Chiavari(Genova) nel 1995.
Nato a Roma
il 9 settembre del 1915. Inizia la sua attività antifascista, giovanissimo, al liceo
E.Q.Visconti e poi all’Università, dove si laurea in giurisprudenza. A 22 anni, nel
'37, raccoglie fondi per i repubblicani spagnoli e nello stesso anno aiuta Giorgio
Amendola a fuggire in Francia. Nel '41 partecipa nelle proteste universitarie e un giorno,
con Trombadori e Giolitti, lancia stelle filanti decorate da falce e martello e da scritte
anti-belliche. In collegamento con il Pci, viene arrestato nell’agosto del 1941 e
assegnato al confino di polizia da dove viene chiamato alle armi per combattere in
Montenegro.
Nato a Sampierdarena (Genova) nel 1921 e morto nel 1944. Di sentimenti antifascisti, aderì nel 1942 al movimento comunista. Nel maggio 1943 venne arrestato e deferito al Tribunale speciale. Liberato nell'agosto successivo, nell'inverno 1943-'44 diresse a Genova le formazioni gappiste. Venne fucilato a Genova il 2 marzo 1944.
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