L'attenzione si rivolge qui al solo caso organicamente
studiato della Slovenia annessa (3 maggio 1941) dopo il disfacimento della vecchia
Jugoslavia sotto l'urto delle armate tedesche, italiane e degli alleati minori ungheresi e
bulgari. Altro spazio dovrebbe essere dedicato alla sorte pressoché analoga della
Dalmazia, degli altri territori croati e del Montenegro.
In Slovenia (attribuita all'Italia quella che diviene la
"provincia" di Lubiana, incamerata dalla Germania oltre la metà, quella più
ricca, del paese) l'azione repressiva - per limitarci a questo aspetto - contro i
partigiani e contro la popolazione civile, considerata in gran parte connivente, fu
affidata alle autorità civili, impersonate nell'Alto Commissariato, e soprattutto al
nostro XI Corpo d'armata. Durante l'estate-autunno del 1942 i militari condussero
l'intervento più massiccio e capillare (ma non decisivo) che mise a ferro e fuoco
l'intera provincia: una linea d'azione che può essere letta correlandola col
comportamento simile assunto dai tedeschi nel territorio di loro competenza. Dove, però,
a differenza degli italiani, diedero avvio ad un programma di rapida germanizzazione.
Nomi gentili quelli dati ai due cicli operativi: Enzian (genziana)
quello adottato dai tedeschi per l'attacco condotto nella stessa estate nel 1942,
Primavera fu chiamata la campagna italiana.
Per il caso tedesco cito quanto scrive lo storico sloveno Ferenc che
più puntualmente ha studiato il periodo:
"L'offensiva si svolse con una violenza terrificante, poiché gli occupanti tedeschi
vi fucilarono molti ostaggi, come d'altronde in tutto il periodo dell'occupazione,
incendiarono e rasero al suolo undici villaggi in cui fucilarono gli uomini dai quindici
anni in su, e cacciarono i rimanenti abitanti in campo di concentramento, assegnando però
i bambini a speciali campi di "rieducazione"
(13)".
Nel caso italiano la proporzione fra alcune cifre dà il quadro dei
risultati raggiunti. Le premesse stavano nelle direttive emanate dagli alti comandi il 7
luglio 1942:
"Saranno passati per le armi tutti gli uomini validi trovati nella zona di
combattimento; resta chiarito che ugual sorte toccherà a chiunque non della zona venga
trovato sul posto. Contadini, lavoratori e uomini validi in genere, trovati in zone
abbandonate da ribelli in fuga, debbono essere fucilati perché, non potendo essere
giustificata la loro presenza debbono essere considerati sbandati o dispersi" (14).
Fra gennaio e dicembre del 1942 il Corpo d'armata italiano, tra
ufficiali e truppa, ebbe 678 caduti e 111 dispersi, 1114 feriti
(15). Nel solo periodo compreso tra il 16 luglio e la fine d'agosto dello stesso anno
i partigiani (stimati in circa 5.000 operanti allora nella "provincia" che
contava pressappoco 340.000 abitanti) ebbero, secondo i comandi italiani, 1.053 caduti e
1.383 catturati (16). Ma i fucilati sul posto furono 1.236.
Il generale Robotti, comandante del Corpo d'armata "esigeva il massacro anche dei
prigionieri feriti. Perciò in Slovenia non ci furono scambi di prigionieri e feriti, come
invece avveniva in altre province jugoslave" (17).
Nel periodo aprile 1942 - gennaio 1943 l'uccisione di ostaggi, 145,
superò di quasi tre volte le esecuzioni capitali, 51, decise dai tribunali militari. Non
si parla qui dei danni materiali inferti, dei centri abitati dati alle fiamme.
"Questa popolazione non ci amerà mai" ebbe a dichiarare Mussolini: 25.000
sloveni (oltre il 7% dei residenti nella "provincia"), nel periodo
dell'occupazione, furono deportati nei campi d'internamento italiani.
Un ulteriore processo di imbarbarimento dilagava nel cuore stesso
d'Europa.
Tra il 1942 e il 1943 la rivolta travalicò il vecchio confine statale
italiano e si estese ben dentro le provincie di Trieste e Gorizia lambendo anche quella di
Udine. Più lentamente il fenomeno si manifestò in Istria con l'infiltrazione della
guerriglia croata (ma la mobilità partigiana non conosceva compartimenti stagni). Molto
prima dello sbarco alleato in Sicilia nasceva per l'Italia un secondo fronte al confine
orientale dove, nello stillicidio della guerriglia, rimasero immobilizzate ingenti forze
militari.
La Venezia Giulia era stata gettata nel baratro balcanico fin da quando
fu deciso nell'aprile del 1941 di porre a Fiume il comando della II Armata, la grande
unità (comprendeva anche l'XI Corpo) che fino al 1943 avrebbe dovuto assicurare un
contrastato controllo sull'intero spazio tra la Slovenia e il Montenegro.
La nota del marzo 1943 del Comando supremo, prevedendo l'abbandono alla
Germania della supremazia in Adriatico, prefigurava inevitabilmente il destino delle
regioni nordorientali italiane. Non per caso l'occupazione tedesca della Venezia Giulia e
la creazione dell'Adriatisches Küstenland che comprendeva anche il Friuli e,
significativamente, l'ex "provincia" di Lubiana, nell'ultima fase della guerra,
rappresentarono la cerniera più importante di raccordo tra la Germania e la penisola
balcanica.
NOTE
13 - Tone Ferenc, La provincia
"italiana" di Lubiana. Documenti 1941- 1942, Istituto friulano per la
storia del movimento di liberazione, Udine, 1994, p. 472 n. Si tratta della ricerca
fondamentale sulla Slovenia occupata: riproduce 107 documenti di provenienza italiana.
L'edizione originale è stata pubblicata a Lubiana nel 1988. torna su
14 - Ferenc, La provincia "italiana" ...
cit., pp. 468-69. E' il doc. n. 88, Verbale della riunione presso il Comandante dell'XI
Corpo d'armata del 7 luglio 1942.torna su
15 - Ferenc, ibid., p. 117.torna
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16 - Cuzzi, op. cit., pp. 228-229. torna
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17 - Ferenc, op. cit., p. 121. torna
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