Biografie della Resistenza Italiana          

A B C D E F GI J K L M N O P Q R S T U V Z

 

   

pallanimred.gif (323 byte) Giorgio Labò

Studente di architettura, di 28 anni. Nato a Modena il 29 maggio 1919 da Mario e da Enrica Morpurgo. Durante la guerra era sergente del genio minatori. Dopo l'8 settembre del ‘43, combatté con i partigiani nella zona di Poggio Mirteto, con il nome di battaglia di "Lamberto", iniziando a mettere a frutto la conoscenza degli esplosivi maturata durante la militanza fra i minatori: fu opera sua l'ordigno esplosivo che il 19 settembre fece saltare in aria un treno carico di munizioni. A Roma, organizzò insieme a Gianfranco Mattei la "santabarbara" dei Gap comunisti, in via Giulia 25bis, in casa di Gino Mangiavacchi. Per quattro mesi confezionò esplosivi ed apparecchiature elettriche studiate di volta in volta in vista delle azioni di guerriglia, spesso partecipando di persona agli attentati. Per la fabbricazione degli ordigni andava alla ricerca dei materiali più strani; una volta attraversò a piedi l'intera città portando sei spezzoni d'aeroplano in una borsa della spesa. Il primo febbraio del ‘44 fu sorpreso dalle SS nel laboratorio di esplosivi insieme a Mattei, su delazione della spia Giovani Amidei, e rinchiuso nel carcere di via Tasso, nella cella n. 31. Fu tenuto legato mani e piedi per diciotto giorni. Nonostante le torture, negò ogni responsabilità. Condannato senza processo alla pena capitale, fu fucilato il 7 marzo sugli spalti di Forte Bravetta. Medaglia d'oro al valor militare.

 

pallanimred.gif (323 byte) Ugo La Malfa

Nato a Palermo il 16 maggio 1903. Frequentò l'università veneziana di Ca' Foscari. Fu uno dei suoi professori, l'ex-deputato Silvio Trentin, a presentarlo a Giovanni Amendola, liberale e autorevole esponente  del mondo massonico. Molti autorevoli "fratelli" avevano patrocinato il Mondo, il giornale fondato dallo stesso Amendola nel 1922, e avevano aderito alla Unione Democratica Nazionale, il movimento antifascista da lui successivamente creato. L'esordio pubblico di Ugo La Malfa fu, appunto, un intervento al convegno dell'Unione Democratica Nazionale, svoltosi a Roma tra il 14 e il 16 giugno 1925. Amendola lo fece includere nella ristretta "pentarchia", la direzione dell'Unione Democratica, incaricata di organizzare la opposizione al fascismo. Giovanni Amendola moriva, tuttavia, nel 1926. In quello stesso anno Ugo La Malfa era espulso per antifascismo dal Corso Allievi Ufficiali di Complemento. Nel 1928 veniva ancora arrestato e condannato a tre mesi di carcere per avere cercato di dare vita a una organizzazione illegale. Questi precedenti non impedivano a Ugo La Malfa di entrare, nel 1930, in uno dei "santuari" del regime, l'Istituto della Enciclopedia Treccani diretta da Giovanni Gentile. Tre anni dopo, il giovane antifascista lasciava l'Istituto Treccani per entrare in uno dei gangli economici del regime: la "chiusissima" Banca Commerciale. La Comit non fu solo una "Università segreta", ma l'occasione di incontri decisivi per il giovane La Malfa, cui si aprirono gli orizzonti dell'alta finanza internazionale. In quegli stessi anni, da parte di un gruppo di discepoli di Gobetti e Amendola, era stata fondata Giustizia e Libertà. La Malfa, tuttavia, non vi aderì. Il suo arco di contatti era più profondo e più vasto. Casa Mattioli, a Milano, ne costituiva il centro principale. "Quella casa era aperta proprio a tutti. Naturalmente erano tutti antifascisti, almeno per cultura". I rapporti tra il gruppo milanese e gli antifascisti italiani che si erano rifugiati all'estero erano affidati a Enrico Cuccia, che utilizzava nei suoi viaggi la copertura delle missioni di affari. Allo scoppio della guerra il "clan" della Commerciale continua a mantenere i suoi stretti contatti con il mondo finanziario anglosassone. Al principio del 1942 il New York Times pubblicava una lunga analisi della situazione italiana, che contribuiva a pregiudicare le future sorti della monarchia. Il documento era opera di Ugo La Malfa e Adolfo Tino, che avevano cominciato a imbastire la formazione di un nuovo "partito democratico", il Partito d'Azione. All'inizio del 1943, La Malfa è costretto a fuggire per sottrarsi all'arresto, che già ha colpito molti suoi collaboratori nel Partito d'Azione. A Bergamo, dove si è rifugiato, riceve l'invito di recarsi a Berna, dove lo aspetta un incontro decisivo. Il suo interlocutore è Allen Dulles, responsabile dell'Office of Strategic Services e insider di vecchia data. Con il suo aiuto, espatria in Francia e di qui a Londra. Dopo il 25 luglio, La Malfa torna in Italia dall'Inghilterra con l'autorevole appoggio del "clan" al suo programma. A Roma vive in casa del principe Filippo Caracciolo (poi suocero di Giovanni Agnelli), che già lo ha ospitato clandestinamente in Svizzera. L'8 giugno del 1944, quattro giorni dopo la liberazione di Roma, partecipa alla prima riunione non clandestina del CLN, al Grand Hotel. Accanto a Badoglio, affiancato da due suoi ministri, Croce e Togliatti, sedevano quel giorno, nel salone del Grand Hotel, tutti i protagonisti del CLN: La Malfa, Bonomi, Ruini, Nenni, Scoccimarro, Casati, De Gasperi, e il segretario Fenoaltea. Il primo grande frutto di quell'esperienza fu, nel 1946, la caduta della monarchia. Nel 1946 si conclude la breve vita del Partito d'Azione. La sua "diaspora" produrrà fermenti pressoché in tutti i partiti rappresentati in parlamento. Ugo La Malfa sceglie di entrare nel Partito Repubblicano, in cui percorrerà una agitata carriera fino a divenirne, dopo il violento scontro con Pacciardi al congresso di Bologna del 1960, il segretario politico e il vero "dittatore carismatico". Fin dal dicembre del 1945, quando De Gasperi, formando il suo gabinetto, gli ha affidato il ministero del Commercio con l'Estero, è iniziata intanto l'attività governativa di La Malfa. Sotto De Gasperi sarà nuovamente, più volte, ministro di questo dicastero; ma più importante è la sua pressoché continua presidenza delle commissioni Finanze e Tesoro della Camera dei Deputati, che gli permette di por mano alle agognate "riforme di struttura", dalla riforma agraria alla liberalizzazione degli scambi, alla nazionalizzazione dell'energia elettrica. Ma il grande momento di La Malfa fu nel 1962, quando si realizzò quel centro-sinistra cui, come egli stesso ci confessa, pensava fin dalla guerra. Ugo La Malfa fu tra i più qualificati partecipanti di quel convegno, organizzato a Bologna nell'aprile del 1961 dalla rivista Il Mulino, su La politica estera degli Stati Uniti e la responsabilità dell'Europa, che segna l'atto di nascita non ufficiale del centro-sinistra. Nel marzo 1962, Fanfani presiede il primo governo di centro-sinistra, con l'appoggio esterno socialista. Al nuovo ministero del Bilancio è chiamato La Malfa, che reggerà l'incarico fino al giugno 1963. Dal centro-sinistra al compromesso storico: in questa formula si può sintetizzare l'itinerario politico di Ugo La Malfa negli anni successivi. Dopo il 20 giugno '76 sarà La Malfa il primo fra i vecchi "leaders storici" di parte tradizionalmente anticomunista, a dire che "il compromesso storico in Italia è ormai ineluttabile". A trent'anni di distanza dall'esperienza ciellenistica, conclusasi nel 1948, Ugo La Malfa, con Aldo Moro sembrano volere riannodare i fili di una collaborazione interrotta solo perché prematura e che ora ha trovato nel paese le condizioni sociali idonee alla sua completa maturazione. Così, all'indomani del rapimento dell'on. Moro, il 17 marzo 1978, il quadro ciellenistico si ricompone, con l'entrata ufficiale del Partito Comunista nell'area governativa. Anche a questa operazione La Malfa diede il suo importante contributo. Alle soglie dell'ultimo passaggio del compromesso storico, l'entrata del Partito Comunista nel governo, senza poter assistere agli esiti ultimi della "partita politica italiana", della "storia di domani", si chiude tuttavia bruscamente l'avventura terrena di Ugo La Malfa.

(sintesi della biografia a cura di Roberto de Mattei)

 

pallanimred.gif (323 byte) Aldo Lampredi

Nato a Firenze nel 1899. Artigiano, aderì nel 1921 al Partito comunista. Arrestato nel 1926 per attività sovversiva fu condannato a 10 anni e 6 mesi di carcere. Liberato per amnistia nel 1932, passò in Francia a disposizione del partito. Partecipò alla guerra civile spagnola come capitano delle Brigate internazionali. Rientrato in Italia nel settembre 1943, passò nel Veneto dove organizzò il movimento partigiano cotnunista. All'inizio del 1945 venne nominato vicecomandante generale delle brigate "Garibaldi". Nell'aprile successivo diresse la spedizione su Dongo che si concluse con la fucilazione di Mussolini e di Claretta Petacci. Segretario della federazione di Padova nel 1946, viceresponsabile della Commissione nazionale quadri, è stato anche segretario della Commissione centrale di controllo del PCI.

 

pallanimred.gif (323 byte) Francesco Leone

Nato a Sant'Anna di Vargen Grande (Brasile) nel 1900. Operaio, aderì al movimento giovanile comunista nel 1921. Arrestato nel 1927 venne condannato dal Tribunale speciale a 8 anni di carcere. Liberato per amnistia nel 1932 passò in Francia. Partecipò alla guerra civile spagnola come comandante della colonna "Sozzi" delle Brigate internazionali. Nell'inverno 1943-'44 diresse il movimento partigiano in Piemonte. Deputato alla Costituente. Dal 1948 al 1953 è stato membro del Senato e dal 1958 al 1963 della Camera.

 

pallanimred.gif (323 byte) Carlo Levi

Scrittore e pittore italiano. Nato a Torino nel 1902. Lo zio, I'onorevole Claudio Treves, è una figura di rilievo nel Partito socialista. Intorno al 1922 il giovane Carlo si lega d'amicizia a Piero Gobetti, che lo invita a collaborare alla sua rivista "La Rivoluzione Liberale" e nel 1923 scrive il primo articolo sulla sua pittura per "L’Ordine Nuovo". Gobetti lo introduce nella scuola di Casorati, intorno cui gravita la giovane avanguardia pittorica torinese. In questi anni Levi appare inserito nell'ambiente culturale di Torino: frequenta Cesare Pavese, Giacomo Noventa, Antonio Gramsci, Luigi Einaudi e più tardi Edoardo Persico, Lionello Venturi, Luigi Spazzapan. Nel 1923 soggiorna per la prima volta a Parigi e dal 1924, anno in cui si laurea in medicina, al 1927 vi mantiene uno studio. Intorno al 1927 la sua pittura subisce il primo di diversi cambiamenti stilistici, influenzata all'inizio dai fauves e dalla scuola di Parigi, poi, tra il 1929 e il 1930, da Modigliani.
Alla fine del 1928 forma con Gigi Chessa, Nicola Galante, Francesco Menzio, Enrico Paulucci e Jessie Boswell il gruppo dei "Sei di Torino", che con l’appoggio di Lionello Venturi ed Edoardo Persico, espone in una serie di mostre che si susseguono fino al 1931 ( Genova, Milano, Roma, Londra, Parigi). Nel 1930 porta a maturazione un drammatico stile espressionista, che caratterizzerà i ritratti e i paesaggi di questa decade. Nello stesso anno compie un viaggio attraverso la Gran Bretagna con Nello Rosselli. Nel 1931 si unisce al movimento antifascista di "Giustizia e libertà", fondato tre anni prima da Carlo Rosselli. Lo stesso anno espone a Parigi presso la Galerie-Librarie Jeune Europe di Antonio Aniante. Nel marzo 1934 è arrestato per sospetta attività antifascista. Alcuni artisti residenti a Parigi (Signac, Derain, Léger, Chagall ecc. ) firmano un appello per la sua liberazione. Tra il 1935 e il 1936 è inviato al confino politico in Basilicata, esperienza che gli ispirerà il romanzo "Cristo si è fermato a Eboli" (1945), la sua opera letteraria più famosa. Molti quadri dipinti al confino vengono esposti nelle personali alla Galleria del Milione (Milano 1936) e Galleria della Cometa (Roma 1937). Nel 1937 è a New York e dal 1939 al 1941 soggiorna a Parigi.  Nel 1943 rientra in Italia e viene nuovamente arrestato. Dopo l'8 settembre, prende parte attiva alla resistenza come membro del Comitato di Liberazione della Toscana. E' direttore del quotidiano toscano "La Nazione del Popolo" e, nel 1945, a Roma de "L'Italia libera". Nel 1947 si stabilisce a Roma e si schiera a favore della pittura realista, intesa però in senso strettamente esistenziale. Molti soggetti pittorici riflettono la sua partecipazione ai problemi socioeconomici del Mezzogiorno.
A un caustico spirito polemico, alimentato dalla delusione per la crisi politica del dopoguerra, si ispira invece l'altro suo celebre libro, L'orologio (1950), in cui l'ironia si fa graffiante nei confronti della nostra classe politica. I libri successivi sono di viaggio e nascono da esperienze compiute nei luoghi visitati: Le parole sono pietre (1955) sulla Sicilia; Tutto il miele è finito (1964) sulla Sardegna. Negli anni Sessanta imprime una svolta stilistica alla sua pittura e amplia i valori espressivi in senso più poetico e universale, suscitando un rinnovato interesse da parte del pubblico e della critica, anche internazionale, che gli decreta il successo. Nel 1963 è eletto senatore, carica che gli viene riconfermata nel 1968.  Muore a Roma nel 1975.

 

pallanimred.gif (323 byte) Primo Levi

Nasce a Torino il 31 luglio del 1919, nella casa dove abiterà poi tutta la vita. I suoi antenati sono degli ebrei piemontesi provenienti dalla Spagna e dalla Provenza.Il padre, Cesare, nato nel 1878, si era laureato in ingegneria elettronica nel 1901. Dopo vari soggiorni di lavoro all’estero (Belgio, Francia, Ungheria), nel 1917 si sposò con Ester Luzzati. Nel 1934 si iscrive al Ginnasio-Liceo D’Azeglio, un istituto noto per aver ospitato docenti illustri, oppositori del fascismo (Augusto Monti, Franco Antonicelli, Umberto Cosmo, Zino Zini, Norberto Bobbio e molti altri). Il liceo è stato ormai «epurato» e si presenta politicamente agnostico. Levi è uno studente timido e diligente, gli interessano la chimica e la biologia, assai meno la storia e l’italiano. Non si distingue particolarmente, ma non ha insufficienze in alcuna materia. In prima liceo ha per qualche mese come professore di italiano Cesare Pavese. Stringe amicizie che dureranno tutta la vita. Lunghe vacanze a Torre Pellice, Bardonecchia, Cogne: inizia il suo amore per la montagna. Nel 1937, alla licenza liceale è rimandato a ottobre in italiano. Si iscrive al corso di chimica presso la facoltà di Scienze dell’Universita di Torino.  Nel 1938 il governo fascista emana le prime leggi razziali: è fatto divieto agli ebrei di frequentare le scuole pubbliche, tuttavia a chi è già iscritto all’Università è consentito di proseguire gli studi. Levi frequenta circoli di studenti antifascisti, ebrei e non; stringe amicizia con i fratelli Artom. Legge Thomas Mann, Aldous Huxley, Sterne, Werfel, Darwin, Tolstoj.    Nel 1941, in luglio, Levi si laurea con pieni voti e lode. Il suo diploma reca la menzione «di razza ebraica». Levi cerca affannosamente un lavoro, perché la famiglia è a corto di mezzi, e il padre è morente per un tumore. Trova un impiego semilegale in una cava d’amianto presso Lanzo: ufficialmente non figura nei libri-paga, ma lavora in un laboratorio chimico. Il problema che gli viene proposto e a cui si dedica con entusiasmo è quello di isolare il nichel che si rinviene in piccole quantità nel materiale di discarica. Nel 1942trova una sistemazione economicamente migliore a Milano, presso la Wander, una fabbrica svizzera di medicinali. In novembre, gli alleati sbarcano in Nord Africa. A dicembre, i russi difendono vittoriosamente Stalingrado. Levi e i suoi amici prendono contatto con alcuni esponenti dell’antifascismo militante, e compiono la loro rapida maturazione politica. Levi entra nel Partito d’Azione clandestino. cade il governo fascista e Mussolini viene arrestato. Levi è attivo nella rete di contatti fra i partiti del futuro Cln. L’otto settembre il governo Badoglio annuncia 1’armistizio, ma «la guerra continua». Le forze armate tedesche occupano il nord e centro Italia. Levi si unisce a un gruppo partigiano operante in Val d’Aosta, ma all’alba 13 dicembre è arrestato presso Brusson con altri due compagni. Levi viene avviato nel campo di concentramento di Carpi-Fossoli. Nel febbraio del 1944 il campo di Fossoli viene preso in gestione dai tedeschi, i quali avviano Levi e altri prigionieri, tra cui vecchi, donne e bambini, su un convoglio ferroviario con destinazione Auschwitz. Il viaggio dura cinque giorni. All’arrivo gli uomini vengono divisi dalle donne e dai bambini, e avviati alla baracca n. 30. Levi attribuisce la sua sopravvivenza ad una serie di circostanze fortunate. La sua conoscenza sufficientemente estesa del tedesco gli permette di comprendere gli ordini dei suoi aguzzini. Inoltre dalla fine del 1943, dopo Stalingrado, la carenza di manodopera in Germania è tale che diventa indispensabile utilizzare anche gli ebrei, serbatoio di manodopera a prezzo nullo. « I disagi materiali, la fatica, la fame, il freddo, la sete, tormentando il nostra corpo, paradossalmente riuscivano a distrarci dalla infelicità grandissima del nostro spirito. Non si poteva essere perfettamente infelici. Lo dimostra il fatto che in Lager il suicidio era un fatto assai raro. Il suicidio è un fatto filosofico, è determinato da una facoltà di pensiero. Le urgenze quotidiane ci distraevano dal pensiero: potevamo desiderare la morte, ma non potevamo pensare di darci la morte. Io sono stato vicino al suicidio, all’idea del suicidio, prima e dopo il Lager, mai dentro il Lager ». Per tutta la durata della permanenza nel Lager, Levi riesce a non ammalarsi, ma contrae la scarlattina proprio quando nel gennaio I 945 i tedeschi, sotto 1’avvicinarsi delle truppe russe, evacuano il campo, abbandonando gli ammalati al loro destino. Gli altri prigionieri vengono rideportati verso Buchenwald e Mauthausen e muoiono quasi tutti. «Devo dire che 1’esperienza di Auschwitz è stata tale per me da spazzare qualsiasi resto di educazione religiosa che pure ho avuto... C’e Auschwitz, quindi non può esserci Dio. Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo». Levi vive per qualche mese a Katowice, in un campo sovietico di transito: lavora come infermiere. Nel giugno inizia il viaggio di rimpatrio, che si protrarrà assurdamente fino all’ottobre. Levi e i suoi compagni percorrono un itinerario labirintico, che li conduce dapprima in Russia Bianca e poi finalmente in patria (il 19 ottobre) attraverso 1’Ucraina, la Romania, l’Ungheria, l’Austria. E' questa l’esperienza che Levi racconterà ne La tregua. Difficile reinserimento nell’Italia disastrata del dopoguerra. Levi trova lavoro presso la fabbrica di vernici Duco-Montecatini, in Avigliana, nei pressi di Torino. E' ossessionato dalle traversie subite e scrive febbrilmente Se questo è un uomo. «In Se questo è un uomo ho cercato di scrivere le cose più grosse, più pesanti, e più importanti. Mi sembrava che il terna dell’indignazione dovesse prevalere: era una testimonianza di taglio quasi giuridico, nella mia intenzione doveva essere un atto d’accusa – non a scopo di provocare una rappresaglia, una vendetta, una punizione –, ma sempre una testimonianza. Perciò certi argomenti mi sembravano un po’ marginali, allora, un’ottava più in basso; e li ho poi scritti molto tempo dopo». Si licenzia dalla Duco. Breve e frustrante esperienza di lavoro autonomo con un amico. A settembre del 1947 sposa Lucia Morpurgo, da cui ha deu figli: Lisa Lorenza e Renzo. Levi presenta il dattiloscritto alla casa editrice Einaudi, ma la proposta viene declinata con una formulazione generica. Per intervento di Franco Antonicelli, il libro viene pubblicato dall’editore De Silva in 2500 esemplari. Buone accoglienze critiche, ma scarso successo di vendita. Levi ritiene concluso il suo compito di scrittore-testimone e si dedica per intero alla professione di chimico. In dicembre accetta un posto di chimico in laboratorio presso la Siva, piccola fabbrica di vernici tra Torino e Settimo Torinese. In pochi anni ne diviene il direttore. Nel 1956 una mostra della deportazione in Torino incontra uno straordinario successo. Levi è assediato da giovani che lo interrogano sulle sue esperienze di deportato. Ritrova la fiducia nei suoi mezzi espressivi, e ripropone Se questo è un uomo all’editore Einaudi, che questa volta decide di pubblicarlo nella collana « Saggi »: da allora non cesserà di essere ristampato e tradotto. Nel 1963 Einaudi pubblica La tregua, che ottiene accoglienze critiche molto favorevoli. Il «risvolto» di copertina è redatto da Italo Calvino. Settembre. La tregua vince a Venezia la prima edizione del Premio Campiello. Nel 1978 pubblica La chiave a stella, storia di un operaio montatore piemontese che gira il mondo a costruire tralicci, ponti, trivelle petrolifere, e racconta incontri, avventure, difficoltà quotidiane del proprio mestiere. A luglio, La chiave a stella vince il Premio Strega. Nell'aprile del 1982 esce Se non ora, quando?, con immediato successo. A giugno il romanzo vince il Premio Viareggio, a settembre il Campiello. Nell'aprile del 1986 pubblica I sommersi e i salvati, che rappresenta la summa delle sue riflessioni suggerite dall’esperienza del Lager.  Muore a Torino l'11 aprile del 1987, nella sua casa.

(tratto da Primo Levi, la vita e le opere, link al sito Shoa)

 

pallanimred.gif (323 byte) Girolamo Li Causi

Nato a Termini Imerese (Palermo) nel 1896. Dirigente della corrente massimalista del PSI, aderì al Partito comunista nel 1924. Arrestato nel 1928 per la sua attivià antifascista, fu condannato a 21 anni di carcere. Liberato nell'agosto del 1943, passò al Nord quale componente della direzione per l'Alta Italia del PCI. Nel dopoguerra il partito lo nominò segretario regionale per la Sicilia. Deputato alla Costituente, è stato eletto alla Camera per la prima volta nelle elezioni politiche del 1948.

 

pallanimred.gif (323 byte) Riccardo Lombardi

Nato nel 1901 a Regalbuto (Enna). E' indubbiamente una delle figure più originali e significative della storia del movimento socialista italiano. Giovane seguace di Guido Miglioli e delle idee del sindacalismo cattolico di sinistra nei primi anni’20, militante di Giustizia e Libertà e poi tra i fondatori del Partito d’Azione nel 1942, prefetto di Milano al momento della Liberazione, ministro dei Trasporti nel primo governo De Gasperi (la sua unica esperienza governativa), allo scioglimento del Partito d’Azione Lombardi confluirà nel PSI, partito nel quale militerà fino alla morte, leader con Nenni della corrente autonomista e poi, dopo la rottura all’atto della formazione del primo governo di centrosinistra, della minoranza di sinistra. A dispetto di questa biografia così ricca, su Riccardo Lombardi (come, peraltro, per altri personaggi di rilievo della storia italiana di questo secolo) manca ancora uno studio che ne ricostruisca complessivamente l’azione. Tale, infatti, non può essere considerata la biografia di taglio giornalistico di Miriam Mafai (Lombardi, Feltrinelli, Milano 1976), mentre il saggio più documentato resta quello di Emanuele Tortoreto (La politica di Riccardo Lombardi dal 1944 al 1949, Edizioni di Movimento operaio e socialista, Genova 1972), cronologicamente però limitato all’arco di pochi anni. Gli storici dei partiti e dei movimenti politici spesso lamentano, per i propri studi, la mancanza di documentazione. Eppure, in questo caso, i documenti, le carte necessarie sono ormai a disposizione degli studiosi, grazie alla donazione da parte dello stesso Lombardi e dei suoi famigliari, dell’archivio (diverse migliaia di documenti ed oltre novemila lettere: cfr. l’inventario curato da Emilio Capannelli per il Servizio beni culturali e librari della Giunta regionale toscana) alla Fondazione di studi storici “Filippo Turati” di Firenze. Alcuni di queste lettere e documenti (in parte già pubblicati nei due volumi di scritti lombardiani curata per Marsilio nel 1978 da Simona Colarizi), relativi al periodo 1943-1947, al passaggio dalla lotta clandestina e partigiana alla Liberazione e alla costruzione della democrazia, appaiono oggi in questo volume curato (con qualche refuso di troppo) da Andrea Ragusa. Ne emerge, ancora una volta, la particolarità della figura di Lombardi nell’ ambito del socialismo italiano di questo dopoguerra. Ingegnere, studioso di Keynes e Schumpeter più che di Marx, attento alla comprensione dei problemi più che alla lotta quotidiana di governo e di sottogoverno, in Lombardi la pratica politica si coniugava al delineare scenari come momento non disgiunto dall’azione politica stessa. Da qui, forse, la critica spesso rivolta a Lombardi di presbiopia politica, per la sua capacità, appunto, di vedere politicamente lontano, perdendo di vista il dato politico immediato o forse, meglio, quello partitico. In realtà, Lombardi fu anche uomo di partito, cosciente che a spaccare si fa piu’ presto che unire.
Da qui la critica, tipica di Rosselli e di GL prima, del Partito d’Azione poi, al socialismo prefascista e a quello che Lombardi chiama il "verbalismo rivoluzionario". Insomma, un Lombardi, più che presbite, lucidamente visionario o utopisticamente concreto, se si preferisce, come di fronte al problema del blocco dei licenziamenti, una misura adottata populisticamente durante l’ultimo periodo della RSI e la cui revoca Lombardi dovette affrontare come Prefetto di Milano, sottolineando che la questione non è di moralità; essa è di politica economica, ma anche insistendo sul dato politico sulla necessita’ assoluta che si provveda senza indugio non solo alla avocazione dei profitti di regime, ma altresi’ a una politica fiscale degna di un governo democratico e che faccia pagare il costo della guerra e del fascismo e l’onere della ricostruzione a tutti coloro che risultano detentori di ricchezze. Centrale diventa quindi, in questi scritti, la questione della costruzione della democrazia: Che cosa è essenziale per la nascita di una democrazia in Italia? E’ essenziale che il Paese sia attivizzato, che il piu’ gran numero possibile di lavoratori di tutti i ceti sia interessato politicamente ed economicamente ad uno Stato democratico, al punto che tutti si sentano minacciati quando la democrazia è in pericolo. E cosi’ altri progetti, come l’istituzione di un istituto di revisione nazionale (strumento per garantire ai lavoratori che le condizioni della libertà economica siano fatte coincidere con i loro interessi essenziali e quindi con il benessere generale), la sottolineatura del ruolo dell’Europa e di quello delle autonomie locali (fino a proporre, lui Prefetto di Milano, l’abolizione della figura stessa di Prefetto). Il teorico delle riforme di struttura, dell’azione riformatrice e non riformista, l’ideologo (e lo sconfitto) del primo centrosinistra è già in queste pagine.
Riccardo Lombardi morì nel 1984.

(a cura di Giovanni Scirocco)

pallanimred.gif (323 byte) Luigi Longo

Nato a Fubine (Alessandria) il 15 marzo del 1900. Dal Monferrato si trasferisce con il padre a Torino, dove la sua famiglia apre una mescita di vino in corso Ponte Mosca, nei pressi dello stabilimento Grandi Motori della Fiat che ha aperto da poco. Una vita di stenti. I suoi vogliono che diventi falegname, ma a scuola è così bravo che decidono di farlo studiare, per farne uno “statale”. Nel ’20 la sua prima tessera, si iscrive al circolo socialista studentesco di Torino; conosce Antonio Gramsci e Togliatti, frequenta la sede dell’Ordine Nuovo, nel centro della città. Nel ’21 è a Livorno, tra i fautori della scissione che porta alla nascita del Pci. E’ancora studente del Politecnico, ha superato bene il primo anno di esami ma, da allora in poi, i suoi studi universitari vengono sacrificati all'impegno politico e alla famiglia (aveva già due figli). Nel '22 è membro di una delegazione che si reca a Mosca per il congresso dell'Internazionale, dove incontra Lenin. A Mosca ci andrà varie volte, a partire dal congresso di Lione; nel 1926, appunto, ci va portando con sé il figlioletto di tre anni, che ha avuto da Estella, Teresa Noce, sua compagna da qualche anno. Incontra Stalin, naturalmente, e tutti gli alti gradi del Cremlino. La capacità di Longo come dirigente emerge in modo straordinario nella guerra di difesa della Repubblica spagnola.  Le Brigate internazionali che Longo dirige sono anche luogo di esperienza politica unitaria – spesso ardua – tra comunisti, socialisti, democratici. Lui è il mitico Gallo, l’ispettore generale delle Brigate internazionali. La risolutezza di Longo nell'assumersi delle responsabilità e nel prendere delle decisioni, la sua calma e il suo sangue freddo nel mezzo dei pericoli, furono, assieme a una grande conoscenza degli uomini e alla scrupolosa cura dei dettagli, fra i principali elementi della coesione e dei successi, ancorché mai definitivi, data la sproporzione degli armamenti, delle Brigate internazionali. La Repubblica spagnola sarà drammaticamente perduta. Ma quando sarà necessario iniziare la lotta di resistenza ai tedeschi, quel patrimonio sarà prezioso. Dopo l'8 settembre del '43, diede vita alle Brigate Garibaldi. Vicecomandante del Corpo Volontari della Libertà, stretto collaboratore di Parri, fu tra i principali organizzatori dell'insurrezione nel Nord Italia dell'aprile del '45. Nel dopoguerra, deputato per tutte le legislature, alla Camera si batté soprattutto per le pensioni. Succeduto a Palmiro Togliatti alla guida del Pci, fu segretario dal 1964 al 1972, e divenne poi presidente del partito. Da dirigente comunista non  rinunciò  ad esprimere  le proprie convinzioni anche quando queste potevano sembrare “controcorrente” all’interno del Partito. Nel 1968, infatti, incontrò i dirigenti del movimento studentesco e in un articolo Rinasciata non esitò a dire: «Non si può negare che ci sia stato distacco tra il Partito e la realtà politica che si è venuta creando nel campo studentesco». In un altro momento delicato, nel 1976 criticò apertamente la politica del Partito nei confronti del governo Andreotti. Morì a Roma nel 1980.

 

pallanimred.gif (323 byte) Roberto Lordi

Generale di brigata aerea in congedo, di 49 anni. Nato a Napoli l'11 aprile 1894 da Gregorio e da Rosina D'Antona. Sposato con Livia Boglione, ebbe un figlio, Roberto. Studiò al collegio dell'Annunziatella. Durante la prima guerra mondiale combatté come ufficiale dell'artiglieria di montagna, distinguendosi nelle battaglie dell'Isonzo e del Piave e guadagnando diverse decorazioni al valor militare. Laureatosi in ingegneria aeronautica al Politecnico di Torino, dal '23 prestò servizio in Libia come comandante dei bombardieri veloci dello "Stormo di ferro". Nel '27 realizzò il primo lancio collettivo di paracadutisti e l’anno dopo fu tra i protagonisti del raid Roma-Torino-Londra. Primo nel mondo sorvolò in aereo il massiccio del Tibesti, identificando la misteriosa oasi di Cufra. Nel '33 fu inviato in Cina, a capo di una missione militare. Qui conobbe il generale Chang-Kai-Schek, conquistando la sua fiducia, tanto da diventare capo di Stato Maggiore dell'aeronautica cinese e ottenere una serie di commesse per l'Italia, che però vennero gestite in maniera superficiale. La relazione negativa che spedì a Mussolini gli attirò l'avversione delle alte sfere militari, che nel '35 ne chiesero il rimpatrio e poi il collocamento a riposo. Per sopravvivere fu assunto, insieme all'amico Sabato Martelli Castaldi, al polverificio Stacchini di Roma. L'8 settembre del ’43 accorse a Porta San Paolo a combattere contro i tedeschi. Pur sofferente di cuore, entrò nella Resistenza e, quando il polverificio fu requisito dai tedeschi, sottrasse ingenti quantità di esplosivo per le bande partigiane della zona. Ospitò nella propria villa di Genzano ufficiali e civili ricercati dalle SS e organizzò formazioni armate sui Monti Prenestini ed intorno ad Alatri, in contatto radio con le truppe alleate. Quando il 7 gennaio del '44 il proprietario dello stabilimento fu arrestato, insieme a Martelli si presentò spontaneamente al comando tedesco. Rinchiuso nel carcere di via Tasso (cella n. 1) e torturato più volte, non rivelò il nome dei compagni di lotta. Fu fucilato il 24 marzo alle Fosse Ardeatine. Prima che la scarica lo abbattesse, gridò "Viva l’Italia". Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

 

pallanimred.gif (323 byte) Emilio Lussu

Nasce ad Armungia, piccolo paese in provincia di Cagliari, il 4 dicembre 1890. Della vita paesana serberà sempre un ricordo indelebile, considerandola indispensabile per la sua formazione democratica. Laureato in giurisprudenza, è favorevole all’entrata in guerra contro l’Austria. La consapevolezza politica, dopo il confuso agitazionismo interventista che ne ha caratterizzato il periodo studentesco, nasce sui fronti della Prima Guerra Mondiale, alla quale partecipa come capitano di fanteria della Brigata "Sassari". E' l'occasione in cui, non soltanto Lussu, ma una intera generazione di contadini e pastori sardi, hanno la possibilità di aprire gli occhi sulla propria condizione sociale: la guerra diventa perciò scuola rivoluzionaria (vedi Un anno sull'altipiano). La Sardegna post-bellica, gravemente impoverita dal conflitto, è terreno fertile per l'azione politica del Partito Sardo d'Azione, fondato nel 1921 da Lussu, Bellieni ed altri ex combattenti, che si pone a sinistra come portatore delle istanze delle classi proletarie in un quadro di recupero della questione nazionale sarda. Lussu è eletto deputato nelle elezioni del 1921 e del 1923, il periodo di ascesa del movimento fascista. Il sardismo si divide: abilmente gli emissari di Mussolini portano dalla loro una parte del partito, e lo stesso Lussu inizialmente non valuta a pieno il pericolo di un dialogo con i fascisti. Tuttavia la posizione successiva è netta: antifascismo intransigente. Dopo il delitto Matteotti, partecipa alla «secessione aventiniana». Nel ’26 è dichiarato decaduto dal mandato parlamentare e viene perseguitato dai fascisti: nello stesso anno è aggredito in casa da squadristi sardi e per legittima difesa è costretto ad uccidere uno degli assalitori (vedi Marcia su Roma e dintorni). La magistratura cagliaritana, non ancora soggiogata dal regime, lo assolve, ma viene immediatamente confinato a Lipari. E' l'isola che ospita di lì a poco un altro personaggio chiave del movimento antifascista: Carlo Rosselli. I due, con Fausto Nitti, e grazie all'indispensabile aiuto di Gioacchino Dolci e Paolo Fabbri, riescono ad evadere in motoscafo nel luglio del '29 (vedi La catena). Raggiunta Parigi si mettono in contatto con i fuorisciti riuniti intorno alla figura di Salvemini: nasce il movimento Giustizia e Libertà. Pur partecipando in modo saltuario alla vita politica a causa delle precarie condizioni di salute, riesce a collaborare con una certa assiduità al settimanale ed ai quaderni del Movimento, facendosi promotore di un suo più marcato e consapevole indirizzo socialista (vedi Lettere a Carlo Rosselli e altri scritti di Giustizia e Libertà; La teoria dell'insurrezione). Dopo l'assassinio di Carlo Rosselli nel '37 eredita il timone del Movimento, del quale evita la dispersione, specialmente nel difficile periodo dell'offensiva tedesca in Francia. Inizia il periodo della "diplomazia clandestina", con l'aiuto importantissimo dalla moglie Joyce, durante il quale tenta di proporre agli Alleati il progetto di un colpo di mano che permetta di far crollare il regime fascista a partire dall'insurrezione della Sardegna. Il suo peregrinare fra i centri di comando degli Alleati non porta alcun appoggio concreto al progetto, ma mostra loro, in ogni caso, l'esistenza di un fronte antifascista pronto ad assumere la responsabilità di una partecipazione diretta al conflitto (vedi Diplomazia clandestina). Riesce a rientrare in Italia soltanto nell'agosto del '43. Nel frattempo ha saputo della nascita del Partito d'Azione, nel quale, pur consapevole delle differenze politiche, ma spinto dalla superiore esigenza unitaria della lotta di liberazione, fa confluire il Movimento GL. Si installa nella Roma occupata dai nazisti e insieme a Ugo La Malfa regge il partito sino alla conclusione della guerra. Mentre il PdA si lacera in una lotta intestina fra filosocialisti (riuniti intorno a Lussu) e filocentristi (guidati da La Malfa), assume l'incarico di ministro nei governi Parri e De Gasperi (vedi Sul Partito d'azione e gli altri). E' inoltre deputato alla Costituente e senatore di diritto. Ma anche il Partito sardo, che aveva lasciato al momento dell'esilio su posizioni di sinistra, è ora retto da una maggioranza moderata, molto attenta agli interessi dei ceti proprietari e delle libere professioni, per di più attraversata da umori separatisti: la sua battaglia per riportare il partito allo spirito originario viene persa e Lussu va via per formare una gruppo che poi aderirà al PSI (con tessera retrodatata al 1919, l'anno delle grandi lotte contadine e operaie combattute in Sardegna, che lo videro fra i principali protagonisti). Il periodo da parlamentare socialista è ricco di interventi in aula e fuori: dalla questione dell'adesione alla NATO al riconoscimento della Cina comunista, dalla difesa della Repubblica democratica e antifascista alle lotte per lo sviluppo economico e il progresso sociale della Sardegna (vedi Essere a sinistra; Discorsi parlamentari). Il 1964 segna la rottura con il PSI: la decisione di Nenni di entrare nel governo di centrosinistra a guida democristiana provoca la scissione che porta alla fondazione del PSIUP, una formazione che avrà però vita breve: la sconfitta elettorale ne accelera l'adesione al PCI, ma Lussu, coerentemente con la sua storia, rifiuta di confluire. Si spegne a Roma nel 1975.

(a cura del Circolo GL di Sassari)

 

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