Biografie della Resistenza Romana          

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Ferdinando Agnini

Studente di medicina, di 19 anni. Nato a Catania il 24 agosto 1924 da Gaetano e da Giuseppina Longo. Nell'ottobre del '43, insieme a Nicola Rainelli, fu uno dei principali fondatori dell'Arsi, l'associazione degli studenti universitari, di carattere repubblicano e progressista, di cui facevano parte giovani di differenti opinioni politiche (tra cui Lallo Orlandi Posti), collegati con alcuni gruppi clandestini, specie di operai. All'inizio gli scopi fondamentali dell'Arsi consistevano nella raccolta di armi e nella diffusione del giornale "La nostra lotta". Poi, insieme a numerosi antifascisti di Monte Sacro, i giovani dell'Arsi portarono a termine numerose azioni di sabotaggio contro i tedeschi sulla via Nomentana, sulla via Salaria, nei quartieri dei Prati Fiscali e di Pietralata. A fine novembre il rettore emise una circolare in cui si ammettevano agli esami i soli studenti che rispondevano ai bandi della Repubblica di Salò. Per reagire al sopruso, il 3 gennaio del '44 Agnini e Gianni Corbi dell'Arsi e i rappresentanti dei giovani del Pci, del Movimento dei cattolici comunisti, del Psiup e del Partito d'Azione, diedero vita al Csa, il comitato studentesco di agitazione, diretto dal giovane comunista Maurizio Ferrara. Con irruzioni improvvise, distribuzione di volantini e azioni di forza, il Csa riuscì a far sospendere i corsi e gli esami di scienze, di medicina, di lettere, di legge, di architettura e di ingegneria. Alla metà di febbraio Agnini fu tra i fondatori dell'Usi, l'Unione studenti italiani, a cui aderivano gli studenti di tutti i partiti. Poi entrò a far parte della Brigata Garibaldi del Pci. Ma il 24 febbraio, a seguito di delazione di due spie (Armando Testorio e Franco Sabelli), fu arrestato e portato al commissariato di polizia di zona, dove subì sanguinose percosse. In seguito la polizia arrestò anche il padre Gaetano, per costringere il giovane a rivelare i nomi dei suoi compagni di lotta. Furono rinchiusi entrambi nel carcere di via Tasso. Ferdinando fu fucilato il 24 marzo alle Fosse Ardeatine, il padre invece sfuggì alla morte.

 

Antonio Ayroldi

Maggiore, di 37 anni. Nato a Ostuni (Brindisi) il 10 settembre 1906 da Vito e da Emira Dell'Edera. Nel ‘25 entrò nell’esercito, come allievo sottufficiale dell’8° reggimento del Genio, specialità telegrafisti, a Roma. L’anno dopo guadagnò la prima promozione, a caporale. Fece rapidamente carriera, nel ‘33 divenne tenente. Quando scoppiò la guerra, fu inviato in Libia, al comando del XX corpo d’armata. Dal febbraio del ‘41 al dicembre del ‘42 partecipò alle operazioni di guerra in Africa settentrionale, meritando sul fronte la croce italiana al valor militare e la croce di ferro tedesca. Qui maturarono le sue convinzioni antifasciste, come testimoniano le lettere alla famiglia. Rientrato a Roma allo Stato maggiore, dopo l’8 settembre del ‘43, nonostante i bandi tedeschi e italiani, non si arruolò nell’esercito della Repubblica Sociale, e si nascose per qualche settimana nella clinica Bianca Maria. A novembre entrò nella banda militare comandata dal colonnello Ezio De Michelis, che faceva parte del Fronte clandestino di Montezemolo. Il suo ruolo era importante: organizzò una rete di informazioni nella città, teneva i collegamenti con le bande dei Castelli e del Lazio Sud, trasportava documenti e carichi di armi e munizioni. Ricercato dalla polizia, il 2 marzo del ’44 fu arrestato dai tedeschi insieme ad altri partigiani e rinchiuso nel carcere di via Tasso, nella cella n. 11. Fucilato il 24 marzo alle Fosse Ardeatine. Medaglia d’argento al valor militare.

 

Pilo Albertelli

Professore di filosofia, di 36 anni. Nato a Parma il 30 settembre 1907 da Guido e da Angelina Gabrielli. Sposato con Amelia De Martino, aveva due figli. Il padre, deputato socialista, fu costretto a trasferirsi a Roma con la famiglia dopo un attentato da parte dei fascisti. Nel '28 il giovane fu arrestato perché aveva organizzato un'associazione di studenti cospiratori contro il regime. Tradotto nel carcere di San Vittore a Milano, fu condannato a cinque anni di confino, poi tramutati in tre anni di vigilanza speciale. Nel ‘30 si laureò in lettere e filosofia, all'Università di Roma, con una tesi su Platone e un relatore d'eccezione: Giovanni Gentile. Si dedicò poi all'insegnamento, da "dissidente dalla patria ufficiale". Nel ’32 ottenne la cattedra a Livorno e nel ’35 fu trasferito nella capitale, al liceo Umberto I. Nel '39 ottenne la libera docenza di storia della filosofia antica all'Università di Roma. Lasciato l'insegnamento, nel '42 insieme a Ugo La Malfa fu uno dei fondatori del Partito d'Azione nella capitale e collaborò a "L'Italia libera", l’organo clandestino del gruppo romano. L'8 settembre del '43 combattè a Porta S. Paolo, poi diede vita alle formazioni di Giustizia e Libertà, raccogliendo armi e munizioni, arruolando volontari, procurando documenti falsi, organizzando i primi atti di sabotaggio. Il 20 settembre, in via Eleonora Duse, ai Parioli, insieme a Giovanni Ricci fece saltare una mina a miccia rapida alla caserma della Mvsn. Assunse il comando della zona di S. Giovanni ma, poiché era ricercato dai tedeschi, fu trasferito al comando delle squadre del quartiere Ostiense-Garbatella. Fu incaricato di mantenere il collegamento tra tutti i capizona e diventò membro del Comitato militare romano del Cvl. Il primo marzo del '44 la spia Priori, che da tempo si faceva passare per un compagno di lotta, lo consegnò ai sicari della banda fascista di Pietro Koch. Trasportato alla Pensione Oltremare di via Principe Amedeo, fu percosso senza esito. Quando i fascisti minacciarono di arrestare la moglie per torturarla in sua presenza, tentò di togliersi la vita, lanciandosi verso la finestra semiaperta, ma fu bloccato. Cercò anche di tagliarsi le vene con il vetro dell’orologio. Trasferito a Regina Coeli con le costole rotte e il corpo maciullato, fu fucilato il 24 marzo del '44 alle Fosse Ardeatine. Medaglia d'oro al valor militare.

 

Ettore Anzaloni

Nato a Roma il 16 settembre 1897, ivi morto il 21 maggio 1968,
tipografo. Conosciuto da tutti in Trastevere come socialista, nel gennaio del 1921 Anzaloni aderì al neonato Partito comunista e cominciò a stampare nella sua tipografia il foglio "Il Comunista", organo del PCd’I. Questa sua attività gli valse per anni intimidazioni ed aggressioni da parte dei fascisti. Nel 1926 il tipografo, dopo l’ennesimo pestaggio, decise di emigrare all’estero, contando di poter mettere a profitto in terra straniera le sue capacità di stampatore. Purtroppo, in Francia Anzaloni non riuscì ad integrarsi e se ne tornò a Roma. Qui riprese il lavoro e riannodò pure i contatti con il movimento comunista clandestino finché, nel 1941, non fu arrestato. L’11 marzo 1942 il tipografo fu processato con un gruppo di operai romani comunisti. Il Tribunale speciale gli inflisse quattro anni di reclusione, che Anzaloni non scontò interamente grazie alla caduta del fascismo.
Scarcerato, Anzaloni tornò alla sua tipografia, che divenne, durante
l’occupazione, uno dei principali centri per la stampa di materiale clandestino della Resistenza romana.

 

Ettore Arena

Tornitore, di 21 anni. Nato a Catanzaro il 17 gennaio del 1923. In servizio come allievo elettricista nella Marina militare, si trovava a Venezia al momento dell’armistizio. Sfuggito alla cattura da parte dei tedeschi, riuscì fortunosamente a giungere a Roma, dove risiedevano i suoi famigliari. Nella capitale, prese parte alla resistenza armata militando, sin dall’ottobre 1943, nelle file del movimento "Bandiera Rossa". Nel dicembre dello stesso anno, Arena fu arrestato con altri membri della sua formazione e un mese dopo fu processato da un tribunale di guerra tedesco. Condannato a morte con altri coimputati, il giovane fu fucilato con loro a Forte Bravetta,  il 2 febbraio del 1944. Medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

 

Vito Artale

Tenente generale di artiglieria, di 62 anni. Nato a Palermo il 3 marzo 1882 da Antonino e da M. Anna Amodei. Arruolato nell'esercito, combattè come artigliere nella guerra italo-turca e poi nella prima guerra mondiale. Trasferito al servizio tecnico dell'esercito, diventò responsabile della vetreria d'ottica, raggiungendo il grado di tenente generale. Nel ’43, sotto la sua guida, l'impianto di via Marsala divenne il più grande stabilimento italiano per la costruzione di vetri ottici. Dopo l'occupazione tedesca di Roma, entrò nella Resistenza, distinguendosi per l'organizzazione di sabotaggi ai danni dei nazisti. Proseguiva intanto il suo incarico alla vetreria, opponendosi agli ordini dei tedeschi che gli intimarono di smontare i macchinari della fabbrica per trasportarli in Germania e rifiutandosi di consegnare i nominativi e gli indirizzi dei propri operai. Fu allora collocato a riposo, ma non cessò la propria azione contro il nemico, sottraendo macchinari, accessori e strumenti di misura dalla caserma della Cecchignola, controllata dalla polizia tedesca, e nascondendo tutto il materiale in un deposito preso in affitto. In un altro locale clandestino celò invece gli strumenti che era riuscito a portare via dagli stabilimenti militari di via Marsala. Per evitare che gli operai fossero indotti dal bisogno a lavorare per i tedeschi, continuò a fornire loro le paghe. Tutto ciò che non riusciva a sottrarre agli occupanti, lo sotterrava sotto il pavimento degli stabilimenti o lo rendeva inutilizzabile. Fu arrestato dalla Gestapo il 9 dicembre del ‘43 nei locali della fabbrica, mentre cercava di convincere gli operai assoldati dai nazi-fascisti a non smontare i macchinari e i forni elettrici della vetreria. Condotto in via Tasso, vi rimase per quasi quattro mesi, gravemente ammalato. Il 24 marzo del '44 fu fucilato alle Fosse Ardeatine. Medaglia d’oro al valor militare.

 

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