Campagna d'Africa (1940-1943)
Le operazioni in Africa
Orientale
di Roberto Biagioni
Troppo
distante dalla madrepatria per essere rifornita costantemente la nuova colonia italiana fu
considerata da molti membri del Partito fascista una fastidiosa appendice che avrebbe
dovuto provvedere autonomamente al proprio sostentamento nel caso di una guerra che ormai
era sempre più prossima. Questa si mostrerà , purtroppo, solo una mera illusione che,
come spesso accadrà alle nostre truppe combattenti, verrà pagata ad un prezzo altissimo.
Già nel
1939 il nuovo viceré dEtiopia, il duca Amedeo dAosta, inviò a Roma un
dettagliato piano organizzativo per raggiungere la tanto agognata autosufficienza:
costo dellintera operazione 4.8 miliardi di £ che ovviamente non furono concessi.
Solo nellaprile del 1940 vennero stanziati 900 milioni che rappresentarono ben poca
cosa di fronte alle esigenze dellintera colonia. Per meglio comprendere la
situazione ecco le carenze maggiori:
Mobilità
delle truppe: dovuta sia allo scarso numero di autocarri, sia alla quantità di gomme
disponibili. Vista la grave crisi si ipotizzò una durata delle scorte per appena due
mesi.
Carburante:
salvo eventuali perdite a vantaggio del nemico si calcolò che le scorte fossero
sufficienti per circa sei mesi
Munizioni:
erano circa la metà del quantitativo necessario quelle per le armi leggere mentre mancavano totalmente le armi contraeree e
controcarro. Solo nel 1941 furono consegnati 4000 colpi per la contraerea.
La
consistenza delle nostre truppe fu senzaltro notevole, almeno da un punto di vista
numerico: allo scoppio della guerra, il 10 Giugno 1940, lesercito italiano poté contare nelle proprie fila
oltre 90 mila uomini delle truppe nazionali e circa 200 mila coloniali anche se alcune
fonti sostengono che tale cifra sia di poco superiore alle 100 mila unità. Il complesso fu strutturato in:
23 brigate
94
battaglioni
16
squadroni di cavalleria
Lorganizzazione
di queste truppe fu però adattata alle esigenze della colonia che ovviamente erano
differenti rispetto a quelle della madrepatria: due sole divisioni di fanteria poterono
essere equiparate a quelle in servizio nel nostro paese, tantè che la base dellintera struttura militare fu affidata ad unità più agili
e numericamente inferiori come i battaglioni e le brigate, composte da un numero vario di
battaglioni.
Le armi
corazzate erano quasi inesistenti: furono disponibili 24 carri medi da 11 tonnellate e 35
carri leggeri da appena 5 tonnellate. L aviazione è suddivisa in otto gruppi e
cinque squadriglie per un totale di 300 apparecchi di cui il 30% è da considerarsi in
condizioni miserevoli. Si possono inoltre contare 5300 autocarri, 2300 autovetture e 307
motociclette.
Nelle acque
del Mar Rosso e dell Oceano Indiano, infine, sono presenti 8 sottomarini, 4 dei
quali furono affondati nelle prime settimane, e 20 navi. Nonostante il numero sia tuttaltro
che disprezzabile la modernità dei mezzi lascia molto a desiderare.
Per meglio
comprendere gli eventi della campagna appare opportuno delineare la linea di comando
militare della nostra colonia:
Supremazia
civile e militare: duca Amedeo d Aosta
Scacchiere
operativo Nord: gen. Luigi Frusci
Scacchiere
operativo Sud: gen. Pietro Gazzera
Scacchiere
operativo Est: gen. Guglielmo Nasi
Scacchiere
Giuba: gen. Gustavo Pesanti
A questi
andarono ad affiancarsi i generali Bertoldi, de Simone e Scala mentre il comando della
Marina fu affidato dellammiraglio Carlo Balsamo. Pietro Pinna fu infine il
comandante superiore dellAeronautica.
Lesercito
inglese può contare su un numero di uomini decisamente inferiore al nostro:
25000
uomini dislocati nel Sudan. Sono suddivisi in battaglioni dei quali solo tre a guardia
degli oltre 2000 Km della frontiera con i territori italiani
35000
uomini nel Kenya provenienti in parte dal Sud Africa del premier Smuts
1500 nella
Somalia britannica
10000
uomini componenti due battaglioni indiani rinforzati dislocati ad Aden
Oltre alle
truppe regolari sono da tener presenti le bande di etiopici delle quali non si possono
fornire dati precisi.
Da questo
quadro emerge come la situazione fosse tuttaltro che favorevole per le truppe
italiane così come viene spesso sottolineato da molti storici anglosassoni. Sulla carta,
come già sottolineato, la nostra superiorità è schiacciante ma la penuria di mezzi e
materiali sarà una zavorra terribile per le nostre forze. Oltre a ciò occorre
sottolineare come le truppe inglesi, durante tutto il corso della campagna, saranno
ingrossate dallarrivo periodico di nuovi rimpiazzi che presto andranno a colmare la
differente consistenza numerica dei due eserciti.
Nonostante
la critica gli abbia spesso considerati poco affidabili, secondo il mio parere, le truppe
indigene meritano un particolare riconoscimento per il loro sacrificio e molto spesso per
la loro fedeltà ai colori della nostra bandiera. I primi reparti ascari furono
organizzati nel 1889 arruolando 2000 mila uomini eritrei che andarono, sotto il comando
del colonnello Bagni, a rafforzare il corpo di spedizione del generale San Marzano. Da
allora dimostrarono tutto il loro valore tanto da diventare un punto cardine del nostro
sistema coloniale. Se gli Eritrei furono i più fedeli e motivati compagni davventura
occorre ricordare che anche Somali, Arabi e uomini provenienti da Aden fecero parte del
nostro esercito coloniale dando spesso prova di eroismo e sacrificio. Allo stesso tempo
occorre ricordare che molte bande e tribù locali passarono al nemico man mano che si
profilava la vittoria delle truppe inglesi.
La prima
azione offensiva del nostro esercito si registrò alle prime luci dellalba del 4 luglio 1940 con lattacco
alla frontiera del Sudan in direzione Cassala. Con molta cautela il contingente italiano,
composto da due brigate coloniali ( 4800
uomini ca.), 1500 cavalleggeri e 24 carri leggeri, avanzò per circa 20 Km allinterno
della frontiera sudanese. Ad opporsi al nostro timido tentativo il comando britannico
lasciò 300 uomini della Sudan Defence Force con una trentina di autocarri, alcuni dei
quali blindati. Il comandante inglese della regione, William Platt, detto il Kaid,
disponeva di non più di tre battaglioni di fanteria a protezione di quellimmenso
territorio e decise di non sprecare uomini rimanendo in attesa, per saggiare
le azioni del nemico.
Il nostro
miserando attacca si articolò su tre colonne e dopo una piccola scaramuccia sul fiume
Gasc, che costò al nostro esercito una quarantina di vittime, riuscimmo ad entrare a
Cassala alla presenza di alcuni cine operatori dellIstituto Luce, grazie ai
quali la nostra propaganda poté nuovamente tessere lelogio delle nostre truppe.
Più a Sud
il 4° Gruppo Bande Armate di frontiera occupò Kurmuk il giorno 8 mentre il 14 altre
bande coloniali si impadronirono di Ghezzan. Sempre in questo periodo altri gruppi armati
a noi fedelissimi si impossessarono nel confine con il Kenya di Mojale e del saliente del
Mandera.
Fu solo allinizio
di Agosto che il nostro esercito intraprese una seria offensiva optando per la Somalia
inglese ,un territorio sabbioso che si affacciava sul Golfo di Aden. Nonostante, secondo
molti storici anche questa fu solo una piccola operazione di alleggerimento, fu lo stesso
duca dAosta a pianificare questo attacco secondo alcune ragioni che si dimostrarono
poco lungimiranti :
Questo
territorio avrebbe potuto diventare una base di fondamentale importanza per il nemico nel
corso della guerra.
Conquistando
questo territorio si sarebbe ridotta la frontiera terrestre di oltre 1050 Km e questa
sarebbe stata sostituita da 750 Km di frontiera marittima. Allepoca con le nostre
basi di Massaia, Assab e Chisimaio sembrò più facilmente difendibile
Il porto di
Gibuti nella Somalia francese avrebbe potuto costituire una base di primaria importanze
nel tentativo di penetrazione inglese verso l Etiopia. Per questo il viceré decise
di occupare il più vasto territorio della Somalia inglese con i suoi due porti di Berbera
e Zeila circondando in questo modo il
territorio transalpino.
Le truppe
italiane, comandate dal generale Nasi, che il 3 agosto presero parte alloffensiva
sono formate da:
tre
battaglioni di fanteria metropolitana,
quattordici
di fanteria coloniale,
due gruppi
di artiglieria e una manciata di carri leggeri e medi.
A
contrastarne lavanzata i comandi inglesi schierarono, agli ordini del generale di
brigata A. R. Charter che fu sostituito dopo alcuni giorni dal generale di divisione
Godwin Austen :
un
battaglione britannico
II
reggimento scozzese detto Black Watch
due
battaglioni indiani
due
battaglioni dell Africa Orientale
Il nostro
contingente si frazionò subito in due colonne: una raggiunse in pochi giorni la Somalia
francese bloccandone la guarnigione che la presidiava, laltra impiegò due giorni
per raggiungere Hargeisa dove sostò tre giorni permettendo così allesercito
inglese di approntare le difese a Tug Argan. Qui, il giorno 11, la nostra offensiva
registrò una netta battuta darresto di fronte a questo munitissimo varco formato da
sei alture che dominavano la strada sottostante: dopo un pesante bombardamento da parte
delle nostre artiglierie una brigata andò allattacco di unaltura tenuta dal
III battaglione del 15° reggimento Punjab. I nostri soldati riuscirono a conquistare la
posizione e a mantenerla anche dopo due
violentissimi attacchi indiani. Altre alture, nella giornata, furono attaccate ma non
conquistate.
Il giorno
successivo i combattimenti continuarono senza ulteriori cambiamenti: si combattè per
altri tre giorni sostenendo il peso di continui attacchi frontali che non previdero mai la
possibilità di un aggiramento. Questo macroscopico errore ci costò oltre 2000 vittime
mentre gli Inglesi persero 250 uomini.
In assenza
di ulteriori rinforzi e con la possibilità di essere accerchiati dalle truppe italiane,
il corpo inglese decise di ritirarsi ed evacuare da Berbera via mare andando così ad
ingrossare le file del contingente che si stava preparando in Kenya.
Le nostre
schiere entrarono nella città portuale il 19 Agosto trovandola sì priva di truppe ma
anche sprovvista di carburante e generi alimentari che sarebbero stati come la manna
dal cielo per il nostro esercito.
Con la
conquista del Somaliland in poco più di una settimana lesercito italiano vide
segnata la propria sorte: nonostante la grande euforia dora in avanti liniziativa
passò nelle mani degli Inglesi maggiormente riforniti ed equipaggiati per una guerra che
non poté più essere solo difensiva ma che per essere vinta necessitava di azioni che le
nostre truppe non poterono mettere in pratica per la scarsità cronica di mezzi.
La
conquista dellEritrea italiana
Dopo la
conquista italiana della Somalia inglese appare ormai chiaro quanto la situazione sia
disperata per le truppe coloniali dellAfrica Orientale Italiana: da un lato il
ritardo dellOperazione Seelowe e dallaltro la pochezza degli attacchi di
Graziani in Africa Occidentale resero chiaro a tutti, in prima persona al duca dAosta,
che la madrepatria non sarà in grado di rifornire le magre forze coloniali che dovranno
essere abbandonate alla mercè di un esercito che invece ricevette con continuità aiuti e
rifornimenti di truppe e mezzi.
Una delle
prime azioni dellesercito inglese si registrò nel Novembre del 1940: furono
saggiate le nostre possibilità presso due piccoli borghi agricoli a 300 Km a Sud di
Cassala, Gallabat e Metemma. Alle 7 del mattino del giorno 6, dopo un duro bombardamento
aereo, fu prima attaccato e conquistato il forte di Gallabat mentre quello di Metemma
resistette dando così iniziò alla controffensiva italiana che portò alla riconquista
del primo forte.
In tre
giorni di durissimi combattimenti subimmo 175 morti e 275 tra feriti e prigionieri.
È gennaio
il mese in cui iniziò la vera e propria offensiva inglese in AOI. Il generale Platt
decise di attaccare sul fronte di Cassala avendo a disposizione due divisioni:
La V
divisione di fanteria indiana comandata dal generale Heath
La IV
divisione di fanteria indiana appena distaccata dalla Marmarica comandata dal generale
Beresford Peirse
Unitamente
allattacco si diede inizio anche al disimpegno delle truppe italiane, 17 mila
uomini, sulla linea Cherù Aicota. Solo il giorno 20 la IV Divisione attaccò il
nostro dispositivo di difesa con lappoggio di mezzi blindati e artiglierie. Tre
giorni di aspri combattimenti consentiranno ai nostri uomini di respingere tutti gli
attacchi dei reparti inglesi sia sulla direttrice di Cherù che su quella di Aicota. Fu a questo punto che il generale Frusci ordinò il
ripiegamento su Agordat commettendo un gravissimo errore di valutazione: le truppe inglesi
riuscirono ad attaccare separatamente le due colonne in ripiegamento, falcidiandole
entrambe. La colonna di Cherù, dopo essere stata dissanguata dallattacco, dovette
sostenere durissimi combattimenti presso Agordat tra il 27 e il 31 Gennaio, ripiegando in
un secondo momento su Cheren. Laltra colonna, quella di Aicota, dovette distruggere
tutto il materiale dopo essere stata isolata.
A Sud anche
il caposaldo di Berentù venne abbandonata e le truppe ripiegarono su Cheren.
In questi
ultimi combattimenti andarono perduti:
141
automezzi
24 carri
armati
96 cannoni
40 aerei
Le perdite
umane ammontarono a 16 mila uomini tra caduti, feriti e prigionieri di cui 1500 nazionali.
La
battaglia di Cheren
Cheren era
una delle posizioni meglio difese nel territorio eritreo. Unica porta di accesso ad Asmara
e al porto di Massaua sorge a quota 1400 metri nel mezzo di una vasta e fertile pianura
circondata da montagne. Gli ultimi Km della strada che portano alla città passano in una
angusta gola sovrastata da undici cime alte oltre 600 metri, ognuna delle quali è stata
trasformata in una munita posizione difensiva. Questa battaglia, fondamentale per le sorti
dellintera campagna e per il destino della stessa colonia, ebbe inizio il 2 febbraio 1940.
Le nostre
unità di difesa erano così organizzate:
dall11°
Granatieri di Savoia comandato dal colonnello Corsi,
dall11.ima
Brigata coloniale proveniente dallAsmara
dal IV
Gruppo di cavalleria coloniale
104°
Gruppo di artiglieria
Oltre a
queste truppe venne dato lordine alla 1.ima Divisione di stanza a Karora di inviare la V Brigata in rinforzo alle
nostre truppe. Il generale Carminio, fino ad allora comandante la 1.ima Divisione, fu
nominato comandante dellultimo baluardi difensivo in Eritrea. Grazie alle sue
intuizioni il nemico fu impegnato in 56 giorni di combattimenti furenti e sanguinosi che
entrarono nella leggenda del nostro esercito e nella storia della Seconda Guerra mondiale.
I primi
tentativi inglesi furono intrapresi dalla IV Divisione indiana allalba del 3
Febbraio: Sanchill, Brigs Peak e Cameron Ridge, la famigerata quota 1616, furono assaltate
a più riprese ma i contrattacchi italiani riportarono la situazione in equilibrio. Lo
stesso Platt, in questi frangenti, si rese conto di quanto la partita si sarebbe rivelata
durissima da vincere.
Il giorno 7
fu la volta della V Divisione indiana che sferrò un massiccio attacco sulla destra della
gola presso il colle di Aqua Col: nonostante il terreno impervio la quota fu conquistata
ma , in seguito a contrattacchi feroci, le truppe italiane riuscirono a riconquistarlo.
Come detto le condizioni ambientali del teatro di guerra furono terribili: Franco Bandini
così le descrive: sole a picco, quaranta gradi di temperatura, le truppe
abbarbicate a roventi sassi vulcanici di montagne erte come colonne. Condizioni
estreme in cui uomini spesso denigrati in patria diedero la vita per una speranza che ai
nostri occhi appare irrealizzabile.
Il 10
Luglio le truppe inglesi attaccarono nuovamente in entrambi i settori cercando i medesimi
obiettivi degli attacchi precedenti: Brigs Peak, Aqua Col e Victoria Cross furono prese e
perse e ogni volta il prezzo da pagare fu altissimo sia per luna che per laltra
parte in lotta. Immensi sacrifici che
portarono la situazione a cristallizzarsi fino a metà del mese di marzo quando
inaspettatamente le due divisioni indiane piombarono nuovamente allassalto. La IV
ebbe come obiettivo il settore sinistro mentre la V avrebbe dovuto occupare Dologorodoc
sulla parte destra. Lattacco, preceduto da un violentissimo bombardamento di
preparazione, anche in questa circostanza non fece registrare particolari progressi.
Furono giorni di combattimenti sanguinosi, allarma bianca, sasso dopo sasso, quota
dopo quota. Il 20 marzo gli Italiani furono ridotti ad un terzo delle loro truppe mentre
gli Inglesi continuarono a ricevere rifornimenti.
La notte
del 25 iniziò quella che sarebbe stata la fase conclusiva della più grande battaglia
dellAfrica Orientale: dopo la conquista del Dologorodoc le truppe inglesi
attaccarono il Sanchil. Alle 4 ebbe inizio la preparazione dellartiglieria sulle
quote 1407 e 1341, seguite dai reparti di fanteria:
la IV
Divisione, ripartita su più colonne attaccò le posizioni italiane sul Sanchil e punta
Forcuta
la V
Divisione piombò invece sulle due quote bombardate per travolgere le difese anticarro.
Lattacco
ebbe successo: alle nove del mattino gli alpini dellUork Amba furono sopraffatti e
dovettero arretrare, nonostante ciò si continuò a combattere per tutto il 26 e 27 con il
generale Carmineo sempre in prima linea a combattere ed a incoraggiare i propri uomini. Fu
il generale Frusci a diramare lordine di ritirata che fu effettuata in un ordine
quasi perfetto. Questa decisione fu molto criticata dagli uomini del regime ma anche da
molti storici moderni. A parziale difesa del generale va sottolineato che egli prese
questa decisone quando fu informato che una colonna britannica, agli ordini del brigadiere
Briggs, stava giungendo alle spalle delle sue truppe che non avrebbero potuto opporre
alcuna resistenza a d un suo attacco.
In otto
settimane di combattimenti gli Italiani ebbero oltre 3000 caduti: i 7 battaglioni
nazionali furono ridotti a poco più di 400 uomini ciascuno! Oltre a ciò andarono perduti
120 cannoni. Le truppe inglesi dovettero registrare 560 morti e oltre 2500 feriti.
Dopo la
sconfitta di Cheren ormai anche la fine della nostra colonia dEritrea è segnata. La
strada per Asmara fu aperta. Lultimo tentativo di difesa venne portato dal generale
Carmineo ad Ad Teclesan ma i nostri scarsi mezzi furono presto soverchiati da quelli del
West Yorkshire. Alle 10.30 del 31 marzo avviene la fine ufficiale della colonia dEritrea.
Massaua intanto continuò a resistere fino all 8 Aprile quando in seguito ad un
ennesimo attacco lammiraglio Bonetti si arrese al generale Heath. Con lui
capitolarono anche 9600 uomini e 127 cannoni. La campagna dEritrea potè dirsi
ufficialmente conclusa, in questo modo le eventuali minacce verso il Mar Rosso e i
territori orientali inglesi furono definitivamente scongiurati tanto che gran parte delle
truppe inglesi fu trasferita in Egitto per combattere la Volpe dl Deserto.
La
Somalia italiana
Dopo la
conquista italiana della Somalia inglese le truppe britanniche si concentrarono in Kenya
agli ordine del generale di corpo darmata sir Alan Cunningham, fratello minore dellammiraglio
comandate la squadra navale nel Mediterraneo, che ne assunse il comando nel novembre del
1940. Per meglio comprendere le successive azioni ecco il quadro del suo schieramento:
XXII
Divisione africana comandata dal Godwin Austen. La divisione era composta dalla:
I Brigata
sud africana
XXII
Brigata est africana
XXIV
Brigata della Costa dOro
XI
Divisione africana
Nellautunno
le forze a sua disposizione giunsero a 75 mila unità di cui:
27 mila
Sudafricani
33 mila
provenienti dallAfrica orientale
9 mila da
quella Occidentale
6 mila
Inglesi
Viste
le ingenti forze a disposizione fu lo stesso Churchill a sollecitare azioni offensive
contro la Somalia italiana che venne considerata come una vera e propria minaccia per i
possedimenti territoriali inglesi in Kenya. Fu a seguito di queste pressioni che Wavell,
comandante in capo per il Medio Oriente, e Cunningham proposero un attacco alla nostra
colonia pei il mese di Maggio o quello di Giugno al termine della stagione delle piogge. A
causa delle impellenti necessità del fronte Occidentale di uomini e mezzi si decise di
anticipare loffensiva per il mese di Febbraio.
Il confine
tra Kenya e Somalia fu attraversato dalle truppe inglesi in tre punti: a Dif, Liboi e
Chisimaio per raggiungere gli obiettivi della pista che collegava Afmadu e Gelid e la
città portuale di Chisimaio la cui presa fu considerata essenziale per il prosieguo della
campagna.
Il 10
Febbraio, in seguito ai pesanti bombardamenti dell aeronautica sudafricana, la
città di Afmadu venne abbandonata dalle truppe italiane tanto che il giorno 11 la XII
Divisione Africana fece il suo ingresso in una città ormai abbandonata.
Contrariamente
alle idee del Duca dAosta che avrebbe voluto concentrare le nostre forze a Chisimaio
e a Dolo, le cui difese vennero perfezionate nel corso degli anni proprio per questo
genere di attacchi, il generale De Simone, comandante le truppe in Somalia e che combatté
a Tug Argan sette mesi prima, decise di abbandonare Chisimaio per cercare di resistere il
più a lungo possibile sulla linea del fiume Giuba: un fronte di 600 Km facilmente
attraversabile vista lesigua quantità di acque che lo attraversano. La mattina del
14 Gobuin, 130 Km a sud est di Afmadu e a soli 15 Km a nord di Chisimaio, venne
conquistata, mentre nel tardo pomeriggio fu la XXII Brigata dell Africa orientale ad
entrare nella città portuale in cui la trascurabile resistenza italiana non creò alcun
problema alle truppe della corona.
Gli
Italiani si attestarono quindi sulla sponda del fiume Giuba di fronte alla divisione
sudafricana a Gobuin cercando di resistere distruggendo tutto i passaggi per laltra
sponda. Come detto, la scarsità delle acque del fiume, rese semplice il passaggio delle
truppe inglesi che riuscirono ad attraversarlo poco più a monte. Nonostante il feroce
contrattacco la testa di ponte riuscì a conservare la posizione permettendo ai rinforzi
di affluire numerosi. Dopo alcuni giorni di combattimenti i Sudafricani riuscirono a
controllare un largo tratto di fiume tanto che
con una rapida puntata verso nord si unirono ad uan brigata della Costa dOro che
traversò il fiume 130 Km più a monte.
Il generale
de Simone, a causa della scarsa protezione della nostra aviazione e della mancanza cronica
di mezzi di trasporto per le sue truppe, non potè far altro che subire le iniziative del
comandante inglese Godwin Austen che già sette mesi prima le impartì una dura
lezione a Tug Argan. Le nostre già provate truppe dovettero anche fronteggiare il
tradimento di molti raparti etiopi che con il passare dei giorni decisero di abbandonare
il nostro esercito sempre più alla deriva.
Fu proprio
la mancanza di una concreta resistenza che cose di sorpresa le truppe inglese che, come
accennato prima, sopravvalutarono enormemente le nostre capacità di offesa. Un elemento
di fondamentale importanza per il successo dell operazione fu proprio la presa di
Chisimaio che fu conquistata senza particolari danni alle strutture portuali e quindi
permise ai rifornimenti di giungere via mare migliorando
la situazione logistica.
La
sorprendente facilità di questa conquista indusse i vertici inglesi a continuare nellavanzata
per scacciare definitivamente dalla Somalia gli Italiani e per utilizzare come base di
lancio questa terra per invadere anche lEtiopia da sudest.
Il giorno
22 anche la posizione del generale Gazzera sul fiume Giuba fu conquistata e la strada
verso Mogadiscio fu spalancata alla rapida avanzata delle truppe di Cunningham. La XXIII
Brigata della Nigeria, appena trasferitasi dal Kenya coprirono i 400 Km da Gelib a
Mogadiscio in tre giorni!!!.
Saranno
proprio questi reparti ad entrare per primi il 25 Febbraio a Mogadiscio accompagnati dal
suono delle immancabili cornamuse. Nella città ancora intatti furono raccolti oltre
1.500.000 litri di benzina e 360.000 litri di carburante per aerei oltre che provviste e
beni di prima necessità. Anche in questo caso il porto fu occupato praticamente intatto.
La XXI Brigata dell Africa orientale e la XXIV della Costa dOra si occuparono
del rastrellamento delle truppe italiane mentre le altre si preoccuparono della ormai
imminente azione contro l Etiopia: ormai le valutazioni contro gli Italiani erano
completamente capovolte, le grave carenze di mobilità e le scerse risorse disponibili
avevano convinto gli Inglesi a chiudere nel minor tempo possibile la partito contro lesercito
italiano.
Etiopia
Dopo
linaspettata conquista di Mogadiscio il generale Cunningham decise di proseguire
nella sua avanzata occupando anche l Etiopia italiana: una ghiotta occasione per
chiudere prima del previsto le operazioni in Africa orientale. Due ragioni lo spinsero ad
accelerare i tempi della sua azione:
Lincertezza
del futuro: egli non sapeva quando avrebbe dovuto cedere parte delle sue truppe per la
imminenti operazioni in Africa occidentale
Le
condizioni atmosferiche: tra aprile e maggio sarebbe iniziata la stagione delle piogge che
avrebbe reso impraticabile le poche strade adatte al passaggio delle sue truppe.
La marcia
delle truppe inglesi si svolse in maniera estremamente rapida: il 14 Febbraio cadde
Chisimaio, il 26 Mogadiscio situata a circa 400 Km più a nord, due settimane dopo gli Anglosassoni si trovarono a Musthail ad oltre
1000 Km di distanza.
Le truppe
del generale de Simone in fuga furono inseguite dall XI Divisione africana del
maggiore generale Wetherall. Ad essa furono aggregati il 1° raggruppamento sudafricano e
la XXII Brigata dell Africa orientale. Gli Italiani, dopo la fuga da Mogadiscio,
decisero di dirigersi verso Giggiga ad oltre 900 Km tra le pianure somale e le vette
etiopi. In questa zona montuoso la strada si inerpica fino a quota 3000 metri di
altitudine. La rincorsa inglese fu così fulminea che questa posizione dovette essere
abbandonata il 17 Marzo.
Il giorno
21 le artiglierie sudafricane diressero i propri colpi sulle truppe italiane in ritirata
presso le posizioni da Passo Marda che fu abbandonato nel corso della notte per ritirarsi
e proseguire la resistenza al Passo di Babile. Larrivo delle truppe nigeriane fu
così improvviso che le difese del passo non furono nemmeno approntate tanto che i nostri
soldati dovettero retrocedere di 16 Km presso il fiume Bisidimo dal quale si ritirarono
nuovamente per raggiungere la città di Harrar che fu, in seguito, dichiarata città
aperta.
Intanto in
molti centri si verificarono gravi scontri tra la popolazione etiope e i molti Italiani
che ancora vivevano e lavoravano nel paese africano: a Dire Daua , dopo la fuga del
presidi italiano, molti cittadini del nostro paese furono massacrati e molte violenze
vennero commesse. Gli Inglesi che assistettero alleccidio si ricorderanno di tutto
ciò quando anche Addis Abeba cadrà.
Il 1°
raggruppamento di brigata sudafricano arrivato nei pressi di Auasc e insieme alla XXII
Brigata dell Africa orientale colse di sorpresa la guarnigione in fuga da Dire Daua
costringendola alla resa. La capitale Addis Abeba ormai distava solamente 250 Km
Vista limpossibilità
di poterla difendere il Viceré Amedeo d Aosta decise di favorire lingresso
delle truppe inglesi nella città etiope affinché non si verificassero le atrocità
commesse a Dire Daua. Le prime truppe nemiche entrarono nel centro abitato alle prime luci
dellalba il 5 Aprile un mese prima che il Negus Hailè Selassiè vi facesse ritorno
scortato dalle truppe inglesi.
Il 5 Maggio
a bordo di una Alfa Romeo del colonnello Wingate poté percorrere le strade della città
tra due ali di folla festanti.
Per lesercito
italiano dopo la caduta de lAsmara, Mogadiscio, Addis Abeba e Harar non si
prospettò più la possibilità di una vittoria ma la necessità di resistere il più a
lungo possibile, sia per salvaguardare il proprio onore e quello del paese, sia per
mantenere impegnate quelle truppe che altrimenti saranno inviare a combattere i propri
compagni nel deserto libico e in Cirenaica. Alcune sacche di resistenza continuano a
combattere:
Gondar :
situata nel nord ovest del paese nella regione dellAmhara con il generale
Nasi
Gimma,
nella regione dei Laghi, per iniziativa del generale Gazzera
Amba
Alagi,dove si raccolgono gli uomini provenienti da Addis Abeba e dalleritrea con il
Duca dAosta
Le speranze
i vittoria delle ultime sacche di resistenza italiana erano ormai ridotte al lumicino:
dopo la sconfitta di Cheren in Eritrea che permise alle truppe di Platt di invadere lEtiopia
da nord e la caduta di Addis Abeba ad opera delle forze sudafricane di Cunningham, la
tenaglia inglese stava per chiudere la morsa contro le nostre stanche e
sfiduciate truppe. La stampa del regime cerca di minimizzare lentità delle
sconfitte ma per gli uomini dellAfrica orientale non vi sono più speranze.
Amba
Alagi
Il
nome di questo ridotto è diventato uno dei simboli della lotta italiana nella Seconda
Guerra mondiale: situata sulla strda che congiunge Massaua ad Addis Abeba questa fortezza
naturale, la cui vetta si erge ad oltre 3000 metri di quota, venne considerata dal Duca d
Aosta ideale per lultima eroica resistenza delle sue povere forze. Egli infatti
poté contare su poco meno di 4 mila uomini, fra i quali due compagnie di Carabinieri e un
plotone di marinai giunti da Assab con alcuni avieri. Il comandante delle truppe, insieme
al Viceré fu il generale Volpini.
Mentre lavanzata
dei Sudafricani continuò da sud, dall Eritrea la V Divisione indiana iniziò la
propria discesa seguita da folte schiere di guerrieri abissini comandate dal tenente
colonnello Ranking della Defence Force sudanese raggiungendo lAmba Alagi il giorno
29. Dopo alcuni giorni di consolidamento, lavanzata verso le posizioni italiane
prese il via il 3 maggio quando il gruppo del colonnello Fletcher fu respinto dal Passo
Falagà, una postazione estremamente fortificata e ben difesa. Stessa sorte toccò ad
altri attacchi che nella giornata interessarono quel settore. Solo il giorno seguente la
29.ima Brigata indiana sostenuta da una massiccia artiglieria riuscì a conquistare le
cime più occidentali: Pyramid, Whaleback e Elephant.
Il 5 Maggio
altre azioni presero il via dallElephant tra cui quella che assicurò anche il
possesso di Middle Hill punto in cui, per alcuni giorni, la resistenza italiana fermò lavanzata
inglese. Anche lavamposto di Twin Pyramids fu sottoposto a violentissimi attacchi
che si infransero contro il muro difensivo che ormai si trovava allo stremo della forze.
Il giorno 9
gli Inglesi riprendono le proprie azioni contro il monte Kumsà dove sono affluite le
truppe che dovettero ceder sul Passo Falagà: il combattimento proseguì fino a quando non
furono esaurite le munizioni dopo di che venne presa la decisione di ripiegare sul monte
Corarsi che verrà abbandonato poche ore dopo dalla guarnigione ormai ridotta a 150
uomini. Da questa posizione gli inglesi mutarono tattica: avanti la carne da cannone,
cioè gli Abissini mentre le truppe regolari si limitarono ad assicurare lappoggio
dellartiglieria.
Si
combattè così fino al 17 Maggio giorno in cui venne concordata la resa con lonore
delle armi di tutto il presidio dell Amba Alagi.
Il Giorno 19 il Viceré e i suoi superstiti furono ricevuti dai generali
inglesi Maine e Morriot che arrestarono il Duca e gli uomini della truppa obbligandolo
alla prigionia in Kenya o in India.
Dopo due
settimane di violentissimi combattimenti terminò lultima grande battaglia della
campagna in Africa orientale: per lesercito inglese fu un grande successo, nei tre
mesi di guerra fece prigionieri oltre 230 mila uomini ma ancora in alcune zone la
resistenza italiana continuava e avrebbe dovuto essere debellata.
Il
bollettino di guerra 348 del 19 Maggio diede, anche in Italia, la notizia della caduta
dellAlagi e la cattura del Duca e del suo seguito dopo una resistenza oltre
ogni limite.
Mussolini,
dopo la cattura del Viceré, decise di nominare comandante in capo delle truppe italiane
in Africa orientale il generale Gazzera che dovette preoccuparsi di coordinare la difese
delle ultime sacche di resistenza ancora presenti nella nostra ormai ex colonia.
Nel
territorio del Gimma, nel cuore dell Etiopia con i nostri soldati impossibilitati a
ricevere qualsiasi tipo di aiuti, le operazioni si protrassero fino al 10 Luglio momento
in cui si arrese lultimo battaglione italiano a Dembidollo, dopo che anche la stessa
città di Gimma cadde il 17 Giugno. Al momento della resa furono presenti:
276
ufficiali
2360
nazionali, di cui 950 combattenti
1000
coloniali
18 pezzi dartiglieria
ognuno con 100 colpi a disposizione
94 armi
automatiche
Secondo una
valutazione dello scacchiere Sud in questo settore si ebbero :
1289
vittime nazionali
6500
vittime coloniali
9947 feriti
NellAmhara
invece la difesa fu organizzata in maniera diversa: intorno alla piazza centrale di Gondar
vennero costruiti due ridotte periferiche:
sulle
montagne dell Uolchefit a 110 Km da Gondar in cui non fu necessario approntare
difese vista la particolare conformazione del terreno. La sua difesa fu affidata al
tenente colonnello Gonella.
Debra Tabor
a 160 Km da Gondar sulla strada che collega Addis Abeba Gondar e Dessiè. Fu protetto con
un reticolato e della sua difesa fu incaricato il colonnello Angelini.
Il
comandante dellintero settore fu il generale Nasi che dispose di 40 mila uomini
così composti:
23 mila
coloniali divisi in 15 battaglioni
17 mila
nazionali divisi in 12 battaglioni
3 squadroni
di cavalleria
20 batterie
di cui 4 mobili
6
mitragliatrici contraeree.
La
resistenza fu accanita come sempre ma le nostre truppe mancano di ogni cosa: munizioni,
viveri e qualsiasi sorta di approvvigionamento. La ridotta Uolchefit subisce trenta
attacchi e novanta bombardamenti che costarono al perdita di 900 uomini. Si arrese il 28
Settembre.
Il 27
Novembre anche la piazza di Gondar dovette ammainare il tricolore e definitivamente
concludere la nostra avventura nellAfrica orientale. il generale Nasi riuscì a
salvare poco più di 22 mila uomini.
Bibliografia
Manuale di
Storia, Letà contemporanea, di
A.Giardina, G.Sabbatucci, V.Vidotto - Editori Laterza
Storia dItalia
nella guerra fascista, di G. Bocca, Mondadori
La nostra guerra di Arrigo Petacco, Mondadori
Le operazioni in
Africa orientale, di A. Rovighi, Stato Maggiore Esercito
Storia
militare della S.G.M. ,
di B. Liddle Hart, Mondadori
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