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Il movimento dei "girotondi"

Sondaggio: grande successo dei girotondi, piacciono anche a quelli di centrodestra

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(la Repubblica, 12 marzo 2002)

Qual è l'atteggiamento dell'opinione pubblica sulle manifestazioni che in questi giorni stanno riempiendo le piazze di molte città italiane? Quale grado di consenso si raccoglie attorno agli "autoconvocati" e quali sono le potenziali dimensioni del neonato movimento? A questi interrogativi cerca di rispondere il sondaggio realizzato da Eurisko per Repubblica, i cui risultati sono riportati in queste pagine. Il 38% si dice informato; il 34% ne ha sentito parlare, senza seguire direttamente i fatti; solo il 28% afferma di non saperne nulla. I risultati del sondaggio testimoniano un buon grado di attenzione per le iniziative nate, nelle ultime settimane, attorno ai temi della giustizia, della libertà d'informazione e del conflitto d'interessi.

E una porzione consistente della società si schiera, apertamente, dalla parte dei manifestanti. Più di una persona su tre (34%) afferma di condividerne gli obiettivi, e una quota appena inferiore si spinge più in là, dichiarando una potenziale adesione alla loro "causa": il 12% è pronto a manifestare, nel caso una iniziativa di questo tipo si svolgesse nella sua città o nella sua provincia; il 19% non esclude di poterlo fare. Sono due, nell'opinione degli intervistati, i principali obiettivi che queste manifestazioni possono raggiungere: far sentire la voce dei cittadini presso i partiti (26%), innanzitutto, e favorire l'istanza di legalità e democrazia (13%). Risultano piuttosto diffusi, allo stesso tempo, anche i giudizi di segno negativo. Se l'8% si limita a bollare cortei e girotondi come iniziative inutili, altri intravedono addirittura dei pericoli. Più di un cittadino su dieci (12%) paventa un inasprimento dello scontro politico, e una quota appena inferiore (9%) teme che tali manifestazioni possano favorire un clima di violenza.

L'identikit dei possibili manifestanti presenta un profilo ben definito: si tratta, mediamente, di persone residenti in comuni di dimensioni medio-grandi; giovani, o appartenenti alle classi d'età centrali; con un elevato livello d'istruzione; tra le categorie professionali, le più rappresentate sono quelle degli studenti, degli insegnanti e degli impiegati. Non sorprendentemente, poi, gli atteggiamenti sul tema indagato risultano fortemente connessi agli orientamenti politici individuali. Le posizioni di maggior favore si osservano nel centrosinistra: il 77% degli elettori dell'Ulivo è d'accordo con le manifestzioni; ma anche tra quelli della Casa delle Libertà emerge un inatteso grado di apertura verso le ragioni dei manifestanti: quasi uno su quattro, tra chi ha votato per lo schieramento di centro-destra, è d'accordo con le loro idee, e circa uno su cinque sarebbe disponibile a "marciare". Un risultato importante, ma che, almeno per il momento, non sembra prefigurare significative novità sul piano dei comportamenti di voto. La diffusione dell'opposizione "fai-da-te" spinge, inoltre, ad interrogarsi sulle prospettive della coalizione di centro-sinistra.

I suoi elettori - considerando anche Rifondazione comunista e la Lista di Pietro - vedono nella formazione di un unico soggetto politico la ricetta più efficace per rafforzare il peso elettorale dello schieramento (28%). La seconda soluzione viene individuata nel raggiungimento dell'intesa con Rc (21%), mentre altre strategie riscuotono minore consenso: rilanciare l'organizzazione sul territorio (17%); riconquistare l'elettorato di centro (12%); rafforzare, nella società civile, l'opposizione contro il governo (7%). Allo stesso tempo, gli elettori dei diversi partiti sembrano propendere per specifiche soluzioni: se il partito unico piace, soprattutto, ai sostenitori della Margherita, quelli dei Ds e di Rc spingono in modo più deciso per un'estensione dell'alleanza al partito di Bertinotti.

Il centro-sinistra dovrebbe, inoltre, nell'opinione dei suoi elettori, rafforzare i propri legami con i sindacati (27%) - percorso indicato soprattutto dagli elettori dei Ds e di Rc - e, in secondo luogo, con le associazioni di volontariato (17%), soluzione preferita dai sostenitori della Margherita. Meno intensa, invece, la spinta di chi auspica un maggiore dialogo con i movimenti no-global (11%), i comitati di sostegno a Mani Pulite (14%) e le associazioni del lavoro autonomo (9%).

Il commento di Ilvo Diamanti

Continuano, un po' dovunque. Manifestazioni di piazza, girotondi attorno alla Rai e ai Palazzi di giustizia. Con obiettivi e toni diversi. A volte ironici. A volte più appassionati. Qualche volta più acidi e lividi. Non è un movimento, non ancora. Gli mancano, per ora, un'identità comune. Una simmetria organizzativa. E', però, una mobilitazione diffusa. E nell'ultimo mese, continua. Un magma che fluisce in diverse direzioni. Sta creando, ha già creato un sostegno esteso, nella società. Maggioritario, fra gli elettori di centrosinistra. Ma capace di allargarsi oltre. Sino a lambire alcuni settori, limitati ma rilevanti, fra gli elettori della CdL.

Sono tra le indicazioni più interessanti fornite dal sondaggio condotto, nei giorni scorsi, da Eurisko per la Repubblica su un campione rappresentativo della popolazione italiana. Questa mobilitazione diffusa ha attecchito nell'opinione pubblica, illuminando un sentimento che non appariva, perché oscurato dalla delusione. Ma anche dalla incapacità degli attori politici di dargli visibilità. Rappresentanza. Si parlava, nei mesi scorsi, di una società che ha smesso di protestare, dopo anni di malessere rumoroso, nei confronti delle istituzioni e del governo centrale.

Facevamo riferimento alla società "media". Ai ceti medi del settore privato. Ai piccoli imprenditori, ai lavoratori autonomi, agli artigiani del Nord, che nel corso degli anni 90 avevano levato alta la voce contro le politiche fiscali, gli indirizzi della spesa pubblica, la bassa efficienza dello Stato. La loro protesta si è sopita, silenziata, dopo la vittoria elettorale della CdL. Nell'attesa di verificare l'operato di un governo e di una maggioranza, che delle loro rivendicazioni hanno fatto una bandiera.

Oggi assistiamo a una mobilitazione espressa dall'"altra faccia" dei ceti medi. Composta dagli insegnanti, dai funzionari, dagli impiegati, dagli intellettuali e dai dirigenti, che operano, perlopiù, nel settore pubblico. Reduci da un decennio silenzioso e mesto. Contagiati da una "sindrome da declino". Coinvolti nella critica dello Stato e del "pubblico". Ridimensionati sotto il profilo del reddito e del prestigio sociale. Protagonisti delle proteste degli anni 70, nel decennio trascorso avevano ripiegato le loro bandiere. Vaso di coccio, tra il mito del ceto medio "privato", narrato dalla Lega e Forza Italia.

E la fedeltà verso la sinistra "amica", che nella seconda metà degli anni 90 aveva governato. Da questo versante sociale è partita la scintilla. Accesa dall'happening di Nanni Moretti, un mese fa, a Piazza Navona. Così, le manifestazioni dell'Ulivo, un po' tristi e scarsamente partecipate, fino a quel giorno, si sono animate e moltiplicate. E sono "scappate di mano" ai leader dei partiti per passare in quelle dei professori, dei militanti, degli intellettuali piccoli e medi che operano in provincia.

E' il filo che si intuisce sotto i dati del sondaggio Eurisko. Che propone, peraltro, alcuni aspetti utili e, per quel che ci riguarda, non scontati. Il primo. Questa mobilitazione "fa notizia". Dice di esserne informato in modo puntuale il 40% della popolazione. Un altro 34% afferma di conoscerne, comunque, l'esistenza e le motivazioni. Non è poco, rispetto agli standard dell'informazione che si registrano a livello sociale. Il secondo. Gode di un ampio consenso. Ha imposto i suoi contenuti, condivisi da un terzo dei cittadini. Mentre li avversa una quota minore: il 23%. La maggioranza relativa dei cittadini, invece, resta in attesa. Non sa o non vuole ancora esprimersi. Ma è significativo che il 12% degli intervistati si dica disposto a "mobilitarsi" e un altro 20% prenda in considerazione questa possibilità. Quasi un terzo delle persone intervistate mostrano, quindi, un coinvolgimento emotivo diretto nella mobilitazione magmatica di questa fase. Il terzo. Queste mobilitazioni hanno un significato ambivalente. Da un lato: contro la "normalizzazione" della stagione di cambiamento degli anni 90.

Contro le pressioni esercitate nei confronti della magistratura. E, in fondo, contro il governo di centrodestra. Dall'altro: contro la delusione generata dalla divisione e dalla distanza del centrosinistra dalla società. Le manifestazioni, tautologicamente, sono un modo di "manifestarsi" per un settore sociale, escluso per anni dal circuito della rappresentanza. Il sostegno alla mobilitazione, al proposito, disegna un profilo piuttosto esplicito. Cresce nei giovani fra 25 e 35 anni e negli adulti, fra 35 e 54 anni.

Cala, quindi, fra i giovanissimi (che preferiscono il no-global) e tra i più anziani. Aumenta fra gli impiegati pubblici, gli insegnanti, i dirigenti, fra le persone in possesso di laurea e di diploma, nelle città piuttosto che nei piccoli centri. Da qui il quarto aspetto sottolineato dal sondaggio. Tra i più interessanti. Riguarda l'estendersi dell'adesione ai motivi della protesta oltre i confini del centrosinistra. Certo: fra gli elettori dell'Ulivo e di Rifondazione il sostegno è massiccio (oltre il 75%).

Ma è forse più significativo quel 25% di elettori della CdL che si dicono d'accordo con coloro che manifestano. Quel 20% di elettori della CdL i quali affermano che, in futuro, potrebbero unirsi alle iniziative. (Fra gli elettori dell'Ulivo il sostegno sale al 60%). Non bisogna pensare che la verità dei sondaggi sia "realtà". Però, serve a cogliere il clima d'opinione. A rivelare che il malessere striscia, in questa fase, anche fra gli elettori del centrodestra. Le mobilitazioni lo hanno intercettato e reso palese. Complice una certa delusione, rispetto alle politiche del governo, in materia di giustizia, Europa, conflitto di interessi.

La delusione, peraltro, investe proprio quei ceti intellettuali, che, come nei giorni scorsi ha ribadito Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, non hanno colto, nelle politiche verso la cultura, la ricerca, la scuola avviate dal governo Berlusconi, novità rassicuranti. Peraltro, non bisogna pensare che il sostegno alla protesta sociale si rifletta sul piano elettorale. Il sondaggio dell'Eurisko segnala come siano avvenuti pochi spostamenti nelle intenzioni di voto dal 13 maggio ad oggi. Solo gli astensionisti, che si mostrano più disponibili a votare per il centrosinistra.

Ma il malessere non apre crepe visibili nella base elettorale del centrodestra, per ora. Contribuisce, semmai, a rafforzare quel clima di "consenso senza fiducia", su cui si regge questa maggioranza. La differenza, rispetto a prima, è che il dissenso oggi è visibile. Travasa in un "dissenso senza fiducia", che le piazze e i media rilanciano. Costringendo il centrosinistra a interrogarsi, in fretta, su come rappresentarlo. Senza perdere il contatto con la società, ritrovato dopo troppo tempo.

Senza perdersi nella società. Passando da una politica lontana dalla società, a un'impolitica prigioniera della società.

 

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