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Dossier: le Foibe
La storia (1866-1960): dall'irredentismo
triestino all'esodo italiano dall'Istria e dalla Croazia
Quando si parla di foibe, l'attenzione si polarizza
immediatamente sulle tragiche vicende dell'autunno del 1943 e della primavera del 1945, in
Istria e nella Venezia Giulia, segnate dagli eccidi compiuti dalle milizie jugoslave e da
non pochi civili sloveni e croati contro gli italiani, ma ciò non basta per comprendere
il significato profondo di tali eventi, che devono essere situati in un più ampio
contesto temporale. L'impostazione storiografica di lungo periodo è quella più idonea
per capire quanto avvenuto al confine orientale tra il 1943 e il 1945. E', infatti, nei
primi anni Sessanta dell'Ottocento che incomincia a delinearsi consapevolmente il problema
del confine orientale del neocostituito Regno d'Italia.
Le guerre d'indipendenza e l'irredentismo italiano e
slavo
Nel periodo tra la II e la III guerra d'indipendenza si discute
appassionatamente la questione del giusto confine orientale, tale ritenuto, per i più, se
comprendente, oltre ai vecchi domini veneziani nella penisola istriana, anche Gorizia e
Trieste, cioè le terre italiane appartenenti all'impero asburgico.
La delusione del 1866, con l'annessione del solo Veneto, comprendente parte del Friuli, fa
nascere l'"irredentismo".
Nel medesimo periodo veniva sviluppandosi rapidamente anche un duplice risorgimento,
spirituale e materiale, delle popolazioni slave residenti nel Litorale, poiché tanto gli
sloveni quanto i croati, in ciò guidati dal clero cattolico, avevano iniziato a scoprire
e a consolidare la propria identità nazionale da un lato e a battersi per il
miglioramento delle condizioni economiche dall'altro; da qui, pertanto, l'avvio di uno
scontro sempre più acceso sul piano etnico e sociale, dal momento che la componente
italiana, che deteneva una posizione di assoluta supremazia anche a livello censuario,
aveva il controllo della vita amministrativa e politica locale.
L'afflusso sempre più consistente di manodopera slava dall'interno dell'Impero verso una
città in grande espansione come Trieste e l'ascesa materiale e culturale degli abitanti
croati e sloveni della regione determina una miscela esplosiva costituita da una crescente
consapevolezza nazionale in entrambe le etnie conviventi nell'allora Litorale; una
contrapposizione drastica sul versante religioso; un conflitto di classe tra una borghesia
consolidata e un movimento contadino e proletario in ascesa e, per finire, un contrasto
tra città, a larga dominanza italiana, e campagna, quasi ovunque abitata da slavi.
Ciò determinava la fusione della questione sociale con quella nazionale, rendendo ancor
più drammatico il conflitto.
La Grande Guerra e l'annessione dell'Istria
Va, peraltro, rilevato che sul versante italiano si può
inizialmente parlare di un nazionalismo difensivo, mentre dall'altra parte è evidente un
nazionalismo offensivo, rivendicante la liquidazione dell'elemento italiano e lo sbocco al
mare con una Trieste trasformata nella capitale morale e materiale della Slovenia, la
creazione di una grande Slovenia fino al Cividalese e alla Carnia, sia pure entro la
compagine imperiale, che non poteva non preoccupare e spingere a un ulteriore arroccamento
la dirigenza liberal-nazionale italiana. A ciò s'aggiunga il graduale raffreddamento
delle relazioni diplomatiche tra Italia e Austria-Ungheria in seguito alla progressiva
competizione economica e commerciale nei Balcani e ai nuovi orientamenti internazionali
dei governi di Roma, l'affermazione di un aggressivo nazionalismo anche imperialista in
Italia, il ribollire sempre meno controllabile delle tensioni nazionali nell'Impero e si
comprenderà come allo scoppio della guerra nel 1914 e all'entrata in essa dell'Italia
l'anno dopo, gli spiriti da entrambe le parti fossero sufficientemente accesi e
predisposti a uno scontro anche armato per risolvere la questione dell'appartenenza
nazionale e statuale della Venezia Giulia.
Lo Stato Maggiore imperiale, esperto nel gestire truppe di varia provenienza etnica, non a
caso scelse di schierare sul fronte isontino milizie in prevalenza slovene e croate, oltre
che carinziane e tirolesi, sapendo di poter contare sul loro sentimento antiitaliano. Il
conflitto etnico era, dunque, esplicito e radicale, combattuto con le armi in pugno ben
prima del 1941. I trattati di pace postbellici, gli accordi di Rapallo (1920) prima e di
Roma (1924) poi, dando una sistemazione del confine orientale confacente agli interessi
italiani, incorporavano, però, nel Regno un consistente numero di sloveni e croati, cui
la classe dirigente liberale, seguendo i consigli di Francesco Salata, assicurò i
fondamentali diritti di tutela della propria identità nazionale. In particolare il
Trattato di Rapallo, firmato nel 1920 tra il regno dItalia e quello dei Serbi,
Croati e Sloveni, ebbe leffetto di un fiammifero sulla benzina. Il Trattato accolse
in pieno le esigenze italiane e amputò un quarto abbondante dellarea ritenuta dagli
sloveni come proprio "territorio etnico".
Il fascismo e l'italianizzazione delle minoranze
Con l'avvento del fascismo (che allontana Salata) vi fu
una politica di snazionalizzazione antislava, che rientrava in un più ampio e
complessivo processo di italianizzazione di tutte le minoranze "alloglotte",
incluse quelle germanofone sudtirolesi e francofone valdostane. Nella Venezia Giulia
vennero progressivamente eliminate tutte le istituzioni nazionali slovene e croate, le
scuole furono italianizzate, gli insegnanti licenziati o costretti ad emigrare, vennero
posti limiti allaccesso degli sloveni nei pubblici impieghi. Alleliminazione
politica delle minoranze, si accompagnò da parte del regime mussoliniano unazione
che aveva lintento di arrivare alla bonifica etnica della Venezia Giulia. Anche
attraverso la repressione nei confronti del clero, che rappresentava un importante momento
di sintesi della coscienza nazionale delle minoranze. Tappe fondamentali
delladdomesticamento della Chiesa di confine furono la rimozione
dellarcivescovo di Gorizia, Francesco Borgia Sedej, e del vescovo di Trieste, Luigi
Fogar. I loro successori applicarono le direttive "romanizzatrici" del Vaticano,
anche attraverso labolizione delluso della lingua slovena nella liturgia e
nella catechesi. D'altra parte il concordato del 1929 con il Vaticano tolse una potente
arma d'opposizione al clero sloveno e croato, che non poteva non riconoscere talune
benemerenze a un regime ora alleato del Papa. La prima conseguenza di questo
programma di distruzione integrale delle identità fu la fuga di gran parte delle
minoranze dalla Venezia Giulia: secondo stime jugoslave emigrarono 105 mila sloveni e
croati. Ma soprattutto si consolidò, agli occhi di queste minoranze, un fortissimo
sentimento anti italiano, lequivalenza tra Italia e fascismo che portò la
maggioranza degli sloveni al rifiuto di quasi tutto ciò che appariva italiano. Come
reazione, si radicalizzarono gli obiettivi delle organizzazioni clandestine slovene che,
verso la metà degli anni Trenta, abbandonarono le rivendicazioni di autonomia culturale
nellambito dello Stato italiano per puntare invece al distacco dallItalia dei
territori considerati loro. Unazione che trovò lappoggio del Partito
comunista italiano.
L'Italia attacca la Jugoslavia; l'occupazione fascista
in Slovenia
In un tale contesto lo scoppio della seconda guerra mondiale e
l'attacco italo-tedesco alla Jugoslavia nella primavera del 1941 che seguiva
all'improvviso rovesciamento di alleanze del governo di Belgrado come conseguenza di un
vero e proprio colpo di Stato a favore dei nemici dell'Asse portarono ulteriori elementi
di complicazione a una situazione già complessa e travagliata.
La dissoluzione del regno dei Karageorgevic portò alla costituzione di una provincia di
Lubiana, annessa al regno d'Italia, sia pure con un certo grado di autonomia, e allo
spostamento a est del confine orientale nazionale con il conseguente inglobamento di altri
sloveni e croati. Di vera e propria resistenza slava non si può parlare fino al luglio
del '41. Dopo tale data ebbe inizio una guerriglia non solo nazionale e patriottica, ma
anche ideologica, alla quale le forze di occupazione italiana risposero con una feroce
repressione, bruciando case, sequestrando beni e uccidendo partigiani e civili o
rinchiudendoli in campi di concentramento. I campi di concentramento
e deportazione italiani furono almeno 31 (a Kraljevica, Lopud, Kupari,
Korica, Brac, Hvar, ecc.), e molti furono dislocati anche in Italia. Vi
morirono oltre 7.000 persone. Vi furono internati soprattutto sloveni e croati (ma anche
"zingari" ed ebrei), famiglie intere, vecchi, donne, bambini
Bilancio
delle vittime slovene in 29 mesi di terrore fascista, nei 4.550 Km quadrati di questo
territorio:
Ostaggi civili fucilati .............................
n. 1.500
Fucilati sul posto........................................ n.
2.500
Deceduti per sevizie.................................. n.
84
Torturati e arsi vivi
n. 103
Uomini, donne e bambini morti nei campi
di concentramento
..
n.
7.000
Totale
n. 13.087 |
Le violenze del '43 in Istria
L'8 settembre 1943, con la scomparsa quasi istantanea delle
istituzioni militari e civili nazionali nell'area giuliana, creò un vuoto di potere nel
quale il movimento partigiano sloveno e croato, ormai egemonizzato dalla componente
comunista, fu pronto a inserirsi, scatenando un'ondata di terrore, che, se in qualche
misura può anche esser vista come esplosione di furori contadini a lungo repressi
nell'Istria interna, fu in sostanza il risultato di un'operazione predisposta dall'alto, a
partire da Tito, che mirava a colpire tutti quelli che in qualche modo rappresentavano lo
Stato italiano e l'apparato fascista o che si sapeva risolutamente contrari a
un'annessione alla Jugoslavia, pur se antifascisti dichiarati.
L'occupazione jugoslava del Litorale e le foibe
Il culmine lo si raggiunse nella primavera del 1945 al crollo
del III Reich con la conseguente occupazione jugoslava del Litorale Adriatico
(Adriatisches Kustenland), in pratica staccato dalla RSI e governato dai proconsoli della
Germania hitleriana.
I quaranta giorni dell'occupazione titina di Gorizia e di Trieste dove, in seguito a un
accordo interalleato, subentrò l'amministrazione militare angloamericana, mentre l'Istria
rimase definitivamente alla Jugoslavia furono caratterizzati da un'applicazione su vasta
scala della pratica del terrore, gestita con estrema abilità ed efficacia anche sul piano
psicologico dai servizi segreti jugoslavi, che, operarono con la massima determinazione
per cancellare ogni traccia della presenza istituzionale italiana sul territorio, colpendo
in modo sistematico ogni possibile opposizione in chiave nazionale e ideologica,
arrestando, deportando nelle carceri e nei campi di prigionia (tra i quali va
ricordato quello di Borovnica), infoibando o comunque sopprimendo
in tutta la Venezia Giulia occupata, nella zona di Trieste, nel Goriziano e nel
Capodistriano, migliaia di avversari, in prevalenza italiani (non
solo fascisti, ma anche esponenti del Cln che si opponevano all'annessione) e pure sloveni
e croati, creando ad arte un velo di mistero e di segretezza sulla loro scomparsa al fine
di provocare un'atmosfera di paura generalizzata e di tensione e inquietudine diffusa.
Il partito comunista italiano di Trieste, uscito nel settembre '44 dal C.L.N., appoggiò
le mire slave.
VITTIME
delle FOIBE
Nel '43: tra le 500 e le 700
Nel '45: dalle 4-5.000 alle 10-12.000 vittime |
Dopoguerra e esodo degli italiani dall'Istria e dalla Croazia
Nel 47 la situazione peggiorò perché le autorità jugoslave, in contrasto con
il mandato di occuparsi solo dellamministrazione provvisoria della zona B, cercarono
di forzare lannessione con una politica di fatti compiuti. Tentarono di «ostringere
gli italiani ad aderire alla soluzione jugoslava, facendo anche uso
dellintimidazione e della violenza. Un disegno - affermano gli storici - dal quale
traspare palese lintento di liberarsi degli italiani in quanto ritenuti irriducibili
alle istanze del nuovo potere. Da parte jugoslava si vide con crescente favore
labbandono degli italiani della loro terra dorigin». Intanto nel '48, dopo la
rottura tra il movimento titino e il Cominform, erano esplose le tensioni tra i comunisti
italiani e quelli jugoslavi. Numerosi esponenti del Pci, la maggior parte dei quali erano
accorsi in Jugoslavia attirati dal mito delledificazione del socialismo, subirono il
carcere, la deportazione e lesilio. Gli scoppi di violenza che avvenirono durante le
elezioni del 1950, e successivamente la crisi triestina nel 53, fecero il resto. Il
risultato fu lesodo dai territori istriani di migliaia di italiani: 27 mila nelle
aree oggi soggette alla sovranità slovena, dai 200 ai 300 mila dalla Croazia.
La Campagna di
Jugoslavia e il regime di occupazione italiana in Jugoslavia
(1941-1943)
Il fascismo nella Venezia Giulia e la persecuzione antislava
(saggio di Alberto Buvoli , Patria Indipendente, 27 febbraio 2005)
Le foibe.
Istria, settembre-ottobre 1943 (saggio di Galliano Fogar, Patria
Indipendente, 27 febbraio 2005)
1941-3: la repressione antipartigiana e i campi di concentramento italiani
nella Jugoslavia occupata
Foibe, è il caso di parlarne (di
Maria R. Calderoni, Liberazione)
«Le
stragi delle foibe furono violenza di Stato». Il testo definitivo
dellanalisi bilaterale Italia-Slovenia (di Francesco Alberti, Corriere della Sera 4
aprile 2001)
La questione di Trieste: cronologia 1944-1975 |