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Campagna di Russia

Tornano mille dell’Armir. Il segreto dei nomi nascosti nelle bottiglie

di Fabrizio Dragosei

MOSCA - A 56 anni dalla fine della guerra ci sono ancora salme di italiani caduti in Russia che aspettano di essere rimpatriate. Il comunismo è caduto, i feroci scontri sul Don fra gli uomini dell’Armir (Armata italiana in Russia) e quelli dell’Armata Rossa sono un pallido ricordo, ma per molte famiglie i parenti che partirono per il fronte orientale risultano ancora «dispersi». Ieri un altro gruppo di salme, 1.064 per l’esattezza, è tornata in patria a bordo di un C130 dell’aeronautica militare. In bare di legno grezzo, salutati con gli onori militari, i resti di alpini e fanti hanno lasciato la terra che dovevano conquistare assieme alle divisioni panzer di Adolf Hitler, e nella quale invece incontrarono il loro triste destino.
E’ dall’inizio degli anni ’90, dopo lo scioglimento dell’Urss e la nascita della Russia democratica, che il governo italiano e quello di Mosca hanno raggiunto un accordo per individuare i luoghi di sepoltura degli italiani e per rimpatriare i resti dei caduti. Un lavoro molto difficile. Innanzitutto per le resistenze dei militari. Per decenni dopo la fine della Seconda Guerra mondiale i sovietici si sono rifiutati di fornire indicazioni precise su caduti e dispersi. Dei 230 mila soldati mandati in Russia, poco più della metà fece ritorno a casa. Gli altri furono uccisi durante i contrattacchi russi o finirono prigionieri e in buona parte morirono nei campi. Uomini delle divisioni Cosseria, Ravenna, Pasubio, Torino, Celere e Sforzesca. Gli alpino della Julia, della Cuneense e della Vicenza. Quelli della Tridentina.
In quegli anni di caos, con i russi che a loro volta lamentavano milioni di morti, i caduti venivano seppelliti dove capitava. E in molti casi i registri sono andati perduti. «C’è stata una guerra, cosa volete trovare? Non sappiamo nemmeno dove sono i nostri», disse a un certo punto Krusciov, secondo quanto afferma lo storico Arrigo Petacco, autore del volume L’armata scomparsa (Mondadori).
Dopo il ’91, con il mutare della situazione politica, le ricerche sono però riprese, con l’intervento del Commissariato per le onoranze ai caduti e dell’associazione russa Memoriali di guerra. Si è scavato nelle fosse comuni, si è lavorato sugli archivi finalmente messi a disposizione dalle autorità militari. Molte salme sono state identificate grazie allo stratagemma dei cappellani militari che chiudevano i documenti in bottiglie che venivano sepolte assieme ai morti.
Così dal 1991 sono stati identificati e rispediti in Italia i resti di 6.860 soldati. Ai quali si aggiungono dunque i 1.064 che ieri hanno lasciato la Russia dall’aeroporto militare di Chkalovskij, alle porte di Mosca.
Su 65 mila soldati, secondo fonti russe, sarebbero state trovate notizie precise. Inoltre l’associazione Memoriali afferma che l’anno prossimo verranno rimpatriate ancora 500 salme. Di molti altri, invece, non si sa nulla. Molti prigionieri non morirono nei campi, ma nemmeno tornarono a casa tra il ’45 e il ’54, anno in cui Krusciov disse di aver rimpatriato gli ultimi italiani.
In realtà molte notizie ci fanno supporre che diversi italiani abbiano vissuto in Unione Sovietica per molti anni, forse in sperduti villaggi dell’Ucraina o del Kazakhstan, dove si trovavano alcuni campi. Negli ultimi anni sono stati ritrovati alcuni francesi che ancora erano in vita: si trattava di prigionieri nei lager nazisti «liberati» dai russi.

(Corriere della Sera, 25 ottobre 2001)

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