Biografie della Resistenza   Romana

       

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Fortunato Caccamo

Carabiniere, di 21 anni. Nato a Gallina (Reggio Calabria) il primo febbraio 1923 da Antonio e da Maria Cuzzocrea. Soldato di leva nel '41, fu congedato nel marzo del '42 e nel settembre dello stesso anno si arruolò nella Legione carabinieri di Roma, per una ferma di tre anni, prestando servizio alla Stazione Termini. Iscrittosi all’università, il 9 e il 10 settembre del ’43 partecipò alla difesa di Roma. Il 7 ottobre, quando il comando tedesco dispose l'evacuazione dei carabinieri dalla capitale, si diede alla macchia, unendosi alla banda dei carabinieri guidata dal generale Filippo Caruso. Il suo nome di battaglia era "Tito". Nei mesi successivi la banda Caruso, collegata al Fronte militare clandestino di Montezemolo, fu protagonista di varie azioni nella zona dei Monti Albani e di Palestrina, in collaborazione con la formazione guidata dai maggiori Ebat e Dessy. Catturato su delazione il 7 aprile del '44, a Piazza Bologna, mentre trasportava importanti documenti, fu rinchiuso nel carcere di via Tasso per 37 giorni e più volte torturato. Trasferito a Regina Coeli, fu sottoposto a processo e il 9 maggio fu condannato a morte dal Tribunale militare di guerra tedesco. Fu fucilato alle ore 10 del 3 giugno, il giorno prima della liberazione di Roma, sugli spalti di Forte Bravetta, da un plotone della Pai (Polizia Africa Italiana), insieme a Costanzo Ebat, Mario De Martis e altri tre partigiani. Medaglia d'oro al valor militare.

 

Franco Calamandrei

Nato a Firenze il 21 settembre del 1917 da Piero. Si laureò in giurisprudenza all'Università fiorentina nel '39, ma i suoi interessi andavano alla letteratura. Dopo aver collaborato a Firenze con varie riviste letterarie ("Rivoluzione", "Campo di Marte"), si trasferì a Roma. Nel '43 si iscrisse al PCI. Partecipò alla Resistenza romana come vice-comandante dei Gap, con il nome "Cola". Fu a capo della formazione che organizzò l'azione di via Rasella, del 23 marzo del '44. Fu anche protagonista di una rocambolesca fuga dalla pensione Jaccarino, in via Romagna, adibita a carcere dai torturatori della banda Koch. Insignito di medaglia d'argento al valor militare, dopo la Liberazione lavorò a Milano al "Politecnico" di Elio Vittorini e a "l'Unità" come corrispondente da Londra (1950-53), inviato in Cina (1953-56) e nel Vietnam ('54). Nel '68 fu eletto al Senato e fu rieletto nelle legislature successive. È stato vice-presidente della commissione esteri, della Commissione d'inchiesta sulla P2 e della commissione del Consiglio d'Europa per i rapporti con i parlamenti nazionali, fino alla sua morte, nel settembre del 1982.

Giordano Calcedonio

Carabiniere, di 27 anni. Nato a Palermo l'11 luglio del 1916. Arruolatosi volontario nella Legione carabinieri di Roma, dopo aver conseguito il titolo di studio ottenne di frequentare la Scuola allievi ufficiali di Firenze. Sopraggiunto l'armistizio, rientrò a Roma e durante l'occupazione tedesca entrò a far parte della formazione partigiana comandata dal generale Filippo Caruso. Distintosi in numerose azioni, nel gennaio '44 venne catturato e, due mesi più tardi, ucciso dai tedeschi alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del '44.

 

Luigi Cano

Tenente colonnello dei carabinieri. Nato a Iglesias (Cagliari) il 1905. Dopo l’armistizio, entrò a far parte del Fronte militare clandestino della Resistenza, guidato da Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo. Fu protagonista di varie azioni di sabotaggio e di importanti missioni di guerra, sfuggendo tre volte alla cattura. Arrestato dalle SS in seguito a delazione, fu rinchiuso in via Tasso, nella cella n. 12, dove fu sottoposto a torture. Il 3 giugno del ’44, il giorno prima della liberazione di Roma, fu deportato dai tedeschi in fuga al Nord e poi in Germania. Riuscito ad evadere, aiutò altri compagni a fuggire. Medaglia d’argento al valor militare.

 

Carla Capponi

Nata a Roma il 7 dicembre del 1918 da Giuseppe e da Maria Tamburri. Studentessa di Legge, subito dopo la caduta del fascismo cominciò a collaborare attivamente con il Pci, tramite Gioacchino Gesmundo. L'8 settembre del '43 a Porta San Paolo salvò un ufficiale italiano ferito, intrappolato in un tank. Poi la sua casa borghese in piazza del Foro di Traiano aveva iniziato ad ospitare le riunioni dei Gap, guidati da Antonello Trombadori, Carlo Salinari e Franco Calamandrei. Di carattere estremamente deciso, Carla Capponi, detta l’«inglesina», aveva rifiutato però di essere confinata in un ruolo sussidiario e nell'ottobre del '43 si era procurata da sola una pistola disarmando su un autobus un milite della Gnr (i suoi compagni dei Gap gliela negavano, perché preferivano riservare alle donne funzioni di appoggio). Entrò poi a far parte del Gap comandato da Carlo Salinari, insieme al fidanzato Rosario Bentivegna (poi diventato suo marito), con il nome di battaglia di "Elena". Partecipò a varie azioni contro i tedeschi, tra cui l'attacco alle carceri di Regina Coeli. Da sola fece saltare in aria un automezzo tedesco e attaccò postazioni tedesche. Il 23 marzo del 1944 fu tra gli organizzatori e gli esecutori dell’attacco di via Rasella contro un contingente dell’esercito tedesco.  Fu anche vicecomandante di un'unità partigiana nei pressi di Roma, a Palestrina e sui Monti Prenestini. Riconosciuta partigiana combattente con il grado di capitano, è stata decorata di medaglia d’oro al valore militare per aver partecipato, si legge tra l’altro nella motivazione, "alle più eroiche imprese nella caccia senza quartiere che il suo gruppo di avanguardia dava al nemico annidato nella cerchia abitata della città di Roma". Più volte parlamentare del PCI, membro della Commissione Giustizia nei primi anni settanta, consigliere comunale a Roma, ha fatto parte fino all'ultimo del Comitato di presidenza dell’ANPI. Nel ’96, per iniziativa di un parente di un ragazzo rimasto ucciso in via Rasella, era finita sotto inchiesta insieme a Rosario Bentivegna e a Pasquale Balzamo. Ma la Cassazione aveva chiuso definitivamente la questione con un non luogo a procedere perché «il fatto non è previsto dalla legge come reato».
Recentemente aveva pubblicato, per i tipi de "il Saggiatore", un volume sull’attività dei GAP a Roma dal titolo "Con cuore di donna". E' morta a Zagarolo (Roma) il 24 novembre del 2000.

 

Mario Caracciolo di Feroleto

Generale. Nato a Napoli nel 1880. Di nobile famiglia napoletana, ufficiale di carriera, alternò il comando di reparti (partecipando alle due guerre mondiali) agli studi e all'insegnamento di storia e arte militare. Diresse per alcuni anni la "Rivista di artiglieria e genio". Nel corso della seconda guerra mondiale ebbe il comando della IV, della II e, in ultimo, della V Armata. L'8 settembre del 1943 fu tra i pochi generali che cercarono di sopperire con proprie iniziative alle carenze degli alti Comandi. La zona affidata alla sua armata, comprendente la Toscana, l'alto Lazio e La Spezia, fu quella che resistette più a lungo e più efficacemente ai tedeschi. A La Spezia gli alpini - sostenuti dallo stesso C. finché fu possibile tenere i collegamenti - impedirono ai nazisti di raggiungere la calata del porto prima che le navi dirette a Malta prendessero il largo. In taluni casi (Siena, Orvieto), l'iniziativa - il cui centro operativo era a Viterbo - non ebbe apprezzabili rispondenze, ma in altri settori, come l'importante nodo ferroviario di Chiusi, venne seguita da una resistenza salda e organizzata: elementi della Divisione "Ravenna" al comando del colonnello Frau, tennero Chiusi fino all'11 settembre; e sino a quella stessa data resistettero anche le posizioni di Radicofani, Abbadia San Salvatore e Piancastagnaio agli ordini del colonnello De Bonis. Nella lotta clandestina, la sua vicenda e quella e del suo Comando furono movimentate. Trasferendosi verso Orte, nei pressi di Amelia, si vide tagliata la strada da un reparto della III "Panzer" tedesca: nella scaramuccia che ne seguì, il generale si trovò a combattere insieme alle forze popolari. Respinti i tedeschi ripiegò su Firenze, dove si fece promotore di ultimo ormai impossibile tentativo di difesa della città. Era il 12 settembre : le notizie provenienti dal resto d'Italia, in mancanza di ulteriori disposizioni dall'alto lo indussero a sciogliere il Comando. Quello stesso giorno raggiunse Roma e si pose a disposizione del generale Caviglia, collaborando poi col Comando della città aperta. Il 24 settembre riuscì a stento a sottrarsi all'arresto da parte dei tedeschi. Passato nella clandestinità (sul suo capo pendeva una taglia di 20.000 lire), entrò in contatto con il colonnello Montezemolo. Il suo contributo alla organizzazione del Fronte militare clandestino, che egli cercò di sviluppare anche in direzione dei "volontari" civili attraverso contatti con alcune personalità politiche antifasciste (tra le quali Gronchi), gli ottenne la proposta da parte di Montezemolo di assumere il comando delle forze clandestine operanti nell'Italia Centrale. Ma ancora prima che la proposta si concretasse, gli uomini della banda Koch, violando l'extra-terntorialità del monastero di San Sebastiano dove era rifugiato, lo trassero in arresto. Dalle mani dei fascisti passò in quelle delle SS tedesche nelle carceri di Verona, poi di Venezia e infine di Brescia, dove fu processato insieme con i generali Robotti, Gariboldi, Vecchiarelli e Rosi. Il Tribunale speciale fascista, sulla base di uno scritto durante la cui redazione era stato catturato (e che egli pubblicherà, dopo la Liberazione, col titolo "E poi? La tragedia dell'esercito") lo condannò a morte, pena commutata in 15 anni di carcere perché mutilato di guerra. Nel periodo di detenzione. prima e dopo il processo, il generale ebbe contatti con la Resistenza, tramite reclusi politici e cappellani delle carceri nelle quali era detenuto, finché fu liberato dai partigiani, il 25 aprile del 1945. Nel dopoguerra pubblicò vari saggi, tra cui "Tradimento italiano o tedesco?" (1946), "Le sette carceri di un generale" (1948), "L'ultima vicenda della V Armata", studio apparso postumo sulla "Rivista Storica Italiana", 1957-1958. Morì a Roma nel 1954.

 

Luigi Castellani

Impiegato del ministero dell'Interno, di 39 anni. Nato a Roma il 19 maggio 1904 da Giuseppe e da Costanza Pini. Iscrittosi giovanissimo alla Scuola d'arte del Comune di Roma, in via S. Giacomo, fu allievo di Attilio Giuliani, uno dei maestri dell'incisione italiana. Assunto come "fattorino" al ministero dell'Interno, divenne poi "usciere capo" del gabinetto del ministro. Di idee socialiste, nel '38, avendo saputo in anticipo dell'emanazione delle leggi razziali, avvertì i conoscenti ebrei. Salvò anche un gruppo di antifascisti italiani a Parigi, segnalando che tra di loro c'era una spia al soldo del Regime. Incisore di indubbie qualità, eccelleva nel campo della xilografia. Alcune sue opere parteciparono ad alcune esposizioni internazionali, come le "Biennali" di Milano e Venezia. Dopo l'8 settembre del '43 entrò nella Brigata Matteotti, agendo come "infiltrato" al Viminale, retto in quel periodo da Guido Buffarini Guidi, e aiutando molti ricercati politici a sottrarsi alle grinfie della polizia. Il 4 aprile del '44, mentre cercava di trovare un rifugio per il cognato Luigi Ceci, accanito e attivo antifascista, fu arrestato dai tedeschi e rinchiuso a Regina Coeli, presso il III braccio (cella 279), da dove il 23 maggio fu trasferito in via Tasso. Nella notte del 3 giugno insieme a 13 compagni (tra cui Buozzi e Dodi) fu costretto a salire su un camion delle SS che abbandonavano la capitale per l'avanzata degli Alleati. Il giorno successivo Castellani e i compagni furono fucilati dai tedeschi in un vallone presso la tenuta La Storta.

 

Giuseppe Celani

Ispettore capo dei servizi annonari, di 42 anni. Nato a Roma il 28 agosto 1901 da Giovanni e da Adelaide Scaparro. Di nobile famiglia romana (il padre era conte), in gioventù fu uno sportivo di valore, soprattutto in campo automobilistico. Massone, era iscritto all’Unione nazionale della democrazia, fondata da Placido Martini. Dopo il 25 luglio del '43 aderì al Partito Democratico del Lavoro. Durante l’occupazione tedesca, avvalendosi della sua carica di capo degli ispettori annonari, forniva lasciapassare falsi e provvedeva all'alimentazione dei patrioti, ai collegamenti tra i vari gruppi e alla diffusione di giornali e fogli clandestini, di ogni colore politico. Arrestato nel pomeriggio del 26 gennaio del '44 su delazione delle spie Corsetti e Grasso, fu rinchiuso in via Tasso, nella cella n. 6, e sottoposto a torture di ogni genere. Il 24 febbraio fu trasferito a Regina Coeli. Sperava di cavarsela con una lieve condanna, non essendo stato provato nulla a suo carico. Ma il 24 marzo fu prelevato dai tedeschi e fucilato alle Fosse Ardeatine.

 

Romualdo Chiesa

Studente universitario. Nato a Roma il 1° settembre 1922 a Roma. Appartenente al gruppo di giovani intellettuali antifascisti sin dai tempi del liceo "Visconti". A 19 anni di età, nel 1941, egli era già caduto nelle mani della polizia fascista ed era stato tradotto con altri studenti a Regina Coeli. Continuò l'attività clandestina anche durante gli studi universitari in Ingegneria, ponendosi a capo del movimento dei Cristiano Sociali nel settore Trionfale-Aurelio. Fu arrestato il 15 febbraio 1944 dalle SS nella zona di Ponte Milvio e rinchiuso nel carcere di via Tasso. Durante le torture venne accecato. dopo oltre un mese di prigionia, fu fucilato alle Fosse Ardeatine. Medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

 

Ottavio Cirulli

Artigiano calzolaio, di 37 anni. Nato a Cerignola (Foggia) il 2 ottobre 1906 da Michele e da Nella Cirulli. Cattolico comunista, dopo l’avvento del fascismo, per sfuggire al confino, per breve tempo emigrò clandestinamente in Russia. Sposato con Anna Vannulli, aveva cinque figli (Michele, Giuseppe, Anita, Gina, Maria). Dopo il 25 luglio del ‘43 aderì a Bandiera Rossa. Durante l’occupazione tedesca collaborò attivamente al gruppo Malatesta-Iacopini, che operava nel quartiere Trionfale, reclutando persone per attività antifascista e nascondendo armi e agenti segreti inglesi nel sottoterrazzo del palazzo in cui abitava. Il 6 dicembre partecipò alla distribuzione di volantini inneggianti alla Resistenza all’uscita dei cinema romani, sfuggendo per un pelo alla cattura, a differenza di molti suoi compagni. Fu arrestato l’11 dicembre su delazione di una spia, in casa di Enzio Malatesta (Piazza Cairoli 2), mentre insieme a questi, a Gino Rossi e a Carlo Merli, stava architettando un’azione di sabotaggio alle Capannelle, contro automezzi tedeschi. Fu rinchiuso a Regina Coeli, nel terzo braccio politico. Condannato a morte il 30 gennaio del ’44 dal Tribunale militare di guerra tedesco, fu fucilato sugli spalti di Forte Bravetta il 2 febbraio insieme ad altri dieci partigiani, tra cui Malatesta, Merli, Rossi, Iacopini, Sbardella e Arena.

 

Saverio Coen

Commerciante, di 33 anni. Nato a Roma il 5 ottobre 1910 da Pellegrino Enrico e da Sara Bondì. Sposato con Carla Colombo, aveva due figli (Pier Enrico e Gian Carlo). Si laureò in giurisprudenza all'Università La Sapienza, poi andò a lavorare presso il negozio di tessuti e di abiti della famiglia, in via del Tritone. Nel '35 partecipò alla guerra d'Africa, in Abissinia, come sottotenente dei carristi. Di religione ebraica, dopo l'emanazione delle leggi razziali del '38 fu costretto a cambiare identità e a procurarsi documenti falsi. Durante l'occupazione tedesca collaborò con il servizio segreto inglese. Nel gennaio del '44 fu arrestato dalle SS in Piazza Colonna, e rinchiuso in via Tasso. Trasferito a Regina Coeli, nel terzo braccio dei detenuti politici, fu fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo. Medaglia d'argento al valor militare.

 

Eugenio Colorni

Filosofo e docente. Nasce a Milano nel 1909 da famiglia ebraica mantovana. Dopo gli studi al Liceo-Ginnasio "Manzoni" di Milano, nel 1926 si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Milano, dove segue le lezioni di G.A.Borgese e di P. Martinetti, con cui si laurea nel 1930 con una tesi su Leibniz. Dopo un giovanile entusiasmo per il sionismo, aderisce all'antifascismo militante, collaborando con "Giustizia e libertà". Dopo gli arresti del 1935, prende contatto con il Centro interno socialista, di cui diviene uno dei maggiori responsabili. Arrestato nel 1938, è confinato a Ventotene, dove stringe amicizia con Altiero Spinelli e Ernesto Rossi e aderisce alle idee federalistiche. Partecipa alla stesura del Manifesto europeista di Ventotene, nell'agosto del 1941. Il manifesto è diffuso grazie a Colorni che trasferito da Ventotene a Melfi di Puglia, nel maggio del '43 riesce a fuggire, dandosi alla vita clandestina. Il 27 agosto del 1943 a Milano, in casa di un grande scienziato, Alberto Mario Rollier, Colorni insieme a Spinelli è tra i fondatori del Movimento Federalista Europeo, che si propone di diffondere le idee contenute nel Manifesto. Rientrato a Roma, riprende il lavoro politico collegandosi al ricostituito Partito Socialista di Unità Proletaria. Dopo l'8 settembre è capo redattore dell'Avanti! e organizzatore del centro militare del partito.  Ferito da una pattuglia della Banda Koch il 28 maggio 1944, muore due giorni dopo all'Ospedale San Giovanni di Roma, all'età di 35 anni.

 

Gianni Corbi

Nato nel 1926 ad Avezzano. Suo padre era un avvocato abruzzese, sua madre veniva da una culturalmente illustre famiglia pugliese, i De Feo. Sandro De Feo e Nicola De Feo (che firmava con lo pseudonimo di Nicola Adelfi) erano suoi zii materni. Suo zio paterno era Bruno Corbi, partigiano, deputato «ribelle» del Pci (ne uscì dopo l'Ungheria) e poi giornalista della Repubblica. Trasferitosi con la famiglia a Roma, frequentò il liceo Orazio. Qui maturò il suo antifascismo, insieme ai compagni di scuola o di istituto Ferdinando Agnini, Nicola Rainelli, Lallo Orlandi. Nell'ottobre del '43, insieme ad Agnini e Rainelli, fu uno dei principali fondatori dell'Arsi, l'associazione degli studenti universitari, di carattere repubblicano e progressista, di cui facevano parte giovani di differenti opinioni politiche, collegati con alcuni gruppi clandestini, specie di operai. All'inizio gli scopi fondamentali dell'Arsi consistevano nella raccolta di armi e nella diffusione del giornale "La nostra lotta". Poi, insieme a numerosi antifascisti di Monte Sacro, i giovani dell'Arsi portarono a termine numerose azioni di sabotaggio contro i tedeschi sulla via Nomentana, sulla via Salaria, nei quartieri dei Prati Fiscali e di Pietralata. A fine novembre il rettore emise una circolare in cui si ammettevano agli esami i soli studenti che rispondevano ai bandi della Repubblica di Salò. Per reagire al sopruso, il 3 gennaio del '44 Agnini e Gianni Corbi dell'Arsi e i rappresentanti dei giovani del Pci, del Movimento dei cattolici comunisti, del Psiup e del Partito d'Azione, diedero vita al Csa, il comitato studentesco di agitazione, diretto dal giovane comunista Maurizio Ferrara. Con irruzioni improvvise, distribuzione di volantini e azioni di forza, il Csa riuscì a far sospendere i corsi e gli esami di scienze, di medicina, di lettere, di legge, di architettura e di ingegneria.
Nel dopoguerra, Corbi cominciò a scrivere sul Messaggero, e poi sull'Espresso, poco dopo la nascita del settimanale. Con Arrigo Benedetti nume collerico e primo direttore, e poi con Eugenio Scalfari, protagonista a tutto campo del giornalismo e della politica. Già con Benedetti era infatti diventato redattore capo, ruolo ingratissimo con quel direttore. Diventò vicedirettore con la direzione di Scalfari. E quando, nel vortice dello scandalo Sifar, l'inchiesta dell'Espresso e il partito socialista portarono Scalfari e Lino Jannuzzi in Parlamento, l'editore chiese al molto titubante Corbi di prendere la direzione del settimanale. Fu direttore dal marzo 1968 all'aprile 1970, la stagione dell'insurrezione giovanile per le strade, di piazza Fontana.
Corbi non era affatto agnostico. In una sua intervista a Giorgio Amendola che fece allora colpo, riecheggiò l'accusa di «nicodemismo» che il dirigente del Pci rivolgeva allora agli intellettuali che, come Sciascia, sostenevano «né con lo Stato, né con le Br». Ma le sue convinzioni politiche le trasfondeva, sul giornale, in articoli documentati, in inchieste frutto di lavoro certosino sui dati, sulle leggi, sui controlli.
Quando andò in pensione, si lasciò alle spalle inchieste che a suo tempo avevano fatto epoca (L'asino nella bottiglia, in collaborazione con Livio Zanetti, sulle sofisticazioni alimentari, con un brillante incipit: «Avete mai bevuto un asino?») e veri scoop: un'intervista a Juan Peron sull'aereo che lo riportava trionfalmente in Argentina, «Muchacho peronista», titolo «cantante» in senso stretto, visto che veniva dalla canzonetta sull'epopea dei «trabajadores». Memorabili furono le sue numerose inchieste sul potere in Urss, fra economia e politica. Era diventato un esperto del mondo comunista, oltre che dell'Italia del dopoguerra. Questi suoi talenti si sono versati in una serie di volumi a sua firma: "L'avventurosa storia della Repubblica", "Togliatti a Mosca", "Nilde" (una biografia di Leonilde Jotti).
A nessuno, all'Espresso e alla Repubblica, i due giornali della sua vita, faceva piacere pensare che Corbi si sarebbe allontanato sul serio. Fu subito «riassunto» come collaboratore di politica interna ed estera, come recensore di libri di storia e soprattutto come «garante dei lettori». E' morto a Roma il 31 luglio 2001.

 

Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo

Colonnello di Stato Maggiore, di 42 anni. Nato a Roma il 26 maggio 1901 da Demetrio e da Luisa Dezza. Sposato con Amalia Dematteis, aveva cinque figli (Manfredi, Andrea, Lydia, Isolda e Adriana). Ufficiale degli alpini nella guerra 15-‘18, al termine del conflitto entrò nel Genio militare. Si laureò in ingegneria civile nel '23. Volontario nel '37 in Spagna, fu promosso tenente colonnello per merito di guerra. Nel '40 fu chiamato al Comando Supremo e assegnato allo Stato Maggiore generale. Nominato colonnello, nel ’42 assunse le funzioni di capo scacchiere in Africa. Dopo l'arresto di Mussolini, il capo del governo Badoglio lo chiamò allo Stato Maggiore dell'esercito. L'8 settembre il generale Calvi di Bergolo gli conferì l'incarico di capo dell'Ufficio Affari Civili del comando di Roma Città Aperta. Il 23 settembre, quando i tedeschi circondarono il ministero della Guerra per arrestare Calvi e i suoi collaboratori, sfuggì all’arresto ed entrò in clandestinità. Fedele al re e alla monarchia, divenne l'animatore e il capo del Fronte militare clandestino, sotto il falso nome di ingegnere Giacomo Cataratto (che poi cambiò in professor Giuseppe Martini). In breve tempo mise su numerose bande militari e un servizio informazioni efficientissimo, con diramazioni nel centro e nel nord del Paese. Collegato via radio con il legittimo governo del Sud, teneva per suo conto i collegamenti con il Cln e forniva notizie importantissime al Comando Alleato. Considerato da Kappler il suo più temibile nemico, fu catturato dai tedeschi il 25 gennaio del ‘44 insieme all'amico Filippo de Grenet, mentre usciva da una riunione con il generale Armellini. Fu rinchiuso in via Tasso per cinquantotto giorni; più volte torturato, non rivelò i nomi dei compagni. Fu fucilato il 24 marzo alle Fosse Ardeatine. Prima che la scarica lo abbattesse, gridò "Viva l’Italia!". Medaglia d'oro al valor militare.

 

Eugenio Curiel

Nato a Trieste l'11 dicembre del 1912 da Giulio. A sedici anni, nell'ambiente liceale, maturò idee antifasciste. Conseguito il diploma, si iscrisse inizialmente alla facoltà di ingegneria all'Università di Firenze, ma passò poi al corso di fisica. Discepolo del noto fisico Bruno Rossi, lo seguì all'Università di Padova, dove si laureò nel '33 col massimo dei voti. Cultore di studi filosofici, strinse amicizia con l'intellettuale comunista Atto Braun, che gli fece leggere le opere di Marx. Insieme a Braun, a Guido Goldschimd e a Renato Mieli, costituirono una cellula comunista clandestina. Nel '34 il gruppo fondò un giornale universitario, "Il Bo", che trattava temi sindacali e fu diffuso in molte fabbriche d'Italia, mascherato come giornale fascista. Inviato a Parigi, prese contatto con i dirigenti del partito, e tornato in Italia elaborò un piano di infiltrazione all'interno delle organizzazioni di regime, diventando dirigente del settore culturale del GUF. Nel '38, però, in seguito alle leggi razziali, fu esonerato dall'insegnamento universitario. L'anno dopo, mentre cercava di passare clandestinamente in Francia, fu fermato dalla polizia francese e imprigionato in Svizzera. Rientrato a Trieste, il 23 giugno del '39 fu arrestato, detenuto per alcuni mesi nel carcere di San Vittore a Milano e infine condannato a cinque anni di confino a Ventotene. Lasciò l'isola solo il 21 agosto del '43, dopo la caduta del fascismo. Si recò prima in Veneto, per organizzare il movimento antifascista, e poi a Milano, dove adottò il nome di battaglia di "Giorgio", divenne uno dei dirigenti dell'"Unità" clandestina e della rivista "La nostra lotta" e il principale animatore del Fronte della Gioventù a livello nazionale, chiamando a partecipare alla Resistenza i giovani comunisti. Il 24 febbraio del '45, a Milano, una squadra di fascisti lo riconobbe per strada. Ferito da una prima scarica di mitra, si rialzò cercando rifugio in un portone. Fu raggiunto e finito a colpi di mitra. Medaglia d'oro alla memoria.

 

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