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L'antifascismo e l'Europa
Il manifesto di Ventotene
In principio fu Luigi Einaudi. In un libro da lui pubblicato oltre vent'anni
prima con lo pseudonimo di Junius, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi,
confinati politici nell'isola di Ventotene, trovarono alcune idee sull'Europa e qualche
suggerimento sul come sottrarla al suo cupo destino: su questi semi germogliò
sessant'anni fa, nel luglio del 1941, il celebre Manifesto di Ventotene,
una sorta di bibbia dell'unità d'Europa. La gestazione del documento durò sei mesi. La
prima idea, originata appunto dalla lettura di Junius, risale al «tetro inverno» del
1940-41. Il Continente sprofondava nella guerra. In un simile clima, e in contrasto con
esso, ai due confinati gli spunti offerti da Einaudi apparvero stimolanti.
Rossi, che era stato suo allievo, chiese al celebre economista di inviargli
altro materiale sul tema: giunsero così nell'isola, spediti da Torino, un paio di
volumetti della letteratura federalista inglese. Vi si criticava il nazionalismo. Si
chiedeva di opporgli un'alternativa politicoistituzionale. Per Spinelli (l'avrebbe
raccontato più tardi lui stesso) fu «una rivelazione». Nel «pensiero pulito e preciso
di questi federalisti inglesi», l'unità del vecchio Continente «non ci si presentava
come un'ideologia». Ne emergeva, invece, «la sobria proposta di creare un potere
democratico europeo», con relativa scomparsa di ogni autarchia economica in quell'area.
Si trattava, soprattutto, di assicurare «la pacifica convivenza della Germania con gli
altri stati nazionali»: un problema che «tormentava l'Europa dal 1870».
Spinelli e Rossi, giunti al confino dopo una lunga detenzione, venivano da
percorsi diversi. Il primo aveva abiurato, fin dal '39, all'originaria fede
comunista. L'altro, Rossi, era sempre stato un liberale. Interventista nella
Grande Guerra, era animato da spiriti patriottici, benché delusi. Provavano, agli inizi,
una reciproca diffidenza. Spinelli considerava Rossi un conservatore, un nazionalista.
Rossi sospettava in Spinelli, dato il suo passato, il «settarismo degli eretici» e
peccato grave ai suoi occhi temeva di trovarlo inquinato di idealismo crociano. Erano
dissimili come aspetto e temperamento: Ernesto un «animale da tavolino», esile, fragile
in apparenza. Altiero robusto, aitante, con una destrezza per i lavori manuali. Pur
stimandosi per istinto, erano «incerti se fraternizzare o azzannarsi». L'amicizia fra
loro nacque comunque presto, scavalcando differenze e
malintesi: li affratellava la constatazione di essere, «tutti e due, impenitenti
nonconformisti». A trasformare la confidenza in sodalizio contribuì la proposta, partita
da Spinelli, di dar vita al «manifesto per un'Europa libera e unita». Si spartirono i
ruoli. Spinelli scrisse i capitoli relativi alla crisi della civiltà europea, con uno
schema d'organizzazione partitica sovranazionale da realizzare nel dopoguerra.
Rossi tracciò un abbozzo delle indispensabili riforme economico-sociali in
chiave continentale. Ciascuno esaminò a fondo il testo dell'altro (ma già,
nella prima genesi del Manifesto, la discussione sul suo contenuto aveva
associato ai due estensori Eugenio Colorni e Ursula Hirschman). Ridotta
all'essenziale, la proposta che nasceva a Ventotene e che sarebbe stata
diffusa nel Continente attraverso la rete clandestina dell'antifascismo
contemplava in primo luogo «la definitiva abolizione della divisione
dell'Europa in Stati nazionali e sovrani». Ciò avrebbe cancellato «la linea
di divisione fra i partiti progressisti e i partiti reazionari». Fine della politica non
sarà più la conquista del potere in ambito nazionale, ma «la creazione di un solido
stato internazionale». Un partito rivoluzionario federalista sostituirà i partiti
tradizionalmente intesi. Ancora oggi, parte di questo programma attende una concreta
attuazione.
All'epoca, il fervore avveniristico dei compilatori del Manifesto fece pochi
proseliti. Al confino, furono scarse le adesioni fra i socialisti e i militanti di
Giustizia e Libertà. Sandro Pertini, dopo aver sottoscritto il documento, ritirò la
firma per obbedienza di partito. Si rifiutò di aderire Alberto Jacometti, un altro
socialista. Freddi si mostrarono i futuri «azionisti». L'unico a firmare fu Dino
Roberto. Gli altri, da Riccardo Bauer a Francesco Fancello, da Vincenzo Calace a Nello
Traquandi, accusarono
l'amico Rossi di «leggerezza». L'economista ne soffrì molto. S'incrinavano
antichi rapporti di fraternità intellettuale e carceraria. La «mensa uno»,
che riuniva per i pasti quelli di G.L., si ruppe. I compilatori del Manifesto formarono,
insieme a Dino Roberto e ad altri, un nuovo circolo conviviale, che (c'informa Giuseppe
Fiori nella sua biografia di Rossi) prese un nome lampante: «Mensa Europa».
Ma intanto, fuori di Ventotene, il documento comincia a diffondersi nelle
file dell'antifascismo, in Italia, in Europa. Il manifesto, racconterà in sintesi
Spinelli, prese ben presto «il volo». Nei cieli d'Europa, vola ancora.
Nello Ajello (da "la Repubblica", 23 luglio 2001)
per approfondire:
Il testo del Manifesto di
Ventotene
Biografia Altiero
Spinelli
Biografia Ernesto Rossi
Biografia Eugenio Colorni
Storia del Movimento Federalista
Europeo
Cronologia dell'Unione Europea: 1923-2001
L'Unità Europea: un cammino di idee: Mackay, Spinelli, Mann, Delors
Europa
e federalismo: scritti e documenti
L'Europa in rete
(raccolta di links dal sito della Cgil)
Sito Gioventù Federalista Europea:
biografia Spinelli, il Movimento Federalista Europeo, Spinelli e De Gasperi
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