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I lager italiani 1943-1945

pallanimred.gif (323 byte) Il campo di Grosseto

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Come in gran parte dell’Italia, anche Grosseto e la sua provincia subirono, dopo l’armistizio del settembre 1943, le dure conseguenze dell’occupazione tedesca e le sopraffazioni dei fascisti rimasti fedeli a Mussolini.

Già dal novembre 1943 il Presidente della Provincia, Alceo Ercolani, un fanatico fascista più feroce e più attivo dei tedeschi. emanò provvedimenti tesi a colpire i beni dei cittadini di razza ebraica.

Nell'arco di pochi mesi furono sequestrati proprietà agrarie e immobiliari, aziende commerciali, depositi bancari e crediti. Nel dicembre fu costuituito l' EGELI -Ente di Gestione e Liquidazione Immobiliare-, incaricato di liquidare ditte, gestire aziende agrarie, incamerando quanto più era possibile per far fronte alle difficoltà finanziarie della pubblica amministrazione.

Contemporaneamente, si avviarono gli arresti di intere famiglie ebraiche, ancor prima che Salò emanasse ordini precisi. Ercolani si mise quindi alla ricerca di una sede adatta per rinchiudere i 148 ebrei censiti tra Grosseto, Pitigliano e altre località, e la trovò subito senza bisogno di ricorrere a requisizioni. Infatti gliela fornì in affitto la Curia grossetana guidata dal vescovo della città Paolo Galeazzi. L’episodio è venuto alla luce poco tempo fa, a seguito delle ricerche della professoressa Luciana Rocchi, direttrice dell’Istituto grossetano. E così i nuovi arrestati, italiani e stranieri, insieme agli ebrei stranieri già custoditi in carceri della provincia, nel dicembre venivano riuniti nel campo provinciale di internamento a Roccatederighi, che occupava un'ala dei locali del Seminario vescovile.

Tra le «prove» esposte si può osservare una copia del contratto di affitto firmato dal vescovo e dal maresciallo di Pubblica sicurezza Gaetano Rizziello, designato a dirigere il campo di internamento. Vi è scritto, tra l’altro, che monsignor Galeazzi «in prova di speciale omaggio verso il nuovo governo» (La Santa Sede non ha mai riconosciuto la Repubblica di Salò, ndr ) cede in affitto al direttore «del campo di concentramento ebraico» un’ala del seminario vescovile estivo di Roccatederighi. L’edificio, oggi abbandonato, si trova ai margini del paese, una frazione del comune di Roccastrada, a circa 35 chilometri da Grosseto.
Nel documento è scritto che il canone è di 5.000 lire mensili, una somma notevole per l’epoca, e in più che l’amministrazione del lager si impegna a pagare lo stipendio di lire 300 a ciascuna delle suore addette all’infermeria e alla camerata delle donne. Quindi monsignor Galeazzi, non solo era a conoscenza dell’uso dei locali, ma ebbe modo di vivere per mesi accanto agli internati perché, a causa dei bombardamenti, la sede vescovile era stata trasferita nel seminario di Roccatederighi.
Per disposizione del capo della provincia il lager fu recintato col filo spinato e vi furono posti a guardia venti militi repubblichini armati di mitragliatrici e bombe a mano. Vi furono internati ottanta ebrei italiani e stranieri e, a quanto raccontarono i sopravvissuti, la detenzione non fu molto dura. Le guardie erano bonarie e lo stesso vescovo si intratteneva con i reclusi distribuendo doni e carezze ai più piccoli. Ma una parte degli ebrei venne ugualmente deportata ad Auschwitz su sollecitazione delle autorità locali: erano trentasette stranieri e nove italiani. Gli altri, tutti nati e residenti nella provincia di Grosseto, furono rilasciati poco prima della Liberazione, forse perché i loro custodi volevano assicurarsi benemerenze per il futuro.
Col ritorno della democrazia, il capo della provincia subì, nel 1946, un processo per le stragi che aveva ordinato nella zona. Condannato a trent’anni di carcere, fu rilasciato nel 1953. Contro il Vescovo, rimasto al suo posto fino al 1960, non ci fu alcuna sanzione, neanche da parte del Vaticano. Anzi, egli fece richiesta di risarcimento al governo italiano per l’affitto e gli stipendi che i repubblichini non avevano pagato.

(tratto in parte dal Corriere della Sera, 12 febbraio 2002)