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Il biennio "rosso"
(1919-1920)
Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, anche l'Italia soffrì di gravi difficoltà
economiche. La disoccupazione, la riconversione industriale da militare a civile, il
ritorno dei reduci furono problemi giganteschi per il nostro paese. I ceti medi e le
classi a reddito fisso furono particolarmente colpite dalla crisi economica, anche perché
danneggiate più delle altre dall'inflazione causata dalle enormi spese militari) e
deluse a causa del mancato aumento degli stipendi.
Nel gennaio 1919, i Cattolici diedero vita al Partito Popolare Italiano, il primo vero
partito di ispirazione cattolica. Fondatore e ispiratore della nuova formazione fu Don
Luigi Sturzo. Intanto il 23
marzo del 1919 Mussolini fondava i fasci di combattimento, a Milano.
Le elezioni politiche del '19 dimostrarono la voglia di novità del popolo italiano,
facendo registrare:
- il netto declino dei liberali;
- la crescita del partito popolare di don Sturzo;
- l'enorme forza del partito socialista.
Il Partito socialista ottenne 156 deputati
in confronto ai 48 del 1913, il Partito popolare ne ebbe 100 in confronto ai 33 cattolici
eletti nel 1913. I liberali persero la maggioranza. Ottennero infatti poco più di 200
deputati rispetto agli oltre 300 eletti nel 1913.
Nel periodo successivo, tra
il 1919 e il 1920, la classe operaia esplose con
scioperi, dimostrazioni ed agitazioni a livelli impressionanti nelle fabbriche italiane,
contro il taglio degli stipendi e le serrate. Tra le cause di questa ondata di scioperi ci
furono la crisi economica conseguente alla guerra appena terminata, ma ebbe un ruolo
importante anche il mito della rivoluzione russa e il sogno di fare come in Russia. Agli
scioperi causati dalle difficoltà economiche e volti a ottenere migliori condizioni di
lavoro e salari più alti, si aggiunsero manifestazioni di contenuto dichiaratamente
politico.
Così i due motivi, le richieste economiche e la pressione rivoluzionaria, finirono col
mescolarsi e confondersi. Si diffusero parole dordine come le fabbriche agli operai e la terra
ai contadini. Nel
mezzogiorno gruppi di braccianti tentarono di occupare le terre incolte.
Intanto cresceva il partito dei nazionalisti e dei reduci della
guerra. La "vittoria mutilata", ovvero il sentimento di scontentezza per
lesito degli accordi di pace di Versailles (lItalia ottenne il
Trentino, lAlto Adige, la Venezia Giulia, Trieste e lIstria; restarono invece
aperte la questione della città di Fiume e quella della Dalmazia)
trovò un ottimo portavoce in Gabriele DAnnunzio. I reduci della Prima Guerra
mondiale videro che il loro ruolo non era valorizzato dallo Stato.
Le preoccupazioni della classe politica liberale allora dominante
erano sostanzialmente due: fermare il revanscismo dei dannunziani e prevenire in ogni modo
la possibilità di una rivoluzione comunista, del tipo di quella avvenuta in Russia pochi
anni prima. La seconda preoccupazione era particolarmente sentita anche dagli industriali
e dai possidenti agricoli, che detenevano gran parte delle ricchezze del paese. La cronica
indecisione dei governanti italiani fece il resto.
LItalia si trovò di fronte ad un bivio, e scelse la
tragica strada del fascismo credendo portasse lontano, verso un futuro migliore.
Come iniziò il biennio
La storia del Biennio Rosso iniziò a Torino il 13 settembre 1919
con la pubblicazione sulla rivista Ordine Nuovo del manifesto Ai commissari di
reparto delle officine Fiat Centro e Brevetti, nel quale si ufficializzava
lesistenza e il ruolo dei Consigli di fabbrica quali nuclei di gestione autonoma
delle industrie da parte degli operai. Già tre mesi prima Gramsci e Togliatti avevano
affrontato il problema, sempre sulla stessa rivista, in un articolo chiamato Democrazia
operaia.
Torino, culla dellindustrializzazione italiana, si
prefigurava così come il centro propulsore del bolscevismo, in quanto la struttura dei
Consigli proposta dagli ordinovisti ricalcava, seppur con peculiarità proprie, quella dei
Soviet russi. Le proteste iniziarono nelle fabbriche di meccanica, per poi continuare
nelle ferrovie, trasporti e in altre industrie, mentre i
contadini occupavano le terre. Le
agitazioni si diffusero anche nelle campagne della pianura padana, innescando duri scontri
fra proprietari e braccianti, con violenza da una parte e dallaltra, soprattutto in
Emilia e Romagna. Gli scioperanti, però, fecero molto più che unoccupazione,
sperimentando per la prima volta forme di autogestione operaia: 500.000 scioperanti
lavoravano, producendo per se stessi. Durante questo periodo, l'Unione Sindacale Italiano
(USI) raggiunse quasi un milione di membri.
Il fenomeno si estese rapidamente ad altre fabbriche del Nord,
coinvolse il movimento anarchico ma venne solo in parte appoggiato dal P.S.I., che in quel
momento era diviso tra riformisti e massimalisti. Gramsci avvertì lincapacità dei
politici socialisti di fronte a queste manifestazioni di autogoverno proletario, e cercò
di dare sistemazione, teorica prima, e pratica poi, al movimento operaio. Nulla potè,
però, contro la reazione degli industriali, appoggiati dal governo e da questo
aiutati con migliaia di militari in assetto di guerra.
Dal 28 marzo 1920 si delinearono i due blocchi, da una parte gli operai con lo sciopero
ad oltranza, dallaltra i proprietari, che adottarono la serrata come reazione alle
richieste operaie. Dopo alcuni mesi di trattative sugli aumenti
salariali, sempre respinti dalla Confederazione Generale dellIndustria, si ritornò
allinasprimento dei contrasti, con loccupazione armata delle fabbriche da
parte degli operai, il 30 agosto del 1920.
Guardie rosse armate all'interno di
una fabbrica occupata (1920)
Mentre il Partito Socialista tentava la trattativa con il governo
presieduto da Giolitti, gli industriali e i latifondisti, più pragmatici, cominciarono a
garantire il loro appoggio economico alle squadre dei "ras" fascisti.
E così agli scioperi agrari nella Pianura Padana, allo sciopero generale dei
metallurgici in Piemonte e all'occupazione delle fabbriche in molte città italiane il
fascismo rispose con la violenza. Squadre fasciste intervennero per spezzare gli
scioperi aggredendo i partecipanti, pestando deputati e simpatizzanti socialisti. A
novembre, in occasione dell'insediamento del nuovo sindaco di Bologna, un socialista di
estrema sinistra, partirono pistolettate e bombe a mano che provocarono la morte di nove
persone nella piazza, mentre un consigliere nazionalista venne ucciso in pieno Consiglio
comunale. Le spedizioni punitive estesero il loro raggio d'azione alla Toscana, al Veneto,
alla Lombardia e all'Umbria. Vennero assaltate le Case del Popolo, le sedi delle
amministrazioni comunali socialiste e le leghe cattoliche. In Venezia Giulia giovani
squadristi assalirono e incendiarono le sedi di associazioni e giornali sloveni. In Alto
Adige simili attenzioni vennero rivolte alla popolazione tedesca, di cui i fascisti
auspicavano una forzata italianizzazione ("dobbiamo estirpare il nido di vipere
tedesco", disse Mussolini). Prefetti, commissari di polizia e comandanti militari
tolleravano e in alcuni casi agevolavano le "operazioni" della squadre fasciste
contro il 'sovversivismo rosso'. "Sono dei fuochi d'artificio, che fanno molto rumore
ma si spengono rapidamente", disse Giolitti minimizzando il problema.
La
sconfitta del movimento operaio
Giolitti rifiutò di far intervenire la polizia e l'esercito nelle fabbriche e aspettò
che il movimento si esaurisse da sé, che terminassero le scorte di materie prime nei
magazzini delle aziende occupate, che gli stessi operai si rendessero conto che
l'occupazione non portava a nulla. Nello stesso tempo favorì le trattative fra gli
industriali e sindacati e, praticamente, obbligò gli industriali a concedere ai
lavoratori i miglioramenti di salario richiesti. Così allinizio di ottobre del 1920
Giolitti riuscì a far accettare un compromesso tra le parti sociali. A tal uopo presentò
anche un progetto di legge per controllo operaio su fabbriche, mai attuato.
Le agitazioni operaie ebbero in
conclusione risultati economici positivi: i lavoratori ottennero miglioramenti nel
salario e nelle condizioni di lavoro; la durata massima della giornata lavorativa passò
da 10-11 ore a 8 ore.
Ebbero tuttavia anche degli effetti
politici negativi, perché spaventarono fortemente la borghesia: non solo i grandi
proprietari di industrie o di terre ma, ancora di più, il ceto medio, i piccoli
borghesi che cominciavano a costituire una classe sociale decisamente numerosa. Il timore
di una possibile rivoluzione li avrebbe presto spinti ad appoggiare il fascismo di Benito
Mussolini. Così come fece la classe politica liberale. Fu lo stesso Giolitti a
favorire l'ascesa del fascismo quando, in occasione delle elezioni del maggio 1921,
cercando di assorbire i fascisti nella normale prassi parlamentare, li inserì nei Blocchi
nazionali da opporre ai partiti di massa (popolare, socialista, comunista): ne furono
eletti 35, con alla testa Mussilini.
Gli industriali e le squadre fasciste
La violenza fascista continuò anche dopo il biennio
rosso, anzi si intensificò. Nella sola pianura padana, nei primi sei mesi del 1921, gli
attacchi operati dalle squadre fasciste furono 726. Gli obiettivi di questa violenza
mostrano chiaramente che le squadre fasciste volevano colpire e da quali interessi erano
sostenute: 59 case del popolo, 119 camere del lavoro, 107 cooperative, 83 leghe contadine,
141 sezioni socialiste, 100 circoli culturali, 28 sindacati operai, 53 circoli ricreativi
operai. Gli organi dello Stato che avrebbero dovuto mantenere l'ordine, non intervennero
per reprimere le illegalità. In alcuni casi, le forze di polizia si affiancarono alle
squadre fasciste. Comunisti
e anarchici reagirono con la creazione delle squadre degli Arditi del Popolo (epica fu, ad
esempio, la difesa di Parma, assalita da migliaia di fascisti nell'agosto del 1922).
Conclusioni
Il Biennio Rosso rappresentò quindi lincubatrice di due tendenze opposte,
entrambe nate da una scissione del partito socialista: il rivoluzionarismo di stampo
bolscevico, che poi si concretizzerà nella fondazione, avvenuta nel gennaio del 1921, al
Congresso di Livorno, del P.C.I., un soggetto politico destinato a lasciare
unindelebile impronta nella vita italiana, e contemporaneamente il fascismo
reazionario e violento, altrettanto determinante per la storia dItalia nel XX
secolo.
per approfondire:
I Fasci di combattimento (1919)
Gli
Arditi del Popolo
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