Biografie della Resistenza Italiana          

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pallanimred.gif (323 byte) Enzo Giacchero

a cura di Donato D'Urso

Enzo Giacchero era nato a Torino nel 1912 in una famiglia della buona borghesia astigiana, di profonda fede cattolica. Frequentò il liceo classico d’Azeglio dove ebbe illustri maestri come Augusto Monti e molti anni dopo ricordò: «Ciascuno di noi pensa, e sovente io ho pensato, a quale influenza i professori del ginnasio e del liceo hanno esercitato nella nostra formazione».   I giovani del d’Azeglio amavano anche ritrovarsi in allegra brigata fuori dalla scuola e Davide Lajolo ha scritto che «in casa Bobbio, Giacchero cantava, accompagnandosi al pianoforte, le canzonette allora in voga».  Il gruppo costituì poi la “confraternita” degli ex-allievi e all’Università cooptò altri amici. Era una élite sociale e intellettuale destinata a diventare futura classe dirigente (Giulio Einaudi, Vittorio Foa, Massimo Mila, Cesare Pavese, Renato Gualino, Tullio Pinelli, Salvatore Luria). Vicende tragiche e immense, come la persecuzione antiebraica e la guerra, disgregarono la compagnia: alcuni del gruppo morirono  combattendo, altri furono costretti a emigrare, l’adesione a questo o quel partito rese gli ex-compagni talvolta avversari politici. Restò indelebile il segno di quella formazione culturale e umana avvenuta nelle aule torinesi.

Giacchero si laureò in Ingegneria civile al Politecnico di Torino e iniziò la carriera universitaria come assistente del prof. Gustavo Colonnetti alla cattedra di Scienza delle costruzioni. C’erano i presupposti perché il giovane compisse una brillante carriera di docente universitario ma lo scoppio della seconda guerra mondiale indirizzò in maniera diversa la sua vita. Inquadrato come ufficiale nella divisione “Folgore”, nel 1942 rimase gravemente ferito in Africa Settentrionale subendo l’amputazione di una gamba. Negli anni a seguire egli ricordò sempre con gratitudine ed orgoglio quanto avevano fatto i suoi paracadutisti: vedendolo a terra sanguinante,  alcuni di essi con rischio della vita sotto il fuoco nemico lo avevano  portato in salvo al di qua delle linee italiane. Giacchero fu decorato sul campo con medaglia d’argento al valor militare. In una tenda d’ospedale si trovò insieme con un prigioniero inglese pure mutilato. «Quel giorno in cui ebbi una grande disgrazia, ringraziai il cielo che mi aveva dato questa grande luce di verità di comprendere che quell’uomo, che poche ore prima credevo un nemico, ora lo ritrovavo fratello per sempre». Maturò allora la convinzione che gli europei «nati e cresciuti nello spirito cristiano» potevano unirsi e vivere stabilmente in pace.

Rimpatriato e congedato, Giacchero dopo l’8 settembre 1943 partecipò alla Resistenza piemontese «per fedeltà a un giuramento e per opporsi alle prevaricazioni d’uno straniero che s’accampava come occupante». Col nome di battaglia di Yanez fu vice comandante di una divisione  partigiana autonoma di ispirazione monarchica. Alla fine della guerra il Comitato di Liberazione Nazionale lo designò prefetto di Asti. I problemi più assillanti che dovette affrontare in quei mesi furono l’approvvigionamento dei beni di prima necessità, l’assistenza degli sfollati, il ripristino dei trasporti e degli altri servizi pubblici, la repressione del mercato nero. Dal punto di vista degli equilibri politici «in modo lento ma inesorabile l’alleanza antifascista si incrina, fino a spezzarsi definitivamente». Giacchero mantenne la carica sino al marzo 1946, allorché i prefetti politici furono sostituiti da prefetti di carriera. Così un giornale astigiano lo salutò: «Lascia il suo posto che Asti liberata aveva a lui, combattente mutilato e partigiano, affidato. Dopo le svariate e – nere – successioni di prefetti a Palazzo Ottolenghi l’averne avuto uno che fosse dei nostri e soprattutto “nostro” è stato per tutti gli astigiani di grande consolazione. Yanez lo ebbimo, per volere di popolo, Prefetto saggio ed onesto. Ce lo tenemmo caro a cominciare dal 25 aprile 1945 questo Prefetto (il primo che capisse il nostro dialetto e i nostri bisogni) e credevamo non dovesse più andar via. Disposizioni superiori il 28.2.1946 ce l’hanno tolto, non dal cuore e non dal ricordo. Chi fa del bene non si può dimenticare».

Il 2 giugno 1946 Giacchero fu candidato dalla Democrazia Cristiana nelle elezioni dell’Assemblea Costituente ed eletto. Il periodico diocesano di Asti lo definì «uno dei giovani più degni di rappresentare alla Costituente l’idea cristiana». Il mandato parlamentare gli fu confermato nella prima legislatura repubblicana, ancora nella circoscrizione Cuneo – Alessandria - Asti. Nel referendum istituzionale la provincia di Asti aveva visto la Monarchia prevalere sulla Repubblica e Giacchero fu l’unico deputato democristiano a votare contro l’articolo della Costituzione che non ammette la possibilità di rivedere la forma repubblicana dello Stato. Alla Camera dei Deputati più volte intervenne polemicamente nei confronti delle sinistre e le sue posizioni si distinsero per un acceso anticomunismo.

Giacchero diede convinto sostegno al Piano Marshall e al Patto Atlantico, in piena condivisione con le scelte degasperiane. Il Piano Marshall fu inteso non solo come strumento di ricostruzione economica ma anche come piattaforma di lancio dell’unificazione europea: era previsto che le modalità dell’aiuto americano non sarebbero state concordate con i singoli stati ma sulla base di un piano che i paesi europei erano chiamati ad elaborare insieme. Quanto al Patto Atlantico Giacchero affermò che l’alleanza era «elemento di catalizzazione per l’Europa». La scelta di aggregarsi fatta dalle democrazie occidentali fu bene accetta da Giacchero perché significava anche rottura con i comunisti e la maggioranza dei socialisti che giudicavano l’alleanza causa di approfondimento della divisione dell’Europa e aggravamento delle tensioni internazionali. Giacchero era convinto che la scelta di campo occidentale fosse obbligata e irreversibile, in un contesto caratterizzato dalla presa del potere dei comunisti nei paesi dell’Est, dal blocco di Berlino, dallo scoppio della guerra coreana. Cosicché la lotta al comunismo diventava per un cattolico come Giacchero un dogma quasi religioso, tenuto anche conto della condanna pronunziata dal Santo Uffizio. Giacchero giudicava positivamente anche l’ombrello nucleare americano e parlando all’Assemblea del Consiglio d’Europa di Strasburgo affermò:  «All’organizzazione scientifica di una grande nazione extraeuropea noi esprimiamo la nostra gratitudine perché abbiamo sicurezza e pace e ci permette di essere una libera e democratica assemblea».

 

Nel novembre 1946 Giacchero ricevette, come gli altri eletti delle assemblee dell’Europa Occidentale, una lettera di Richard de Coudenhove-Kalergi, straordinario personaggio della cultura del Novecento,  il quale chiedeva: «Siete in favore della costituzione di una federazione europea nell’ambito delle Nazioni Unite?» Furono alla fine 342 le risposte positive arrivate dall’Italia, corrispondenti al 64% dei componenti l’Assemblea Costituente, il che pose il nostro paese al primo posto in questa graduatoria di buoni sentimenti. Giacchero si fece promotore del Comitato Parlamentare Italiano per l’Unione Europea, cui aderirono appartenenti a tutti i partiti eccetto il P.C.I., e fece parte del Consiglio esecutivo dell’Unione Parlamentare Europea. I federalisti più convinti auspicavano la convocazione di un’assemblea costituente europea eletta a suffragio diretto o dai parlamenti nazionali.

Una delle tante iniziative assunte da Giacchero fu di proporre al ministero italiano delle Poste l’emissione  di un francobollo sull’Unione europea, ma solo dieci anni dopo fu realizzata l’idea di un francobollo emesso in più paesi con lo stesso soggetto. Nel gennaio 1948 la Commissione trattati internazionali dell’Assemblea Costituente, ancora per iniziativa di Giacchero, discusse un ordine del giorno a favore della creazione degli Stati Uniti d’Europa, al quale aderì per il governo Sforza ministro degli Esteri. Giacchero sostenne che l’intesa tra i parlamenti dei vari paesi aveva migliori prospettive rispetto alle tradizionali trattative diplomatiche e certamente pregio di maggiore democraticità perché i parlamenti erano espressione della volontà popolare.

 Dopo le elezioni del 18 aprile 1948 Giacchero promosse la costituzione del Gruppo Parlamentare Italiano per l’Unione Europea di cui tenne la presidenza per la Camera, mentre Ferruccio Parri ebbe analoga designazione per il Senato. Alla fine del 1948 si tenne alla Camera dei Deputati un importante dibattito sulla politica estera. Nenni presentò una mozione fortemente critica verso il governo, a cui si contrappose un documento di Giacchero. Quest’ultimo partecipò da protagonista a tutte le iniziative messe allora in cantiere per  l’integrazione e l’unificazione europea: Movimento Europeo, Consiglio d’Europa, Unione Europea dei Federalisti. Di fronte alla critiche della sinistra italiana per l’esclusione di comunisti e socialisti dalle varie rappresentanze, Giacchero rispose che non era possibile costruire la casa comune europea con chi avrebbe portato via i mattoni. Il pericolo per l’unità europea veniva da Est perché era interesse dell’Unione Sovietica tenere l’Europa divisa. La necessità di progettare un nuovo rapporto tra le nazioni trovò sostegno in Pio XII e non è azzardato parlare di un fattore religioso nell’integrazione europea, tenuto anche conto delle personalità cattoliche eminenti nel movimento europeista (Adenauer, Schuman, De Gasperi).

 Sei paesi dell’Europa Occidentale (Germania, Francia, Italia, Belgio, Olanda, Lussemburgo) firmarono nel 1951 il trattato istitutivo della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. «L’idea ispiratrice era assolutamente elementare: eliminare i potenziali conflitti soprattutto tra Francia e Germania per il possesso e lo sfruttamento delle risorse concentrate nel territorio a cavallo tra i due paesi, creando una struttura sovranazionale». L’Italia aderì anche per rientrare a pieno titolo nel gioco internazionale. «Sulla decisione del governo italiano non influirono né considerazioni sui vantaggi economici immediatamente perseguibili né osservazioni di opportunità tecnica o commerciale, anche se non mancò un’attenta valutazione degli specifici interessi nazionali e della loro convergenza in quel momento storico con l’integrazione europea». Con felice espressione si è parlato di “trapianto europeo” della classe dirigente italiana.

Nella C.E.C.A. per la prima volta gli stati nazionali cedevano poteri sovrani a istituzioni comuni: l’Assemblea parlamentare, il Consiglio speciale dei ministri, la Corte di Giustizia e l’Alta Autorità. Quest’ultima, composta di nove membri, deteneva le principali competenze ed Enzo Giacchero per sei anni vi rappresentò l’Italia, collaborando strettamente col presidente Jean Monnet. Il francese ricordò così Giacchero: «Discreto, ma per gusto e quasi per disprezzo dell’azione, dimostrava brillanti dosi di analisi e di oratoria. Tutta la sua capacità di entusiasmo era rivolta all’idea federalista. Considerava il resto con un sorriso disincantato».

Nell’aprile 1954 Monnet e Giacchero si recarono negli Stati Uniti per negoziare un prestito di cento milioni di dollari. Per la prima volta gli USA trattarono con un’organizzazione che rappresentava più nazioni: era un fatto nuovo e di assoluto rilievo. Ho già detto che oltreoceano le iniziative europeiste non erano malviste, nell’ottica di ancorare l’Europa occidentale a un sistema economicamente capitalistico, politicamente legato agli USA e militarmente inquadrato nell’Alleanza Atlantica. Quando Eisenhower lasciò il comando NATO in Europa l’unica sede di partito che visitò in Italia fu la sezione romana del Movimento Federalista Europeo accolto da Spinelli, Giacchero e altri. Documenti provenienti dagli archivi americani, recentemente venuti alla luce, hanno rivelato che l’interesse oltreoceano arrivò al punto di finanziare, tramite la Commissione per l’Europa unita, il Movimento Europeo (nel 1958 per oltre il 50% delle spese). L’U.S.I.A. (United States Information Agency)   e le fondazioni private Ford e Fullbright a loro volta finanziarono il Movimento Federalista Europeo.

A partire dal 1947 e sino alla fine degli anni ‘50 Giacchero fu  partecipe delle più significative iniziative promosse in Europa sui temi dell’integrazione europea e, si badi, protagonista attivo non semplice testimone. Il suo nome compare in posizione di rilievo nelle assemblee, nei documenti, negli organismi comunitari. Affiancò personaggi entrati giustamente nella storia (De Gasperi, Monnet, Adenauer), eppure la sua figura è in gran parte ignorata o giudicata assolutamente minore. Dino Del Bo, a proposito della personale esperienza come Presidente dell’Alta Autorità C.E.C.A., parlò di «ritiro in Europa», a voler intendere un distacco dalla realtà italiana forse non molto gradito. E le stesse vicende di Giuseppe Pella, Piero Malvestiti, Franco Maria Malfatti (per non dire di De Gasperi che ottenne la presidenza dell’Assemblea C.E.C.A dopo essere stato messo da parte nel gioco politico italiano e persino nel suo stesso partito) lasciano quasi intendere che gli incarichi europei siano stati giudicati, almeno in Italia, un  ripiego, un “contentino” in mancanza e in attesa di più lusinghieri riconoscimenti in patria. Se questo è vero, o in gran parte vero, i tanti anni trascorsi da Giacchero lontano dall’Italia lo esclusero inevitabilmente dal giro delle poltrone che contano. La circostanza (o scelta volontaria secondo la testimonianza di Monnet) d’essere rimasto fuori dai “giochi” italiani di partito e di governo, hanno reso Giacchero   personaggio secondario delle cronache politiche e inutilmente si cercherebbe il suo nome – come il sottoscritto ha fatto - in testi anche autorevoli e documentati.

Giacchero rimase componente dell’Alta Autorità della C.E.C.A. sino al 1959. A Lussemburgo il 29 ottobre 1952 sposò Maria Teresa Ferrari, figlia di Francesco Luigi importante esponente del Partito Popolare fondato da don Sturzo. Dal matrimonio nacquero quattro figli. Sappiamo che, fuori dagli impegni pubblici, Giacchero coltivava molteplici interessi, in particolare la poesia e la musica. Compose liriche usando anche la lingua dialettale e improvvisò canzoni sulla tastiera dell’amato pianoforte domestico.

Quando era ancora impegnato a Lussemburgo, Giacchero ricoprì dal 1955 al 1957 l’incarico di Presidente onorario e, dal 1957 al 1960, effettivo dell’Unione Europea dei Federalisti e del Centro Internazionale di Formazione Europea (C.I.F.E.). Nell’uno e nell’altro incarico succedeva al politico romeno Gafencu.

Rientrato in Italia, abbandonò l’impegno nella Democrazia Cristiana della quale non condivideva la scelta di centro-sinistra. Nel maggio 1960 significativamente partecipò a Roma a un convegno organizzato del Centro Luigi Sturzo sul tema “La liberazione dal socialcomunismo”. Presiedeva Luigi Gedda, presenti tra gli altri Oscar Luigi Scalfaro (all’epoca Sottosegretario al Ministero dell’Interno nel governo Tambroni), Randolfo Pacciardi, don Gianni Baget Bozzo, Giuseppe Pella, Roberto Lucifredi, Guglielmo Giannini nonché esponenti della destra missina, tra cui Pino Romualdi, Giulio Caradonna, Mario Tedeschi. 

Un impegno di tutt’altro genere fu per Giacchero quello legato alle celebrazioni del centenario dell’Unità d’Italia. Nel 1961 Torino organizzò grandiose manifestazioni cui parteciparono tutte le regioni d’Italia, ventuno nazioni e organismi internazionali. Con legge del 30 dicembre 1959 fu costituito un Comitato nazionale che fece propria la sigla di “Italia 61” e s’insediò il 21 luglio 1960 sotto la presidenza di Giuseppe Pella e con Enzo Giacchero come Segretario generale. Giacchero, dopo l’impegnative esperienza di “Italia 61”, fu Direttore generale della Società per l’autostrada Torino-Piacenza  (S.A.T.A.P) dal 1963 al 1968. L’esigenza di un’autostrada tra Torino e Piacenza, attraverso le province di Asti, Alessandria e Pavia, cominciò a farsi sentire alla fine degli anni Cinquanta. Il 26 luglio 1960 venne perciò costituita la S.A.T.A.P.  per iniziativa delle province di Torino e Piacenza, del comune di Torino e di altri enti. Giacchero, partecipando nel 1969 a una tavola rotonda, si espresse in questi termini sulla questione autostradale:  «Io personalmente sono sempre stato dell’avviso del nostro grande Presidente Einaudi che tutti i monopoli siano da eliminare, compresi quelli che esistono, sia pubblici che privati, ed a più forte ragione in campo autostradale. Più autostrade ci sono, meglio è per tutti, semprechè le autostrade non si costruiscano per ragioni clientelari o per sballati indirizzi politici, ma siano costruite seguendo criteri economici sani e necessità veramente sentite. Le autostrade dei nostri giorni non sono oggetto di lusso, ma sono semplicemente le strade del nostro tempo e quindi se ne devono fare tante quante sono necessarie per costituire la rete indispensabile al nostro tempo.»

Dal 1965 per undici anni Giacchero fu anche Presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Ospedale “Santa Croce” di Moncalieri. Al nosocomio furono apportate significative migliorie, con ristrutturazioni e ampliamenti riguardanti diversi reparti. Dal 1971 al 1974 fu Presidente dell’Unione Industriale della provincia di Asti. L’avvicinamento di Giacchero agli ambienti della destra politica lo portò ad essere presidente della Costituente di Destra voluta da Giorgio Almirante e dall’establishment del MSI – Destra Nazionale «per uscire dal vicolo cieco di un partito ormai rinchiuso in un ghetto politico». Il 22 novembre 1975, riunendosi a Roma per la prima volta, la Costituente di Destra radunò oltre mille persone, di ogni ceto e provenienza: docenti universitari, professionisti, operatori economici, alti ufficiali, esponenti della cultura. Ricordò poi Gianni Roberti:  «Noi dirigenti di partito avemmo cura di tenerci in disparte, per rendere quanto più possibile innovativa la manifestazione».

Giacchero e l’ex-deputato D.C. Greggi furono nominati rispettivamente presidente e segretario della formazione politica, che dichiarò di voler raggruppare «al di là dello spirito di parte e in nome della riconciliazione nazionale» italiani legati dal comune denominatore dell’anticomunismo e della volontà di reagire alla situazione di crisi generale, causata principalmente dal progressivo slittamento a sinistra della politica italiana. La Costituente di Destra era strutturata in circoli locali, collaterali al M.S.I. – D.N., tanto che alle elezioni del 1976 ci fu la presentazione di liste comuni: il partito storico mise a disposizione le risorse anche economiche e la Costituente di Destra essenzialmente il buon nome. La nascita della “Costituente di Destra” non fu del tutto indolore, perché una frangia collocata alla sinistra del M.S.I. dissentì con forza. Molto peggio avvenne, però, alla fine del 1976 quando il partito patì una pesante scissione, che portò alla nascita di  Democrazia Nazionale”.

Fu Giacchero come presidente e legale rappresentante della Costituente di Destra a compiere gli atti formali che   legittimarono la costituzione di gruppi parlamentari autonomi di Democrazia Nazionale alla Camera e al Senato, nonostante la strenua opposizione, anche in sede legale, del M.S.I. – D.N. Peraltro non tutta la dirigenza della Costituente di Destra concordò: Giacchero e altri furono accusati di avere fatto un uso abnorme dei poteri statutari. L’appellativo più gentile ad essi riservato dai missini fu “disertori”.

Il simbolo scelto per Democrazia Nazionale fu il tricolore iscritto nelle dodici stelle dell’Europa unita. Piace pensare che Giacchero abbia contribuito a determinare quella scelta. Egli spiegò così la sua scelta di campo:

«Ho avuto più volte l’occasione di lamentare l’assenza d’una forza politica che nella presente situazione italiana si assumesse il compito di indicare ai cittadini la via da seguire per evitare i due maggiori pericoli che incombono sul nostro Paese: la massificazione delle coscienze e la perdita della libertà.

Questa componente la identificavo e la identifico in una organizzazione di Destra democratica che, di là dall’uso nominalistico dell’etichetta, si richiami costantemente al presente ed ai compiti che nel presente pone una società organizzata intorno al consenso popolare, per guardare al futuro e, nel futuro, alla costruzione di un’Italia diversa da quella che vediamo: così ridotta dalle opposte demagogie della DC e della sinistra marxista […]

Gli uomini che hanno costituito il partito della Destra democratica, non provengono tutti dalle medesime esperienze e non hanno alle spalle la stessa storia.  Nel passato, hanno camminato lungo strade diverse, seguendo ispirazioni e influenze culturali dissimili, come è naturale che accada quando le circostanze impongono scelte individuali dettate soprattutto dalla consapevolezza ad essere comunque presenti, per affermare con la presenza una responsabilità morale e civile. Così, “Costituente di Destra – Democrazia Nazionale” vede affiancati ex-fascisti ed ex antifascisti, liberali d’estrazione crociana, cattolici intransigenti e cristiani soltanto perché battezzati, monarchici per fedeltà all’istituto o per maturata convinzione filosofica, gente che ha partecipato alla resistenza e gente che ha militato nella RSI. […] Come stupire che uomini come il sottoscritto abbiano sentito e sentano il dovere di mettere la propria esperienza e la propria buona fede al servizio  d’una componente politica, la cui assenza ha disgraziatamente pesato in termini negativi sulla situazione italiana? Che il Paese abbia bisogno d’una Destra moderna, culturalmente aggiornata, sicuramente democratica ma altrettanto sicuramente non infeudata agli utopismi della massificazione, alla cui suggestione sacrificano ormai tutti i partiti,   compreso il liberale, a me sembra indubbio.»

Il primo congresso nazionale di Democrazia Nazionale fu indetto per i giorni 20-22 aprile 1979 ma l’anticipato scioglimento delle Camere bloccò tale iniziativa e impose al raggruppamento di affrontare un difficilissima prova elettorale quando era ancora in fase di organizzazione embrionale. Nelle elezioni politiche anticipate e nelle prime elezioni dirette del Parlamento Europeo, Democrazia Nazionale ottenne risultati assai deludenti.  Giacchero si candidò ma fu travolto dal disastro generale: nel collegio senatoriale di  Cuneo-Saluzzo ottenne   614 voti (0,6%), in quello di Asti 916 (0,7%), a Pinerolo 1505 (0,7%),  a Torino 614  (0,6%). La scelta scissionistica del 1976 si era rivelata verticistica e perdente e la conseguenza del disastro elettorale del 1979 non poteva che essere la fine ingloriosa di Democrazia Nazionale.

Esauritasi l’esperienza di Democrazia Nazionale, Giacchero si ritirò dall’agone politico. È morto il 26 marzo 2000.

 

 

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