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16 ottobre 1943
La deportazione degli ebrei di
Roma
La "soluzione finale" per gli ebrei romani arriva il 24
settembre 1943 con
l'ordine da Berlino di "trasferire in Germania" e "liquidare" tutti
gli ebrei
"mediante un'azione di sorpresa". Il telegramma riservatissimo è indirizzato al
tenente colonnello Herbert Kappler, comandante delle SS a Roma. Nonostante il colpo delle
leggi razziali, gli ebrei a Roma non si aspettano quello che sta per accadere: Roma è
"città aperta", e poi c'è il Papa, sotto l'ombra della cupola di San Pietro i
tedeschi non oserebbero ricorrere alla violenza. Le notizie sul destino degli ebrei in
Germania e nell'Europa dell'Est sono ancora scarse e imprecise. Inoltre, la richiesta
fatta il 26 settembre da Kappler alla comunità ebraica di consegnare 50 chili d'oro, pena
la deportazione di 200 persone, illude gli ebrei romani che tutto quello che i tedeschi
vogliono sia un riscatto in oro. Oro che con enormi difficoltà la comunità riesce a
mettere insieme e consegnare due giorni dopo in Via Tasso, nella certezza che i tedeschi
saranno di parola e che nessun atto di violenza verrà compiuto. Nelle stesse ore le SS,
con l'ausilio degli elenchi dei nominativi degli ebrei forniti dall'Ufficio Demografia e
Razza del Ministero dell'Interno, stanno già organizzando il blitz del 16 ottobre.
C'è una lapide sulla facciata della Biblioteca di Archeologia e Storia
dell'Arte a Via del Portico d'Ottavia, quasi di fronte alla Sinagoga. Ricorda che
"qui ebbe inizio la spietata caccia agli ebrei". Qui, in un'alba di 56 anni fa,
si radunarono i camion e i soldati addetti alla "Judenoperation" nell'area del
ghetto, dove ancora abitavano molti ebrei romani. Il centro della storia e della cultura
ebraiche a Roma stava per vivere il suo giorno più atroce. «Era sabato mattina, festa
del Succot, il cielo era di piombo. I nazisti bussarono alle porte, portavano un
bigliettino dattiloscritto. Un ordine per tutti gli ebrei del Ghetto: dovete essere pronti
in 20 minuti, portare cibo per 8 giorni, soldi e preziosi, via anche i malati, nel campo
dove vi porteranno cè uninfermeriao», così Riccardo Di Segni, rabbino capo
di Roma, ha ricordato quella mattina del 16 ottobre 1943.
Alle 5,30 del mattino di sabato 16 ottobre, provvisti degli elenchi con i
nomi e gli indirizzi delle famiglie ebree, 300 soldati tedeschi iniziano in
contemporanea la caccia per i quartieri di Roma. L'azione è capillare: nessun ebreo deve
sfuggire alla deportazione. Uomini, donne, bambini, anziani ammalati, perfino neonati:
tutti vengono caricati a forza sui camion, verso una destinazione sconosciuta. Alla fine
di quel sabato le SS registrano la cattura di 1024 ebrei romani.
"Quel 16 ottobre -racconta uno degli scampati alla deportazione- era
un sabato, giorno di riposo per gli ebrei osservanti. E nel Ghetto i più lo erano.
Inoltre era il terzo giorno della festa delle Capanne. Un sabato speciale, quasi una festa
doppia... La grande razzia cominciò attorno alle 5.30. Vi presero parte un centinaio di
quei 365 uomini che erano il totale delle forze impiegate per la
"Judenoperation". Oltre duecento SS contemporaneamente si irradiavano nelle 26
zone in cui la città era stata divisa per catturare casa per casa gli ebrei che abitavano
fuori del vecchio Ghetto. L'antico quartiere ebraico fu l'epicentro di tutta
l'operazione... Le SS entrarono di casa in casa arrestando intere famiglie in gran parte
sorprese ancora nel sonno... Tutte le persone prelevate vennero raccolte provvisoriamente
in uno spiazzo che si trova poco più in là del Portico d'Ottavia attorno ai resti del
Teatro di Marcello. La maggior parte degli arrestati erano adulti, spesso anziani e assai
più spesso vecchi. Molte le donne, i ragazzi, i fanciulli. Non venne fatta nessuna
eccezione, né per persone malate o impedite, né per le donne in stato interessante, né
per quelle che avevano ancora i bambini al seno...".
"I tedeschi bussarono, poi non avendo ricevuto risposta sfondarono
le porte. Dietro le quali, impietriti come se posassero per il più spaventosamente
surreale dei gruppi di famiglia, stavano in esterrefatta attesa gli abitatori, con gli
occhi da ipnotizzati e il cuore fermo in gola", ricorda Giacomo Debenedetti.
"Fummo ammassati davanti a S. Angelo in Pescheria: I camion grigi
arrivavano, i tedeschi caricavano a spintoni o col calcio del fucile uomini, donne,
bambini ... e anche vecchi e malati, e ripartivano. Quando toccò a noi mi accorsi che il
camion imboccava il Lungotevere in direzione di Regina Coeli... Ma il camion andò avanti
fino al Collegio Militare. Ci portarono in una grande aula: restammo lì per molte ore.
Che cosa mi passava per la testa in quei momenti non riesco a ricordarlo con precisione;
che cosa pensassero i miei compagni di sventura emergeva dalle loro confuse domande,
spiegazioni, preghiere. Ci avrebbero portato a lavorare? E dove? Ci avrebbero internato in
un campo di concentramento? "Campo di concentramento" allora non aveva il
significato terribile che ha oggi. Era un posto dove ti portavano ad aspettare la fine
della guerra; dove probabilmente avremmo sofferto freddo e fame, ma niente ci preparava a
quello che sarebbe stato il Lager", ha scritto Settimia Spizzichino nel suolibro
"Gli anni rubati".
Per la prima volta Roma era testimone di un'operazione di massa così
violenta. Tra coloro che assistettero sgomenti ci fu una donna che piangendo si mise a
pregare e ripeteva sommessamente: "povera carne innocente". Nessun quartiere
della città fu risparmiato: il maggior numero di arresti si ebbe a Trastevere, Testaccio
e Monteverde. Alcuni si salvarono per caso, molti scamparono alla razzia nascondendosi
nelle case di vicini, di amici o trovando rifugio in case religiose, come gli ambienti
attigui a S. Bartolomeo all'Isola Tiberina. Alle 14 la grande razzia era terminata. Tutti
erano stati rinchiusi nel collegio Militare di via della Lungara, a pochi passi da qui. Le
oltre 30 ore trascorse al Collegio Militare prima del trasferimento alla Stazione
Tiburtina furono di grande sofferenza, anche perché gli arrestati non avevano ricevuto
cibo. Tra di loro c'erano 207 bambini.
Due giorni dopo, lunedì 18 ottobre, i prigionieri vengono caricati su un
convoglio composto da 18 carri bestiame in partenza dalla Stazione Tiburtina. Il 22
ottobre il treno arriva ad Auschwitz.
Dei 1024 ebrei catturati il 16 ottobre ne sono tornati solo 16, di cui una
sola donna (Settimia Spizzichino). Nessuno degli oltre 200 bambini è sopravvissuto.
Dopo il 16 ottobre 1943, la polizia tedesca catturò altri ebrei: alla
fine scomparvero da Roma 2091 ebrei. Uno dei momenti più tragici fu il massacro
delle Fosse Ardeatine; in queste cave di tufo abbandonate, fuori dalle porte della città
e contigue alle vecchie catacombe, il 24 marzo 1944 furono trucidati 335 uomini di cui 75
ebrei.
Roma fu liberata il 4 giugno 1944 e la capitolazione finale di tedeschi e
fascisti si ebbe il 2 maggio 1945. Nel 1946, le vittime accertate per deportazioni da
tutta Italia furono settemilacinquecento e quelle per massacri mille; gli abbandoni per
emigrazione, cinquemila. Dalla comunità di Roma, oltre ai 2091 deportati e morti,
mancavano alla fine della guerra anche molti emigrati. Nel biennio 1943-1945 le perdite
della popolazione ebraica in tutta Italia furono all'incirca 7750, pari al 22% del totale
della popolazione ebraica nel nostro Paese.
per approfondire:
Bibliografia
L'oro di Roma
Testimonianze sul 16 ottobre 1943
La partenza dei convogli dei
deportati
Massacrate
gli ebrei di Roma: i documenti segreti
Nota: il manifesto ritrae Settimia Spizzichino ed è opera di Claudia Giacinti. |