Il fatto: l'assassinio di Matteotti
La sera dell11 giugno 1924 il deputato socialista Giuseppe
Emanuele Modigliani denuncia alla Questura di Roma la scomparsa dellon. Giacomo
Matteotti, uscito di casa il pomeriggio del giorno prima intorno alle 16.30 e non
più rientrato. Le prime sollecite indagini della Questura accertano che il
deputato è stato aggredito da cinque o sei uomini e trascinato a forza su
unautomobile sul Lungotevere Arnaldo da Brescia (quindi vicino alla sua abitazione)
il pomeriggio del 10 giugno: è quanto affermano alcuni testimoni presenti
casualmente al fatto (due bambini -Adelchi Frattaroli ed Eliseo De Leo-, un
netturbino-Giovanni Puzzi- e un impiegato-Giovanni Tavanna-). Unaltra testimone, la
portinaia Ester DErasmi, riconosce il numero della targa: Roma 55 - 12169.
La targa dellautoveicolo è la chiave di volta delle
indagini. Lautomobile risulta presa a nolo dallavv. Filippo Filippelli, già
portavoce del sottosegretario agli Interni Finzi, direttore del
Giornale Italiano, testata fiancheggiatrice del fascismo, e consegnata ad Amerigo Dumini,
noto squadrista toscano, conosciuto come intimo amico di Cesare Rossi, capo
dellUfficio stampa della Presidenza del Consiglio dei ministri. Altro nome che viene
fatto durante le prime indagini è quello di Giovanni Marinelli, segretario
amministrativo del Partito nazionale fascista.
Si interessa attivamente alla vicenda Emilio De Bono, quadriumviro e
capo della Pubblica sicurezza.
Lautoveicolo viene ritrovato dalla PS la sera del 12
nellautorimessa Tattini e Malaga in via Frattina impolverata, con il
vetro posteriore infranto e la tappezzeria interna lacerata in più parti e macchiata di
sangue.
Il capo del fascismo fu informato l'indomani dei dettagli dell'"operazione"
e, appreso che la macchina era stata individuata, se ne uscì: "Porca m..., bastava
avessero pisciato sulla targa!". Gli indizi erano più che significativi e subito si
diffusero voci che indicavano le responsabilità nella stessa presidenza del Consiglio e
gli autori materiali in alcuni figuri notoriamente appartenenti alla cosiddetta Ceka, la
polizia segreta a servizio del capo del fascismo per i lavori "sporchi" e
soprattutto in quell'Amerigo Dumini, che amava presentarsi aggiungendo al suo nome
"diciotto omicidi". Nel rimpallarsi di accuse e contraccuse, circolarono
memoriali di collaboratori diretti di Mussolini con allusioni abbastanza chiare e talvolta
trasparenti sulle sue responsabilità. Anche se le prove definitive della colpevolezza del
capo del fascismo non furono mai trovate, è convinzione più che diffusa che di lì fosse
partito l'ordine.
Dalle indagini emerge, successivamente che Amerigo Dumini ha
alloggiato, nei giorni precedenti la scomparsa di Giacomo Matteotti, allhotel
Dragoni con sette persone (fra i quali un gruppo di arditi ) da
lui stesso fatte venire a Roma da Milano: Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria,
Amleto Poveromo, Filippo Panzeri, Aldo Putato e Otto Thierschald.
Dumini e i suoi vengono arrestati.
Uno di essi, Albino Volpi, interrogato in istruttoria, riferì: "Il contegno di
Matteotti è stato assolutamente spavaldo. Mentre lo pugnalavamo, egli è stato - direi -
eroico. Ha continuato fino alla fine a gridarci in faccia: "Assassini! Barbari!
Vigliacchi!". Mai ebbe un momento di debolezza per invocare pietà. E mentre noi
continuavamo nella nostra azione, egli ci ripeteva: "Uccidete me, ma l'idea che è in
me non l'ucciderete mai!". Probabilmente se si fosse umiliato un momento e ci avesse
chiesto di salvarlo e avesse riconosciuto l'errore della sua idea, avremmo forse non
compiuto fino alla fine la nostra operazione. Ma no, fino alla fine, fino che ha avuto un
filo di voce, ha gridato: "La mia idea non muore! I miei bambini si glorieranno del
loro padre. I lavoratori benediranno il mio cadavere". È morto gridando: "Viva
il socialismo!"".
Il 16 agosto viene ritrovato il corpo di Matteotti
da un brigadiere dei carabinieri nel bosco della Quartarella lungo la via Flaminia a 23 km
da Roma fra Riano e Scrofano (ora Sacrofano), in una piccola fossa già adibita a
carbonaia e protetta da arbusti e querce. Il cadavere è ridotto a scheletro e quasi
totalmente decomposto. La perizia dellodontoiatra di fiducia della famiglia
Matteotti riconosce il deputato dalle protesi dentarie. Gli esami disposti sul cadavere e
sullautomobile accertano che Giacomo Matteotti è deceduto per una ferita da
arma da taglio inferta sulla parte sinistra del torace quando il deputato si trovava
ancora nellautomobile.
Le reazioni
Il delitto ebbe ripercussioni immediate in tutta
Italia. La convinzione che Matteotti fosse rimasto vittima di un delitto politico era
talmente salda che i parlamentari delle opposizioni, fin dal 14 giugno, prima ancora,
cioè, che fosse ritrovato il corpo del deputato socialista, abbandonarono l'aula per
riunirsi in un'altra sala di Montecitorio e costituirsi in unico parlamento legittimo,
visto che nel parlamento ufficiale era ormai impossibile esercitare ogni funzione libera
per gli eletti del popolo. In quell'occasione fu votato un ordine del giorno che diede
origine alla cosiddetta "secessione dell'Aventino".
L'Aventino
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