Biografie della Resistenza Italiana          

A B C D E F GI J K L M N O P Q R S T U V Z

 

   

pallanimred.gif (323 byte) Franco Calamandrei

Nato a Firenze il 21 settembre del 1917 da Piero. Si laureò in giurisprudenza all'Università fiorentina nel '39, ma i suoi interessi andavano alla letteratura. Dopo aver collaborato a Firenze con varie riviste letterarie ("Rivoluzione", "Campo di Marte"), si trasferì a Roma. Nel '43 si iscrisse al PCI. Partecipò alla Resistenza romana come vice-comandante dei Gap, con il nome "Cola". Fu a capo della formazione che organizzò l'azione di via Rasella, del 23 marzo del '44. Fu anche protagonista di una rocambolesca fuga dalla pensione Jaccarino, in via Romagna, adibita a carcere dai torturatori della banda Koch. Insignito di medaglia d'argento al valor militare, dopo la Liberazione lavorò a Milano al "Politecnico" di Elio Vittorini e a "l'Unità" come corrispondente da Londra (1950-53), inviato in Cina (1953-56) e nel Vietnam ('54). Nel '68 fu eletto al Senato e fu rieletto nelle legislature successive. È stato vice-presidente della commissione esteri, della Commissione d'inchiesta sulla P2 e della commissione del Consiglio d'Europa per i rapporti con i parlamenti nazionali, fino alla sua morte, nel settembre del 1982.

 

pallanimred.gif (323 byte) Carla Capponi

Nata a Roma il 7 dicembre del 1918 da Giuseppe e da Maria Tamburri. Studentessa di Legge, subito dopo la caduta del fascismo cominciò a collaborare attivamente con il Pci, tramite Gioacchino Gesmundo. L'8 settembre del '43 a Porta San Paolo salvò un ufficiale italiano ferito, intrappolato in un tank. Poi la sua casa borghese in piazza del Foro di Traiano aveva iniziato ad ospitare le riunioni dei Gap, guidati da Antonello Trombadori, Carlo Salinari e Franco Calamandrei. Di carattere estremamente deciso, Carla Capponi, detta l’«inglesina», aveva rifiutato però di essere confinata in un ruolo sussidiario e nell'ottobre del '43 si era procurata da sola una pistola disarmando su un autobus un milite della Gnr (i suoi compagni dei Gap gliela negavano, perché preferivano riservare alle donne funzioni di appoggio). Entrò poi a far parte del Gap comandato da Carlo Salinari, insieme al fidanzato Rosario Bentivegna (poi diventato suo marito), con il nome di battaglia di "Elena". Partecipò a varie azioni contro i tedeschi, tra cui l'attacco alle carceri di Regina Coeli. Da sola fece saltare in aria un automezzo tedesco e attaccò postazioni tedesche. Il 23 marzo del 1944 fu tra gli organizzatori e gli esecutori dell’attacco di via Rasella contro un contingente dell’esercito tedesco.  Fu anche vicecomandante di un'unità partigiana nei pressi di Roma, a Palestrina e sui Monti Prenestini. Riconosciuta partigiana combattente con il grado di capitano, è stata decorata di medaglia d’oro al valore militare per aver partecipato, si legge tra l’altro nella motivazione, "alle più eroiche imprese nella caccia senza quartiere che il suo gruppo di avanguardia dava al nemico annidato nella cerchia abitata della città di Roma". Più volte parlamentare del PCI, membro della Commissione Giustizia nei primi anni settanta, consigliere comunale a Roma, ha fatto parte fino all'ultimo del Comitato di presidenza dell’ANPI. Nel ’96, per iniziativa di un parente di un ragazzo rimasto ucciso in via Rasella, era finita sotto inchiesta insieme a Rosario Bentivegna e a Pasquale Balzamo. Ma la Cassazione aveva chiuso definitivamente la questione con un non luogo a procedere perché «il fatto non è previsto dalla legge come reato».
Recentemente aveva pubblicato, per i tipi de "il Saggiatore", un volume sull’attività dei GAP a Roma dal titolo "Con cuore di donna". E' morta a Zagarolo (Roma) il 24 novembre del 2000.

 

pallanimred.gif (323 byte) Carlo Chiappa ("Abele")

Nacque a Sedriano (Milano) il 20 agosto 1915 da Trezzi Giuseppina e Chiappa Domenico. Il padre morì quando aveva solo due anni e la madre, per mantenere lui e un altro fratello, fu costretta a sobbarcarsi doppi turni di lavoro in fabbrica. A undici anni Chiappa abbandonò la scuola per iniziare a lavorare come aiuto muratore, un’occupazione che svolse fino alla chiamata al servizio di leva che assolse a Piacenza, fra il 1936 e il 1937, presso il 4° Reggimento Artiglieria. Congedato trovò lavoro come manovale alla Isotta Fraschini. Nel maggio del 1940, con l’adesione dell’Italia alla seconda guerra mondiale, fu inviato al fronte francese, ma dopo solo quattro mesi venne congedato per motivi di salute. Nel dicembre dello stesso anno fu assunto alla Borletti di Milano e si iscrisse al Partito comunista. La difficile situazione economica delle masse fu alla base delle numerose agitazioni che esplosero nel corso del 1943. A maggio lo sciopero coinvolse anche la Borletti e Chiappa, incitando la sospensione del lavoro e sfidando le autorità della fabbrica, fu uno dei protagonisti della protesta; nei giorni della mobilitazione operaia riuscì a sfuggire all’arresto solo grazie all’aiuto delle donne del reparto. Seguirono due mesi da sbandato fino a quando, il 15 giugno, fu fermato dai Carabinieri e tradotto al carcere di San Vittore. Il 28 luglio, conseguentemente alla destituzione di Mussolini da parte del Re e alla formazione del Governo Badoglio, venne liberato e in settembre cominciò a lavorare per dare una prima organizzazione ai soldati sbandati che vagavano nelle campagne del sud ovest milanese. La sua azione fu particolarmente attiva anche in fabbrica: rientrato in novembre allo stabilimento Borletti di Vittuone, diede vita alla prima squadra di azione patriottica. Il salto di qualità però Chiappa lo compì nel successivo mese di giugno quando il Partito comunista, dopo che gli scioperi del mese di marzo avevano evidenziato la necessità di trasformare le agitazioni economiche in lotta di massa, gli affidò l’incarico di organizzare l’intero settore a ovest di Milano, zona che sarà denominata "blocco D". Su segnalazione del Partito, e grazie alle proprie amicizie, contattò numerose personalità e già in settembre risultarono costituite tre Brigate: la 168^, la 169^ e la 170^ che arrivarono a inquadrare all’incirca 450 uomini e che opereranno dalle porte di Milano fino ad Abbiategrasso e Magenta. Le tre brigate costituiranno poi la Divisione Magenta e Chiappa ne diventerà il commissario politico. Nei giorni della liberazione, con i tedeschi e alcuni uomini della X Mas che in ritirata occuparono Abbiategrasso, sarà provvidenziale il suo intervento presso l’appena nominato prefetto di Milano, Riccardo Lombardi, per scongiurare la possibilità di un bombardamento alleato sulla città. Alla fine della guerra si trasferì definitivamente ad Abbiategrasso e riprese il suo lavoro alla Borletti di Milano. A livello politico assumerà incarichi marginali: fra il 1948-1949 fu segretario di sezione del Pci e, contemporaneamente, responsabile stampa e propaganda fino al 1951. Più duraturo invece il suo impegno in fabbrica dove fece parte degli organismi di contrattazione e dove fu, fra 1962 e 1972 membro della Commissione Interna. Nel decennio precedente, fra il 1952 e il 1962, aveva rivestito il ruolo di responsabile di fabbrica del Partito comunista. E’ scomparso il 3 gennaio 1986.

(a cura di Massimiliano Tenconi)

 

pallanimred.gif (323 byte) Riccardo Chiodini ("Corvo")

Nacque a Ozzero (Milano) il 14 marzo 1922 da genitori che amministravano una media azienda agraria. Chiodini si diplomò in ragioneria e seguì poi la scuola per allievi ufficiali. Quando venne dato l’annuncio dell’armistizio, non era ancora stato impiegato in linea. Alla fine di settembre riuscì a tornare ad Ozzero e lì continuò il lavoro presso l’azienda di famiglia ignorando i richiami alle armi della Repubblica di Salò. Fra la fine del 1943 e l’inizio del 1944 decise di passare all’azione diretta contro il fascismo. Con altri due individui costituì una pattuglia che, per via di come sono soprannominati gli abitanti del paese, si denominò "Corvi Rossi", e assunse il nome di battaglia di "Corvo". Fu un gruppo di azione ristretto che però, data la debolezza del movimento partigiano nell’Abbiatense, per i vertici milanesi divenne un punto di riferimento importante. La pattuglia, che arriverà a contare una decina di elementi, agiva lungo i paesi del Naviglio compiendo azioni di sabotaggio, di propaganda, di disarmo e forniva supporto logistico ai gruppi della Valsesia. Nell’autunno la pattuglia fu aggregata alla 169^ Brigata "Scrosati" e il compito di Chiodini fu quello di mantenere i vari contatti con i responsabili della provincia Milanese. All’inizio del 1945 fu nominato vice comandante della Divisione Magenta che raggruppava la 168^, la 169^ e la 170^ Brigata Garibaldi. Nei giorni della liberazione, dato il suo ruolo di vice comandate, fu attivissimo e il 26 aprile occupò direttamente con i suoi uomini il Comune di Vermezzo. Il 10 maggio successivo alla liberazione fu proclamato dal Cln sindaco di Ozzero: era il primo cittadino più giovane d’Italia e rivestì tale carica ininterrottamente fino al 1995.

(a cura di Massimiliano Tenconi)

 

pallanimred.gif (323 byte) Carlo Azeglio Ciampi

Banchiere centrale e uomo politico, nato a Livorno il 9 dicembre 1920 da Pietro (l'ottico più noto della città) e Maria. Studia presso l'istituto dei gesuiti, San Francesco Saverio. Consegue la laurea in Lettere e il diploma della Scuola Normale di Pisa nel 1941. Antifascista, alla Normale rimane affascinato dal suo professore, il filosofo Guido Calogero. All'università conosce anche Franca, la futura moglie. Chiamato alle armi nel '41, è sottotenente dell'esercito in Albania. L'8 settembre 1943, si trova in permesso in Italia. Rifiuta di aderire alla Repubblica di Salò e si da' alla macchia, rifugiandosi a Scanno, in Abruzzo, col suo maestro Calogero, esponente di primo piano del pensiero liberalsocialista che andava saldandosi attorno al partito d'Azione. Dopo sei mesi tra i monti d'Abruzzo, riesce a passare le linee del fronte sulla Majella per arrivare a Bari e consegnare a Tommaso Fiore un manoscritto sul «catechismo liberalsocialista del Partito d'azione» datogli da Calogero e si arruola nelle file del rinato esercito italiano, iscrivendosi nel frattempo al PdA. Alle elezioni del 1946 gli azionisti prendono solo l'1,46 per cento dei voti. Comincia la diaspora. Da quella repubblicana di Ugo La Malfa e Adolfo Tino a quella di sinistra di Vittorio Foa e Riccardo Lombardi, Tristano Codignola. Il '46 è un anno importante per Ciampi: sposa Franca, consegue la laurea in Giurisprudenza presso l'Università di Pisa e, dopo aver vinto un concorso, entra come impiegato in Banca d'Italia, per rimanerci 47 anni, 14 da governatore. Nel 1946, si iscrive anche alla Cgil e ne conserva la tessera fino al 1980. Nell'ottobre 1979 è nominato Governatore della Banca d'Italia e presidente dell'Ufficio Italiano Cambi, funzioni che assolve fino al 28 aprile 1993.  Il 26 aprile 1993, Ciampi viene nominato presidente del Consiglio e per la prima volta indica  ministri pidiessini. L'assoluzione in Parlamento di Bettino Craxi porta però alle dimissioni dei prescelti. Dall'aprile 1993 al maggio 1994 presiede un governo chiamato a svolgere un compito di transizione. Durante la XIII legislatura è Ministro del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica, nel governo Prodi (dall'aprile 1996 all'ottobre 1998) e nel governo D'Alema (dall'ottobre 1998 al maggio 1999), dando un contributo fondamentale all'entrata dell'Italia in Europa. Il 13 maggio del 1999 è eletto, in prima votazione, decimo Presidente della Repubblica Italiana con 707 voti di preferenza.

 

pallanimred.gif (323 byte) Eugenio Colorni

Filosofo e docente. Nasce a Milano nel 1909 da famiglia ebraica mantovana. Dopo gli studi al Liceo-Ginnasio "Manzoni" di Milano, nel 1926 si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Milano, dove segue le lezioni di G.A.Borgese e di P. Martinetti, con cui si laurea nel 1930 con una tesi su Leibniz. Dopo un giovanile entusiasmo per il sionismo, aderisce all'antifascismo militante, collaborando con "Giustizia e libertà". Dopo gli arresti del 1935, prende contatto con il Centro interno socialista, di cui diviene uno dei maggiori responsabili. Arrestato nel 1938, è confinato a Ventotene, dove stringe amicizia con Altiero Spinelli e Ernesto Rossi e aderisce alle idee federalistiche. Partecipa alla stesura del Manifesto europeista di Ventotene, nell'agosto del 1941. Il manifesto è diffuso grazie a Colorni che trasferito da Ventotene a Melfi di Puglia, nel maggio del '43 riesce a fuggire, dandosi alla vita clandestina. Il 27 agosto del 1943 a Milano, in casa di un grande scienziato, Alberto Mario Rollier, Colorni insieme a Spinelli è tra i fondatori del Movimento Federalista Europeo, che si propone di diffondere le idee contenute nel Manifesto. Rientrato a Roma, riprende il lavoro politico collegandosi al ricostituito Partito Socialista di Unità Proletaria. Dopo l'8 settembre è capo redattore dell'Avanti! e organizzatore del centro militare del partito.  Ferito da una pattuglia della Banda Koch il 28 maggio 1944, muore due giorni dopo all'Ospedale San Giovanni di Roma, all'età di 35 anni.

 

pallanimred.gif (323 byte) Don Virginio Colzani

Nacque a Giussano (Milano) il 10 giugno 1920. Apparteneva a una famiglia numerosa, assieme a lui ci sono altri 10 fratelli, che subì la violenza e le minacce fasciste; il padre, apertamente socialista, fu costretto all’esilio. Venne nominato sacerdote a Milano nel giugno del 1944 e fu destinato come coadiutore all’oratorio di Ponte Vecchio di Magenta. Qui fu subito contattato da un membro del Cln milanese e aderì, come dichiarerà egli stesso, "nei limiti del possibile ma con entusiasmo" alla Resistenza. Inizialmente gli fu affidato il compito di portare informazioni e denaro ad altre formazioni partigiane, in modo particolare a quelle dislocate in Valsesia e in Val d’Ossola. Successivamente venne inserito attivamente nella zona del Magentino dove collaborò, senza alcun problema, con il locale comandante comunista Anselmo Arioli. Il suo oratorio, come altri della zona, divenne il punto di riferimento di un nucleo di circa trenta partigiani. Don Virginio fu nominato comandante del distaccamento di Ponte Vecchio della 168^ Garibaldi e assunse anche l’incarico di cappellano della Brigata cattolica Colombini, costituitasi nel marzo del 1944 e collegata ai nuclei resistenziali cattolici dell’Alto Milanese. In seguito fu aggregato alla Divisione cattolica "Alfredo Di Dio" che operava prevalentemente nella zona di Busto Arsizio. Ciò nonostante continuò a collaborare attivamente con la 168^ distribuendo ordini, informazioni, denaro e assumendo la responsabilità del centro raccolta armi. Un lavoro intenso che lo espose a mille pericoli: la sua abitazione fu perquisita più volte, causa del furto di una pistola fu picchiato duramente da un ufficiale nazista, venne arrestato in due circostanze e in altrettante occasioni rischiò la fucilazione, infine fu ferito dallo scoppio di una bomba tedesca. Alla fine della guerra gli sono stati conferiti il diploma di "Combattante di distaccamento" e di "partigiano ferito" , mentre per il valore militare mostrato ricevette la "Croce al Merito".

(a cura di Massimiliano Tenconi)

 

pallanimred.gif (323 byte) Alessandro Coppi

Nacque a Modena il 9 luglio del 1894 da una famiglia di salde tradizioni cattoliche. Nel terzo congresso dei cattolici del Frignano, svoltosi a Palagano nel 1912, gli fu assegnato l’incarico di realizzare un giornale destinato ai cattolici dell’appennino modenese, che effettivamente nacque nel 1913. Dopo aver partecipato alla prima guerra mondiale, come ufficiale di fanteria, riprese la sua attività politica e giornalistica. Nel 1919 diviene segretario del neonato Ppi provinciale, che ben presto, grazie anche all’attiva propaganda del "Frignano" di cui Coppi continuò la direzione, raccolse molti consensi nei comuni montani. Nel 1920, sempre ad opera di Coppi con l’apporto di un gruppo di studenti frignanesi, sorse l’associazione "Il Giovane Frignano". Riconfermato nella carica di segretario provinciale del partito popolare nel 1921 e nel 1922, dovette fare i conti con l’emergente fascismo. I rapporti con il Pnf, già tesi per le continue violenze squadriste ai danni di sindacalisti e attivisti politici cattolici, divennero aspri nell’autunno del ‘22, quando il Ppi decise di astenersi dalle elezioni per il rinnovo dei consigli nei Comuni da tempo commissariati. Sostituito alla testa del partito nel 1923 per il prevalere di elementi più accomodanti col PNF, e perduto il controllo del "Frignano", Coppi intensificò la sua milizia politica fondando nel marzo 1924 il settimanale "La Voce Popolare", dalle cui colonne prese ripetutamente posizione contro i soprusi fascisti. Dopo le elezioni dell’aprile 1924, tornò ad occupare la carica di segretario provinciale, ma ormai la vita per i partiti democratici anche a Modena si era fatta insostenibile. La "Voce popolare", dopo tre sequestri e boicottaggi fu costretta ad interrompere la pubblicazioni nel settembre del ‘25. Vennero le leggi "fascistissime" del ‘26 e tutti i partiti d’opposizione furono soppressi. Coppi, costretto all’inattività politica, poiché schedato come sovversivo nel Casellario Politico centrale, si dedicò interamente alla sua attività di avvocato. Durante il Ventennio rimase comunque il portabandiera del popolarismo modenese, ed a lui fecero riferimento gli ex popolari e i giovani cattolici che nella seconda metà del ‘43 diedero vita alla Democrazia Cristiana modenese. Alla fine del ‘43 entrò a nome della Dc nel CLN provinciale, partecipandovi attivamente sino alla data del suo arresto nel marzo 1945. Convinto sostenitore delle formazioni cattoliche partigiane e dei valori della Resistenza, divenne all’alba della liberazione presidente del CLNP, difendendone l’autorità, la natura e le funzioni anche davanti ai sospetti dei suoi colleghi di partito. Eletto presidente del partito nell’autunno del ‘45, Coppi tornò a dedicare le sue energie alla Democrazia Cristiana, in cui ferveva il dibattito sulle caratteristiche politiche che questa avrebbe dovuto avere entro il nuovo quadro democratico. Alle elezioni del 2 giugno 1946 Coppi fu il primo dei candidati modenesi eletti all’Assemblea costituente con 25.316 preferenze. Rieletto deputato nel 1948 svolse un’intensa attività parlamentare e nel ‘49 divenne segretario della Commissione Difesa. Dal 1951 al 1953 fu anche presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere. La sua attività politica si interrompe nel 1953 quando non fu più rieletto alla Camera. La nomina alla presidenza della Cassa di risparmio di Modena non valse a mitigare l’amarezza per la sconfitta subita. Morì il 30 agosto 1956.

 

pallanimred.gif (323 byte) Alfeo Corassori

Nasce a Campagnola (R.E.) il 3 novembre 1903. Giovanissimo aderisce alla federazione giovanile socialista. Con la costituzione del PCd’I entra a far parte dei giovani comunisti di Moncasale. Trasferitosi a Carpi nel 1922 diviene membro degli organi dirigenti della Federazione comunista di Modena, come responsabile della sezione sportiva, ovvero del reperimento di armi per gli antifascisti modenesi. Nel 1923, viene denunciato insieme ad altri suoi compagni con l’accusa di associazione comunista, sedizione e mancata dichiarazioni d’armi da fuoco. Assolto per la prima imputazione per la seconda sarà invece condannato a 4 mesi d’arresto il 26 ottobre 1923. Alla sua scarcerazione continua l’attività antifascista per il partito comunista nel modenese, nel reggiano e nel mantovano, in cui si era trasferito per ragioni di lavoro (era allora bracciante). Partecipando ai lavori del Congresso provinciale comunista di Modena, sul finire del ‘25, è tra i più accesi fautori della linea bordighiana in contrasto con le tesi gramsciane che si vanno affermando all’interno del partito. Il suo fervente attivismo antifascista gli costa nuove denunce e segnalazioni, soprattutto a partire dal 1926 quando il suo lavoro politico si fa costante. Ricercato dalle autorità giudiziarie fugge a Milano dove cambia nome e vive nella semiclandestinità; nel capoluogo lombardo prosegue il suo lavoro di agitazione e propaganda sino all’aprile 1927, mese in cui viene arrestato. Condannato per apologia, cospirazione, offesa al Capo del Governo e oltraggio ai danni di agenti della Forza Pubblica, a 10 anni di detenzione e tre anni di vigilanza speciale comincia a scontare la propria pena prima Volterra poi a Pallanza. Scarcerato nel 1932 in seguito all’amnistia, l’anno successivo viene di nuovo stabilito il suo fermo poiché nel carpigiano continua a svolgere propaganda clandestina per riorganizzare i partito comunista. La commissione provinciale per il confino di Modena nel gennaio 1934 lo assegna al confino nell’isola di Ponza per la durata di 5 anni. Subirà in questo periodo una nuova condanna per aver contravvenuto agli obblighi ai quali i confinati erano sottoposti. Nel 1939 viene trasferito alle Tremiti dove rimarrà alcuni mesi, sino a quando nell’agosto dello stesso anno verrà liberato. Trasferitosi a Carpi sarà chiamato alle armi ma quasi immediatamente inviato in licenza illimitata per avere altri due fratelli già in guerra. Nel luglio del ‘43 è ricercato dalla polizia in seguito alla direttiva Badoglio mirante a neutralizzare gli antifascisti ritenuti pericolosi. Dopo l’8 settembre del ‘43 inizia la sua partecipazione alla Resistenza, come responsabile militare della provincia di Modena, al contempo guida la federazione provinciale del partito comunista. Arrestato nell’aprile 1944 dalle S.S. a Bologna, in seguito ad una delazione viene rimesso in libertà dopo 8 giorni. In seguito diviene membro della segreteria federale del Pci di Bologna, poi del Triumvirato Emilia-Romagna ed infine del Triumvirato Nord-Emilia. Il 22 aprile del 1945, con la liberazione di Modena, su designazione del CLN, assume la carica di sindaco della città. Il 2 giugno 1946 viene eletto deputato all’Assemblea Costituente, incarico al quale rinuncerà per dedicarsi a tempo pieno alle sue responsabilità di sindaco che lo impegneranno sino al 1962. Membro del comitato centrale del Pci, dal VI congresso nazionale, diverrà presidente dell’Alleanza cooperativa modenese. Entro il partito ricoprirà gli incarichi di presidente della Commissione Federale di Controllo e componente del Comitato direttivo della Federazione di Modena. Muore a Modena il 27 novembre 1965.

 

pallanimred.gif (323 byte) Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo

Colonnello di Stato Maggiore, di 42 anni. Nato a Roma il 26 maggio 1901 da Demetrio e da Luisa Dezza. Sposato con Amalia Dematteis, aveva cinque figli (Manfredi, Andrea, Lydia, Isolda e Adriana). Ufficiale degli alpini nella guerra 15-‘18, al termine del conflitto entrò nel Genio militare. Si laureò in ingegneria civile nel '23. Volontario nel '37 in Spagna, fu promosso tenente colonnello per merito di guerra. Nel '40 fu chiamato al Comando Supremo e assegnato allo Stato Maggiore generale. Nominato colonnello, nel ’42 assunse le funzioni di capo scacchiere in Africa. Dopo l'arresto di Mussolini, il capo del governo Badoglio lo chiamò allo Stato Maggiore dell'esercito. L'8 settembre il generale Calvi di Bergolo gli conferì l'incarico di capo dell'Ufficio Affari Civili del comando di Roma Città Aperta. Il 23 settembre, quando i tedeschi circondarono il ministero della Guerra per arrestare Calvi e i suoi collaboratori, sfuggì all’arresto ed entrò in clandestinità. Fedele al re e alla monarchia, divenne l'animatore e il capo del Fronte militare clandestino, sotto il falso nome di ingegnere Giacomo Cataratto (che poi cambiò in professor Giuseppe Martini). In breve tempo mise su numerose bande militari e un servizio informazioni efficientissimo, con diramazioni nel centro e nel nord del Paese. Collegato via radio con il legittimo governo del Sud, teneva per suo conto i collegamenti con il Cln e forniva notizie importantissime al Comando Alleato. Considerato da Kappler il suo più temibile nemico, fu catturato dai tedeschi il 25 gennaio del ‘44 insieme all'amico Filippo de Grenet, mentre usciva da una riunione con il generale Armellini. Fu rinchiuso in via Tasso per cinquantotto giorni; più volte torturato, non rivelò i nomi dei compagni. Fu fucilato il 24 marzo alle Fosse Ardeatine. Prima che la scarica lo abbattesse, gridò "Viva l’Italia!". Medaglia d'oro al valor militare.

 

pallanimred.gif (323 byte) Olinto Cremaschi

Nasce a Limidi di Soliera il 17 agosto 1899 da una famiglia di mezzadri. Sin da giovane cominciò ad interessarsi alle lotte contadine avvicinandosi agli ideali socialisti. Al congresso di Livorno del 1921 fu tra i delegati che sostennero la mozione della frazione comunista, dando successivamente vita, accanto ad altri giovani comunisti, alla sezione del PCd’I di Soliera. L’attività antifascista di Cremaschi comincia a partire dal ‘22, all’indomani dell’assalto squadrista contro la sede del PSI di Soliera, con l’organizzazione di una manifestazione pubblica di protesta contro la violenza "nera". Da allora il suo lavoro clandestino si fece via via più intenso e i particolar modo indirizzato alla creazione di una organizzazione contadina non più subalterna e capillarmente diffusa, attraverso l’istituzione di sezioni su basi territoriali. Nel ‘25 partecipa al Congresso provinciale clandestino del partito comunista. Del ‘27 è la prima ondata di arresti di militanti comunisti che inferse un durissimo colpo al Comitato federale. I previsione di ciò, a Carpi e Soliera, era stato costituito un Comitato federale di riserva di cui lo stesso Cremaschi faceva parte. L’abile mossa consentì all’organizzazione di continuare la propria attività sino al 1930. Nel documento programmatico presente era la consapevolezza della necessità di sviluppare un movimento sindacale dei contadini e di mobilitare le masse contadine contro l’arbitrio padronale e le violenze fasciste. A questo scopo si prese la decisione di passare alla costituzione dei Comitati di difesa dei contadini e di un comitato sindacale, che fu composto da Cremaschi, Goldoni e Verzani. Il lavoro di questa prima embrionale struttura ottenne buoni risultati. Decine furono le assemblee clandestine dei lavoratori della terra, senza dimenticare alcune clamorose manifestazioni come quella del ‘28 di 200 braccianti nel campo volo di Modena e quella di 3000 giornalieri a Carpi per ottenere lavoro nella bonifica. Cremaschi fu arrestato il 6 novembre 1930 e condannato a 5 anni e 5 mesi di reclusione e tre anni di vigilanza speciale. Liberato nel ‘32 in seguito all’amnistia riprese subito il suo posto nella lotta antifascista per venire nuovamente arrestato nel ‘33 e condannato a 4 anni, ridotti a due in Appello, di confino nell’isola di Ponza. Violò le norme per i confinati politici subendo una condanna a dieci mesi di carcere che scontò a Napoli. Il 10 luglio 1936, scaduta la pena, ritornò in libertà. Entrò quindi nel comitato federale provinciale del partito comunista come responsabile della politica agraria, incarico da lui conservato sino alla Liberazione. Dopo l’8 Settembre, assieme ad altri compagni, organizzò presso le case dei contadini comunisti basi clandestine dove nascondere i prigionieri di guerra, soprattutto inglesi, fatti fuggire dal Campo di Concentramento di Fossoli, che saranno successivamente trasferiti oltre la linea del fronte o al di là delle Alpi. Queste basi divennero altrettanti rifugi, depositi d’armi e di viveri utilizzati dall’esercito partigiano. Dopo l’invasione tedesca Cremaschi fu impegnato nell’organizzazione della resistenza armata come responsabile del Pci nella terza, quarta e quinta zona operativa. Massima attenzione fu da lui dedicata nel rafforzamento e nell’estensione dei compiti dei comitati di difesa contadini. Un grande risultato si ebbe nel convincere molti contadini a disertare i raduni di bestiame e a rifiutare la consegna dei prodotti agricoli agli ammassi controllati dai nazifascisti; da segnalare è anche l’astensione dalla trebbiatura del grano nell’estate del ‘44, durata sino all’agosto quando le pressioni tedesche e fasciste nonché la penuria alimentare divennero insopportabili. Lo stesso Cremaschi si fece promotore di una soluzione alternativa che tenesse conto delle esigenze dei contadini come dell’obiettivo di non far cadere in mani tedesche il grano da trebbiare. Al termine del conflitto Cremaschi venne eletto segretario della Federterra, presto trasformatasi in una grande e forte organizzazione contadina con oltre 100.000 iscritti. Nel 1946 lasciò la segreteria per occupare il posto lasciato libero all’Assemblea Costituente da Alfeo Corassori. Deputato per due legislature consecutive al Parlamento nel ‘48 e nel ‘53, fece inoltre parte della Commissione Agricoltura e Foreste e poi della Commissione Lavoro e Previdenza. Dopo il 1958 fu presidente della Alleanza cooperative modenesi, membro del Consiglio della Centrale del latte di Modena; svolse attività presso l’Associazione Nazionale perseguitati politici e presso l’ANPI. Nel 1966 è alla presidenza dell’Alleanza provinciale dei contadini che abbandonerà nel 1970 a causa di una grave malattia. Morì il 30 agosto 1974.

pallanimred.gif (323 byte) Eugenio Curiel

Nato a Trieste l'11 dicembre del 1912 da Giulio. A sedici anni, nell'ambiente liceale, maturò idee antifasciste. Conseguito il diploma, si iscrisse inizialmente alla facoltà di ingegneria all'Università di Firenze, ma passò poi al corso di fisica. Discepolo del noto fisico Bruno Rossi, lo seguì all'Università di Padova, dove si laureò nel '33 col massimo dei voti. Cultore di studi filosofici, strinse amicizia con l'intellettuale comunista Atto Braun, che gli fece leggere le opere di Marx. Insieme a Braun, a Guido Goldschimd e a Renato Mieli, costituirono una cellula comunista clandestina. Nel '34 il gruppo fondò un giornale universitario, "Il Bo", che trattava temi sindacali e fu diffuso in molte fabbriche d'Italia, mascherato come giornale fascista. Inviato a Parigi, prese contatto con i dirigenti del partito, e tornato in Italia elaborò un piano di infiltrazione all'interno delle organizzazioni di regime, diventando dirigente del settore culturale del GUF. Nel '38, però, in seguito alle leggi razziali, fu esonerato dall'insegnamento universitario. L'anno dopo, mentre cercava di passare clandestinamente in Francia, fu fermato dalla polizia francese e imprigionato in Svizzera. Rientrato a Trieste, il 23 giugno del '39 fu arrestato, detenuto per alcuni mesi nel carcere di San Vittore a Milano e infine condannato a cinque anni di confino a Ventotene. Lasciò l'isola solo il 21 agosto del '43, dopo la caduta del fascismo. Si recò prima in Veneto, per organizzare il movimento antifascista, e poi a Milano, dove adottò il nome di battaglia di "Giorgio", divenne uno dei dirigenti dell'"Unità" clandestina e della rivista "La nostra lotta" e il principale animatore del Fronte della Gioventù a livello nazionale, chiamando a partecipare alla Resistenza i giovani comunisti. Il 24 febbraio del '45, a Milano, una squadra di fascisti lo riconobbe per strada. Ferito da una prima scarica di mitra, si rialzò cercando rifugio in un portone. Fu raggiunto e finito a colpi di mitra. Medaglia d'oro alla memoria.



 

 

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