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Biografie della Resistenza
Romana
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Ugo Baglivo
Avvocato, di 33 anni. Nato il 24 novembre 1910 ad Alessano (Lecce) da
Salvatore e da Luisa Bregoli. Sposato, aveva una figlia (Simonetta). Alla fine degli anni
Venti si trasferì a Roma, dove si laureò in giurisprudenza, con il massimo dei voti,
tanto che diventò ben presto assistente universitario presso la cattedra di diritto
penale dell'università romana. Frequentò quindi un corso di perfezionamento in Germania,
intraprendendo poi la carriera universitaria. Ma era anche uno spirito indomito e non
tardò a rendere noti il suo antifascismo e le aperte simpatie per il pensiero liberale di
De Ruggiero. Nel '35 un collega lo denunciò per "attività antinazionale" e nel
'38 fu arrestato e condannato a tre anni di confino a Gioiosa Jonica, in Calabria, dove
restò un anno. Tornato alla vita libera è allontanato dall'insegnamento e per vivere è
costretto a fare l'avvocato. Risalgono a questo periodo i suoi rapporti con esponenti di
spicco dell'antifascismo capitolino e, tramite Carlo Concetti e Guido Calogero, l
'adesione al Partito d'Azione, nel cui programma trova la sintesi di quelle idee di
libertà e giustizia sociale nella quali aveva sempre creduto. Dopo l'arresto di Mussolini
contattò altri antifascisti. L'8 settembre del 43, a Trastevere e a Porta San
Paolo, armato solo di una bandiera tricolore, fece ogni sforzo per organizzare formazioni
volontarie che affiancassero i militari nella difesa della capitale. Durante la
Resistenza, fu uno dei partigiani più attivi, in qualità di responsabile militare della
I zona di Roma per le formazioni di "Giustizia e libertà", raccogliendo e
distribuendo armi; diffondendo la stampa clandestina; chiedendo finanziamenti per la
guerra di Liberazione; stabilendo piani per le azioni di sabotaggio militare. Fu arrestato
il 3 marzo del 44 insieme a due amici e compagni di lotta, gli avvocati Donato
Bendicenti e Giuseppe Vegas. Rinchiuso nel carcere di Regina Coeli, la mattina del 24
marzo, nonostante fosse venuto a sapere della tragica sorte che lo attendeva e potesse
darsi alla fuga, restò al fianco dei compagni del Partito d'Azione. Lo stesso giorno fu
fucilato alle Fosse Ardeatine.
Pasquale Balsamo
Nato a Foggia il 4 settembre 1924, deceduto a Roma il 29 settembre 2005,
giornalista.
«Pasquale Balsamo, audacissimo studente diciannovenne, fu arrestato e successivamente
liberato credendo che appartenesse a una banda di rapinatori. Essendo anche uno degli
autori dell'agguato a via Rasella avrei fatto il mio dovere a farlo fucilare
».
Così racconta Kappler, il boia delle Ardeatine, a Renzo Di Mario, comandante del carcere
militare di Gaeta ove Kappler era ristretto, insieme a Reder, il boja di Marzabotto (v.
Renzo Di Mauro, "Orrore e Pietà", ed. Sovera, Roma, 1999, pag. 218). E' noto
infatti che i rapinatori non disturbavano le operazioni belliche e poliziesche della
Grande Germania (anzi
).
Il rammarico di Kappler di non aver potuto compiere quest'altro assassinio, e
l'esternazione pubblica del suo odio personalizzato, vale più di una medaglia d'oro.
Pasquale era un ragazzino di 19 anni, quel giorno, a via Rasella, ma si era già distinto
in numerose azioni di guerriglia nella città come comandante del Gruppo di Azione
Patriottica "Sozi", uno dei GAP Centrali delle formazioni Garibaldi di Roma,
diretti prima da Antonello Trombadori, poi da Carlo Salinari e Franco Calamandrei,
strutture del Comando Garibaldino Centrale dell'Italia centrale, diretto da Giorgio
Amendola, rappresentante del PCI nel CLN Nazionale e nella Giunta Militare Nazionale del
CLN.
Era intelligente, spiritoso, vivace, allegro. In via Rasella, ebbe il compito di
collegamento tra i comandanti Salinari e Calamandrei, le staffette che presidiavano il
percorso dei nazisti, gli elementi di copertura e di appoggio ai i due gruppi di fuoco che
intervennero nell'agguato alla 11° Compagnia del 3° Battaglione dello SS Polizei
Regiment Bozen.
Il Reggimento Bozen era costituito da volontari che avevano preferito (dopo
l'annessione della provincia di Bolzano al 3° Reich, il 1° ottobre del '43), entrare in
quel corpo specializzato antipartigiano, piuttosto che nella Wermacht, evitando così
spostamenti su più lontani e pericolosi fronti di guerra, e ottenendo anzi un
"soldo" più consistente: fu addestrato specificamente in funzione di
repressione antipopolare (rastrellamenti, persecuzioni, feroci rappresaglie in molte parti
d'Italia, soprattutto al Nord (Istria, Bellunese, Agordino, ecc.). La 11° compagnia,
annientata dai partigiani romani il 23 marzo del '44 in via Rasella, doveva entrare in
funzione nel Lazio il giorno successivo: non fece in tempo. Contrariamente alle loro
abitudini, quel giorno i tedeschi ritardarono ad arrivare. Io ero lì, alle 14 in punto,
pronto ad aprire il fuoco, non appena Cola (Franco Calamandrei) me ne avesse dato il
segnale: ma il tempo passava, non i minuti. Ma le mezze ore, un'ora, un'ora e mezza
e che cavolo!
Ogni tanto Pasquale mi passava vicino: un sorriso, una ammiccata e via
. Ma non il
segnale. Accadde due volte, tre: alla terza volta (erano ormai le 3, 45 del pomeriggio,
Pasquale mi bisbigliò: «Se per le 4 non sono venuti, prenditi il carrettino e vieni
via». «Dove?», gli risposi. «Dietro uno di noi». Bell'affare, pensai, tornare a
girare per Roma, mezz'ora prima del coprifuoco, con 18 chili di tritolo nel
carretto
. Poi, invece, venne il segnale, e alle 15, 52 la mia miccia si accese ed
aprii i fuoco
.
Pasquale era ritornato in basso, verso il gruppo di Comando, e vide arrivare i tedeschi
mentre un gruppo di ragazzini, correndo, si addentravano verso via Rasella prendendo a
calci una palla. Come un razzo si buttò in mezzo al gruppetto e dette un calcio alla
palla buttandola lontano verso il Tritone: «A fjo de na mignotta», gli urlarono contro i
ragazzini, buttandosi incazzati dietro la palla e lontano dal pericolo. L'organizzazione
si mosse, e i compagni cercarono di avvisare la gente ad allontanarsi, perché «i
tedeschi potevano essere pericolosi». Anch'io avvisai qualcuno, che si squagliò subito
prima e subito dopo aver dato fuoco alla miccia. Il resto è noto.
Il 4 giugno arrivarono gli Alleati, e i miei compagni, traditi da Guglielmo Blasi
qualche settimana dopo via Rasella, non furono fucilati quella mattina, così com'era
stato stabilito. Ma il plotone d'esecuzione continuò a crepitare, in Forte Bravetta, fino
alla mattina del 3. Ma la guerra non era finita. Continuammo a combattere: alcuni di noi
furono paracadutati al Nord o su altri fronti di guerra. Pasquale, insieme ad altri
compagni, si arruolò nella Brigata d'Assalto Cremona e combattè sul fronte del Senio, da
Ravenna fino alla liberazione di Venezia, il 27 aprile del '45.
Pasquale, per il suo coraggio e la sua iniziativa, ha ottenuto dal Presidente della
Repubblica Luigi Einaudi, su proposta del Presidente del Consiglio De Gasperi, una
medaglia di bronzo e una croce di guerra al valor militare.
La sua storia non finisce qui. Entrò all'"Unità", subito dopo il congedo,
come cronista; divenne capocronista, notista politico ed ivi rimase fino al 1961.
Continuò la sua brillante carriera di giornalista nell' ACI, prima come redattore capo e
poi come direttore della rivista dell'ACI, "l'Automobile", fino all'86.
Impostò e diresse per l'ACI, in accordo con la RAI, la rubrica radiofonica "Onda
verde", dedicata ai problemi della circolazione e del traffico, e ha diretto fino a
ieri una pubblicazione trimestrale dell'ACI dallo stesso titolo, "Onda Verde",
dedicata ai problemi dei trasporti, dell'ambiente e del trafico. Tra le pubblicazioni per
l'ACI ricordo il libro "Viaggiare in Autostrada", del '65. Per la stessa ACI
ebbe anche incarichi importanti per la gestione delle pubbliche relazioni, per
l'organizzazione e la conduzione delle Conferenze sul traffico di Stresa e per ogni
iniziativa del genere. Nel '68, per gli Editori Riuniti, ha prodotto un'intervista a
Umberto Terracini sul tema: "Come nacque la Costituzione - Storia inedita
dell'Assemblea Costituente".
(a cura di Rosario Bentivegna, Liberazione, 5-10-05)
Pietro Benedetti
Ebanista, di 41 anni. Nato ad Atessa (Chieti) il 29 giugno 1902 da
Filippo e da Maria Cinalli. Sposato, aveva quattro figli (Filippo, Rosa, Ivana e Tina).
Iscritto alla Gioventù socialista, nel '21 fu uno dei fondatori del Pci di Atessa,
diventando in breve tempo segretario della sezione locale. Nel dicembre del '25, mentre si
recava a Lione, in Francia, come delegato dell'Abruzzo al III Congresso del partito, fu
fermato al confine. Trovato in possesso di passaporto falso, fu tradotto per tre mesi di
carcere in carcere e poi liberato. Nominato segretario della federazione comunista di
Chieti, tenne i contatti con gli esiliati in Francia. Nuovamente arrestato nel '32, fu
processato dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato e scarcerato poco dopo, grazie
a un'amnistia. Trasferitosi a Roma lanno seguente, riprese l'attività antifascista
e, dopo l'armistizio, divenne commissario politico della 1^ zona, che comprendeva i
quartieri Prati e Monte Mario. La sua bottega era un luogo di riunione e di discussione di
giovani antifascisti, ed un centro di smistamento della stampa clandestina. Il 28 dicembre
del '43 fu arrestato dal capo della squadra politica della Questura, Domenico Rodondano,
nel suo laboratorio d'ebanista in via Properzio n. 39, dove fu scoperto un deposito
d'armi. Portato in Questura insieme al fratello Antonio e ai suoi operai, fu rinchiuso nel
carcere di Regina Coeli, e poi in via Tasso. Processato una prima volta il 29 febbraio del
'44 dal Tribunale militare di guerra tedesco, fu condannato a 15 anni di reclusione. Il
primo aprile, in un nuovo processo, la sentenza fu modificata in condanna a morte.
Fucilato il 29 aprile sugli spalti del Forte Bravetta, da un plotone della Pai (Polizia
Africa Italiana).
Rosario Bentivegna
Medico. Nato a Roma il 22 giugno del 1922. Già negli anni del liceo fu
un attivo antifascista. Nel '39, con Leonardo Jannaccone, Corrado Nourian e Nino Baldini,
costituì un gruppo detto di "unificazione marxista", che attirò presto
lattenzione della polizia fascista. Arrestato nel 1941, dopo la scarcerazione nel
1943 aderì al Pci. Con larmistizio e la formazione dei Gruppi di azione patriottica
(GAP), fu tra i più valorosi protagonisti della Resistenza, con il nome di battaglia di
"Paolo", sia a Roma (assalto a militari tedeschi in piazza Barberini, attacco ad
un corteo fascista in via Tomacelli) che nella zona di Palestrina, dove comandò
formazioni partigiane. Il 23 marzo del 1944 con Carla Capponi (che sarebbe poi diventata
sua moglie e da cui ha avuto una figlia, Elena), fu tra i principali autori
dellattentato di via Rasella. Pochi mesi dopo la liberazione della Capitale, il 21
settembre del '44 Bentivegna decise di continuare la sua lotta contro i nazifascisti in
Jugoslavia e in Montenegro, come commissario politico della divisione partigiana italiana
"Garibaldi". Rientrato in Italia dopo la conclusione del conflitto, per un paio
danni fu redattore del giornale lUnità, prima di riprendere gli studi e di
dedicarsi alla professione di medico. Dirigente di base del Pci, è stato anche docente di
Medicina del Lavoro. E' stato decorato di medaglia d'argento e di medaglia di bronzo al
valor militare per la sua attività partigiana a Roma. Membro dell'Anpi, dal 2001 è
vicepresidente dell'associazione della provincia di Roma.
Timoteo Bernardini (detto Angiolino)
Nato a Genzano di Roma il 24 gennaio 1901 da Giov. Battista e da Luisa
Paoloni Luisa. Sposato con Nazzarena Pontesilli. Iscritto fin dalla fondazione al PcdI.
Attivissimo nella propaganda, teneva conferenze nei Castelli Romani e prendeva parte a
tutte le manifestazioni clandestine. Nel giugno del 1924 fu arrestato perché trovato in
possesso di una grande bandiera rossa da esporre per l'anniversario della morte di Lenin e
di un mazzetto di gelatine. Fu denunciato per incitamento all'odio di classe, istigazione
a delinquere ed altri reati di minore importanza; con ordinanza del Giudice Istruttore di
Velletri, in data 27/8/1925, fu dichiarato non doversi procedere per amnistia. Il 3
dicembre del 1926 fu assegnato al confino di polizia a Favignana per cinque anni, perché
"elemento pericoloso per l'ordine nazionale dello Stato". Nell'aprile del
1927 fu trasferito nella colonia di Ustica e di qui a Ponza. Ultimato il periodo di
assegnazione al confino di polizia, il 16 dicembre 1929 rientrò a Genzano. Richiamato
alle armi, fu assegnato al 21° Gruppo Automobilistico di Stanza a Bengasi. Trasferitosi a
Roma, gestiva una trattoria. Dopo l'8 settembre del '43, collaborò attivamente alla
Resistenza romana, rifornendo di viveri i partigiani, riempiendo la sua cantina di armi e
dando l'esempio per le prime azioni gappistiche nella sua zona. Catturato nella primavera
del 1944 dalla banda Koch, terribilmente torturato, per non parlare si tagliò le vene dei
polsi, tentando di suicidarsi. Trasportato in ospedale, riuscì a salvarsi. Nel dopoguerra
continuò a militare nel Pci. Morì a Roma il 15 marzo del 1960.
Luigi Bianchi D'Espinosa
Magistrato. Nato a Napoli l'11 gennaio del 1911. Antifascista,
discepolo di Benedetto Croce, si laureò in giurisprudenza e vinse il concorso di
magistratura. Al momento dell'armistizio dell'8 settembre del '43 era giudice presso il
Tribunale di Firenze. Si unì ai primi nuclei di partigiani che tentavano di sottrarre
armi ai magazzini militari. Ricercato dalla polizia, si trasferì a Roma. Qui divenne
agente di collegamento della giunta militare del PdA, diretta da Riccardo Bauer. Svolse
intelligente opera di propaganda verso gruppi della Guardia di finanza, portandoli nelle
file della Resistenza. Compì anche rischiose missioni spostandosi fra Roma e Firenze per
conto degli organi dirigenti del partito. Dopo la liberazione della capitale, dal luglio
al settembre del '44 fu aggregato all'VIII Armata britannica come ufficiale di
collegamento tra questa e le unità partigiane. Nel dopoguerra è stato pubblico
accusatore in vari processi contro i fascisti, presidente di sezione presso il Tribunale
di Milano, docente universitario, e ha pubblicato vari saggi di carattere giuridico.
Alfeo Maria Brandimarte
Maggiore delle armi navali, di 38 anni. Nato a Loreto (Ancona) il 31
gennaio 1906 da Aristide e da Adria Astolfi. Sposato con Ada Frediani. Laureatosi ad
appena 22 anni in ingegneria meccanica al Politecnico di Torino, poco dopo vinse il
concorso per ingegneri industriali indetto dalla Marina. Nominato capitano, fu destinato
all'Accademia di Livorno quale insegnante di elettrotecnica ai corsi superiori di
specializzazione per gli ufficiali delle armi navali. Nel '35 fu inviato a Mogadiscio,
dove impiantò una stazione radiotelegrafica, e poi ad Addis Abeba dove, in breve tempo,
riuscì a far funzionare la stazione radio distrutta dagli abissini in ritirata. Nel '37
diventò vicedirettore dell'Istituto elettrotecnico dell'Accademia. Promosso maggiore, nel
'41 passò a dirigere un'azienda militare di guerra. Dopo l'8 settembre, entrò nel Fronte
militare clandestino di Montezemolo. Era a capo di una banda che aveva il compito di
compiere atti di sabotaggio. Comunicava via radio con gli Alleati, falsificando documenti
e sottraendo armamenti e materiale elettrico ai tedeschi. Un giorno, travestito da
ufficiale tedesco, simpadronì di tre autocarri carichi di armi e di munizioni
destinate alla Marina fascista. Arrestato dalle SS il 23 maggio del '44, in seguito a
delazione, e rinchiuso nella cella n. 3 di via Tasso, fu fucilato il 4 giugno del '44 in
località La Storta dai tedeschi in fuga da Roma. Medaglia d'oro al valor militare alla
memoria.
Marcello Bucchi
Sottotenente di artiglieria, di 23 anni. Nato a Roma il 18 ottobre 1921
da Luigi e da Maria Nella Parisi. Diplomatosi allistituto geometri, nel 43 fu
chiamato alle armi a Padova, dove prestò servizio di prima nomina. L8 settembre
sottrasse ai tedeschi il materiale e le armi del proprio reggimento e fuggì alla guida di
un furgoncino, con un altro ufficiale e con tre soldati. Scampato a diversi scontri a
fuoco con i nazisti, raggiunse Roma. Qui entrò in contatto con il Fronte militare
clandestino e con don Giuseppe Morosini, aiutandolo nella sua opera di assistenza alle
bande partigiane romane. Ma il 4 gennaio del 44 i tedeschi lo catturarono, insieme a
don Morosini, davanti al Collegio Leoniano, su delazione di una spia. Fu portato
allAlbergo Flora e poi rinchiuso a Regina Coeli, nella cella n. 447 del terzo
braccio politico. Condannato a dieci anni di carcere dal Tribunale militare di guerra
tedesco, il 24 marzo fu fucilato alle Fosse Ardeatine.
Paolo Buffa
Docente universitario. Nato a Milano il 14 novembre del 1913 da Ernesto
e da Pierina Guarnoli. Valdese, di famiglia antifascista, sotto il Regime frequentò il
gruppo comunista di Lucio Lombardo Radice, Aldo Natoli e Aldo Sanna, pur non impegnandosi
direttamente nell'attività politica clandestina. Concluso il liceo, s'iscrisse alla
facoltà di Medicina dell'Università di Roma. Dopo loccupazione tedesca della
capitale, entrò in clandestinità e il 10 settembre partì per il Sud, insieme agli amici
Paolo Petrucci e Aldo Sanna, con lo scopo di partecipare alla formazione di un corpo di
"Volontari per la libertà". Limpresa fallì. Sanna decise di rimanere e
collaborò con gli inglesi. Lui, Petrucci e Giaime Pintor si misero in viaggio verso Roma,
per organizzare nel Lazio gruppi di resistenza partigiana. Ma l1 dicembre del
43, nel tentativo di passare il fronte, lungo il Garigliano, Pintor perse la vita a
causa dello scoppio di una mina. Rientrati nellItalia libera, Buffa e Petrucci si
unirono agli Alleati che li addestrarono a lanciarsi con il paracadute (a Monopoli) e alle
azioni di sabotaggio (ad Ischia). Due settimane dopo, il 16 gennaio del 44, con un
aviolancio furono paracadutati su Monte Rotondo, da dove raggiunsero Roma, ospiti della
fidanzata Enrica Filippini, che collaborava con il partito comunista. Qui svolsero intensa
azione di propaganda antinazista, partecipando alle manifestazioni studentesche. Ma il 14
febbraio le SS tedesche irruppero nellabitazione della Filippini, arrestandoli
insieme alla padrona di casa e a Vera e Cornelio Michelin-Salomon. Fu condotto prima in
via Tasso e poi trasferito nel terzo braccio di Regina Coeli. Il 23 marzo del '44 fu
processato dal Tribunale militare tedesco e assolto dalle accuse. Ciò nonostante fu
trattenuto in carcere insieme a Petrucci (che poi fu ucciso alle Fosse Ardeatine). Fu
liberato solo il 4 giugno del '44, quando gli angloamericani arrivarono a Roma. Riprese
contatto con gli inglesi e fu inviato nelle valli di Cuneo, con il grado di tenente, quale
istruttore e ufficiale di collegamento delle formazioni partigiane GL. In questa veste
partecipò alle fasi finali della liberazione del cuneese. Nel dopoguerra, alla fine del
'45, ha sposato Enrica Filippini-Lera. Si è laureato ed è entrato nell'Istituto di
patologia generale, diventando professore emerito. Ha insegnato all'Università Roma e,
dopo un soggiorno di lavoro in Inghilterra, nel '56 si è trasferito all'Università di
Modena dove ha vissuto fino al giorno della morte, il 7 febbraio del 2000.
Bruno Buozzi
Bruno Buozzi nasce a Pontelagoscuro, in provincia di Ferrara, nel 1881. Operai e poi capo
reparto alla Marelli e alla Bianchi iniziò bene presto attività sindacale nella Fiom
(Federazione italiana operaia metallurgici). Dopo la Grande Guerra fu uno dei massimi
rappresentanti, con Ludovico DAragona, dellattività sindacale durante la il
biennio rosso. Da sempre di fede socialista viene eletto al Parlamento nel
1919, 1921 e 1924. Nel 1926 espatriò in Francia dove continuò lattività
antifascista unitaria nella Concentrazione antifascista in cui assunse posizioni
riformiste in continuità con la tradizione migliore del socialismo italiano, quella di
Turati e di Treves.
Nel 1942 fu arrestato dai tedeschi e consegnato al governo fascista italiano che lo
condannò al confino da cui fu liberato, dopo l8 settembre dal nuovo governo
Badoglio che lo nominò commissario per i sindacati dei lavoratori dellindustria.
Nel 1944 i tedeschi in fuga lo arrestarono e lo assassinarono fucilandolo a La Storta,
nella provincia romana.
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