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Il Partito
Comunista Italiano (1921-1991)
a - La fondazione
Ispirato agli ideali della rivoluzione russa, il PCI nacque il 21 gennaio
1921 a Livorno, in seguito alla scissione dell'ala massimalista del Partito Socialista di
Filippo Turati, capeggiata dall'ingegnere napoletano Amadeo Bordiga. Sui tempi e sui modi della scissione, gli stessi Gramsci e Togliatti espressero
più tardi un giudizio fortemente autocritico, ed effettivamente, nel breve periodo, essa
contribuì ad indebolire ulteriormente la capacità di resistenza del proletariato che,
pur conservandosi in gran parte fedele al Partito Socialista, rimase confuso e frastornato
dalla durissima polemica condotta contro di loro dai comunisti.
Il PCI, pur senza raggiungere risultati elettorali strepitosi (circa
300.000 voti e 15 seggi alle elezioni del 1921), riuscì rapidamente a radicarsi in tutto
il territorio nazionale, per lo più sovrapponendosi alla geografia politica del PSI. Primo segretario del partito dal 1921 al 1926 fu Amedeo Bordiga
che, al Terzo congresso del PCI tenuto a Lione nel 1926, venne accusato di settarismo e
messo in minoranza, mentre la linea del Partito comunista venne fissata da Gramsci e Palmiro Togliatti
nelle Tesi di Lione, dove si ponevano le premesse per la costruzione
di un partito di massa e veniva data un'analisi del fascismo che ne coglieva le tendenze
all'imperialismo e alla guerra.
Collegato alla III Internazionale, il PCI entrò nella clandestinità a
seguito delle leggi repressive emanate dal regime fascista nel 1926. Il ventennio fascista
fu un periodo di enormi difficoltà per i comunisti italiani: il partito fu messo
fuorilegge, quasi tutti i membri del gruppo dirigente furono esiliati o incarcerati (come
Antonio Gramsci e Umberto Terracini), gli organi di stampa soppressi. Ma il PCI fu l'unico
dei partiti italiani capace di mantenere in piedi una struttura organizzativa clandestina
con una direzione interna ed una all'estero. Grazie a questa capacità di sopravvivenza,
esso poté accreditarsi come la più attiva e la più combattiva delle forze di
opposizione al regime. L'importanza del contributo dato dai comunisti italiani alla
Resistenza partigiana tra l'autunno 1943 e la primavera 1945 è fuori discussione: almeno
70.000 furono i partigiani inquadrati nelle Brigate Garibaldi. Ma la legittimazione del
PCI come forza di governo nello scenario postbellico scaturì anche dalla strategia
moderata dettata dal segretario Togliatti. Con il rientro
in Italia nel 1944 di Togliatti da Mosca, il PCI passò infatti a svolgere una funzione
primaria nel processo politico italiano; Togliatti - sollecitato anche dai sovietici -
annunciò la disponibilità del Partito comunista italiano, PCI (il nuovo nome fu adottato
dopo lo scioglimento del Comintern), a far parte del governo guidato da Pietro Badoglio,
accantonando la "pregiudiziale repubblicana'' (svolta di Salerno). Venne precisandosi un nuovo indirizzo di lotta
«unitaria» e «nazionale», culminato nella partecipazione al governo Badoglio. La
classe operaia veniva invitata a raccogliersi sotto la bandiera nazionale e, dopo la
Liberazione, veniva delineata da Togliatti una strategia politica volta ad affermare una
«democrazia progressiva», con lo scopo di costituire un regime pluripartitico, garante
delle libertà fondamentali. In questa prospettiva il partito, che da cinque-seimila
iscritti nel 1943 era passato nel 1946 a quasi due milioni, partecipò ai governi di
coalizione del dopoguerra, insieme agli altri partiti del CLN, fino al maggio del 1947. Il
"partito nuovo" voluto da Togliatti non si caratterizza più come un piccolo
gruppo rivoluzionario costretto all'illegalità, ma come un'organizzazione di massa, con legami profondi nella società italiana e anche con
pesanti condizionamenti di natura esterna (legame con l'URSS di Stalin). In quegli anni
l'azione politica mira al mantenimento delle posizioni raggiunte, ovvero alla presenza nei
governi di coalizione (da qui le scelte moderate di Togliatti, come il decreto di amnistia
del 1946 ed il voto favorevole allintegrazione dei Patti Lateranensi nella
Costituzione).
b -La guerra fredda
Negli anni seguenti, nel clima della guerra fredda, il partito fu
estromesso dal Governo ma non modificò la propria impostazione programmatica, approvata
dal quinto congresso (gennaio 1946), nel quale era stata delineata la «via italiana al
socialismo». Il PCI continuò a sviluppare la propria lotta sul terreno della democrazia,
in nome della difesa e dell'attuazione della Costituzione repubblicana. Dopo l'uscita dal
governo e le elezioni del 18 aprile 1948, iniziò l'opposizione "dura e pura"
all'egemonia democristiana; una lunga fase nella quale il PCI rafforzava la sua macchina
organizzativa (toccando i due milioni di iscritti) e organizzava lotte epocali come quella
a sostegno delloccupazione di terre al Sud o contro la legge truffa del 1953. Si
consolidò così come partito nazionale di opposizione capace, al tempo stesso, di
amministrare diversi enti locali. Soprattutto si venne a stabilire una tradizione di
"doppiezza" del PCI: fedeltà a Mosca sul piano internazionale, ma identità
culturale nazionale con piena accettazione della dialettica democratica e rifiuto
dell'opzione insurrezionale.
Nel 1953 otteneva il 22,6% dei voti, segnalandosi come vero e proprio
portavoce della realtà operaia e contadina. La grande determinazione portò il partito
nel 1954-55 allapice della sua forza organizzativa. Tuttavia nel 1956 il
rapporto Kruscev sui crimini di Stalin e linvasione sovietica dellUngheria
causarono un tracollo: il VII congresso confermò fedeltà allURSS ma il 10% degli
iscritti abbandonò il partito, le cellule operaie diminuirono del 40%. Rotti i rapporti
con il PSI, che si avviava verso posizioni lontane da ogni velleità rivoluzionaria, il
PCI rimaneva isolato a sinistra rispetto al panorama politico nazionale.
Nel 1963, in pieno boom economico, saliva inaspettatamente al 25,3%,
forte del vantaggio di presentarsi come unica vera opposizione allo strapotere
democristiano.
Togliatti muore nellagosto 1964 e lascia,
inedito, il "Memoriale di Yalta", in cui attribuisce importanza alla
ricerca di vie nazionali al socialismo rispetto allesperienza
sovietica.
Negli anni del vecchio centrosinistra, con la segreteria di Luigi Longo, crebbe
l'isolamento del PCI, benché sul piano elettorale il trend fosse costantemente positivo.
L'unica occasione di governare fu offerta al PCI nelle città delle regioni dell'Italia
centrale rette da amministrazioni di sinistra (Bologna, ad esempio). Permaneva il legame
di ferro con il PCUS e con i paesi dell'Europa orientale; ma quando nel 1968 le truppe del
Patto di Varsavia stroncarono la "Primavera di Praga", pur tra dubbi e
tentennamenti, il partito espresse la propria riprovazione. Era il primo passo di uno
processo di distanziamento da Mosca, destinato a concludersi diversi anni dopo. Nei
confronti di eventi come il movimento studentesco o l'autunno caldo, il PCI fu colto
impreparato ed oscilla ambiguamente tra la riprovazione paternalistica ed il desiderio di
cavalcare la protesta.
Con Longo, affiancato da Enrico Berlinguer, la linea del partito rimase
sostanzialmente immutata, basandosi sulla strategia delle riforme e sulla formula della
«democrazia progressiva». L'opposizione dell'ala sinistra a questo indirizzo andò
intensificandosi nel corso del 1968; l'anno seguente un gruppo di deputati comunisti
fondava il quotidiano «Il Manifesto», il quale, dopo l'espulsione dei suoi sostenitori
dal PCI, si propose come centro di convergenza per la sinistra rivoluzionaria,
presentando, con scarsa fortuna, una propria lista nelle elezioni politiche del 1972.
c - Enrico Berlinguer
Sospinto dalla ventata di novità portata dalle lotte studentesche e
dall'autunno caldo (1968-69), il PCI otteneva notevoli successi grazie anche alla oculata
direzione di Enrico Berlinguer (34,4% nelle elezioni del 1975 e 1976). Del PCI era
cambiata anche la base: ne facevano ora parte anche i ceti medi, impiegati e
professionisti; agli operai si aggiungevano studenti e giovani di estrazione borghese, che
avevano aderito negli anni caldi della contestazione. La massa di voti raccolta dal
partito imponeva all'opinione pubblica italiana una «questione comunista» e la ventilata
necessità di cooptare il maggior partito di opposizione da parte delle forze di governo
per superare la crisi del Paese.
Invece
dell'alternanza governo-opposizione si sviluppò allora la pratica del consociativismo,
ossia del tentativo di corresponsabilizzazione, su decisioni importanti per gli interessi
della nazione, anche delle forze dell'opposizione; tale pratica, degenerata talvolta in
accordi d'interesse puramente partitico, è all'origine dell'uso con valore negativo del
termine "consociativismo" che viene fatto oggi in politica.
Nasceva così, nel 1976, il terzo governo Andreotti, che si reggeva
sull'astensione concordata dei comunisti, i quali, nel marzo del 1978, entravano nella
maggioranza, attribuendo la loro fiducia al quarto governo Andreotti. Erano questi gli
anni in cui veniva attuandosi la dottrina del «compromesso storico», teorizzato da
Berlinguer, che prevedeva sul piano interno una politica di collaborazione con la DC e sul
piano internazionale una maggiore autonomia nei confronti dell'URSS. Tale indirizzo
incontrava, in un primo tempo, anche l'adesione dei partiti comunisti francese e spagnolo,
che si unirono al PCI nel tentativo di elaborare un comunismo più legato alle tradizioni
occidentali («eurocomunismo»), che consisteva essenzialmente in una critica delle
violazioni dei diritti umani nell'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (URSS) e
nell'esplicita accettazione delle regole del confronto democratico.
Il rifiuto della DC di accettare il PCI nel governo, in vista anche delle
imminenti elezioni politiche, induceva i comunisti ad abbandonare, nel gennaio del 1979,
la maggioranza. Le elezioni dello stesso anno portarono il PCI ad un brusco calo (30,4%).
Nel 1980 Berlinguer lanciava la proposta di un governo di alternativa
democratica, che ponesse fine all'egemonia democristiana e si basasse sull'unità delle
sinistre, con la partecipazione dei partiti laici. Il congresso di Milano del 1983
ribadiva tale alternativa democratica. Gli anni Ottanta furono anni di crisi per il PCI,
che perse la leadership nella sinistra a vantaggio del PSI di Craxi e perse anche,
gradualmente, legemonia culturale e il controllo sul sindacato. La coalizione di
pentapartito che dominò la scena per tutti gli anni Ottanta si fondava sul ritorno alla conventio
ad excludendum nei confronti del PCI. Nonostante lo strappo da Mosca, a cui i
comunisti italiani rimproverarono duramente l'invasione dell'Afghanistan nel 1979 e il
golpe in Polonia nel 1981, lautocandidatura del PCI a partito di governo in opposizione alla DC (strategia dell'"alternativa
democratica") produsse isolamento politico e insuccessi elettorali.
d - Achille Occhetto
La nuova strategia politica si rivelò appagante solo nelle elezioni
europee del 1984, tenutesi poco dopo la scomparsa di Berlinguer, consentendo al PCI di
realizzare un provvisorio «sorpasso» sulla DC, seppure di stretta misura.
Il nuovo segretario, Alessandro Natta, seguiva l'impostazione del suo
predecessore, ma nelle elezioni politiche del 1987 il partito subiva una grave sconfitta,
scendendo al 26,6%. Nel maggio 1988 Natta, per motivi di salute, era costretto a lasciare
la carica di segretario del PCI al successore designato Achille Occhetto.
Occhetto avvia una "rivoluzione copernicana":
distacco dall'ideologia e dalla mitologia marxista, rinuncia all'operaismo e al
centralismo democratico, centralità di tematiche nuove, estranee alla
tradizione comunista, come i diritti civili, la non-violenza, lattenzione per il
pensiero femminile.
Con Occhetto iniziava una nuova fase nella vita del partito, determinata
peraltro dagli straordinari avvenimenti che stavano scuotendo i Paesi dell'Est europeo e
dal crollo del Muro di Berlino. Il nuovo segretario, sollecitato tra l'altro dai deludenti
risultati elettorali, annunciava nel novembre del 1989 l'intenzione di promuovere il
cambiamento del nome del partito, prendendo atto del definitivo distacco da un modello
sovietico ormai in disarmo.
3 - Dal PCI al PDS
Al termine di un lungo e acceso dibattito, durato 15 mesi, che
coinvolgeva anche emotivamente tutti i militanti della base, il comitato centrale
approvava nel febbraio del 1991, con il voto favorevole del 64,1% dei delegati, la
proposta della segreteria di mutare il nome "Partito Comunista Italiano" in
"Partito Democratico della Sinistra"; nuovo simbolo, una quercia con alle radici
il vecchio simbolo comunista.
Il marxismo viene definitivamente abbandonato:
si
dice addio al centralismo democratico;
si
condanna il regime cinese dopo Tien-An-Men;
si
afferma la centralità dellindividuo (e dei suoi diritti) in luogo di quella della
classe;
alla
lotta si sostituisce la non- violenza;
il
modello democratico sostituisce quello socialista;
il
nuovo punto di riferimento culturale è il pensiero liberaldemocratico.
In disaccordo con il profondo rinnovamento in senso riformista promosso
da Achille Occhetto, la componente fedele all'idea comunista e contraria al cambiamento
del nome rivendicava il diritto a costituirsi in partito con stesso lo nome e simbolo del
vecchio PCI. Tuttavia, dopo una delicata vicenda giudiziaria, la minoranza guidata da
Garavini e Cossutta doveva rinunciare a tener vivo un partito comunista e fondava un nuovo
partito, Rifondazione Comunista, nel quale confluiva anche l'organico di Democrazia
Proletaria.
Alle elezioni dell'aprile 1992 il PDS scendeva di 10 punti percentuali e
otteneva il 16,1%, mentre Rifondazione Comunista si attestava sul 5,6%. Tuttavia,
contemporaneamente a questo calo, gli altri partiti vengono travolti dalle inchieste della
magistratura; perciò il PDS, essendo coinvolto in Tangentopoli solo limitatamente
ad alcuni suoi dirigenti milanesi e avendo già avviato un processo di rinnovamento, si
salva dalla bufera e appare a molti come lultima speranza.
4. La prima volta al Governo
La ripresa è confermata nelle amministrative del 1993, ma una pesante
(soprattutto perché inaspettata) sconfitta viene riportata nelle elezioni del 1994.
Ovviamente è Occhetto a fare da capro espiatorio e la segreteria passa nelle mani di Massimo DAlema.
Questultimo, nellarco di due anni, riesce a portare il partito al governo
del Paese, promuovendo una coalizione di centro-sinistra, lUlivo, il cui candidato,
il cattolico ed ex presidente dellIRI Romano Prodi, varca nel 1996 la soglia di
Palazzo Chigi, guidando un esecutivo che porta l'Italia in Europa, risana i conti pubblici
e ottiene lusinghieri successi in campo economico e di rapporti internazionzli.
Lo stesso DAlema riceverà, infine, nel 1998, lincarico di formare il nuovo
governo, dopo la crisi del Governo Prodi, caduto in seguito all'uscita dalla maggioranza
di Rifondazione Comunista. Alla guida del partito gli succede Walter Veltroni e, dopo
l'elezione di questi a sindaco di Roma e la sconfitta elettorale dell'Ulivo nel 2001, l'ex
ministro della Giustizia Piero Fassino.
(notizie tratte in parte dal sito pericles.it)
Cronologia dal Pci ai Ds: 1921-1998
Manifesti del P.C.I.
Dallo statuto del Partito Comunista
Italiano, riportato sul retro delle tessere di adesione al partito:
Il Partito Comunista Italiano è l' organizzazione
politica d' avanguardia della classe operaia e di tutti i lavoratori i quali, nello
spirito della Resistenza e dell' internazionalismo proletario e nella realtà della lotta
di classe, lottano per la indipendenza e la libertà per la valorizzazione della
personalità umana, per la pace tra i popoli e per il socialismo.
Ogni iscritto al partito ha il dovere di:
- - partecipare regolarmente alle riunioni ed essere attivo nella sua
organizzazione;
- - accrescere continuamente la propria conoscenza della linea politica del
partito e la propria capacità di lavorare per realizzarla;
- - leggere, sostenere, e diffondere il giornale e le pubblicazioni del
partito; acquisire e approfondire la conoscenza del marxismo e contribuire alla conquista
di nuovi militanti; essere attivo nelle organizzazioni di massa;
- - osservare la disciplina del partito;
- -essere franco con il partito; leale e fraterno con i compagni e i
lavotarori; cittadino esemplare;
- - esercitare la critica e l' autocritica per migliorare l' attività
propria e del partito;
- -difendere il partito da ogni attacco.
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