Biografie della Resistenza Italiana          

A B C D E F GI J K L M N O P Q R S T U V Z

 

   

pallanimred.gif (323 byte) Giovanni Balbo ("Pinin")

Nato a Cossano Belbo (Cuneo) il 16 novembre 1988, morto a Valdivilla di Santo Stefano Belbo (Asti) il 24 febbraio 1945, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria. Lo chiamavano affettuosamente Pinin quando faceva il capitano di lungo corso. Hanno continuato a chiamarlo così quando divenne esattore delle imposte e Pinin rimase durante la Resistenza, combattendo a fianco del figlio Piero, comandante della II Divisione Langhe. Giovanni Balbo non era più giovane, ma seppe mettere a frutto la sua esperienza nell’organizzazione delle formazioni partigiane; ciononostante non rimase mai da parte quando si trattava di affrontare direttamente il nemico. In una di queste azioni, nel gennaio del 1944, Pinin fu fatto prigioniero.
Liberato grazie ad un cambio effettuato tra partigiani e prigionieri tedeschi (i nazifascisti non sapevano che proprio a quel "vecchio" avevano devastato la casa a Cossano Belbo), tornò alla sua responsabilità di capo di stato maggiore della II Langhe. Nel dicembre del 1944 Pinin fu di nuovo gravemente ferito in uno scontro. Fu curato e, ancora convalescente, si ripresentò al suo posto di direzione. Meno di tre mesi dopo cadeva in combattimento. (dal sito dell'Anpi nazionale)

 

pallanimred.gif (323 byte) Piero Balbo

Nato a Manijump (Australia) il 12 giugno 1916, laureato in legge, Medaglia d’Argento al Valor Militare. Tra coloro che, il 10 ottobre 2000, si sono ritrovati ad Alba ad applaudire in anteprima il film "Il partigiano Johnny" che Guido Chiesa ha tratto dal libro di Beppe Fenoglio, c’era anche Piero Balbo: proprio quel "comandante Nord" che nel lungometraggio presentato al Festival di Venezia è interpretato da Claudio Amendola. Balbo, pur in età tanto avanzata, ha così potuto riassaporare la liberazione di Alba, avvenuta cinquantasei anni prima proprio per merito suo, di Beppe Fenoglio e di tanti altri. La mente di Piero Balbo è fitta di ricordi: dal giugno 1940 al settembre 1943 fu ufficiale di complemento nella XII Flottiglia MAS di Lero, nell’Egeo. Di lì fu trasferito a Pola, dove l’11 settembre i tedeschi lo catturarono. Ma la prigionia durò poco e Piero Balbo, raggiunto l’Astigiano, organizzò subito la resistenza contro i nazifascisti che, non riuscendo a catturarlo, nel marzo del 1944 devastarono la sua casa e la sua azienda agricola di Cossano Belbo (Cuneo). Sino alla Liberazione Balbo comandò la II Divisione Langhe, del Gruppo Divisioni Alpine del maggiore Enrico Mauri, che ebbe tra i suoi tanti meriti l’approntamento e la difesa di un campo di atterraggio a Vesime, molto utilizzato dagli Alleati. La Medaglia d’Argento a Piero Balbo fu conferita dopo la Liberazione, in riconoscimento dell’attività svolta dalla II Langhe che lasciò sul terreno 178 Caduti, fra i quali il padre del comandante. (dal sito dell'Anpi nazionale)

 

pallanimred.gif (323 byte) Irma Bandiera

Nata a Bologna l’8 aprile 1915, fucilata al Meloncello di Bologna il 14 agosto 1944, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria. Di famiglia benestante, moglie e madre affettuosa, il suo amore per la libertà la spinse a schierarsi contro gli oppressori. Staffetta nella 7a G.A.P., divenne presto un’audace combattente, pronta alle azioni più rischiose. Fu catturata dai nazifascisti, a conclusione di uno scontro a fuoco, mentre si apprestava a rientrare a casa, dopo aver trasportato armi nella base di Castelmaggiore della sua formazione. Con sé Irma aveva anche dei documenti compromettenti e per sei giorni i fascisti la seviziarono, senza riuscire a farle confessare i nomi dei suoi compagni di lotta. L’ultimo giorno la portarono di fronte a casa sua: "Lì ci sono i tuoi – le dissero – non li vedrai più, se non parli", ma Irma non parlò. I fascisti infierirono ancora sul suo corpo martoriato, la accecarono e poi la trasportarono ai piedi della collina di San Luca, dove le scaricarono addosso i loro mitra. Il corpo di quella che, nella motivazione della massima onorificenza militare italiana, è indicata come "Prima fra le donne bolognesi ad impugnare le armi per la lotta nel nome della libertà…", fu lasciato come ammonimento per un intero giorno sulla pubblica via. (dal sito dell'Anpi nazionale)

 

pallanimred.gif (323 byte) Orazio Barbieri

Nato a Firenze il 28 novembre 1909, ragioniere. All’anagrafe risulta con la sua professione ufficiale, ma sarebbe più esatto definirlo "storico della Resistenza". Non a caso, proprio mentre l’autore stava per compiere i 91 anni, è uscita la ristampa di uno dei suoi libri più noti, quel "I Sopravvissuti" che aveva visto la luce nel 1972 per le edizioni Feltrinelli. Di Orazio Barbieri si possono citare ancora "Un anno di lotta contro il nazismo e il fascismo", sulla Resistenza fiorentina, uscito già nel 1944, e "Ponti sull’Arno", pubblicato da Vangelista Editore nel 1958 e del quale Ferruccio Parri esaltò l’"alto valore di fonte storica"; soprattutto sono importanti i documenti che Barbieri ha raccolto nell’Archivio, depositato presso l’Istituto storico della Resistenza in Toscana, e che comprende, ovviamente, anche la sua biografia antifascista. Una biografia che comincia con l’arresto, nel 1927, per "aver ricostruito e fatto parte di una sezione del disciolto Partito comunista", continua con la sentenza numero 25 del 1930 che lo condanna ad un anno di reclusione, prosegue con l’attività clandestina sotto il fascismo e si sviluppa con la guerra di Liberazione che vede, tra l’altro, Barbieri (fatti saltare dai nazisti i ponti di Firenze) attraversare fortunosamente, con l’azionista Enrico Fischer, il Corridoio Vasariano per mettere in contatto il Cln fiorentino con quello d’oltr’Arno e con il Comando inglese. Dopo la Liberazione, Barbieri è stato per dieci anni sindaco di Scandicci, parlamentare del PCI per tre legislature, tra i fondatori dell’ARCI, collaboratore dell’"Unità" e di "Rinascita", direttore dei periodici "Toscana nuova" e "Realtà sovietica". (dal sito dell'Anpi nazionale)

 

pallanimred.gif (323 byte) Ilio Barontini

Nato a Cecina, provincia di Livorno, il 28 settembre 1890. Operaio tornitore meccanico. A 13 anni già milita nel movimento anarchico di Livorno. Quando, due anni più tardi entra come apprendista tornitore al Cantiere Orlando, si iscrive al Partito Socialista. iovanissimo è già sul fronte del non intervento nella prima guerra mondiale; successivamente è tra i gruppi organizzati di Ordine Nuovo; nel ’21 è tra i fondatori del Pci ed è eletto consigliere comunale, segretario provinciale del PCd’I, responsabile della Camera del lavoro livornese. E’ il periodo del più brutale terrore fascista; nel ’22 subisce i primi mesi di galera. Perseguitato, arrestato, denunciato più volte, ma sempre pronto a riprendere, subito dopo, il suo posto di battaglia. Condannato a tre anni dal tribunale speciale, appena libero, torna in campo; nel ’31 è costretto ad emigrare (raggiunge la Francia, molto avventurosamente, su una barca via Corsica). Non è che l’inizio di una milizia politica, condotta tutta sul campo e quasi sempre in clandestinità, che doveva durare fino al 1945. A Marsiglia, per ordine del partito, organizza il movimento antifascista ed è in contatto con gli esuli politici di mezza Europa. Passato in Urss, studia e lavora, seguendo corsi di formazione presso l’Armata Rossa. Nel '36 è tra i primi ad accorrere in Spagna, è lui a condurre la battaglia di Guadalajara. Ricorda Pesce: «Barontini sostituì Pacciardi che era stato ferito e si rivelò uno stratega e un galvanizzatore eccezionale. La battaglia fu lunghissima, dall’8 al 24 marzo, un tempo da cani. Barontini non stava seduto al quartier generale, lui. Ogni giorno passava tra le postazioni. Ci spiegava la situazione, ci incoraggiava. Sempre tranquillo». Nel ’38 l’Internazionale comunista decise di aiutare la resistenza in Etiopia. Di Vittorio chiama Barontini e forma un terzetto con lo spezzino Rolla e il triestino Ukmar. Si chiamavano "i tre apostoli". Barontini era Paulus, Rolla era Petrus e Ukmar Johannes. Il loro compito è di saldare le forze abissine. Malgrado il pugno di ferro di Graziani, l’Etiopia non si era sottomessa. Barontini, Rolla e Uckmar avevano un lasciapassare del Negus. Organizzarono in Abissinia un forte movimento partigiano e un governo provvisorio di patrioti, diffondendo in due lingue un giornale ebdomadario "La Voce degli Abissini". In seguito il Negus dette a Barontini il titolo di vice-imperatore. Ras Destà, rappresentante etiopico alla Società delle Nazioni, li accompagnò fino a Khartoum. Graziani aveva messo una taglia sulla sua testa, ma lui riesce a sfuggire, a Khartoum è accolto da Alexander, dal quale sarà poi decorato. 
Quando la Francia di Petain e di Laval è in ginocchio davanti a Hitler vincitore, Barontini è già in Francia dove organizza il maquis, i franchi tiratori del Ftp. «I tedeschi - ebbe a scrivere Antonio Roasio ricordando quegli anni - calcavano il suolo di Parigi, i lavoratori francesi mordevano il freno; era in quell’atmosfera che si organizzarono i primi nuclei di partigiani - FTP -... Dai piccoli colpi con la rivoltella si passò ad azioni combinate tra diversi gruppi eseguite a colpi di bombe. Bombe di vario tipo, che i Ftp chiamavano bombe "Giobbe", il nome di battaglia di Ilio Barontini». In Francia si faceva chiamare Barone; in Italia il suo nome di battaglia è Dario. Il generale Dario.
La sua epopea partigiana la racconta, con vera ammirazione, lo stesso Amendola ("Comunismo, antifascismo, resistenza", Editori Riuniti): «E poi il ritorno in Italia, primo istruttore dei gappisti. Egli organizzò Sap e Gap a Torino, Milano ed in altre parti d’Italia, in Emilia e anche a Roma». Dal settembre 1943 Dario è infatti in Italia, al lavoro nella resistenza. «Da Bologna, città-base, Barontini cominciò il suo "giro d’Italia" - scrive sempre Antonio Roasio ("Figlio della classe operaia", Vangelista) - cioé a visitare le città dell’Italia centro-settentrionale per organizzare e far funzionare i gruppi gappisti. Studiava gli uomini, le loro caratteristiche, insegnava i primi elementi sulla costruzione di bombe a mano, bombe a scoppio ritardato, come far deragliare un treno, ecc... Aveva sempre con sé una vecchia borsa sgualcita, che certa non poteva passare per quella di un avvocato. Un giorno gli chiesi che cosa custodisse tanto gelosamente: l’aprì, c’erano dei panini, alcuni oggetti personali e dei candelotti di dinamite». In Emilia ha il comando; è sotto la sua guida che è condotta la battaglia decisiva sulla Linea Gotica, e agli Alleati consegna una Bologna liberata. Il generale Alexander gli appunta sull’uniforme la bronze star. Dozza gli conferirà la cittadinanza onoraria.
Ilio Barontini muore (insieme a Leonardo Leonardi e Otello Frangioni) in un incidente d’auto il 22 gennaio 1951, mentre torna da Firenze dove ha partecipato al XXX  congresso del Pci. 

 

pallanimred.gif (323 byte) Riccardo Bauer

Nato nel 1896. Nel 1910 viene chiamato a riordinare il Museo Sociale dell'Umanitaria, dove vi resta fino al 1924, anno di ascesa della dittatura fascista. Per la sua attività di oppositore vigoroso e tenace, prima dalle colonne del giornale "Il Caffè", poi attraverso la collana di pamphlets "Nuova Libertà" ferocemente critici della politica mussoliniana, infine come esponente del movimento di "Giustizia e Libertà", nel 1930 subisce una condanna a vent'anni di carcere dal Tribunale Speciale. Esce dal carcere nel 1943. Fra l'estate del 1943 e l'aprile del 1945 si apre il periodo più intenso della partecipazione di Bauer alla Resistenza, anche attraverso frequenti contatti con il Comando Alleato e i responsabili della "Special Force".
Bauer, fino al febbraio del 1946 è un esponente di spicco del Partito d'Azione e dalle colonne della rivista "Realtà Politica", da lui fondata sul finire del 1944 e diretta sino al luglio del 1946, avrebbe sostenuto una severa battaglia di rinnovamento della vita italiana nel segno di una "moderna concezione della politica". La scissione e poi la scomparsa del Partito d'Azione, coincidono per Bauer col "ripensamento" dell'attivismo politico. Di qui la decisione di riprendere il proprio posto all'Umanitaria, dove rimarrà ininterrottamente (prima come vicepresidente, poi come presidente) fino al 1969, deciso soprattutto a sperimentare i lineamenti di una concreta esperienza democratica attraverso un'opera di istruzione professionale, di educazione degli adulti, e di approfondimento socio-culturale, che non ha avuto confronti nell'Italia del secondo dopoguerra. Se l'Umanitaria è diventata, dall'originaria "opera pia" di fine Ottocento "centro sperimentale di iniziative sociali", il merito non va ovviamente solo a Bauer, ma chiama in causa la sua capacità di raccogliere intorno a sé esperti e specialisti che sotto la sua guida hanno fatto rinascere e insieme hanno attualizzato un programma di iniziative, tutte tese a trasformare il vecchio cliché "caritativo" di impronta prevalentemente cattolica nel "concetto moderno" di assistenza sociale. Tale approccio , se ha dato frutti positivi, soprattutto negli anni Cinquanta, non ha mancato di scontrarsi nel clima della contestazione e della protesta giovanile degli anni Sessanta e Settanta. Col risultato che il Sessantototto ha finito per coinvolgere, e mettere paradossalmente sotto accusa, anche Bauer e "L'Umanitaria". Piuttosto che scendere a compromessi Bauer ha preferito l'impopolarità, dando le dimissioni dai vertici direttivi dell'Umanitaria, per continuare ad insegnare i suoi concetti di democrazia, dal 1969 fino alla morte (nel 1982), alla testa di altri sodalizi, come la Lega italiana per i Diritti dell'uomo, la Società per la Pace e la Giustizia internazionale, il Comitato italiano per l'universalità dell'Unesco. Terminato il periodo degli "anni di piombo", la fase di riorganizzazione dell'Umanitaria ha coinciso con un ritorno contrassegnato dalla Fondazione Riccardo Bauer.

 

pallanimred.gif (323 byte) Filippo Beltrami

Nato a Cireggio di Omega il 14 luglio 1908. Nel 1932 si laurea in architettura e vince il 2° premio nel concorso per la sistemazione dei lavori del Duomo di Milano. Nel 1936 si sposa con Giuliana Gadda. Richiamato nel maggio del 1943 come ufficiale di artiglieria. I fatti dell’’8 settembre lo colgono in licenza. Rientrato subito al corpo, con l’intenzione di organizzare una resistenza alle truppe germaniche, trova la sua caserma, a Baggio, già occupata dai tedeschi. Ritorna quindi al paese natale e si pone alla testa di alcuni giovani, una dozzina, di cui diviene capitano e comincia, sopra Quarta e in Val Strona, l’attività partigiana. Alto, eretto, massiccio, lo sguardo limpido, la voce penetrante, diventa il "bandito n.1" e sul suo capo penderà, dal 28 novembre, una taglia di 100.000 lire. Il 18 dicembre, assieme alla moglie e ad altri partigiani del suo gruppo erroneamente scambiati per tedeschi, è ferito da uomini del nucleo organizzato attorno ai fratelli Di Dio. Dopo pochi giorni la sua formazione si unirà a quest’ultima dando vita alla "Brigata Patrioti Val Strona", suddivisa nelle compagnie "Quarta" e "Massiola". In più circostanze rifiuta la resa e le proposte formulate dai comandi tedeschi. Il 13 febbraio il suo gruppo subisce un duro attacco presso Megolo dove, con Antonio Di Dio, è colpito a morte. Medaglia d’oro al valore militare. (a cura di Massimiliano Tenconi)

 

pallanimred.gif (323 byte) Giovanni Bensi

Nato a Milano il 26 maggio 1892, morto a Parigi il 26 aprile 1928, sindacalista. Era rimasto orfano di padre a nove anni e da ragazzo aveva fatto l’apprendista tipografo. A soli 15 anni fu, a Milano, tra i fondatori della Federazione giovanile socialista. Nel 1914 fu arruolato nell’esercito e mandato al fronte, di dove tornò per malattia. Dimesso dall’ospedale militare nel 1919, fu incaricato di dirigere la Camera del Lavoro di Magenta e l’anno dopo gli fu affidata la direzione della CdL di Milano. Consigliere comunale e, come si diceva allora, deputato provinciale, Giovanni Bensi fu per cinque anni oggetto di continui attacchi da parte dei fascisti, ma ciò non gli impedì di continuare a dirigere con intelligenza la maggiore organizzazione operaia milanese. Nel 1925, quando la CdL fu chiusa d’autorità, Bensi rifiutò fermamente di consegnare ai fascisti, che lo picchiarono selvaggiamente, gli elenchi degli iscritti. Le percosse indebolirono ancor più il fisico del dirigente sindacale che decise di riparare in Francia con la sua compagna e il loro figlioletto di tre anni. Per sopravvivere nell’emigrazione si mise a fare il cappellaio e, nonostante la salute malferma, mantenne attivi contatti politici con i dirigenti socialisti riparati in Francia. Morì a soli 35 anni in un ospedale parigino. Sulla sua tomba al Père Lachaise, una lapide dettata da Turati recitava: "Giovanni Bensi/Italiano: Socialista/Morto esule/per la sua fede". Dal novembre del 1949 la salma del dirigente della CdL milanese riposa al Cimitero Monumentale di Milano, dove era stata traslata per volere dei suoi compagni. (dal sito dell'Anpi nazionale)

 

pallanimred.gif (323 byte) Rosario Bentivegna

Medico. Nato a Roma il 22 giugno del 1922. Già negli anni del liceo fu un attivo antifascista. Nel '39, con Leonardo Jannaccone, Corrado Nourian e Nino Baldini, costituì  un gruppo detto di "unificazione marxista", che attirò presto l’attenzione della polizia fascista. Arrestato nel 1941, dopo la scarcerazione nel 1943 aderì al Pci. Con l’armistizio e la formazione dei Gruppi di azione patriottica (GAP), fu tra i più valorosi protagonisti della Resistenza, con il nome di battaglia di "Paolo", sia a Roma (assalto a militari tedeschi in piazza Barberini, attacco ad un corteo fascista in via Tomacelli) che nella zona di Palestrina, dove comandò formazioni partigiane. Il 23 marzo del 1944 con Carla Capponi (che sarebbe poi diventata sua moglie e da cui ha avuto una figlia, Elena), fu tra i principali autori dell’attentato di via Rasella. Pochi mesi dopo la liberazione della Capitale, il 21 settembre del '44 Bentivegna decise di continuare la sua lotta contro i nazifascisti in Jugoslavia e in Montenegro, come commissario politico della divisione partigiana italiana "Garibaldi". Rientrato in Italia dopo la conclusione del conflitto, per un paio d’anni fu redattore del giornale l’Unità, prima di riprendere gli studi e di dedicarsi alla professione di medico. Dirigente di base del Pci, è stato anche docente di Medicina del Lavoro. E' stato decorato di medaglia d'argento e di medaglia di bronzo al valor militare per la sua attività partigiana a Roma. Membro dell'Anpi, dal 2001 è vicepresidente dell'associazione della provincia di Roma.

 

pallanimred.gif (323 byte) Giuseppe Bentivogli

Nato a Molinella (Bologna) il 2 ottobre 1885, fucilato a Bologna il 20 aprile 1945, operaio meccanico, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria. Membro, sin da ragazzo, del Partito socialista, partecipò alla prima guerra mondiale. Alla nascita del fascismo, fu tra i più attivi protagonisti delle lotte contadine degli anni 1919-22. Con l’andata al potere di Mussolini, fu costretto a riparare all’estero. Rientrato in Italia nel 1926, fu confinato per cinque anni nell’isola di Ponza. Dopo l’8 settembre 1943, nonostante la non più giovane età, oltre a dirigere il movimento contadino e socialista in Emilia, Bentivogli fu uno dei più attivi organizzatori della Resistenza. Partigiano combattente della Brigata "Matteotti", fu catturato dai fascisti poche ore prima della liberazione di Bologna, sottoposto a tortura e infine ucciso. Nella motivazione della Medaglia d’Oro a Bentivogli si legge: "…si prodigava nella lotta di liberazione in moltissime azioni quanto mai rischiose, mettendo sempre il nemico nelle più gravi difficoltà. Catturato, sopportava le atroci torture infertegli dal nemico con impassibile fermezza; condannato alla pena capitale, affrontava la morte da eroe". (dal sito dell'Anpi nazionale)

 

pallanimred.gif (323 byte) Aldo Benvenuto

Nato a La Spezia il 19 settembre 1919, fucilato a Ponte Graveglia (Genova) l’11 aprile 1945, carpentiere. Partigiano combattente nelle formazioni "Giustizia e Libertà". Durante la Guerra di liberazione prese parte ai combattimenti dell’agosto 1944 e del gennaio 1945 nella zona di Zeri (Apuania), e a quello dell’ottobre 1944 nella zona di Calice in Cornoviglio (La Spezia). Catturato nel febbraio del 1945, durante uno scontro con reparti della Divisione repubblichina "Monterosa", Benvenuto fu incarcerato per due mesi. I fascisti lo fucilarono per rappresaglia insieme a Roberto De Martin, Roberto Fusco, Dante Gnetti e Paolo Perozzo. (dal sito dell'Anpi nazionale)

 

pallanimred.gif (323 byte) Igino Bercilli

Nato a Castellina (Firenze) il 21 febbraio 1895, ucciso dai fascisti a Firenze nel luglio del 1944, operaio. Membro dell’organizzazione comunista clandestina, Igino Bercilli nel 1928 fu arrestato a Firenze e processato dal Tribunale speciale, che gli inflisse otto anni di reclusione. Tornato in libertà, riprese il lavoro di pellettiere, senza rinunciare mai ai suoi ideali democratici. Dopo l’8 settembre del 1943, fu tra gli organizzatori della Resistenza in Toscana e partigiano combattente. Nell’estate del 1944, caduto in mano ai fascisti della tristemente nota banda Carità, Bercilli fu barbaramente torturato. Fu assassinato dai suoi torturatori poco prima della liberazione di Firenze. (dal sito dell'Anpi nazionale)

 

pallanimred.gif (323 byte) Elio Bernabei

Nato a Montepulciano (Siena) il 29 ottobre 1907, ucciso a Roma il 24 marzo 1944, ingegnere. Ispettore capo delle Ferrovie dello Stato, era stato sotto il fascismo un militante del Partito d’Azione. Durante l’occupazione nazista, fu attivo nella Resistenza romana e divenne comandante della Prima Zona, organizzando azioni di sabotaggio, squadre armate e diffusione di stampa clandestina. Catturato dalla famigerata banda Koch, fu rinchiuso nella "Villa Triste" di via Romagna dove fu a lungo torturato. I fascisti lo rinchiusero poi nel carcere di Regina Coeli, dove i tedeschi lo prelevarono quando decisero di portare a compimento la strage delle Fosse Ardeatine. Lì Bernabei fu trucidato insieme con altri 334 ostaggi. (dal sito dell'Anpi nazionale)

 

pallanimred.gif (323 byte) Carlo Bianchi

Nato a Milano il 22 marzo 1912. Laureato in ingegneria presso il Regio Istituto Superiore nel 1938, lavora presso l’azienda familiare. Dopo l’8 settembre svolge un’intensa attività assistenziale e politico-culturale. Nel primo campo collabora attivamente con l’Oscar (Organizzazione Soccorso Cattolico agli Antifascisti Ricercati) ed è il principale ideatore dell’istituto "La carità dell’Arcivescovo", istituto che si proponeva il compito di assistere i ceti cittadini più disagiati. In ambito politico-culturale, fra il gennaio e l’aprile 1944, tiene nei locali del collegio San Carlo una serie di conferenze indirizzate ai laureati cattolici e incentrate sulle tematiche sociali. Nominato presidente della Fuci milanese è, nel contempo, anche membro del Cln. La sua casa diviene recapito clandestino di Teresio Olivelli con il quale collabora, fornendo i cliche, alla pubblicazione e alla diffusione del foglio "Il Ribelle". Con Olivelli, a causa di una delazione, è arrestato il 27 aprile del 1944 in p.za San Babila a Milano. Deportato a Fossoli è fucilato, con altri 67 prigionieri politici, il 12 luglio 1944. (a cura di Massimiliano Tenconi)

 

pallanimred.gif (323 byte) Livia Bianchi

Nata a Melara (Rovigo) nel 1919, fucilata il 21 gennaio 1945 a Porlezza (Como), casalinga, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria. Attiva nella Resistenza già dall’8 settembre 1943, Livia Bianchi divenne presto partigiana combattente nella formazione "Ugo Ricci", operante sulle montagne della zona del Lario. Nel corso di un rastrellamento, un gruppo di partigiani, tra i quali c’era Livia, aveva trovato rifugio in una casa di Cima, a Porlezza. La casa, però, fu circondata dai fascisti. Dopo un lungo scambio di colpi, i partigiani, esaurite le munizioni, dovettero arrendersi. I fascisti condussero subito i loro prigionieri verso un muro del locale cimitero; si apprestavano ad eliminarli, quando il comandante dei militi si rese conto che nel gruppo c’era anche una donna. Offrì a Livia la possibilità di sottrarsi alla morte e di andarsene. Lei rifiutò e volle seguire sino in fondo la sorte dei suoi compagni di lotta. (dal sito dell'Anpi nazionale)

 

pallanimred.gif (323 byte) Alessandro Bianconcini

Nato a Imola nel 1898 e morto nel 1944. Di professione musicista, aderì al PCI nel 1928. Emigrato in Francia nel 1932, partecipò alla guerra civile spagnola nelle file delle Brigate internazionali. Arrestato dai tedeschi a Parigi nel 1940, venne consegnato alle autorità italiane che lo confinarono a Ventotene. Liberato nell'agosto 1943, passò a Bologna dove organizzò il movimento gappista. Arrestato il 9 gennaio 1944, venne fucilato diciotto giorni dopo al poligono di tiro della città.

 

pallanimred.gif (323 byte) Pasquale Binazzi

Nato a La Spezia il 12 giugno 1873, deceduto nella stessa città il 5 marzo 1944, operaio meccanico. Anarchico militante, partecipò in prima fila ai moti di Lunigiana del 1894. Ricercato dalla polizia, dovette abbandonare il suo posto di lavoro all’Arsenale e lasciare La Spezia. Ciò non gli consentì, tuttavia, di evitare arresti ed anni di confino. Tornato nella sua città nel 1907, Binazzi si unì a Zelmira Peroni e con lei fondò il settimanale "Il Libertario", che assunse presto rilievo nazionale. Sino al 1926, fra molte traversie, sequestri e processi i due anarchici riuscirono a far uscire il giornale; quell’anno, però, "Il Libertario" cessò le pubblicazioni: Binazzi e la Peroni erano stati entrambi condannati al confino per due anni. Per Binazzi non si trattava di una novità: al confino c’era già stato tra il finire dell’800 e i primi anni del ‘900; a Lipari, dove lo mandarono con Zelmira, aveva soggiornato dal dicembre del 1915 alla fine della prima Guerra mondiale, perché antinterventista e antimilitarista. Quando, allora, era tornato a La Spezia, Binazzi aveva ripreso a lottare per i suoi ideali partecipando, nel 1920, all’occupazione delle fabbriche e all’organizzazione degli Arditi del popolo. Sempre avendo al fianco la sua Zelmira, lavorò al giornale fino all’ennesima condanna al confino. Tornato in Lunigiana nel 1928, Binazzi trascorse in libertà vigilata gli anni della dittatura fascista ma, caduto Mussolini, l’anziano anarchico fu subito tra i più attivi nel riorganizzare il movimento libertario e, in seguito, le formazioni partigiane che vi si ispiravano. (dal sito dell'Anpi nazionale)

 

pallanimred.gif (323 byte) Arrigo Boldrini (Bulow)

Nato a Ravenna il 6 settembre 1915, Medaglia d’Oro al Valor militare. Le operazioni belliche erano ancora in corso quando, il 4 febbraio 1945, il generale Mac Creery, comandante dell’VIII Armata, appuntò sul petto del "comandante Bulow" (questo il nome di battaglia di Boldrini) la Medaglia d’Oro al Valor militare. La cerimonia si svolse sulla piazza di Ravenna liberata proprio dalle formazioni di Bulow, che da quel momento si sarebbero aggregate alle armate anglo-americane sino alla resa totale dei nazifascisti. Impossibile dire di Boldrini in poche righe, a cominciare dall’educazione all’amore per la libertà ricevuta dal padre, una popolare figura di internazionalista romagnolo, sino alle sue gesta nella Resistenza e sino all’attività politica e parlamentare nel dopoguerra. Ci hanno provato Silvia Saporelli e Fausto Pullano in un bel documentario presentato il 6 ottobre 1999 nella sala Zuccari di Palazzo Giustiniani. Erano presenti i Presidenti di Camera e Senato e seduto in prima fila c’era proprio "Bulow", "un uomo di pace che – come ha sottolineato il Presidente Mancino – ha sempre onorato la Patria, il Parlamento e la sua parte politica". Di Arrigo Boldrini, parlamentare per diverse legislature e presidente nazionale dell’ANPI, ha scritto a suo tempo Gian Carlo Pajetta: "È un eroe. Non è il soldato che ha compiuto un giorno un atto disperato, supremo, di valore. Non è un ufficiale che ha avuto un’idea geniale in una battaglia decisiva. È il compagno che ha fatto giorno per giorno il suo lavoro, il suo dovere; il partigiano che ha messo insieme il distaccamento, ne ha fatto una brigata, ha trovato le armi, ha raccolto gli uomini, li ha condotti, li conduce al fuoco". (dal sito dell'Anpi nazionale)

 

pallanimred.gif (323 byte) Luciano Bolis (1918-1993)

 

pallanimred.gif (323 byte) Mike Bongiorno

Nato a New York il 26 maggio 1921 dall'avvocato Philip e dalla torinese Enrica Carello. Presentatore televisivo. Sedicenne, cittadino americano, era in Italia con la madre dì nazionalità italiana, sfollato l'8 settembre sulle Alpi piemontesi, attraversava nei mesi invernali i valichi alpini innevati, recando messaggi in Svizzera per conto della Resistenza. Catturato dai tedeschi e incarcerato a Milano, a San Vittore, venne scambiato con prigionieri tedeschi in seguito a trattative tra i comandi alleato e germanico, potendo così raggiungere il padre a New York e collaborare alle emissioni radiofoniche in italiano "La voce dell'America". Dopo aver lavorato alla "Stampa" di Torino e aver fatto il tecnico, lo speaker e il programmatore radiofonico in America, torna in Italia, dove Vittorio Veltroni, il padre di Walter, gli offre un contratto di collaborazione per il Radiogiornale. Siccome Mike ha un forte accento americano, gli fanno prendere lezioni di dizione: la sua maestra è Maria Luisa Boncompagni, mamma di Gianni, la prima annunciatrice radiofonica. Per la radio italiana Mike realizza servizi di colore e radiocronache sportive, soprattutto di pugilato. Poi, il primo programma televisivo: "Arrivi e partenze", in cui Mike intervista personaggi stranieri di passaggio a Roma. Il 19 novembre 1955 debutta il programma che "lancerà" la televisione in Italia: "Lascia o raddoppia" probabilmente il più grande successo della storia della televisione. Seguono innumerevoli altri programmi, tra i quali "Rischiatutto", "Scommettiamo?", "Flash", "Telemike", "La ruota della fortuna".

 

pallanimred.gif (323 byte) Francesco Boretti

Nato a Barberino di Mugello (Firenze) nel 1922. Partigiano combattente (nome di battaglia "Ivan") dal 1° marzo del 1944 al 17 settembre del 1944 in Toscana, provincia di Firenze, in qualità di comandante della 2° Compagnia "Fanfulla", inquadrata nella Brigata d'assalto Garibaldi "L. Lavacchini". In seguito, dal 1 ottobre del 1944 , operò quale ufficiale di collegamento nella Divisione Garibaldina "Coduri" in Liguria, in provincia di Genova. Dal 31 gennaio all'8 maggio del '45, infine, partecipò alle operazioni di guerra svoltesi in territorio metropolitano col 21° Reggimento .Fanteria -Comp. Cannoni - Gruppo di combattimento "Cremona". Decorato con la croce al merito di guerra in seguito ad attività partigiana. Morto a Chiavari(Genova) nel 1995.

 

pallanimred.gif (323 byte) Gianni Brera (1919-1992)

 

pallanimred.gif (323 byte) Paolo Bufalini

Nato a Roma il 9 settembre del 1915. Inizia la sua attività antifascista, giovanissimo, al liceo E.Q.Visconti e poi all’Università, dove si laurea in giurisprudenza. A 22 anni, nel '37, raccoglie fondi per i repubblicani spagnoli e nello stesso anno aiuta Giorgio Amendola a fuggire in Francia. Nel '41 partecipa nelle proteste universitarie e un giorno, con Trombadori e Giolitti, lancia stelle filanti decorate da falce e martello e da scritte anti-belliche. In collegamento con il Pci, viene arrestato nell’agosto del 1941 e assegnato al confino di polizia da dove viene chiamato alle armi per combattere in Montenegro.
Dopo l’8 settembre 1943 combatte come partigiano in Jugoslavia con la divisione "Venezia". Fatto prigioniero è internato in un campo di concentramento in Austria. Rientrato in Italia nel ’45 riprende la sua attività politica nel Pci, e nel 1949 viene nominato segretario regionale in Abruzzo.
Latinista e raffinato traduttore di Orazio, dal ’50 al ’56 è in Sicilia come vicesegretario regionale (con Li Causi) e poi segretario della Federazione di Palermo, dove forma uno straordinario gruppo dirigente di giovani, come Pio La Torre. Nel ‘51 entra nel Comitato centrale, nel ’56 nella Segreteria e nel ’58 in Direzione, divenendo, nello stesso anno, Segretario della Federazione di Roma. Consigliere comunale a Roma dal ’60 al ’62, l’anno successivo viene eletto senatore. Verrà rieletto al Senato, ininterrottamente, fino al 1992. Svolge un importante ruolo in politica estera e, soprattutto, nei rapporti con il Vaticano, tanto da essere chiamato il "cardinale rosso". Il suo contributo è fondamentale negli anni dei referendum su divorzio e aborto. Favorevole a una collaborazione con il Psi, milita nella corrente dei "miglioristi", il cui leader è Giorgio Napolitano. Così, entra in polemica con l'amico Trombadori che si avvicina al Psi, ma si scontra anche con Berlinguer che sancisce la conflittualità con i socialisti.
Muore a Roma il 19 dicembre del 2001, all'età di 86 anni.

 

pallanimred.gif (323 byte) Bruno Buozzi

Bruno Buozzi nasce a Pontelagoscuro, in provincia di Ferrara, nel 1881. Operai e poi capo reparto alla Marelli e alla Bianchi iniziò bene presto attività sindacale nella Fiom (Federazione italiana operaia metallurgici). Dopo la Grande Guerra fu uno dei massimi rappresentanti, con Ludovico D’Aragona, dell’attività sindacale durante la il “biennio rosso”. Da sempre di fede socialista viene eletto al Parlamento nel 1919, 1921 e 1924. Nel 1926 espatriò in Francia dove continuò l’attività antifascista unitaria nella Concentrazione antifascista in cui assunse posizioni riformiste in continuità con la tradizione migliore del socialismo italiano, quella di Turati e di Treves. Nel 1942 fu arrestato dai tedeschi e consegnato al governo fascista italiano che lo condannò al confino da cui fu liberato, dopo l’8 settembre dal nuovo governo Badoglio che lo nominò commissario per i sindacati dei lavoratori dell’industria. Nel 1944 i tedeschi in fuga lo arrestarono e lo assassinarono fucilandolo a La Storta, nella provincia romana.

 

pallanimred.gif (323 byte) Giacomo Buranello

Nato a Sampierdarena (Genova) nel 1921 e morto nel 1944. Di sentimenti antifascisti, aderì nel 1942 al movimento comunista. Nel maggio 1943 venne arrestato e deferito al Tribunale speciale. Liberato nell'agosto successivo, nell'inverno 1943-'44 diresse a Genova le formazioni gappiste. Venne fucilato a Genova il 2 marzo 1944.

 

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