Fascismo e deportazioni
Le responsabilità di Mussolini
Dibattito
Matteo Luigi Napolitano: "Altre prove sulla 'divergenza' tra
fascismo e nazismo a proposito della questione ebraica"
La questione degli ebrei nelle zone di occupazione italiane va vista sempre
attraverso il filtro dei documenti disponibili.
Il volume decimo della serie nona dei Documenti Diplomatici Italiani
consente di confermare alcune ipotesi di ricerca aperte dal volume
precedente, cui ho già fatto riferimento.
Esce rafforzata (semmai ve ne fosse bisogno) la seguente tesi da tempo
illustrata da Renzo De Felice: come ho detto alla fine del mio precedente intervento,
quella di Mussolini, più che essere una
"guerra parallela", fu una "guerra divergente" da quella di
Hitler,
specialmente nei Balcani. Anche se, beninteso, tale guerra fu condotta con
uno squilibrio di rapporti di forza a tutto vantaggio del dittatore tedesco.
Questa linea politica italiana ("divergenza" e non invece il
"parallelismo",
che significava andare a rimorchio di Hitler) abbracciò varie questioni, e
anche la questione ebraica, o meglio la questione degli ebrei presenti nei
territori occupati dall'Italia.
I tedeschi arrivano a Salonicco (sotto occupazione italiana) nel maggio
1943, e pretendono la consegna degli israeliti lì rifugiatisi. Da Roma, il
27 maggio 1943, il sottosegretario agli Esteri Bastianini (ossia il vice di
Mussolini agli Esteri) dà immediate disposizioni di resistere ad ogni
tentativo tedesco di intromissione, considerati contrario alla linea
politica seguita dall'Italia
"Tale linea politica - scrive Bastianini - è ormai da noi con intransigenza
applicata in ogni località dive trovansi truppe di occupazione italiane.
Così nella nostra zona di occupazione in Francia le richieste di diretti
interventi da parte delle Autorità tedesche non sono state accolte. Per
quanto concerne le richieste di estradizione da parte delle autorità
tedesche di ebrei stranieri, o di coloro egualmente ebrei la cui nazionalità
è contestata, non per altra ragione che per questioni razziali, non è il
caso per il momento di darvi corso. Ci riserviamo altresì di fissare la data
alla quale si dovrebbe considerare illegale l'entrata di detti israeliti nel
territorio italiano. Evidentemente non è affatto nostra intenzione di
facilitare tale trasferimento. Ma per coloro il cui trasferimento è già
stato compiuto facciamo riserva di ogni decisione".
Con un dispaccio successivo, del 1° giugno 1943, Bastianini aggiunge:
"Sarà opportuno che sulla linea di questa risposta Voi facciate presente
all'Auswaertiges Amt [Il Ministero degli Esteri tedesco] che urge che
Polizia tedesca sospenda qualsiasi azione nei confronti degli ebrei nella
zona occupata dalle nostre truppe, e che quindi gradiremo che nessuna
decisione in tale materia possa essere presa se non concordemente con questo
Ministero" (Bastianini all'Ambasciatore a Berlino Alfieri, 1° giugno 1943,
DDI, Nona Serie, vol. X, doc. 379, che racchiude anche il precedente
dispaccio del 27 maggio 1943).
Una linea di condotta similare si riscontra, oltre che nel caso degli ebrei in Grecia,
anche in altri casi. Per esempio in Bulgaria, paese non
certamente occupato dagli italiani, ma dal quale l'Italia riceve
l'assicurazione che gli ebrei ivi trovantisi non saranno deportati verso i
Lager, ma solo allontanati dalla zona di Sofia (DDI, Nona Serie, vol. X,
doc. 367).
Nel prendere atto di queste informazioni, il 10 giugno 1943 Bastianini prega
il ministro italiano a Sofia, Massimo Magistrati, di seguire gli sviluppi
della situazione da vicino, "tenendo presente la necessità di intervenire
tempestivamente presso le competenti autorità bulgare qualora i connazionali
di razza ebraica dovessero essere colpiti da provvedimenti di rigore per il
solo fatto di appartenere a tale razza". "Inoltre - queste le istruzioni del
Ministero degli Esteri per Magistrati - codesta Regia Legazione potrà
prestare ogni assistenza a originarie cittadine italiane ebree o ariane
coniugate con ebrei cittadini bulgari per matrimonio o in altro modo [che]
siano oggetto di misure di possibile deportazione o di internamento nei
campi di concentramento. Lo stesso intervento è stato attuato con esito
favorevole presso le autorità tedesche di Salonicco dove i connazionali di
razza ebraica e le donne originarie italiane sono state esentati dalla
deportazione" (DDI, Nona Serie, vol. X, doc. 412).
Non diversamente le cose vanno per gli ebrei croati. La caduta di Mussolini
non cambia una linea politica da lui seguita e che (ancor prima dell'8
settembre e dunque con l'Italia ancora formalmente alleata della Germania),
può sintetizzarsi nelle direttive del Segretario Generale degli Affari
Esteri, Augusto Rosso, ai militari italiani della Seconda Armata, cui
spettava il controllo sugli ebrei croati:
"Si conferma - scrive dunque Rosso al generale Castellani, il 19 agosto
1943 - che è da evitare che gli ebrei croati vengano rilasciati o
abbandonati privi di qualsiasi protezione in mani straniere, esposti ad
eventuali rappresaglie salvo il caso che essi stessi non preferiscano essere
posti in libertà, fuori della nostra zona di occupazione. La politica
razziale seguita dall'Italia non ci ha mai impedito l'osservanza di quei
princìpi di umanità che sono nostro insopprimibile patrimonio spirituale.
Una tale osservanza si impone oggi più che mai [Rosso probabilmente alludeva
alla caduta di Mussolini, che per molti e per gli stessi firmatari della
"mozione grandi", tuttavia, non significava ancora fine del fascismo.
N.d.r.] E' bene però, anche da un punto di vista politico, che ciò sia
opportunamente valorizzato e riconosciuto. Poiché è tuttavia altresì da
evitare che gli ebrei si rifugino in massa in Italia [cenno questo non
necessario, a mio avviso, se i predetti ebrei non avessero visto nell'Italia
un possibile rifugio dalla Shoah, n.d.r.] al seguito delle nostre truppe
qualora queste dovessero ritirarsi da codeste regioni, si prospetta la
possibilità che essi possano restare anche in questo ultimo caso nell'isola
di Arbe [ossia nell'allora Dalmazia italiana, n.d.r.], ove sono attualmente
concentrati sotto adeguata scorta. Le nostre competenti autorità potrebbero
comunque prendere in benevolo esame ogni singolo caso, in modo da permettere
sin d'ora ad ognuno degli ebrei attualmente sotto il nostro controllo di
ottenere quella sistemazione personale che meglio corrisponda ai propri
desideri ed alla propria situazione, compatibilmente con le circostanze
attuali. Si prega la S.V. di voler prospettare quanto precede a codesto
Comando facendo conoscere le decisioni che verranno prese in proposito e le
eventuali proposte che si ritenesse di dover avanzare perché la tutela di
tali ebrei continui ad applicarsi efficacemente, come fatto sinora".
Questa è la politica di Mussolini, che fu proseguita dai suoi successori
all'indomani del 25 luglio 1943.
Aggiungo a margine che la questione degli ebrei croati va vista naturalmente
in relazione al più generale quadro dei rapporti tra Mussolini e Pavelic:
rapporti in via di costante deterioramento.
"Dite a Pavelic - è Mussolini a istruire in tal senso il ministro a Zagabria
Casertano, il 13 febbraio 1943 - che desidero vederlo, e che stabiliremo la
data del prossimo incontro; [...] che sono sempre un amico suo e della
Croazia indipendente; che desista dalla lotta contro gli ortodossi, non
soltanto per ragioni di umanità, ma perché è un errore, se egli-come
credo-vuole che la Croazia viva e il suo Regime non perisca"; che faccia
smettere nel suo Paese l'irredentismo, sotto qualunque forma; è inattuabile
ed è ridicolo [...]; che non ho motivo di compiacermi della sua politica
pendolare, oscillante tra noi e i tedeschi; che la guerra sarà condotta da
noi sino in fondo. Non abbiamo esaurite tutte le nostre possibilità in
uomini e mezzi [...]. (DDI, Nona Serie, vol. X, doc. 24).
Interessante, fra le altre cose, è l'accenno non solo alla divergenza
Mussolini-Pavelic sulla questione ortodossa, ma anche l'altro relativo alla
politica pendolare del dittatore croato, fra Italia e Germania. Mussolini la
riteneva inammissibile. A suo avviso, il pendolo avrebbe dovuto fermarsi
nell'area d'influenza italiana. Il che dimostra come Mussolini considerasse
la sua politica in Croazia alternativa e inconciliabile con quella tedesca;
ciò in termini di direttrici e di obiettivi politici di medio e lungo
termine.
Quando al destino ultimo degli ebrei trovantisi nelle zone di occupazione
italiane, non si può naturalmente escludere che fossero inviati ad
Auschwitz, una volta che i tedeschi presero il posto degli italiani, dopo
l'8 settembre 1943. Ma tale elementare constatazione, o ipotesi, non ha
nulla a che vedere con il quadro della politica ebraica italiana durante la
guerra, quale emerge da molti e inconfutabili documenti, di cui quelli
pubblicati sono solo una parte.
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