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La Democrazia Cristiana (1942-1993)

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1-Le origini del partito.

La Democrazia Cristiana è stata fondata clandestinamente nel 1942, sotto il regime fascista, da alcuni dirigenti del Partito Popolare di Don Sturzo e da esponenti dell'Azione Cattolica. Nel partito sono confluite le varie istanze del cattolicesimo politico. Sotto la guida di Alcide De Gasperi, nel dopoguerra la Dc è divenuta il maggiore partito italiano.

Dopo l'avvio di una politica «centrista», fondata sulla contrapposizione tra il centro e le sinistre nel clima della «guerra fredda», iniziò a farsi strada nella Democrazia Cristiana l'esigenza di un'apertura al Partito Socialista, che nel 1956, dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria, abbandonò la politica di unità con il Partito comunista. Per arrivare a un vero e proprio governo di centro-sinistra si dovette tuttavia attendere fino al 1963. Il più convinto sostenitore di questa linea politica fu Aldo Moro.

 

2-La struttura del partito.

Gli organi centrali della DC sono: il Congresso Nazionale; il Consiglio Nazionale; la Direzione Centrale; la Giunta esecutiva Centrale; il segretario politico.

L'organizzazione del partito si articola in: segreteria regionale, segreteria provinciale e sezioni. L'organo ufficiale è il quotidiano «Il Popolo».

 

3-L’evoluzione del partito negli anni ’70-’80.

Nel corso degli anni Sessanta, l'unità del partito andò incrinandosi a causa della formazione, al suo interno, di numerose «correnti». La sconfitta alle elezioni regionali del 1975, nelle quali la DC calò al 35%, e la clamorosa sconfitta nel referendum sul divorzio, determinarono la sostituzione alla segreteria del partito di Amintore Fanfani con Benigno Zaccagnini. Il nuovo segretario, dedito al partito e considerato estraneo ai giochi di potere interni, avrebbe dovuto simboleggiare e dare il la al rinnovamento della DC. Zaccagnini, ispirato e sostenuto da Aldo Moro, formulava la nuova linea del «confronto» con il Partito Comunista Italiano, che veniva confermata nel congresso del marzo 1976.

Dopo le elezioni politiche del 1976, con il successo del PCI, che passava al 34%, e la tenuta della DC (38%), i comunisti, pur restando fuori dal governo, assumevano un ruolo di peso nell’elaborazione delle politiche nazionali.

Nel 1979, l'assassinio di Aldo Moro, a opera delle Brigate Rosse, segnava il progressivo deterioramento dei rapporti tra DC e PCI.

 

4-La prima volta di un non Dc alla guida del Governo

Con il congresso democristiano del 1980, si assisteva alla ripresa del dialogo e dell'accordo con i partiti laici e socialisti.

I frequenti scandali, l'inefficienza delle istituzioni, la grave crisi economica, finivano per porre al centro delle polemiche il trentennio di potere della DC. La crisi dell'egemonia democristiana aveva come conseguenza, nel 1981, la costituzione di un governo guidato, per la prima volta, da un laico: il segretario del Partito Repubblicano Italiano Giovanni Spadolini.

 

5-Il nuovo segretario della DC: Ciriaco De Mita.

Nel quindicesimo congresso nazionale, i democristiani eleggevano Ciriaco De Mita, candidato della sinistra del partito, a segretario generale. La linea di De Mita si caratterizzava per il programma di rinnovamento e «riscossa» democristiana. L'opera del nuovo segretario non conseguiva però gli esiti sperati, anzi, nelle elezioni politiche del 1983, la DC subiva una pesante sconfitta, ottenendo solo il 33% dei voti, il minimo storico conseguito dal partito. Tale sconfitta apriva la strada al primo governo a guida socialista.

Nelle elezioni europee del 1984, la DC manifestava alcuni deboli segni di ripresa, nonostante il «sorpasso» comunista. L'anno successivo il democristiano Francesco Cossiga veniva eletto a grande maggioranza presidente della Repubblica, succedendo al Quirinale all'anziano Sandro Pertini.

Nel 1987, tornata con Goria alla guida dell'esecutivo dopo sei anni di governi laici, risaliva al 34%, staccando nettamente un PCI in piena crisi e rafforzando il proprio ruolo di partito di maggioranza relativa. Caduto il governo Goria, nel 1988 l'incarico veniva affidato a De Mita, che rinnovava la maggioranza formata dal cosiddetto pentapartito: Dc, Psi, Psdi, Pli, Pri. Nello stesso anno la segreteria del partito veniva affidata ad Arnaldo Forlani. Alle elezioni amministrative di fine maggio, nonostante il successo delle liste locali (Lega Lombarda, Liga Veneta), la DC riscuoteva risultati confortanti che finivano per rafforzare la maggioranza di governo. In seguito tuttavia dovevano deteriorarsi i rapporti tra De Mita e il suo stesso partito, all'interno del quale veniva messo in discussione il "doppio incarico" del presidente del Consiglio, detentore anche della carica di segretario. De Mita perdeva a poco a poco il controllo del partito e la nuova maggioranza formatasi in seguito all'alleanza tra Azione popolare, andreottiani e seguaci di Donat-Cattin, determinava l'elezione di Arnaldo Forlani alla segreteria (febbraio 1989). La perdita della segreteria da parte di De Mita comportava il progressivo indebolimento del governo da lui presieduto.

 

6-Giulio Andreotti, capo del governo.

Dopo le elezioni europee, Cossiga affidava l'incarico di capo del governo ad Andreotti, il quale si adoperava prontamente al miglioramento dei rapporti con il PSI, principale alleato di maggioranza. Pur riuscendo a conquistare l'appoggio pieno e incondizionato dei socialisti, Andreotti si trovava a vivere una fase politica particolarmente difficile per due ordini di motivi.

Innanzi tutto a causa della forte ostilità dimostrata dall'ala sinistra "demitiana" del partito all'attività del governo; quindi per la sensibile avanzata elettorale di formazioni locali (prima fra tutte la Lega Lombarda) intese a dare voce alla crescente protesta popolare contro la partitocrazia.

Le elezioni amministrative del maggio 1990 attribuivano infatti uno straordinario successo alle leghe autonomiste, a fronte del tendenziale calo delle formazioni di governo. Nello stesso anno due clamorosi "casi" contribuivano a complicare la vita del governo Andreotti: il ritrovamento, in un ex-covo milanese delle Brigate Rosse, di numerosi scritti e missive redatti da Aldo Moro, che suscitavano in larghi settori dell'opinione pubblica sospetti di reticenze e manomissioni; e le rivelazioni sull'esistenza di una struttura clandestina in seno alla NATO, che inauguravano le lunghe polemiche su caso Gladio. Soprattutto le dichiarazioni di Cossiga su Gladio contribuivano a infervorare il clima politico, già di per sé teso per la dibattuta decisione di intervenire militarmente nel conflitto contro l'Iraq di Saddam Hussein. Proprio Cossiga, giunto ormai alla fine del suo settennato da presidente della Repubblica, “esternava” nel 1991, con una serie di criticatissimi interventi, sulla necessità di riformare il sistema politico, suscitando dure reazioni nella stessa DC e le richieste di dimissioni anticipate da parte degli ex-comunisti del PDS.

In giugno si teneva un referendum sulla preferenza unica promosso da un comitato di forze favorevoli alle riforme istituzionali. Il trionfo dei sì, che testimoniava un forte desiderio di riforme in seno alla società civile, lanciava all'interno del partito la figura di Mario Segni, leader del comitato referendario.

L'esito del referendum accelerava l'indebolimento della maggioranza di governo, al punto da paventare l'anticipazione delle elezioni politiche previste per la primavera del 1992. Pretesto dell'inevitabile crisi di governo, un disaccordo fra Andreotti e il segretario repubblicano La Malfa, culminato con il ritiro dei ministri PRI dai rispettivi incarichi governativi. Il rimpasto veniva guidato dallo stesso Andreotti ma nasceva in condizioni di forte precarietà per la defezione del PRI. La debolezza dell'alleanza di governo risultava tra l'altro accentuata dai continui appelli televisivi di Cossiga e dalla pressione delle opposizioni, in particolare della Lega Nord di Umberto Bossi.

Senza riuscire a rafforzare le proprie posizioni, il settimo governo Andreotti non riusciva a chiudere la legislatura, cadendo proprio nella primavera del 1992 (vigilia delle elezioni politiche), anche per le dimissioni in extremis di Cossiga.

Le elezioni di aprile registravano un crollo della DC (-4,6%) e delle forze dell'area governativa.

Il dibattito sorto all'interno del partito in seguito alla dura sconfitta elettorale spingeva il segretario Forlani a rassegnare le dimissioni, mentre l'unico democristiano uscito vincitore dalle consultazioni di aprile, Mario Segni, iniziava una scalata ai vertici del partito sulla spinta del suo "movimento referendario".

 

7 - Da Tangentopoli alla nascita del Ppi.

Alla presidenza della Repubblica veniva eletto il democristiano Oscar Luigi Scalfaro, esponente gradito a un vasto schieramento di forze politiche. Scalfaro conferiva l'incarico di governo al socialista Amato, il quale si trovava a gestire l'ormai gravissima crisi con il sostegno di una maggioranza esigua. Intanto si allargava a macchia d'olio lo scandalo (Tangentopoli) legato all'inchiesta della magistratura milanese sulle tangenti (inchiesta "mani pulite"). L’impegno del giudice Di Pietro e le rivelazioni di alcuni esponenti della politica e dell'economia milanese investivano in pieno la Democrazia Cristiana, già al centro di cocenti accuse per i retroscena dell'omicidio del parlamentare siciliano Salvo Lima, "andreottiano", di cui si parlava da tempo di legami con le cosche mafiose. Il consiglio nazionale, chiamato a pianificare il rinnovamento della DC, eleggeva intanto Mino Martinazzoli nuovo segretario e Rosa Russo Jervolino prima presidente donna del partito. Per completare il processo di rinnovamento, durante il consiglio nazionale svoltosi nel luglio 1993 l'Assemblea Costituente democristiana votava a larga maggioranza la fine della Democrazia Cristiana e la nascita del Partito Popolare Italiano (PPI), alla cui segreteria veniva nominato Mino Martinazzoli.

(notizie tratte in gran parte dal sito pericles.it)

 

pallanimred.gif (323 byte) Storia delle scissioni Dc: dal Ppi al Ccd al Cdu   (1992-1996)

 





 

   

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