La campagna d’Africa non fu solo Rommel e l’Africa Korps, non
si possono non menzionare quei soldati italiani che per il loro comportamento eroico
furono elogiati anche dai loro avversari. Si tratta di quel battaglione passato alla
storia come i " ragazzi di Bir el Gobi". Gli inglesi in particolare li
definirono il più bel reggimento contro il quale si fossero battuti in Africa. In 1388
morirono su 2204. La storia di questo coraggioso battaglione merita di essere raccontata
perché fu un esempio di grande attaccamento alla patria indipendentemente dal proprio
credo politico.
Erano ragazzi tra i 18 e i 19 anni al loro primo vero incarico, di
fronte avevano le più imponenti e intrepide truppe dell’Impero britannico. Si
arruolarono volontari nel giugno del 1940 dopo la dichiarazione di guerra rispondendo
all'invito della Gil (Gioventù Italiana del Littorio). I comandi militari non si
dimostrarono però entusiasti di questi arruolamenti di massa di ragazzini inesperti,
così il maresciallo Badoglio, Capo di Stato Maggiore, per tenerli buoni organizzò una
" marcia della giovinezza". Si trattava di una maratona di 450 Km dalla Liguria
a Padova. Erano partiti in ventimila e nel Veneto arrivarono in venticinquemila. Furono
passati in rassegna da Mussolini e successivamente Badoglio ordinò loro di ritornare a
casa. Era davvero convinto che una marcia avrebbe spento in quei ragazzi la voglia di
combattere. Invece come risposta a quella ingiusta decisione si insediarono nella Fiera
campionaria di Padova urlando di essere spediti al fronte.
Il "Popolo d’Italia" peggiorò la situazione pubblicando
un articolo del generale Ottavio Zappi che chiamò quei ragazzi "premilitari da
truppe di rincalzo". Questa definizione li fece infuriare e reagirono tappezzando i
muri di Padova con copie del "Popolo d’Italia" colmi di frasi ingiuriose e
non contenti organizzarono anche un ironico funerale del PNF. Quattro studenti portarono
sulle spalle una cassa di munizioni avvolta in un drappo nero sul quale erano ben
evidenziate le iniziali del Partito Nazionale Fascista e della Gil. Dopo il funerale
devastarono gli stand della fiera, saccheggiarono i magazzini e nascosero le armi. Polizia
e milizia partirono immediatamente alla caccia dei colpevoli, solo in 600 riuscirono ad
evitare la cattura. Riguardo questo episodio Mario Niccolini, uno dei volontari di Bir el
Gobi, ci da’ una versione diversa. Sembra che il funerale di Padova si sia svolto non
all’esterno per le vie di Padova, ma all’interno di una camerata e fu opera di
pochi. Quindi la decimazione dei battaglioni non fu la punizione per un gesto goliardico,
ma una disposizione dello Stato Maggiore che vietò così gli arruolamenti dei volontari.
Fu solo con la nomina di Adelchi Serena alla direzione del partito che
avvenne la svolta. Il sostituto della medaglia d’oro Ettore Muti infatti effettuò
dei ricambi ai vertici della Gil, nominando nuovo comandante del settore militare il
federale di Verona, Sandro Buonamici, che inquadrò quei ragazzi in battaglioni e li
trasferì a Formia, Gaeta e Minturno in colonie estive della Gil. Iniziò un lungo periodo
di addestramento con munizioni vere. Visto che i volontari erano minorenni per ognuno
venne richiesto il nulla osta paterno per l’arruolamento e fu fatta anche una
selezione molto severa dal punto di vista fisico. Nel marzo del 1941 un ispettore del
Regio Esercito, il gen. Orlando Taddeo, fece verificare il loro grado di preparazione. Il
12 aprile, su disposizione dello Stato Maggiore dell’Esercito, venne costituita la
201ma Legione Camicie Nere.
Il 19 aprile, dopo un ennesimo contrordine, dovuto al fatto che la
stragrande maggioranza dei volontari non aveva ancora adempiuto agli obblighi di leva, si
decise di costituire quale unità del Regio Esercito il gruppo battaglioni "Giovani
Fascisti". Il nome venne scelto non con intento politico ma solo per indicarne la
provenienza. Infatti a tutti i nuovi reparti militari all’atto della nascita veniva
dato un nome che ne indicasse la provenienza o le caratteristiche d’impiego. Si
cercò di ovviare al problema dell’impossibilità di arruolare volontari, nominandoli
"volontari ordinari senza speciali vincoli di ferma". I volontari ordinari erano
quei giovani che sceglievano la carriera militare e che per questo dovevano accettare un
periodo di ferma di 3 anni. Dopo la formazione del battaglione si svolse il giuramento al
Re e vennero date le stellette e le uniformi.
Il 27 luglio 1941 furono imbarcati a Taranto e partirono per la Libia.
Giunti in Africa non furono spediti subito in prima linea ma procedettero con
l’addestramento. Il 10 settembre vennero assegnati al Recam ( Reggimento Esplorante
del Corpo d’Armata di Manovra) ed ebbero l’incarico di presidiare Bir el Gobi,
dove qualche settimana prima si era svolto un violento combattimento fra la Divisione
Corazzata "Ariete" e gli Inglesi. Questi ultimi il 18 novembre avevano iniziato
la controffensiva e Rommel aveva deciso di ritirarsi per meglio resistere.
Bir el Gobi era un nodo carovaniero importante e un passo obbligato per
gli Inglesi che volevano rompere l’assedio di Tobruk. Giunti sul posto il 2 dicembre,
i battaglioni dei giovani fascisti vennero schierati a caposaldo. Si trattava cioè di uno
schieramento difensivo in grado di resistere su 360°, composto da una seria di postazioni
in buca di tutte le armi unite di camminamenti. Dove il terreno lo consentiva vennero
scavate delle buche profonde, se invece erano presenti delle rocce venivano preparati dei
ripari con sacchetti riempiti di terra. Il 3 dicembre gli inglesi cominciarono ad
attaccare e durante la notte le truppe italiane vennero circondate, tutti gli autocarri
rimasti fuori dal caposaldo andarono distrutti. Gli ordini furono di resistere, ma se la
pressione si fosse fatta troppo violenta, bisognava ritirarsi. Quei ragazzi erano
completamente isolati e gli alti comandi non sapevano niente di loro. Erano digiuni da
diversi giorni e sparavano solo a distanza ravvicinata perché scarseggiavano le
munizioni. Rispetto all’asprezza e alla durata dei combattimenti, le perdite furono
irrisorie: 52 caduti, 31 dispersi e 117 feriti. Quell'eroica resistenza salvò
temporaneamente l’armata italo-tedesca.
Nei momenti di tranquillità si procedette ad una prima sistemazione
dei morti, che vennero sepolti nella terra nuda senza simboli o oggetti che permettessero
di distinguerli l’uno dall’altro. Nel pomeriggio dell’8 ci fu l’ordine
di ritirata e si accodarono ad altri reparti che ripiegavano. Però mentre gli altri erano
motorizzati, loro erano piedi a percorrere una sessantina di km. In seguito furono
riorganizzati nella divisione " Sabratha" e schierati a El Agheila, dove vi
furono pochi combattimenti e di piccola intensità. A metà febbraio infine i battaglioni
vennero inviati al villaggio Gioda per riposo e riordinamento.
L’8 novembre arrivò improvvisamente l’ordine di ripiegare su
Giarabub. Le notizie erano confuse, si sapeva solo che gli inglesi avevano sfondato sulla
costa a El Alamein e che le loro truppe erano in ritirata. Da Siwa raggiunsero Giarabub.
Qui persero sia il comandante della divisione, ricoverato d’urgenza per un attacco di
fegato, sia la stazione radio tedesca. Erano completamente isolati. All’alba del 10
novembre iniziò il ripiegamento lungo il 30° parallelo ai margini del deserto sabbioso.
Si trattava di piste sconosciute percorse senza cartine e punti di riferimento. Gli
automezzi erano pochi e diminuivano ogni giorno per gli inevitabili guasti. La loro
fortuna fu la radio del comando di Reggimento che trasmetteva i bollettini di guerra di
Radio Londra. Arrivarono a Gialo e incorporarono quel presidio come avevano fatto a
Giarabub. Il 16 novembre arrivarono ad Antelat e vennero schierati a difesa
dell’armata in ritirata. In 8 giorni avevano superato oltre 1.100km di un deserto
inesplorato e insidioso, ma avevano evitato l’accerchiamento.
Da allora fino alla fine della campagna d’Africa resteranno sempre
in retroguardia, ultimo reparto fra gli inglesi e l’armata italo tedesca . Gli
Inglesi avanzavano in massa e quando si accorgevano di avere davanti a loro il vuoto,
mandavano in avanscoperta mezzi blindati e cannoni autotrasportati. Quando i nostri
volontari si accorgevano di un imminente attacco degli inglesi, facevano un balzo indietro
di un centinaio di km viaggiando a fari spenti per sfuggire alla ricognizione aerea.
Arrivarono così a Tripoli e di lì si diressero verso la Tunisia. Mareth, in Tunisia, era
una posizione fortificata costruita dai francesi per difendersi, ribattezzata "La
piccola Maginot del deserto". Qui combatterono duramente dal 17 al 30 marzo senza mai
perdere una posizione. Dovettero però ritirarsi perché gli inglesi, che non erano
riusciti a sfondare frontalmente, erano lì vicino. Si fermarono sull’Uadi Akarit, un
piccolo fiume in secca. Il 5 e 6 aprile combatterono duramente respingendo tutti gli
attacchi, ma poi l’Alto Comando decise di ripiegare su Enfidaville, perché le
posizioni non erano difendibili a lungo. Enfidaville si trovava a sud di Capo Bon
nell’entroterra tunisino. Si schierarono sulle colline della zona e ad ogni nuova
posizione che raggiungevano, i "giovani fascisti" si mettevano subito al lavoro
con accanimento a scavare buche e camminamenti, stendere reticolati, piazzare mine
anticarro e antiuomo.