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L'oro di Roma

II mattino del giorno 26 settembre 1943 l'autorità di P.S. italiana invitava il Presidente della Comunità Israelitica di Roma, dott. Ugo Foà, ed il Presidente delle Comunità Israelitiche italiane, dott. Dante Almansi, a recarsi nel pomeriggio, per comunicazioni, nell'ufficio del Comandante la polizia tedesca di Roma Herbert Kappler. Le dette persone si recavano all'appuntamento fissato ed erano ricevute dal Kappler. Questi, in un primo momento si intratteneva in una cortese conversazione a carattere generale, quindi, cambiando conportamento con parola dura ed incisiva, teneva un discorso del seguente tenore:" Noi tedeschi consideriamo voi ebrei come nemici e come tali vi trattiamo. Non abbiama bisogno delle vostre vite, né di quelle dei vostri figli, abbiamo bisogno invece del vostro oro. Entro trentasei ore voi dovete versare cinquanta chilogrammi di oro altrimenti duecento ebrei saranno presi e deportati in Germania".

 I due presidenti, dopo aver cercato invano di ridurre la richiesta di oro, si congedavano. Quindi si mettevano subito al lavoro inerente a tale richiesta convenendo gli esponenti più influenti della Comunità onde prendere una risoluzione in merito.
In questa riunione, scartata l'idea di rivolgersi alla polizia italiana in quanto da
qualche abboccamento avuto s'era appreso che quell'autorità nulla poteva fare per indurre i tedeschi ad un diverso comportamento, si stabiliva di aderire alla richiesta onde evitare mali peggiori.

 Portata a conoscenza della maggior parte degli ebrei residenti a Roma richiesta tedesca, in breve volgere di tempo perveniva da parte di costoro un'offerta di oggetti di oro i quali spesso, specialmente quando trattavasi persone non abbienti, costituivano cari ricordi di famiglia. Anche molti cattolici offrivano oggetti d'oro con grande slancio di solidarietà. Alcuni non potevano versare dell'oro, contribuivano con danaro. La Santa Sede, venuta a conoscenza del fatto, faceva sapere spontaneamente in via ufficiosa che, qualora non fosse stato possibile raccogliere entro il termine stabilito l'oro richiesto avrebbe messo a disposizione la differenza che le sarebbe stata rimborsata quando Comunità fosse stata in grado di farlo.
Poco prima della scadenza delle trentasei ore venivano raccolti cinquanta chilogrammi di oro e 2.021.540lire.

 Per ragioni di sicurezza durante il trasporto dell'oro al comando della polizia tedesca,il Presidente della Comunità Israelitica chiedeva alla polizia italiana una scorta la quale veniva concessa nelle persone del brigadiere dei metropolitani Oreste Vincenti e della guardia Vincenzo Piccolo. Inoltre, al fine di precostituirsi una prova del versamento effettuato, il detto Presidente pregava il Commissario di P.S.dott.Cappa perché presenziasse al versamento. II dott.Cappa aderiva alla preghiera ed, opportunamente travestito, si univa agli uomini di fatica che dovevano portare le cassette dell'oro.
A compiere il versamento si recavano i due citati presidenti della Comunità e dell'Unione, accompagnati, per il materiale maneggio delle cassette contenenti l'oro e per il concorso nelle operazioni di peso e di saggio del titolo del metallo dai correligionari Marco Limentani, Giuseppe Gay e Settimio Gori, dall'orefice Angelo Anticoli e, come detto, dal dott.Cappa in qualità di uomini di fatica.

 Ai cinquanta chilogrammi di oro ne venivano aggiunti trecento grammi per il caso fossero sorte contestazioni.

I due presidenti venivano ricevuti dal sostituto del Kappler cap.Schutz, il quale, con maniere arroganti, dava disposizioni per la pesatura dell'oro, la quale era effettuata con una bilancia della portata di cinque chilogrammi. Ultimato il peso dell'oro portato ad esclusione di circa duecento grammi che erano rimasti come residuo, il cap.Schutz affermava che le pesate, ciascuna di cinque chilogrammi,erano state nove e che,pertanto, il peso complessivo raggiunto era di quarantacinque chilogrammi, anziché di cinquana come avrebbe dovuto essere. Gli israeliti sostenevano con sicurezza che le pesate erano state dieci, ma,per evitare equivoci, chiedevano si rinnovassero le pesate. II cap.Schutz rispondeva arrogantemente e si rifiutava di ripetere le pesate. I due presidenti pregavano vivamente l' ufficiale tedesco perché venissero ripetute le pesate e, dopo molte insistenze, riuscivano a fare ripesare l'oro, che risultava cinquanta chilogrammi come essi sostenevano. Essi poi chiedeva il rilascio di una ricevuta attestante l'effettuato versamento, ma il cap.Schutz non acconsentiva a tale richiesta.

I cinquanta chilogrammi di oro venivano messi in una cassa ed alcuni giorni dopo a mezzo di un ufficiale delle SS che rientrava a Berlino,venivano inviati dal Kappler al dott.Kaltenbrunner con una lettera nella quale era spiegato il motivo della rimessa. Detta cassa di oro, a dire del Kappler (vol.VII,f,62retro) nell'inverno 1945, si trovava ancora nell'ufficio del Kaltenbrunner.
II giorno successivo il 28 settembre, militari delle SS, dei quali alcuni erano esperti di lingua ebraica, perquisivano i locali del Tempio Maggiore degli ebrei ed esportavano numerosi documenti e la somma di L.2.021.540, che era custodita nella cassaforte. A capo di questi militari era un capitano, il cui cognome sembra fosse Mayer.
Nei giorni successivi ufficiali delle SS, dei quali uno in divisa di capitano si qualificava per professore di lingua ebraica, visitavano la biblioteca della Comunità ebraica e quella del Collegio Rabbinico allo scopo dichiarato di asportarne i volumi.

I Presidenti della Comunità israelitica e dell'Unione delle Comunità appena ricevuta la visita di quegli ufficiali, si rivolgevano al Ministero della P.I., chiedendo il suo intervento onde evitare l'asporto dei volumi delle due biblioteche, che avevano un valore nazionale di grande rilievo. In una delle lettere indirizzate al detto Ministero essi, fra l'altro, scrivevano: "Trattasi di pregevolissimo materiale archivistico (manoscritti, incunaboli, soncinati, stampe orientali del 500, interessanti esemplari di libri ebraici, ecc.) che furono anche oggetto, alcuni anni or sono, di scelta e catalogazione fatta da un esperto in materia e che costituiscono un complesso di notevole importanza culturale, del quale, ove le disposizioni delle autorità tedesche, che evidentemente intendono asportare tutto il prezioso materiale archivistico in Germania, fossero attuate, l'Italia verrebbe ad essere privata (vol. I, pag. 87).
II Ministero della P.I.non riusciva ad attuare un efficace intervento presso le autorità tedesche e l'opera di quegli ufficiali delle SS si concludeva con l'asportazione di quasi tutti i volumi di quelle biblioteche, i quali venivano caricati su due çarri ferroviari e spediti a Monaco.
Sebbene il Kappler avesse promesso che col pagamento dell'oro gli ebrei di Roma non sarebbero stati molestati, tuttavia il 16 ottobre 1943 veniva effettuato in questa città un organizzatissimo rastrellamento di ebrei, tristemente famoso nella mente della cittadinanza romana.

 "Né il sesso - scrive il dott.Foà nella sua relazione confermata in istruttoria (pag.90,vol.I) - né l'età, né la malferma salute, né benemerenze di sorta furono di scudo a questo barbaro agire: vecchi, bambini, malati gravi moribondi, donne incinte e puerpere appena sgravate, tutti furono ugualmente prelevati. E mentre nel quartiere dell'ex Ghetto questa scena di orrore si svolgeva tra le grida disperate delle vittime, gli urli concitati degli aguzzini, le esclamazioni di raccapriccio dei concittadini cristiani, i quali al di là dei cordoni tedeschi assistevano impotenti alla violenza inaudita che nella sacra città di Roma, nelle millenaria capitale dello Stato italiano, dei militi stranieri consumavano sulla persona di altri cittadini italiani, per le strade dell'Urbe altre schiere di soldati hitleriani si snodavano nella caccia agli israeliti ricercandone le abitazioni sulla scorta di predisposti elenchi.
Questo rastrellamento era effettuato da uno speciale reparto delle SS, venuto appositamente a Roma al comando deI Cap.Donneker, il quale, tramite il Kappler, aveva ottenuto dalla Questura di Roma circa 20 agenti di P.S.in qualità di collaboratori.
In questa tragica caccia all'uomo erano rastrellati più di 1000 ebrei i quali, alcuni giorni dopo, erano deportati in campi di concentramento. Di costoro e dei 1000 ebrei circa catturati nei mesi successivi ed inviati pure in campi di concentramento,al termine della guerra,solo meno di dieci facevano ritorno alle loro case.
I fatti esposti relativi alla richiesta ed alla consegna dell'oro risultano pienamente provati dalle dichiarazioni rese in periodo istruttorio e confermate al dibattito dei testi Foà, Vincenti,Gori, Cappa. L'imputato Kappler ammette, nelle sue linee essenziali, le modalità inerenti alla richiesta dell'oro, effettuata, come egli afferma, di sua iniziativa e senza alcuna autorizzazione delle autorità superiori. Egli, dopo avere chiarito il proprio antisemitismo ed avere spiegato (pag.51segg.del vol.VII ed ud.dell'11-6- 1948) che secondo íl suo pensiero il problema ebraico in Italia aveva proporzioni di gran lunga inferiori che in Germania, afferma che egli non riteneva utile, contrariamente a ciò che pensava per la Germania ed i paesi dell'est, una politica di annientamento degli ebrei italiani, in quanto costoro erano in numero assai limitato ed erano immigrati da altri paesi mediterranei e nel loro carattere molto diversi dai cosidetti ebrei dell'est, i quali prima di venire in Germania, avevano assimilato qualità e vizi di altri popoli (f.53retro, vol.VII).Precisa, quindi,di avere imposto agli ebrei romani un tributo di oro per togliere I'unica arma che, secondo lui, essi tenevano in mano e nella considerazione che, dopo quel pagamento, le autorità superiori non avrebbero fatto eseguire in Roma le misure di rastrellamento che già gli erano state preannunziate e che egli riteneva poco opportune.

 "Parlai - egli afferma (pag.58vol.VII,ud.dell'11giugno 1948) riferendosi al colloquio avuto con il Foà e con l'Almansi - dell'unità dell'ebraismo mondiale, che costituiva un unico blocco ostile alla Germania: dissi che conseguentemente anche gli ebrei in Italia ed a Roma rappresentavano una parte di quel blocco: che le loro armi non sono armi da fuoco ma il danaro e l'oro, e che come tutti i nemici debbono essere disarmati delle loro armi, così ad essi dovevano essere tolte le armi dell'oro e del danaro".

 II Kappler poi nega di avere minacciato la deportazione di duecento ebrei in caso di mancato versamento dell'oro, affermando invece di avere accennato assai vagamente, onde superare le obiezioni che venivano poste dai due presenti, alla eventualità di un rastrellamento. In sostanza, egli non voleva minacciare, ma intendeva dare un avvertimento, con molta circospezione stante la sua posizione di particolare responsabilità, circa il pericolo del rastrellamento. "Il senso del mio discorso - egli afferma (pag. 53 vol. VII - ud. dell'11-6-1948) quali è stato riferito dal Presidente della Comunità israelitica, e del quale ricevo lettura dalla S.V., corrisponde genericamente a quello che effettivamente dissi: solamente i due presidenti non hanno capito il filo conduttore del mio discorso, come ho spiegato sopra, ma alcune frasi da loro citate, in parte collocate fuori posto, sono effettivamente quelle che pronunziai". Questa giustificazione dell'imputato in merito alla minaccia cade di fronte alle precise dichiarazioni del dott. Foà ed al comportamento tenuto dai tedeschi in questa circostanza.
Difatti, ad un chiarimento chiesto da quel teste circa il preciso contenuto della minaccia fatta, il Kappler rispondeva con parole che non ammettevano dubbi sulla minaccia stessa e che racchiudevano tutto il suo odio contro gli ebrei."Chiedemmo anche - afferma il teste (dibat. ud. dell'11-6- 1948) - se per la rappresaglia avrebbero potuto essere inclusi gli ebrei divenuti cattolici e rispose che dove c'era sangue ebraico per lui erano tutti nemici... Kappler aggiunse che se pagavano non avrebbero fatto nulla né contro di noi né contro i nostri figli". Parimenti infondata ed illogica è la tesi dell'imputato relativa al motivo che lo spinse ad imporre il tributo dell'oro. Certamente egli non si occupava della sorte degli ebrei romani, se, nell'inviare la cassa dell'oro al Kaltenbrunner gli diceva, nella lettera di accompagnamento (vol. VII, f. 62 retro) "che gli ebrei romani avevano contatti con gruppi finanziari ebraici all'estero e che si sarebbero potuti sfruttare questi contatti per il servizio informazioni". Scrivendo queste parole il Kappler, il quale nell'esercizio delle sue funzioni ha dimostrato una spiccata prontezza d'intuito, indubbiamente capiva di addos- sare agli ebrei romani una responsabilità che non sarebbe sfuggita alle autorità superiori e che avrebbe avuto ripercussioni gravi per essi. Anche se l'idea del Kappler fosse stata condivisa dalle autorità centrali di Berlino, stante la rigida ed inflessibile politica antisemitica, non si sarebbe potuto ottenere, sempre che si fossero trovati ebrei disposti a collaborare con il servizio spionaggio tedesco, che un rinvio nell'adozione di quelle misure di deportazione in massa che in tutti i paesi militarmente occupati dalla Germania erano state già adottate. Di ciò senza dubbio era convinto il Kappler, ottimo conoscitore della politica razzista tedesca, il quale, se faceva I'accennata proposta alle autorità superiori era per mettere in rilievo le sue doti di abilissimo funzionario di polizia, capace di mungere le vittime designate con metodo ed in maniera da ottenere da queste ogni loro risorsa materiale ed intellettiva. Se egli avesse agito, come afferma, per salvare la vita degli ebrei romani avrebbe avuto modo di venire incontro successivamente, quando infierivano i rastrellamenti e gli arresti, a disgraziate famiglie di ebrei, che, tramite ecclesiastici e diplomatici, si erano rivolte a lui per ottenere la salvezza dei loro cari. Invece, egli non svolse alcuna azione di favore (e ne avrebbe avuto il dovere stante la promessa fatta quando chiedeva; l'oro), anzi si espresse con parole ché dimostravano come, per lui, non avessero alcuna importanza pesone nelle cui vene scorreva sangue ebraico.

Va poi messo in rilievo che il Kappler, anche se fu estraneo, come egli afferma, al saccheggio del Tempio maggiore ed alla spoliazione delle bibliote- che ebraiche né prese parte attiva al rastrellamento in massa del 16 ottobre 1943 (fatti questi che non sono oggetto di imputazione) provvide successiva- mente a fare operare arresti di ebrei il cui numero,nel periodo novembre 1943 - maggio 1944, raggiunse la cifra di 1200 circa; ebrei che nella maggior parte furono inviati in campi di concentramento o furono fucilati, come si vedrà in seguito, alle Fosse Ardeatine. II che è un'ulteriore prova che non sentimento di salvare vite di ebrei spinse il Kappler nella richiesta dell'oro, ma ambizione di mettere in rilievo doti di abitilità e di dedizione alla politica razzista del nazismo.

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