Il processo
Listruttoria per il delitto Matteotti ebbe inizio il 14
Giugno 1924 per opera del consigliere istruttore Grassi coadiuvato dal giudice istruttore
Occhiuto presso il Tribunale di Roma. Dopo appena tre giorni fu avocata dalla Sezione di
accusa della Corte di Appello di Roma che conferì le funzioni distruzione al suo
presidente Mauro Del Giudice con lintervento del sostituto procuratore generale
Guglielmo Tancredi. Al fatto delittuoso ammettono di aver partecipato Amerigo Dumini,
Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo, che vengono rinviati a
giudizio sotto laccusa di sequestro di persona e omicidio volontario. I cinque
negano di aver voluto la morte del deputato. Questi, secondo la loro versione, è deceduto
a causa di uno sbocco di emottisi a seguito delle percosse o per aver battuto la testa sul
marciapiedi durante la colluttazione, in ogni caso senza premeditazione da parte loro. Lo
stesso sequestro, sempre secondo la linea difensiva non è stato premeditato; il gruppo,
in giro per Roma, ha incontrato casualmente il deputato socialista e ha deciso,
allistante, di punirlo per la sua attività antifascista, ma senza
lintenzione di sopprimerlo. Filippo Panzeri, Aldo Putato e Otto Thierschald, forse
non presenti al fatto, ma a disposizione di Dumini nei giorni precedenti, vengono
prosciolti.
Furono inoltre imputati per concorso nello stesso delitto quali
mandanti Rossi, Marinelli e Filippelli, nei confronti dei quali furono prontamente emessi
i relativi mandati di cattura. La denuncia del direttore del quotidiano Il
Popolo, Giuseppe Donati, nei confronti del senatore del Regno Emilio De Bono, al
momento della morte di Matteotti comandante generale della Milizia volontaria sicurezza
nazionale (oltre che capo della polizia), presentata al Senato il 6 dicembre 1924,
comportò il trasferimento degli atti istruttori alla Commissione permanente di istruzione
dellAlta Corte di Giustizia presso il Senato presieduta dal generale Zepelli. I
membri del Senato potevano infatti, secondo il disposto dellart.37 dello Statuto
Albertino, essere giudicati soltanto dal Senato costituito in Alta Corte di Giustizia.
Diversi furono i capi dimputazione rivolti a De Bono, fra di essi laccusa di
aver fatto parte di una associazione a delinquere, conosciuta con il nome di Ceka,
laver prima cooperato alla realizzazione del delitto e laver favorito poi gli
esecutori materiali dello stesso. Accogliendo le richieste del pubblico ministero,
lavvocato generale Santoro, lAlta Corte di Giustizia presso il Senato con la
sentenza del 12-6-1925 dichiarò non farsi luogo a procedere contro De Bono per
inesistenza del fatto in ordine ad alcuni capi di imputazione, e per non aver concorso
alla realizzazione del fatto in ordine agli altri capi di imputazione. Una volta
prosciolto dalle accuse, De Bono venne poi nominato governatore della Tripolitania. Dopo
cinque mesi gli atti del procedimento furono quindi restituiti dallAlta Corte di
Giustizia alla Sezione di accusa della Corte di Appello di Roma. Il 4 settembre 1925 il
presidente della Sezione di accusa Mauro Del Giudice venne promosso procuratore generale
della Corte dAppello di Catania e sostituito da Antonio Albertini. Anche Guglielmo
Tancredi venne promosso sostituto procuratore generale presso la Corte di Cassazione e
sostituito da Nicodemo Del Vasto, cognato di Roberto Farinacci, alto esponente del Pnf e
futuro difensore di Dumini nel processo di Chieti. Listruttoria si concluse con la
sentenza del 1° dicembre 1925. La Sezione di accusa accolse le richieste del procuratore
generale, relative al rinvio a giudizio dei cinque esecutori materiali dellomicidio
(Dumini, Volpi, Viola, Poveromo, Malacria), escludendo però la premeditazione quale
circostanza aggravante; dichiarò inoltre non doversi procedere in ordine a tale
imputazione nei confronti di Putato e di Panzeri per insufficienza di prove e, per gli
altri imputati (Marinelli, Filippelli, Rossi e Naldi), per non aver commesso il fatto né
avervi concorso.
Il 21dicembre 1925 la Corte di Cassazione - accogliendo
listanza del procuratore generale presso la Corte dAppello di Roma, rimise il
giudizio alla Corte dAssise di Chieti per gravi motivi di pubblica sicurezza. Il
processo celebratosi a Chieti iniziò il 16 marzo1926 e terminò il 24 dello stesso mese,
con lemissione della sentenza definitiva. Durò solo otto udienze. Il dibattimento
fu diretto dal presidente Danza, la pubblica accusa fu sostenuta dallavvocato
generale Alberto Salucci. I giurati, rispondendo alle 35 questioni loro proposte,
ritennero colpevoli i soli Dumini, Volpi e Poveromo di complicità corrispettiva in
omicidio preterintenzionale, escludendo, quindi, la premeditazione e laggravante di
cui allart.365, n.2 c.p., ammettendo, invece, la concausa e le attenuanti generiche.
I tre furono condannati alla pena di anni 5, mesi 11 e giorni 20 di reclusione, nonché
allinterdizione perpetua dai pubblici uffici. La Corte di Assise assolse, invece,
gli imputati Viola e Malacria per non aver commesso il fatto.
Caduto il regime fascista dopo l8 settembre
1943, mentre ancora si combatteva nellItalia del centro e del nord il governo
presieduto dal generale Pietro Badoglio emanò il Decreto Luogotenenziale del 27.7.1944
n.159, il quale, allart.7 stabilì che le sentenze pronunciate per i delitti
fascisti, puniti con pene detentive superiori nel massimo ai tre anni, potevano essere
dichiarate giuridicamente inesistenti, quando sulla decisione avesse influito lo stato di
coercizione morale determinato dal fascismo. La Corte di Cassazione dichiarò così
giuridicamente inesistenti la sentenza istruttoria del 1° dicembre 1925 della Sezione di
accusa della Corte di Appello di Roma e la sentenza definitiva del 24 marzo1926 emessa
dalla Corte di Assise di Chieti e dispose che gli atti fossero trasmessi per
lulteriore corso al procuratore generale presso la Corte dAppello il quale, a
sua volta, rimise listruzione alla Sezione istruttoria della Corte di Appello di
Roma, presieduta da Gennaro Giuffré. Il processo fu celebrato presso la prima Sezione
della Corte di Assise di Roma, composta dal Presidente Erra, dal Consigliere togato Fibbi
e da cinque giudici popolari. La pubblica accusa fu sostenuta in giudizio dal pubblico
ministero Giovanni Spagnuolo. Imputati nel processo furono Giunta, Rossi, Dumini, Viola,
Poveromo, Malacria, Filippelli, Panzeri. I primi due per avere, nelle loro qualità di
dirigenti del Pnf e componenti del Direttorio dello stesso Pnf, ideato e organizzato una
squadra di azione, denominata poi Ceka, avente per fine la commissione di atti di violenza
in danno degli oppositori e dei dissidenti del regime fascista, Rossi e ancora Marinelli
quali mandanti delluccisione dellOn. Matteotti, gli altri imputati, infine,
quali esecutori materiali dellazione delittuosa che portò alla morte del deputato
socialista.
La Corte di Assiste di Roma, con la sentenza del 4 aprile 1947,
condannò Dumini, Viola e Poveromo alla pena dellergastolo, commutata nella
reclusione per trentanni, in virtù dellart.9 del Dpr del 22.6.1946 n.4,
nonché allinterdizione perpetua da pubblici uffici ed allinterdizione legale
durante la pena. La Corte riconobbe la premeditazione del fatto e la sussistenza
dellaggravante di cui allart.365 n.2. La Corte di Assise dichiarò, inoltre,
non doversi procedere nei confronti di Filippelli, per i reati da lui commessi
(complicità nel sequestro e favoreggiamento degli esecutori materiali del delitto), per
estinzione degli stessi in seguito allamnistia. Egualmente dichiarò non doversi
procedere nei confronti di Rossi, Giunta e Panzeri, per i reati loro ascritti, per
estinzione di questi a seguito allamnistia disposta dal Dpr 22.6.1946 n.4.
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