Biografie della Resistenza Italiana          

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pallanimred.gif (323 byte) Alcide De Gasperi

Nacque nel 1881 a Pieve Tesino, quando queste montagne del Trentino appartenevano ancora all’Impero austro-ungarico anche se erano territori di lingua italiana. Nel Parlamento viennese entrò in rappresentanza dell’intera comunità italiana trentina più che di una specifica parte politica. Dopo il passaggio del Trentino e dell’Alto Adige all’Italia continua l’attività politica nel Partito Italiano Popolare di don Luigi Sturzo. Diventa, in breve tempo, il presidente del partito.
Attorno a questi due eminenti uomini politici cominciava a formarsi una nuova classe dirigente cattolico-popolare (Gronchi, Piccioni, Scelba) che in breve tempo sostituì i vecchi notabili alla Meda e, resistendo alle tentazioni ed alle sirene del fascismo (anche se, purtroppo, furono in pochi a non scendere a patti con il potere mussoliniano), divennero, nel secondo dopoguerra, i “padri nobili” della Democrazia Cristiana e, come nel caso dello statista trentino, anche del Paese.
Come si è già detto De Gasperi fu una dei pochi leader popolari a non accettare accordi col regime benché fosse stato, nel 1922, favorevole alla partecipazione dei popolari al primo gabinetto Mussolini. Dopo l’omicidio Matteotti, l’opposizione al regime ed al suo Duce fu ferma e risoluta anche se coincise col ritiro dalla vita politica attiva a seguito dello scioglimento del P.I.P. ed al ritiro nelle biblioteche vaticane per sfuggire alle persecuzioni del fascismo.
Dopo la caduta del fascismo e l'armistizio con gli Alleati,  De Gasperi rifonda la Democrazia Cristiana clandestina, entra nel Cln, e definisce il suo un "partito di centro che guarda verso sinistra". Le sinistre, con qualche malumore dei socialisti e degli azionisti ed il netto rifiuto dei repubblicani, accettano di accantonare la questione istituzionale (cioè la scelta tra monarchia e repubblica) rinviandola a dopo il conflitto impegnandosi al massimo per la liberazione del suolo patrio dall’invasore nazista e dal suo complice fascista: fu la “svolta di Salerno” da cui nacque un ampio fronte di resistenza nazionale che andava dai comunisti ai militari monarchici badogliani, dai socialisti ai liberali includendo il neonato partito cattolico, la Democrazia Cristiana, di cui De Gasperi fu fondatore e leader. Si formò, così, il secondo governo Badoglio in cui sono rappresentati tutti capi dell’antifascismo da Togliatti a Croce, da Nenni allo stesso De Gasperi.
Dopo i quarantacinque giorni di governo del Maresciallo si formò un governo guidato da un “politico”, Ivanoe Bonomi, leader della socialriformista Democrazia del Lavoro, erede del vecchio Partito Socialista Riformista Italiano fondato nel 1912 dallo stesso Bonomi.
Dopo la liberazione la guida dell’esecutivo passò nelle mani dell’azionista Ferruccio Parri, il popolare “Maurizio” della Resistenza di cui era stato leader e che era stato liberato dagli uomini di Silvio Trentin.
In tutti questi governi De Gasperi rappresentò, come aveva già fatto nei CLN, la DC ed in qualità di Ministro degli Esteri condusse le trattative di pace tenutesi a Parigi, in cui l’Italia compariva sul banco degli imputati, tenendo un memorabile discorso in cui, affermando che tutto, tranne la personale simpatia dei presenti, gli era avversa, riuscì a miscelare ragion di stato e sentimenti personali riuscendo, così, anche ad instaurare ottimi e duraturi rapporti personali con i maggiori esponenti democristiani, moderati e conservatori europei; tali rapporti si riveleranno essenziali nella costitutiva della futura comunità europea.
La destra democristiana ed i liberali provocarono ben presto la caduta del governo Parri ritenuto troppo spostato a sinistra e troppo legato al movimento partigiano, De Gasperi affermò che la Democrazia Cristiana non voleva affatto né un ritorno al passato né, tantomeno, una svolta autoritaria.
Ciò fu determinante per la conquista della Presidenza del Consiglio dei Ministri da parte del leader democristiano. Benché la formula di governo continuasse ad essere di unità nazionale, l’assegnazione della guida dell’esecutivo ad un esponente del centro segnò una svolta moderata nella vita politica de Paese.
Nel giugno del 1946 l’Italia va alle urne ed il corpo elettorale è chiamato a scegliere la forma di governo (monarchia o repubblica) ed ad esprimere preferenze politiche e partitiche per la composizione dell’Assemblea Costituente il cui compito sarà il redigere la nuova Costituzione.
De Gasperi si esprime, in privato (lo ha ricordato la figlia Maria Romana) per la repubblica, ma la DC lascia libertà di voto a causa delle forti lacerazioni interne tra un elettorato progressista ed uno conservatore; è il primo sintomo dell’ambiguità della Balena Bianca: sarà così per tutta la prima fase della storia repubblicana.
Vince la Repubblica e la DC ottiene la maggioranza relativa dei voti: De Gasperi viene riconfermato alla guida del governo di unità nazionale democratica antifascista.
La situazione politica mondiale comincia ad essere critica a seguito delle tensioni tra le due superpotenze, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica: comincia a calare la “cortina di ferro”.
Della primavera del 1947 il Presidente del Consiglio si reca negli Stati Uniti e sposa la “dottrina Truman”: fuori i socialcomunisti di Nenni e Togliatti dal governo, appoggio dei socialdemocratici (grazie alla scissione di Palazzo Barberini da parte di Saragat), adesione al modello occidentale statunitense in politica estera ed acquisizione del modello di sviluppo capitalista e liberista, tutto ciò in cambio di aiuti economici ed alimentari.
L’anno successivo, il 18 aprile 1948, De Gasperi vede riconfermata la sua linea politica dal corpo elettorale che, nelle elezioni legislative generali, assegna alla Democrazia Cristiana la maggioranza assoluta dei seggi al Parlamento con il 48% dei voti.
Iniziava il predominio bianco sulla scena politica italiana che si trasformerà in un cinquantennio di potere incontrastato anche se legittimato dal responso delle urne.
Però, nonostante la fine dell’unità antifascista, il 27 dicembre 1947 l’Assemblea Costituente approvò la nuova Costituzione repubblicana, frutto dell’incontro tra la cultura della sinistra, il pensiero cattolico popolare e la tradizione liberaldemocratica.
La nuova Carta Costituzionale entrò in vigore il 1 gennaio del 1948.
De Gasperi guidò il governo, che comprendeva oltre ai democristiani i socialdemocratici (PSLI, poi PSDI) di Saragat, i liberali di Luigi Einaudi e Gaetano Martino (PLI) ed i repubblicani di Randolfo Pacciardi (PRI), fino al 1953 attuando una politica di risanamento e di sviluppò che, pur dando ottimi e lusinghieri risultati, vide escluse le masse operaie e lavoratrici su cui si riversarono massimamente i costi della già citata politica economica e sociale: furono quelli che Italo Calvino chiamava gli anni della “grande bonaccia”.
Le tensioni tra le due parti raggiunse il massimo nell’estate del 1948 a seguito dell’attentato subito da Togliatti da parte del giovane fascista Antonio Pallante, ma l’intelligenza dei leader di governo e di sinistra impedì il peggio: l’Italia era stanca di guerra ed odio, voleva pace, sviluppo e benessere per tutti. Anticomunista, apprezza il modernismo Usa (Un americano a Roma con Alberto Sordi potrebbe essere un suo manifesto) come antidoto all'integralismo vaticano. Modella con comunisti e socialisti la Costituzione, discute, sempre con loro, il trattato di pace. E senza di loro contratta con Truman gli aiuti del piano Marshall e l'adesione dell'Italia alla Nato (1949) battendo il lungo ostruzionismo di Togliatti e Nenni.
Il cattolico ed antifascista De Gasperi nel 1953 seppe dire di no al Vaticano ed all’anziano don Sturzo opponendosi all’apertura a destra e all'alleanza con monarchici e fascisti per le amministrative romane (operazione Sturzo). Il Vaticano non glielo perdonò mai ed il pontefice Pio XII non ricevette lo statista in occasione del trentesimo anniversario del suo matrimonio.
De Gasperi seppe accettare, affrontare e sopportare l’umiliazione con la dignità propria di un vero galantuomo.
La carriera politica degasperiana finisce nel 1953 quando le elezioni legislative generali vedono bocciata la famigerata “legge truffa” che, nelle intenzioni dei suoi ideatori (De Gasperi e Scelba) doveva contribuire al mantenimento della stabilità del quadro politico nazionale, invece secondo i suoi critici nella migliore delle ipotesi era un modo per camuffare le contraddizioni presenti nella maggioranza e più specificatamente in seno al partito di maggioranza relativa, oppure, nella peggiore delle ipotesi era uno strumento antidemocratico che ricordava la “legge Acerbo” del ventennio fascista.
Opera principale della politica degasperiana fu la politica estera e la creazione dell’embrione della futura Unione Europea: fu l’illuminazione dell’idea europeista vista come grande opportunità per gli italiani e l’Italia per superare le proprie difficoltà.
Lo statista trentino morì nel '54, appena un anno dopo l’abbandono della guida del governo.

(notizie tratte dalla biografia di Luca Molinari)

pallanimred.gif (323 byte) Raffaele De Grada

Nasce a Zurigo il 28 febbraio 1916 da una famiglia di pittori, emigrati dall’Italia nei primissimi anni del secolo. Ritornato in Italia con la famiglia durante la prima guerra mondiale, studia a S. Gimignano, a Firenze e infine a Milano, dove inizia molto presto l’attività di critico d’arte su L’Italia Letteraria, L’Orto, Augustea, finchè, insieme ad un gruppo di giovani intellettuali milanesi, pubblica Corrente, un mensile di concentrazione di tutte le forze culturali antifasciste del periodo. Arrestato dai fascisti nel 1938 e nel 1943, De Grada, dopo aver fatto due anni di guerra in Sicilia, è partigiano combattente, prima organizzatore a Milano e in Lombardia, poi in Toscana, dove partecipa alla liberazione di Firenze. Commentatore politico e dirigente RAI da 1944 al 1952, ha diretto le riviste d’arte e letteratura Il ’45 e Realismo, è stato critico d’arte per L’Unità, Giorni-Vie Nuove, L’illustrazione Italiana e, soprattutto, per la RAI. Autore di numerosi saggi di storia dell’arte contemporanea e dell’Ottocento, ha insegnato Storia dell’Arte all’Accademia di Brera, ha diretto l’Accademia e la Pinacoteca Comunale di Ravenna e l’Accademia di Arte e Restauro di Como. E’ stato consigliere comunale di Milano e deputato al Parlamento. E’ attualmente collaboratore del Corriere della Sera, di Arte Mondadori e di altri periodici. (a cura di Sandra Fiore)

 

pallanimred.gif (323 byte) Salvo D'Acquisto

 

pallanimred.gif (323 byte) I fratelli Di Dio ( Alfredo e Antonio)

Nati a Palermo, Alfredo il 4 luglio 1920, Antonio il 17 marzo 1922, si trasferiscono con la famiglia a Cremona nel 1928. Dopo gli studi, ginnasio per Alfredo, liceo classico per Antonio, entrambi intraprendono la carriera militare. Alfredo entra all’Accademia militare di Modena nel 1939 e diviene sottotenente del 1° Reggimento Carristi stanziato a Vercelli. Antonio arriva invece a Modena nel 1941 ed è nominato sottotenente del 114° fanteria dislocato in Calabria. L’8 settembre Alfredo, che si trova a Novara, si reca dal comandante della piazzaforte e chiede di organizzare l’opposizione ai tedeschi. Dopo il rifiuto di quest’ultimo, sfugge all’arresto e, allontanatosi dalla cittadina, costituisce un primo nucleo resistenziale nei pressi di Cavaglio. Antonio, nel frattempo, dopo tre giorni di prigionia riesce a fuggire dal carcere di Parma; si nasconde alcuni giorni in una casa e poi decide di trasferirsi in Piemonte dove riesce a ricongiungersi ad Alfredo. Il gruppo dei due fratelli si fonde a fine dicembre con il nucleo capitanato da Filippo Feltrami dando vita alla "Brigata Patrioti Valstrona". Il comando della Brigata è assunto da Feltrami mentre ad Alfredo Di Dio spettano le competenze militari e le funzioni di reclutamento; Antonio è ufficiale d’ordinanza. A gennaio la formazione si trasferisce in Val d’Ossola e Alfredo, inviato in missione a Milano, è arrestato e trasferito nel carcere di Novara. Qui, apprende dai genitori la morte del fratello Antonio e del comandante Beltrami avvenuta il 13 febbraio negli scontri a fuoco presso Megolo. Rilasciato il 6 marzo, Alfredo riprende la sua attività in Val Strona e dà successivamente vita ad una nuova formazione nell’Ossola, la Brigata alpina d’assalto "Filippo Beltrami". Sono giorni di attività incessante. Aristide Marchetti, un membro della sua formazione, lo ha così ricordato: " Sembra un padre, ed è più giovane di noi. Sembra un riflessivo comandante ed è più ardito di noi. Sembra il più gracile e non si riposa mai. E’ primo, sempre, davanti a tutti, in ogni azione di rischio". Nella libera Repubblica dell’Ossola, Alfredo, che ha da poco assunto il nome di battaglia "Marco", comanda la divisione Valtoce, posizionata sulla linea fra il lago d’Orta e il lago Maggiore. Durante l’attacco condotto contro la Repubblica partigiana da tedeschi e militi della Rsi cade ferito a morte, il 12 ottobre, in un’imboscata sulla strada che da Firno conduce a Canobbio. Nei giorni della Liberazione la divisione "Di Dio" inquadrerà 22 mila partigiani. (a cura di Massimiliano Tenconi)

 

 

 

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