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I campi italiani: Bolzano
a cura del circolo culturale
ANPI Bolzano
Il Pol.[izeiliches]-Durchgangslager-Bozen
fu uno dei quattro campi di concentramento esistenti in territorio italiano, oltre a
quello di Fossoli nei pressi di Carpi, Borgo San Dalmazzo in provincia di Cuneo ed alla
Risiera di San Sabba di Trieste. Questultimo, situato nellOperationszone
Adriatisches Küstenland, svolse in realtà sino alla liberazione sia la funzione di
campo di detenzione e transito per gli ebrei destinati ad essere deportati nel campi di
sterminio dOltralpe, che quella di raccolta, punizione ed eliminazione di oppositori
politici e partigiani; fu lunico Lager in Italia ad essere provvisto di un forno
crematorio.
Le vicende inerenti al campo di Bolzano devono essere
inquadrate nel contesto più ampio dell"universo concentrazionario" in
Italia e nel restante territorio europeo. Per la sua funzione, la struttura organizzativa
ed il personale di sorveglianza, esso va considerato come la prosecuzione del Polizei-
und Durchgangslager Fossoli, attivato nel dicembre 1943; lavanzata degli Alleati
con il conseguente arretramento del fronte tedesco e lintensificarsi delle azioni
partigiane resero difficoltosa la formazione a Fossoli di convogli da inviare Oltralpe ed
indussero lSS-Brigadeführer Wilhelm Harster, Befehlshaber der
Sicherheitspolizei und Sicherheitsdienst in Italia, a decidere lo smantellamento ed il
trasferimento del campo nei pressi di Bolzano. Il Sudtirolo, unificato dal settembre 1943
con il Trentino e la provincia di Belluno nellOperationszone Alpenvorland,
era considerato un territorio sicuro dal punto di vista politico e militare.
Non siamo a conoscenza del numero esatto dei prigionieri
transitati per il campo: sappiamo che furono almeno 11.116, ma si tratta di una cifra
certamente errata per difetto.
Stabilire una datazione precisa allapertura del
campo risulta piuttosto problematico: nella sua testimonianza contenuta in questo volume,
Quintino Corradini sostiene che il padre, arrestato in qualità di ostaggio, lavorò già
nel maggio 1944 allallestimento del Lager, mentre il bellunese Tullio Bettiol, fra i
primi internati a Bolzano, vi iniziò la sua detenzione in luglio. I trasporti da Fossoli
a Bolzano cominciarono verso la fine del luglio 1944 e riguardarono, a quanto risulta, un
centinaio di prigionieri: per lo più si trattava di politici, ma fra i detenuti
trasferiti vi erano anche alcuni ebrei. Questi ultimi, a differenza di tutti gli internati
per "motivi razziali", erano stati esentati dalla deportazione nei campi di
sterminio quasi certamente in quanto considerati utili al funzionamento del campo in
qualità di addetti a servizi e lavori vari.
Il Lager di Bolzano-Gries fungeva da centro di raccolta
e detenzione per politici, zingari, ebrei, rastrellati e ostaggi catturati nelle diverse
città del Centro e Nord Italia.
Analogamente a molti altri campi nazisti, anchesso
aveva alle sue dipendenze dei sottocampi, dislocati sul territorio provinciale, dei quali
disponiamo però di notizie piuttosto scarse. La definizione di campi - satellite risulta
in questo caso piuttosto impropria: a Merano Maia Bassa ed a Vipiteno gli internati erano
alloggiati in una caserma, a Certosa in Val Senales presso la Guardia di Finanza.
Allimboccatura della Val Sarentino circa 200 prigionieri vivevano allinterno
di alcune baracche di legno in unarea cintata da filo spinato; altri campi erano
situati a Colle Isarco ed a Dobbiaco. In ognuno di essi i detenuti venivano costretti a
svolgere pesanti attività lavorative.
Il Lager principale sorgeva nellattuale via Resia;
esso occupava unarea di circa 2 ettari, era circondato da un muro di cinta sul quale
era stato ulteriormente fissato del filo spinato ed il perimetro era di forma
rettangolare. La struttura comprendeva due grandi capannoni in muratura: costruiti dal
Genio Militare in epoca antecedente allistituzione del campo ed adibiti a deposito,
essi furono suddivisi in seguito in vari blocchi, ovvero in grandi vani separati fra loro
da tramezze e destinati agli internati. Inizialmente vennero creati solo sei Blocks,
contraddistinti con le prime lettere dellalfabeto, ai quali se ne aggiunsero in
tempi differenti altrettanti; gli internati, da cento a duecentocinquanta per ogni
capannone, dormivano su letti a castello, consistenti in tavolati coperti da sacchi
ripieni di trucioli di legno. Allinterno dellarea recintata si trovavano poi
altre costruzioni minori quali una sorta di infermeria, gli alloggi delle SS, gli uffici,
la cucina, i depositi, la doccia e le latrine; in unarea ristretta, separata dal
campo ma comunicante con esso tramite una porta, erano posizionate quattro baracche che
fungevano da officina meccanica, tipografia, sartoria e falegnameria.
Nel blocco A erano alloggiati i "lavoratori
fissi" quali elettricisti, muratori e meccanici; le loro mansioni erano considerate
necessarie al buon funzionamento del campo, pertanto a questi internati veniva riservato
un trattamento leggermente migliore rispetto agli altri. Le baracche D ed E, divise dalle
altre da un reticolato di filo spinato che delimitava un recinto, erano riservate ai
"pericolosi", mentre nel blocco F erano rinchiusi donne e bambini; nel Block
L, separati dunque dagli altri prigionieri, alloggiavano gli ebrei di sesso maschile. Il
criterio di assegnazione dei prigionieri agli altri blocchi era, a quanto risulta,
casuale.
Di fronte allingresso, sul fondo del campo, era
posizionata una baracca che costituiva il blocco celle, ovvero la prigione del campo: era
destinata ai detenuti considerati pericolosi, a chi era sottoposto a punizione o a chi
doveva subire un interrogatorio e consisteva in 50 locali estremamente angusti e bui, con
solo un letto a castello al loro interno. Ai rinchiusi nelle celle non era consentito il
contatto con gli altri prigionieri: essi potevano uscire unicamente per pochi minuti al
giorno per compiere le quotidiane abluzioni e per lavare scodella, bicchiere e cucchiaio.
Ad esclusione dei pericolosi destinati ai blocchi D ed E
e dei prigionieri detenuti nelle celle, gli internati venivano suddivisi in squadre ed
adibiti a diverse incombenze, quali il ripristino dei binari della ferrovia danneggiati
dai bombardamenti, lo sgombero delle macerie dalle vie cittadine, scavi per la posa di
cavi telefonici, lavori di falegnameria e sartoria, raccolta di pietre dallargine
del fiume Adige, trasporto di materiale da costruzione... Le donne invece erano incaricate
di compiere lavori di pulizia in caserme ed ospedali, di occuparsi degli alloggi dei
sorveglianti oppure erano addette alle cucine. Numerosi prigionieri furono impiegati in
una fabbrica di cuscinetti a sfera, la IMI di Ferrara, posta sotto la galleria del
Virgolo. Gli internati infatti, analogamente a quanto succedeva negli altri Lager nazisti,
rappresentavano una forza - lavoro coatta da sfruttare.
Nei loro spostamenti le squadre esterne erano
costantemente scortate e sorvegliate da guardie, sentinelle e spesso anche da cani
lupo, di cui si ricorda la particolare ferocia; di tanto in tanto la popolazione
bolzanina, soprattutto gli abitanti delle Semirurali, riusciva, ricorrendo a sotterfugi, a
fornire ai prigionieri dei viveri oppure a recapitare ai componenti delle squadre
biglietti, messaggi o lettere. Enrico Zamatto, internato per motivi razziali, ricorda
"qualche santa donna" che allungava delle mele ai prigionieri; alcuni
sorveglianti permettevano saltuariamente di effettuare degli acquisti in qualche negozio
situato lungo la strada. I prigionieri impiegati in lavori al di fuori del campo
riuscivano talvolta a prelevare del cibo di nascosto ed a portarlo allinterno del
Lager.
Laura Conti, internata e preziosa esponente
dellorganizzazione interna clandestina, ha tracciato in un suo saggio una mappa
della popolazione del campo: il numero dei bambini era esiguo, si trattava per lo più di
piccoli ebrei o zingari, alloggiati con le madri nel blocco F. Fra le donne le detenute in
qualità di Sippenhäftlinge, parenti di partigiani, disertori o semplicemente di
"sospetti", erano le più numerose; molte di loro erano sudtirolesi. Erano state
arrestate in base ad unordinanza di Franz Hofer del gennaio 1944 che sanciva la
possibilità di fermare, in qualità di ostaggi e fino allarresto dei ricercati,
congiunti di disertori e renitenti alla leva. Le testimonianze fornite da alcune
sudtirolesi internate mettono in luce come esse, ben consapevoli del pericolo che
correvano, avessero fornito spesso servizi di supporto essenziali alla sopravvivenza dei
disertori, portando loro cibo ed indumenti, prestando assistenza medica, trasmettendo
notizie, recando conforto. Il loro raggio dazione non sempre si era limitato ai
congiunti in senso stretto, ma aveva coinvolto pure amici, vicini e conoscenti. La
detenzione viene a tuttoggi considerata come un contributo personale di opposizione
alla guerra ed al nazismo.
Nel campo vi erano poi detenute arrestate per attività
politica e partigiana: alcune erano state catturate in combattimento o in operazioni di
rastrellamento, altre avevano partecipato alla resistenza in maniera sistematica; altre
ancora vi avevano contribuito in modo sovente episodico e non organizzato, ad esempio
proteggendo e supportando partigiani, ebrei o militari alleati. Le testimonianze
concordano nellevidenziare la reciproca solidarietà creatasi allinterno
blocco femminile, facilitata dalla coabitazione in ununica baracca e dal numero
tutto sommato esiguo delle prigioniere. La loro quota, infatti, non superò mai il 10 per
cento del totale.
Le donne ebree, sia di nazionalità italiana che
straniera, restavano di solito nel Lager per poco, in quanto venivano subito deportate;
solo le internate giunte a Bolzano alla fine del 1944, successivamente alla partenza dal
campo dellultimo convoglio femminile, rimasero a Bolzano fino alla liberazione. Pure
la permanenza delle zingare, italiane e spagnole, era decisamente breve. Nel campo furono
rinchiuse anche alcune ladre e prostitute.
Il quantitativo degli uomini internati era decisamente
più alto, tanto da occupare dieci baracche differenti. Numerosi erano i politici ed i
partigiani, soprattutto garibaldini ed appartenenti alle formazioni di "Giustizia e
Libertà", ai quali si sommavano pure coloro i quali, pur non identificandosi
direttamente nella figura del politico o del partigiano, avevano contribuito alla lotta di
liberazione aiutando in varie forme i perseguitati. Ricordiamo la figura di Odoardo
Focherini, arrestato nel marzo 1944 a Bologna per aver soccorso e salvato dalla
deportazione oltre un centinaio di ebrei: condotto in carcere nel capoluogo emiliano, fu
internato prima a Fossoli e successivamente a Bolzano, da dove venne deportato nel
settembre 1944 a Flossenbürg. Morì nel dicembre di quellanno a Hersbruck, un
sottocampo di Flossenbürg.
Fra gli internati vi erano inoltre soldati
dellesercito italiano, alcuni militari alleati, zingari, ebrei, obiettori di leva,
"rastrellati" non sospetti di attività partigiana, fascisti e ladri; numerosi
erano i sudtirolesi, principalmente giovani disertori ed ostaggi. Gli ebrei erano stati
catturati per lo più in città dellItalia del Nord come Milano, Genova e Torino: in
base all"ordine di polizia" n. 5 del 30 novembre 1943, emanato dal
ministero dellInterno della Repubblica Sociale Italiana, tutti gli ebrei italiani e
stranieri presenti sul territorio italiano dovevano essere arrestati ed avviati in campi
di concentramento. Tale provvedimento rese pertanto possibile il fermo di ebrei da parte
di autorità di polizia italiane.
Appena entrati nel campo i prigionieri dovevano
consegnare documenti e valori; essi ricevevano una divisa, zoccoli di legno ed un
distintivo di colore differente a seconda della categoria di appartenenza: un triangolo
rosso per i politici, verde per gli ostaggi, azzurro per gli "stranieri civili
nemici", rosa per i rastrellati ed i "meno pericolosi", giallo "senza
numero" per gli ebrei. Benché le condizioni di vita fossero meno disumane che nei Konzentrationslager
dOltralpe, le punizioni frequenti, le violenze e le angherie, il cibo scarso, le
precarie condizioni igieniche, la costante presenza di parassiti, il lavoro massacrante e
le rigidi temperature invernali rendevano dura e penosa lesistenza quotidiana nel
campo. Le giornate erano scandite da un rituale sempre uguale: sveglia allalba,
appello estenuante, lavoro dalle 7 del mattino fino ad almeno le 16.30 con una breve pausa
per la distribuzione di un misero pasto, rancio serale, appello ed alle 20 il rientro nei
blocchi. La colazione consisteva in una tazza di caffè nero zuccherato, i pasti in una
scodella di minestra di rape o di verze; il quantitativo giornaliero del pane, spesso
ammuffito, variava a seconda delle attività lavorative svolte dal prigioniero.
I prigionieri erano sottoposti ad una disciplina
estremamente rigida, "curata nel modo più ferreo da parte del comando del campo. Non
salutare togliendosi il cappello, e non fermarsi e mettersi sullattenti quando
passavano le guardie costituiva mancanza da meritarsi pugni, calci e anche la cella quando
non si veniva legati al palo e percossi".
Lapparato di sorveglianza, incluso il nucleo di
comando, era in sostanza lo stesso esistente a Fossoli, con laggiunta in loco di
elementi sudtirolesi e guardie appartenenti ad altre nazionalità. Comandante del Lager
era lSS - Untersturmführer Karl Titho, coadiuvato dallSS-Hauptsharführer
Hans Haage; questultimo, particolarmente feroce, è stato definito il
"semidio del campo" e ricordato da molti ex internati come la reale suprema
autorità allinterno del Lager. Fu lui "linventore dellassurdo e
snervante rituale cui ogni giorno [i prigionieri ndr] erano sottoposti al momento
dellappello mattutino; lordine cappelli giù, cappelli su ripetuto
fino allesasperazione per poter udire in un unico suono il rumore provocato dai
cappelli degli internati che al suo comando dovevano toglierseli e rimetterseli".
Responsabili di numerose atrocità furono due SS-Totenköpfe ucraine di circa una
ventina danni, Otto Sain e Michael (Mischa) Seifert, i "padroni delle
celle"; condannati per stupro, essi agivano liberamente come aguzzini soprattutto
nella prigione del campo. Al blocco femminile erano addette due guardiane, Else Lächert e
Anne Schmidt, soprannominate per la loro ferocia la "Tigre" e la
"Tigrina".
Lordinaria amministrazione della vita quotidiana
veniva gestita dagli stessi internati "secondo uno schema organizzativo sperimentato
dai nazisti in tutti i campi dellEuropa occupata". In ogni blocco vi era un
capo - blocco, la cui mansione principale consisteva nellorganizzare i servizi
interni alle baracche quali la pulizia e nel fornire la lista degli internati da adibire
alle squadre di lavoro; i diversi capi - blocco facevano riferimento al capo - campo,
coadiuvato da un vice. Agli internati erano state inoltre delegate lorganizzazione
dellassistenza sanitaria e dellintendenza: questultima aveva anche il
compito di cambiare la valuta portata in campo dai prigionieri con dei buoni, validi solo
allinterno del Lager, utili per fare acquisti allo spaccio. Lintendente,
designato fra i prigionieri, controllava e distribuiva viveri e capi di vestiario; la sua,
"come quella del capo - campo, era inevitabilmente una posizione scomoda per chi la
occupava; essendo a contatto con gli internati e tentando in qualche modo di sottrarre ai
magazzini qualche briciola in più da suddividere fra loro, lintendente non poté
non attirarsi le accuse di essere troppo cauto nellalleggerimento dei magazzini per
paura di rappresaglie o di favorire un internato o un gruppo di internati a scapito di
altri. Anche questo contribuiva ad aumentare quellatmosfera di diffidenza reciproca,
di tensione e di sospetto che conviveva e si intrecciava con lopposta dimensione di
reale solidarietà, di aggregazione antinazista e di resistenza che pure era diffusa nel
campo di Bolzano".
Nellinfermeria del campo prestavano servizio
alcuni internati: Virgilio Ferrari, futuro sindaco di Milano, la dottoressa Ada Buffulini,
internata nel novembre 1944 ed il dottor Pisciotta; costoro, malgrado disponessero di
scarsissimi mezzi, svolsero una costante azione di assistenza a favore dei prigionieri.
Per un breve periodo, dal settembre al dicembre 1944, vi operò pure un medico torinese,
Giuseppe Diena: fu deportato a Flossenbürg, ove morì per le percosse subite.
Accanto a questa organizzazione, definita
"ufficiale" da Laura Conti, esisteva pure una struttura politica clandestina
interna, che riproponeva nella sua fisionomia quella del Comitato di Liberazione
Nazionale. Questa aveva il compito di assistere gli internati, procurare loro del
vestiario, introdurre cibo nel campo, mantenere i contatti fra le famiglie ed i
prigionieri, organizzare evasioni. I collegamenti con lesterno venivano stabiliti
per lo più tramite i civili utilizzati nel Lager nella direzione dei laboratori o per
mezzo dei prigionieri occupati in lavori coatti al di fuori del campo. Queste operazioni
furono realizzate grazie allattività di una organizzazione analoga, che agiva però
allesterno, in contatto con il Comitato di Liberazione Nazionale. Inizialmente,
cioè fino allarresto dei membri del CLN bolzanino avvenuto nel dicembre 1944,
lorganizzazione esterna fu gestita da Visco Ferdinando Gilardi
("Giacomo"); successivamente alla sua cattura fu Franca Turra
("Anita") a coordinarne lattività, aiutata da Mariuccia Gilardi, moglie
di Visco Ferdinando Gilardi, Maria Pedrotti, Elena Bonvicini, i coniugi Liberio, Giuseppe
Bombasaro ed altri. In loco operò nellautunno 1944 pure Renato Serra
("Nigra"), incaricato personalmente da Ferruccio Parri ("Maurizio") di
assistere gli internati e di organizzare con il comitato di assistenza esterna le loro
fughe.
Laura Conti riferisce che per un lungo periodo,
precisamente dal settembre 1944 alla sospensione delle deportazioni, fu
"lorganizzazione clandestina a decidere quali internati dovessero essere
assunti come lavoratori fissi, con un criterio che teneva conto soprattutto
della responsabilità politica portata dallinternato stesso prima del suo arresto,
dal contegno ineccepibile sotto gli interrogatori, dellattitudine ad assumere anche
in Campo eventuali responsabilità difficili pericolose, e di avere rapporti fraterni e
solidali con i compagni". Si trattava di un compito particolarmente difficile e
delicato, in quanto sia gli addetti ai servizi allinterno del Lager in qualità di
capo baracca, furiere..., che i prigionieri impiegati nei laboratori e nelle officine non
venivano deportati, poiché "il comando, allo scopo di rendere più agevole
lorganizzazione del campo, aveva deciso che [...] dovessero essere stabili e non
soggetti ad avvicendamento".
Grazie alla collaborazione fra lorganizzazione
esterna e quella interna fu possibile organizzare anche delle fughe: a quanto pare furono
circa unottantina le evasioni preparate. Risultava indispensabile pianificarle in
modo accurato, fornendo ai prigionieri documenti falsi, capi di vestiario ed un
nascondiglio sicuro; spesso furono gli abitanti delle Semirurali ad ospitare, a rischio
della propria vita, i fuggitivi. Non sempre però le fughe ebbero un esito positivo; gli
internati catturati dopo un tentativo devasione venivano riportati in campo dove
venivano uccisi o subivano una durissima punizione, come monito agli altri prigionieri al
fine di inibire altri possibili allontanamenti.
Nel Lager le angherie, i soprusi e le violenze gratuite
nei confronti dei prigionieri erano quotidiani. A tuttoggi risulta difficile
quantificare con precisione il totale delle vittime decedute nel campo: sappiamo che 23
persone detenute nel blocco E vennero uccise il 12 settembre 1944 a colpi di pistola e
seppellite in una fossa comune. Gli internati ebrei morti allinterno del campo di
Bolzano furono 14, 6 dei quali per le sevizie subite: nel febbraio 1945 Giulia Bianchini
Fano di 78 anni fu sottoposta a doccia gelata e poi rinchiusa senza cibo né acqua nel
blocco celle ove morì; nello stesso mese, sempre nelle celle, furono uccise Giulia Leoni
Voghera di 66 anni e la figlia Augusta Voghera Menasse. E probabilmente a queste
ultime che si riferisce Enrico Pedrotti, detenuto anchegli nel medesimo blocco,
quando racconta: "Una sera la tigre venne a consegnare due povere donne
ebree. Sembra che le dessero fastidio perché, malate, si lamentavano. Vennero finite nel
modo più bestiale: spogliate in pieno gennaio, annaffiate con secchi dacqua,
lasciate senza cibo. Madre e figlia. La giovane che tardava a morire, venne affogata in un
secchio. Almeno in venti di noi, la udimmo fino allultimo rantolo". Doralice
Muggia Foà non sopravvisse alle sevizie subite in campo e morì nel maggio 1945, poco
dopo la liberazione.
Pedrotti riferisce anche di 14 assassinii commessi
sempre nella prigione del campo: "dei quali fummo testimoni uno per uno.
Lultimo, un povero ragazzo partigiano, accusato di aver rubato del pane. I due
compari [gli ucraini Otto Sain e Mischa Seifert ndr] lo uccisero il giorno di
Pasqua, sbattendolo a turno con la testa contro i muri della cella. Nessuno del blocco
celle dimenticherà mai quel giorno: urlo per urlo, colpo per colpo. Altri vennero
strozzati. In quelle occasioni i due, circolavano per i corridoi con i guanti di pelle
nera. Erano diventati un simbolo, e quando li vedevamo in quel modo, un brivido correva
per le celle. Non si sapeva a chi toccava il turno".
Il Pol.-Durchgangslager-Bozen era, come già
menzionato, un campo di internamento e di transito: le persone catturate ed incarcerate in
varie località italiane, dopo un periodo di permanenza la cui durata poteva variare da
poche settimane a qualche mese, venivano caricate su treni merci e deportate nei Lager
nazisti. Numerosi, benché non precisamente quantificabili, i trasporti partiti per
Bolzano da città dellItalia settentrionale e centrale, fra le quali Torino, Milano,
Genova, Venezia... Non si hanno notizie certe neppure sul numero dei convogli partiti dal
capoluogo altoatesino alla volta dei campi di Mauthausen, Flossenbürg, Auschwitz,
Ravensbrück, Dachau: tutta la documentazione relativa al campo, compresi gli elenchi
degli internati, venne infatti distrutta dal comando nazista poco prima della liberazione.
Numerosi prigionieri fanno riferimento nelle loro
testimonianze ad un convoglio, formatosi il 25 febbraio 1945 e composto sia da deportati
politici che da ebrei, che tentò inutilmente di partire dal capoluogo dellAlpenvorland:
malgrado i reiterati tentativi di aggiustare i binari, la deportazione fu resa impossibile
dal bombardamento della linea ferroviaria effettuata dagli alleati; dopo tre giorni di
permanenza allinterno dei vagoni i prigionieri vennero riportati nel campo.
Liliana Picciotto Fargion ha rilevato che "le
deportazioni da Bolzano avvenivano quando lItalia centrale e parte dellItalia
settentrionale erano già state liberate: mentre ancora treni carichi di umanità dolente
e destinata alla morte continuavano a dirigersi verso la Polonia e la Germania, a Roma
venivano avviati i primi passi, coordinati dal CRDE, per la ricerca dei deportati e dei
dispersi". Lultimo convoglio lasciò Bolzano alla volta di Dachau il 22 marzo
1945: esso partì "a un mese dalla definitiva liberazione dellItalia e quando
ormai lo stesso sistema della concentrazione e dello sterminio era entrato in collasso
irreversibile con il cedimento delle strutture del Terzo Reich, prossimo alla completa
disfatta militare".
Il campo venne liberato alla fine dellaprile 1945:
a partire dal 29 aprile e fino al 3 maggio gli internati cominciarono ad essere
rilasciati, pare a seguito di trattative fra la Croce Rossa Internazionale, esponenti
partigiani di Bolzano ed il comando del Lager; tutti i prigionieri ancora presenti, il cui
totale ammontava a circa 3.500 persone, ricevettero un Entlassungsschein firmato
dal Lagerkommandant Titho e vennero condotti a scaglioni fuori dalla città. Gli
ebrei furono trasferiti a Merano e assistiti dalla Croce Rossa: da lì furono poi
riportati alle loro case.
Nel novembre 2000 un ex SS del campo - Michael Seifert, oggi residente
in Canada - è stato condannato all'ergastolo in contumacia dal Tribunale militare di
Verona per gli orrendi delitti compiuti a Bolzano.
per
approfondire:
Bolzano Storia, testimonianze e foto sul lager di Bolzano e i
campi satellite (a cura dell'Aned)
Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini nel Lager di Bolzano. Una tragedia italiana in
7809 storie individuali, Fondazione Memoria della Deportazione/Mimesis,
Milano 2004
Il Lager di Bolzano Scheda di Rai Educational
Anche a volerlo raccontare è impossibile, Scritti e testimonianze sul
Lager di Bolzano, a cura di Giorgio Mezzalira e Cinzia Villani, Circolo Culturale
ANPI di Bolzano (sito dell'Anpi)
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