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Dossier: Porzus e le Foibe
Foibe, è il caso di parlarne
Foiba. Dal latino fovea (fossa, cava, antro la parola sta ad indicare una
fenditura del terreno, profonda anche alcune decine di metri, che si apre sul fondo di una
dolina e che l'erosione millenaria dell'acqua ha scavato nelle rocce carsiche in forme
gigantesche e accidentate. Foiba come inghiottitoio segreto, uno dei 1.700 antri di cui è
disseminato il territorio carsico triestino e giuliano, e che da sempre sono serviti per
nascondere e far sparire tutto ciò che era inservibile, carcasse di animali, mobili
rotti, suppellettili , carri in disuso, indumenti smessi; anche le vittime della
criminalità comune, i testimoni scomodi, i cadaveri pericolosi che non devono essere più
ritrovati.
In tempo di guerra i corpi di soldati uccisi impossibili da seppellire. Solo con l'ultimo
conflitto foiba è diventato altro, il termine allusivo e atroce con il quale si intende
riferirsi all'eliminazione di italiani nella Venezia Giulia, nel settembre-ottobre 1943 e
soprattutto nella primavera del '45, ad opera delle truppe di Tito. Una pagina di storia
italiana oscura, contorta, piena di contraddizioni, di doppie e triple verità
A parlare di foibe e di "infoibati", con racconti agghiaccianti e il supporto di
testimonianze terribili, è il periodico della Dc La prora esattamente il 26 gennaio 1946;
successivamente l'intero servizio è pubblicato in un opuscolo edito dal comitato
nazionale dell'Istria, con il titolo "Foibe, la tragedia dell'Istria". Comincia
da qui la fosca storia. Sulla quale è stata operata una rimozione della memoria niente
affatto casuale e sulla quale tuttavia, ieri e oggi, si esercita un virulento tentativo di
distorta interpretazione storica, in
chiave prevalentemente anticomunista (non solo da destra).
In sostanza, le foibe presentate come il corrispettivo degli eccidi fascisti, gli spietati
"slavo-comunisti" come contraltare dei barbari nazisti in un crescendo di accuse
chè fanno gridare alla pulizia etnica e al genocidio.
Le foibe ci sono state? Allora è impossibile parlarne senza tener conto del contesto del
convulso e violento clima in cui simili episodi sono avvenuti. Sono passati più di
cinquantacinque anni; ha ragione chi chiede di aprire gli armadi e di tirar fuori gli
scheletri, se ve ne sono, senza ipocrisie e senza omissioni. appunto, "i fatti non
cessano di esistere perché vengono ignorati".
Con 1'8 settembre, le forze militari italiane presenti nella regione si disgregano in modo
fulmineo; il generale Ferrero comandante del XXIlI Corpo d'armata abbandona Trieste; il
generale Gambara, che comanda l'Xl Corpo d'Armata consegna Fiume a una piccola unità
corazzata tedesca: dappertutto sono abbandonati depositi, armi, installazioni, magazzini,
riserve di viveri. E insieme al rapido sgretolarsi dell'apparato militare, crolla l'intera
amministrazione civile. La Wermacht ha mano libera nell'occupare i centri principali della
Venezia Giulia (Trieste, Gorizia, Fiume, Pola) ma, per scarsità di forze, non riesce
subito a occupare anche l'Istria interna.
Si crea così in questa regione "un improvviso vuoto di potere - scrive Gianni Oliva
nel libro" La resa dei conti" (Mondadori) - nel quale non c'è più alcun
riferimento né civile né militare. In questo vuoto, dominato dalla confusione e dalla
incertezza, si inseriscono due diverse dinamiche: da un lato l'intervento organizzato
delle formazioni partigiane che, senza trovare alcuna resistenza, assumono anche il potere
civile, "in nome del popolo"; dal'altra "la rivolta spontanea dei contadini
croati, che si impadroniscono
delle armi abbandonate dai militari italiani e danno vita ad una vera jaquerie, con
incendio di catasti e archivi comunali".
La violenza fascista
Le prime foibe nascono da qui, nascono da un odio sedimentato da oltre vent'anni di
soprusi e violenze perpetrate dal regime fascista contro le popolazioni istriane.
Già l'annessione dell'Istria all'ltalia dopo la prima guerra. Mondiale, in forza del
trattato di Versailles avviene in un clima di ostilità da parte dei contadini
croati e sloveni, che vedono la loro economia andare in rovina e si sentono espropriati e
umiliati. Ma il fascismo fa precipitare la situazione. In questa regione multietnica, dove
il regime assume subito i tratti spicci del fascismo di frontiera, si attua in modo
violento la politica dell'assimilazione. Una politica che si traduce in vera e propria
persecuzione, con denunce, arresti,
espropriazioni, negazione dell'identità culturale, oppressione. il lungo odio che cova
tra la popolazione slava si coagula intorno all'equazione
italiano = fascista = padrone.
Intanto, in tutta la Jugoslavia è già divampata la lotta partigiana che ben presto si
estende all'Istria. Prendono le armi non solo i militanti comunisti, ma anche quella parte
di popolazione che il regime ha vessato più pesantemente; attentati e azioni di
sabotaggio sono all'ordine del giorno (sono oltre 20.000 i partigiani dell'Istria interna,
tra i quali sono preminenti appunto i combattenti comunisti).
La risposta dell'autorità italiana è durissima, numerosi gli eccidi che colpiscono la
popolazione civile: impiccagioni, interi villaggi dati alle fiamme, rastrellamenti,
arresti in massa. Quando con l'8 settembre, tutto crolla , arriva anche il momento della
violenza ,spontanea e indiscriminata, lo scoppio dell'odio a lungo trattenuto. E' la
caccia contro "chiunque sia ricollegabile all'amministrazione italiana"; il
clima nel quale si intrecciano "il giustizialismo politico del movimento partigiano e
la violenza della rivolta contadina", mescolati insieme spinte nazionaliste e
contenuti di classe.
Ci sono arresti, processi sommari, esecuzioni. Sull'orlo del precipizio chiamato foiba i
"nemici del popolo" possono essere giustiziati e poi lasciati cadere giù, nella
"fossa del cane nero".
I comandanti partigiani rilasciarono allora dichiarazioni che minimizzano: ufficialmente
parlano di esecuzioni che coinvolgono solo "fascisti italiani, fascisti ustascia e
degenerati cetnici "; ma alcuni voci si levano a denunciare eccessi e abusi.
La battaglia delle cifre
Quante le vittime del cruento '43 giuliano? Già subito dopo l'arrivo in Istria delle
truppe tedesche, vengono iniziate le ricerche per il recupero dei cadaveri degli infoibati
Al maresciallo dei vigili del fuoco di Pola, Arnaldo Hazarich, è affidato l'incarico di
esplorare la prima fossa già il 16ottobre 1943.
"Le immagini dei ritrovamenti, cariche di suggestioni macabre, diventano subito
strumento della propaganda della Repubblica Sociale e nella pratica dell'uso politico i
numeri si dilatano: si parla di migliaia di cadaveri recuperati e di altri ben più
numerosi , che giacciono in fenditure troppo strette per poter essere riesumate". I
repubblichini e non solo loro fanno gran chiasso. Ma la ricerca storiografica recente
ridimensiona fortemente il fenomeno. Come scrive Roberto Spaziali ( Contabilità degli
infoibati Marsilio) secondo una ricerca a cura dell'unione degli Istriani sono state
esumate 355 salme, 40 delle quali accertate e 503 presunte sulla base delle segnalazioni
locali; secondo altre fonti, il numero delle vittime è compreso fra 500 e 700.
Non certo poche; non certo da passare sotto silenzio; ma non uno sterminio di massa
Tuttavia l'esperienza delle foibe è traumatica e l'impatto sulla popolazione profondo:
dietro le foibe si agita il pericolo degli "slavo-comunisti"; avanza la paura di
una nuova e forse definitiva ondata che avrebbe travolto gli italiani nel caso la Venezia
Giulia fosse ancora caduta sotto il controllo jugoslavo". E ciò doveva avere molto a
che fare con quanto avvenne due anni dopo, nella drammatica primavera 1945.
"Nella Venezia Giulia - dirà Churchill - abbiamo rischiato di rimanere fuori dalla
porta. siano riusciti solo a infilare un piede dentro prima che l'uscio si
chiudesse".Nella "corsa su Trieste", arrivarono prima, gli uomini di Tito
quei meravigliosi guerriglieri che hanno ormai vinto i tedeschi in tutta la Jugoslavia,
spodestato la monarchia e instaurato un nuovo potere con a capo l'uomo che li ha guidati;
quei guerriglieri che hanno strappato parole di ammirazione e entusiasmo allo stesso
premier britannico
Arriva Tito
Ha vinto il mitico IX Corpus, il 1 maggio gli nomini di Tito entrano a Trieste
l'insurrezione in città avviene sotto la guida congiunta del Cln giuliano e dei
partigiani di "Unità Operaia", decisamente filo-titini. Gli avvenimenti sono
tumultuosi Il 3 è presa Fiume, il 6 Pola, in una settimana la penisola è occupata, i
tedeschi vinti. Ovunque l'esercito jugoslavo insedia i Comitati popolari di Liberazione,
veri e propri governi locali saldamente affidati a uomini di provata fede comunista; e
dove, come a Trieste il Cnl è nelle mani, di capi che non accettano le direttive di Tito
è semplice: arriva
la. divisione, la contrapposizione l'accusa reciproca. Scatta l'epurazione verso chi non
ci sta nel mucchio finiscono quelli che hanno fatto la resistenza ma sono anticomunisti, i
dissidenti liberali, quelli definiti genericamente conservatori e reazionari , anche quei
comunisti nazionalisti che non accettano la subordinazione a Tito.
La realtà, l'opposizione al Maresciallo e al vittorioso esercito jugoslavo è già una
scelta di campo, già infatti si gioca la partita Occidente-Urss per la spartizione delle
sfere d'influenza, e la Venezia Giulia è la pedina di una posta già internazionalizzata.
"Trieste fu un significativo precedente di quelle che con l'acutizzarsi della guerra
fredda, sarebbero state Berlino e la Corea. Lo sapevano Tito e i comunisti italiani e
slavi, lo sapevano Churchill e i conservatori italiani e giuliani. Perciò la contesa ebbe
i caratteri di accanimento e intransigenza fin da quei primi giorni", scrive Mario
Pacor (Confine Orientale, Feltrinelli).
Gli angloamericani entrano nella regione il 12 giugno Tito si ritira, in base agli accordi
raggiunti fra i vincitori, da quella che diventerà la zona A sotto l'egida alleata: in
mezzo ci sono 40 giorni che si accusa, vedono il riesplodere del fenomeno foibe in forme
ancora più vaste che nel '43. Quaranta giorni nel corso dei quali si accusa, "la
nozione di criminale di guerra si intreccia con quella di nemico del popolo": nel
corso dei quali l'epurazione e la condanna si abbattono non solo su chi ha indossato la
divisa del regime ma su tutti coloro che si oppongono al nuovo ordine, al governo popolare
e socialista che viene avanti sulla punta dei fucili di Tito.
Lo scontro coinvolge anche i Cln, già provati dalla divisione tra garibaldini della
Natisone (a maggioranza comunista) e osovani della Osoppo (a maggioranza dc). Il tragico
episodio di Porzus è appunto già maturato in tale clima avvelenato, quando si sospetta
che elementi della resistenza osovana siano in trattative segrete con i nazifascisti per
un fronte comune contro la minaccia degli slavo comunisti.
I fatti
Questo è lo scenario. Gli arresti ci furono, i deportati pure, così come i processi
sommari e le esecuzioni, e si torna ha parlare del macabro rituale foibe. "Se
deplorevoli eccessi ci furono" - si legge sempre nello stesso libro di Pacor -
"essi vanno attribuiti prevalentemente alla durezza di qualche singolo elemento, in
particolare nell'ambito della polizia politica, l'Ozna, e della Guardia del popolo, nella
quale si infiltrarono anche avventurieri, come sempre accade in movimenti analoghi".
Quante vittime? "Le loro dimensioni numeriche, che erano state enormemente ingrandite
da una propaganda ad arte che parlava di migliaia di deportati e di infoibati, sono state
ridimensionate da ricerche compiute dalla Cri e dalla deputazioné triestina e ricondotte
a proporzioni che si possono considerare veritiero e definitive".
Così nel suo volume "L'occupazione jugoslava di Trieste", E. Maserati dà le
seguenti cifre: a Gorizia e Trieste sarebbero state arrestate forse 6.000 persone, gran
parte delle quali furono dimesse subito o in breve tempo; i deportati di Trieste sarebbero
stati circa 950, dal Goriziano circa 900, dall'Istria circa 850. "Non avrebbero
più fatto ritorno circa 600 dei deportati di Trieste, 550 di quelli di Gorizia, 570
dall'Istria, 280 da Fiume. Si trattò di militari e civili, membri dell'esercito, della
milizia fascista, della polizia
Perirono purtroppo anche parecchi innocenti".
Una vera tragedia.
Ma sono, cifre esatte, sia pure per approssimazione? Il 13° corpo anglo-americano il 3
agosto 1945 stila un rapporto nel quale si indica in l7.000 le persone arrestate nell'area
di Trieste dì cui ottomila rilasciate dopo i primi accertamenti, seimila internati
soprattutto a Borovnica, tremila uccise, per il Goriziano la cifra è di tre quattromila
arrestati, metà dei quali rilasciati in giugno. Nessun dato è disponibile per Fiume e
l'Istria . Nel calcolo non si fa distinzioni tra militari e civili.
Qualche mese più tardi, però, gli alleati ridimensionano queste cifre e
stilano un elenco di 2.472 persone scomparse, di cui chiedono conto al governo di Tito.
La lista è ufficialmente inoltrata dalla ambasciata italiana alle autorità jugoslave il
23 ottobre l945: si accusa la Jugoslavia di violare l'art. 6 dell'accordo di Belgrado, che
prevede la liberazione "dei cittadini italiani della zona A arrestati e deportati
".
La risposta di Tito arriva il 7 dicembre: l'elenco è una provocazione, dice la sdegnata
nota di Belgrado, alimentata "da certi italiani che tentano di ingannare l'opinione
pubblica del mondo" e vogliono scatenate una incredibile campagna politica contro la
Repubblica popolare di Jugoslavia", la quale si rammarica che il governo di Sua
Maestà britannica dia tanto credito a chi ha combattuto a fianco del nazismo e del
fascismo
La lista è ufficialmente confutata e respinta al mittente come falsa e infondata.
Altre ricerche condotte a partire dal '47 hanno portato ai dati raccolti nel volume
"La Venezia Giulia e la Dalmazia nell'ultimo conflitto mondiale" e resi
noti nel 1998. Secondo questi numeri sarebbero 5.643 le vittime delle foibe, (3500 nella
sola Basavizza), 3.174 i morti nelle prigioni e nei campi di concentramento jugoslavi. Un
allucinante totale di oltre diecimila vittime.
Capitolo oscuro: perché
Dove sta la verità? Sulla tragica questione foibe siamo dunque ancora alla "donna
velata"; non solo sulla sua qualificazione, ma anche sulla sua reale entità.
E' però utile chiedersi come mai l'intera vicenda sia rimasta un capitolo oscuro, un
capitolo rimosso per tanto tempo. Chi ha avuto l'interesse a lasciarlo nel buio?
In primo luogo - è la risposta degli storici - l'interesse è degli angloamericani.
Quando infatti nel '948 si consuma la rottura tra Tito
e Mosca e l'Occidente guarda al Maresciallo come a un possibile prezioso alleato contro
l'Urss, viene lasciata cadere ogni idea di approfondire i fatti del 1945: "la
spiegazione fornita da Belgrado circa il carattere politico delle eliminazioni e la
generale colpevolezza dei morti, diventa una sorta di versione ufficiale accettata dalla
diplomazia occidentale che non ritorna
sull'argomento".
In secondo luogo "a rimuovere" è il governo italiano con De Gasperi che non
gradisce affatto di accendere i riflettori sulle umilianti condizioni accettate per il
territorio libero di Trieste (che resterà in mano alleata sino al 26 novembre 1954):
"il silenzio storico sulle foibe diventa funzionale al silenzio sul trattato di pace
e sulla diminuzione della sovranità nazionale".
Infine, 1'interesse a mettere a tacere è anche del Pci, niente affatto portato a tornare
su una questione "che evidenzia le contraddizioni fra la nuova collocazione di
partito nazionale, la vocazione internazionalista e i legami con Mosca".
Foibe. E' il caso di parlarne.
Maria R. Calderoni
Da "Liberazione" 26 Novembre 2000
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