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Campagna d'Africa (1940-1943)

I ragazzi di Bir-el-Gobi

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di Gianna Giannini

Nel 1941 Hitler interruppe gli attacchi sull’Inghilterra e si concentrò sulla Russia, regalando così involontariamente una nuova alleata agli inglesi. Churchill approfittò di questa tregua per rinforzare l’unico fronte che veramente gli interessava: il Mediterraneo, dove le forze tedesche di base a Creta e in Sicilia erano state spostate sul fronte russo. In particolare venne rafforzato il fronte africano attraverso l’invio di mezzi corazzati e aerei moderni. Allo scoppio della guerra, in Africa settentrionale, l’Italia schierava oltre 220.000 uomini, ma aveva solo 9.000 autocarri, molti dei quali di uso civile, totalmente inadatti a combattere nel deserto. Le difficoltà furono notevoli e costarono, in meno di un anno di guerra, la perdita della Cirenaica e il dimezzamento dell’Impero coloniale. Hitler per risollevare la situazione, inviò in Africa Erwin Rommel, che riuscì temporaneamente a riconquistare i territori perduti.

La campagna d’Africa non fu solo Rommel e l’Africa Korps, non si possono non menzionare quei soldati italiani che per il loro comportamento eroico furono elogiati anche dai loro avversari. Si tratta di quel battaglione passato alla storia come i " ragazzi di Bir el Gobi". Gli inglesi in particolare li definirono il più bel reggimento contro il quale si fossero battuti in Africa. In 1388 morirono su 2204. La storia di questo coraggioso battaglione merita di essere raccontata perché fu un esempio di grande attaccamento alla patria indipendentemente dal proprio credo politico.

Erano ragazzi tra i 18 e i 19 anni al loro primo vero incarico, di fronte avevano le più imponenti e intrepide truppe dell’Impero britannico. Si arruolarono volontari nel giugno del 1940 dopo la dichiarazione di guerra rispondendo all'invito della Gil (Gioventù Italiana del Littorio). I comandi militari non si dimostrarono però entusiasti di questi arruolamenti di massa di ragazzini inesperti, così il maresciallo Badoglio, Capo di Stato Maggiore, per tenerli buoni organizzò una " marcia della giovinezza". Si trattava di una maratona di 450 Km dalla Liguria a Padova. Erano partiti in ventimila e nel Veneto arrivarono in venticinquemila. Furono passati in rassegna da Mussolini e successivamente Badoglio ordinò loro di ritornare a casa. Era davvero convinto che una marcia avrebbe spento in quei ragazzi la voglia di combattere. Invece come risposta a quella ingiusta decisione si insediarono nella Fiera campionaria di Padova urlando di essere spediti al fronte.

Il "Popolo d’Italia" peggiorò la situazione pubblicando un articolo del generale Ottavio Zappi che chiamò quei ragazzi "premilitari da truppe di rincalzo". Questa definizione li fece infuriare e reagirono tappezzando i muri di Padova con copie del "Popolo d’Italia" colmi di frasi ingiuriose e non contenti organizzarono anche un ironico funerale del PNF. Quattro studenti portarono sulle spalle una cassa di munizioni avvolta in un drappo nero sul quale erano ben evidenziate le iniziali del Partito Nazionale Fascista e della Gil. Dopo il funerale devastarono gli stand della fiera, saccheggiarono i magazzini e nascosero le armi. Polizia e milizia partirono immediatamente alla caccia dei colpevoli, solo in 600 riuscirono ad evitare la cattura. Riguardo questo episodio Mario Niccolini, uno dei volontari di Bir el Gobi, ci da’ una versione diversa. Sembra che il funerale di Padova si sia svolto non all’esterno per le vie di Padova, ma all’interno di una camerata e fu opera di pochi. Quindi la decimazione dei battaglioni non fu la punizione per un gesto goliardico, ma una disposizione dello Stato Maggiore che vietò così gli arruolamenti dei volontari.

Fu solo con la nomina di Adelchi Serena alla direzione del partito che avvenne la svolta. Il sostituto della medaglia d’oro Ettore Muti infatti effettuò dei ricambi ai vertici della Gil, nominando nuovo comandante del settore militare il federale di Verona, Sandro Buonamici, che inquadrò quei ragazzi in battaglioni e li trasferì a Formia, Gaeta e Minturno in colonie estive della Gil. Iniziò un lungo periodo di addestramento con munizioni vere. Visto che i volontari erano minorenni per ognuno venne richiesto il nulla osta paterno per l’arruolamento e fu fatta anche una selezione molto severa dal punto di vista fisico. Nel marzo del 1941 un ispettore del Regio Esercito, il gen. Orlando Taddeo, fece verificare il loro grado di preparazione. Il 12 aprile, su disposizione dello Stato Maggiore dell’Esercito, venne costituita la 201ma Legione Camicie Nere.

Il 19 aprile, dopo un ennesimo contrordine, dovuto al fatto che la stragrande maggioranza dei volontari non aveva ancora adempiuto agli obblighi di leva, si decise di costituire quale unità del Regio Esercito il gruppo battaglioni "Giovani Fascisti". Il nome venne scelto non con intento politico ma solo per indicarne la provenienza. Infatti a tutti i nuovi reparti militari all’atto della nascita veniva dato un nome che ne indicasse la provenienza o le caratteristiche d’impiego. Si cercò di ovviare al problema dell’impossibilità di arruolare volontari, nominandoli "volontari ordinari senza speciali vincoli di ferma". I volontari ordinari erano quei giovani che sceglievano la carriera militare e che per questo dovevano accettare un periodo di ferma di 3 anni. Dopo la formazione del battaglione si svolse il giuramento al Re e vennero date le stellette e le uniformi.

Il 27 luglio 1941 furono imbarcati a Taranto e partirono per la Libia. Giunti in Africa non furono spediti subito in prima linea ma procedettero con l’addestramento. Il 10 settembre vennero assegnati al Recam ( Reggimento Esplorante del Corpo d’Armata di Manovra) ed ebbero l’incarico di presidiare Bir el Gobi, dove qualche settimana prima si era svolto un violento combattimento fra la Divisione Corazzata "Ariete" e gli Inglesi. Questi ultimi il 18 novembre avevano iniziato la controffensiva e Rommel aveva deciso di ritirarsi per meglio resistere.

Bir el Gobi era un nodo carovaniero importante e un passo obbligato per gli Inglesi che volevano rompere l’assedio di Tobruk. Giunti sul posto il 2 dicembre, i battaglioni dei giovani fascisti vennero schierati a caposaldo. Si trattava cioè di uno schieramento difensivo in grado di resistere su 360°, composto da una seria di postazioni in buca di tutte le armi unite di camminamenti. Dove il terreno lo consentiva vennero scavate delle buche profonde, se invece erano presenti delle rocce venivano preparati dei ripari con sacchetti riempiti di terra. Il 3 dicembre gli inglesi cominciarono ad attaccare e durante la notte le truppe italiane vennero circondate, tutti gli autocarri rimasti fuori dal caposaldo andarono distrutti. Gli ordini furono di resistere, ma se la pressione si fosse fatta troppo violenta, bisognava ritirarsi. Quei ragazzi erano completamente isolati e gli alti comandi non sapevano niente di loro. Erano digiuni da diversi giorni e sparavano solo a distanza ravvicinata perché scarseggiavano le munizioni. Rispetto all’asprezza e alla durata dei combattimenti, le perdite furono irrisorie: 52 caduti, 31 dispersi e 117 feriti. Quell'eroica resistenza salvò temporaneamente l’armata italo-tedesca.

Nei momenti di tranquillità si procedette ad una prima sistemazione dei morti, che vennero sepolti nella terra nuda senza simboli o oggetti che permettessero di distinguerli l’uno dall’altro. Nel pomeriggio dell’8 ci fu l’ordine di ritirata e si accodarono ad altri reparti che ripiegavano. Però mentre gli altri erano motorizzati, loro erano piedi a percorrere una sessantina di km. In seguito furono riorganizzati nella divisione " Sabratha" e schierati a El Agheila, dove vi furono pochi combattimenti e di piccola intensità. A metà febbraio infine i battaglioni vennero inviati al villaggio Gioda per riposo e riordinamento.

L’8 novembre arrivò improvvisamente l’ordine di ripiegare su Giarabub. Le notizie erano confuse, si sapeva solo che gli inglesi avevano sfondato sulla costa a El Alamein e che le loro truppe erano in ritirata. Da Siwa raggiunsero Giarabub. Qui persero sia il comandante della divisione, ricoverato d’urgenza per un attacco di fegato, sia la stazione radio tedesca. Erano completamente isolati. All’alba del 10 novembre iniziò il ripiegamento lungo il 30° parallelo ai margini del deserto sabbioso. Si trattava di piste sconosciute percorse senza cartine e punti di riferimento. Gli automezzi erano pochi e diminuivano ogni giorno per gli inevitabili guasti. La loro fortuna fu la radio del comando di Reggimento che trasmetteva i bollettini di guerra di Radio Londra. Arrivarono a Gialo e incorporarono quel presidio come avevano fatto a Giarabub. Il 16 novembre arrivarono ad Antelat e vennero schierati a difesa dell’armata in ritirata. In 8 giorni avevano superato oltre 1.100km di un deserto inesplorato e insidioso, ma avevano evitato l’accerchiamento.

Da allora fino alla fine della campagna d’Africa resteranno sempre in retroguardia, ultimo reparto fra gli inglesi e l’armata italo tedesca . Gli Inglesi avanzavano in massa e quando si accorgevano di avere davanti a loro il vuoto, mandavano in avanscoperta mezzi blindati e cannoni autotrasportati. Quando i nostri volontari si accorgevano di un imminente attacco degli inglesi, facevano un balzo indietro di un centinaio di km viaggiando a fari spenti per sfuggire alla ricognizione aerea. Arrivarono così a Tripoli e di lì si diressero verso la Tunisia. Mareth, in Tunisia, era una posizione fortificata costruita dai francesi per difendersi, ribattezzata "La piccola Maginot del deserto". Qui combatterono duramente dal 17 al 30 marzo senza mai perdere una posizione. Dovettero però ritirarsi perché gli inglesi, che non erano riusciti a sfondare frontalmente, erano lì vicino. Si fermarono sull’Uadi Akarit, un piccolo fiume in secca. Il 5 e 6 aprile combatterono duramente respingendo tutti gli attacchi, ma poi l’Alto Comando decise di ripiegare su Enfidaville, perché le posizioni non erano difendibili a lungo. Enfidaville si trovava a sud di Capo Bon nell’entroterra tunisino. Si schierarono sulle colline della zona e ad ogni nuova posizione che raggiungevano, i "giovani fascisti" si mettevano subito al lavoro con accanimento a scavare buche e camminamenti, stendere reticolati, piazzare mine anticarro e antiuomo.

Dal 19 al 30 aprile gli inglesi attaccarono pesantemente. Il 9 maggio ripresero gli attacchi: erano arrivati gli americani. Questi attacchi continuarono fino al 13 maggio quando arrivò l’ordine di resa: la campagna d’Africa era finita. In quei 35 mesi di campagna quei volontari non persero mai una posizione e si ritirarono solo su ordine superiore. Le memorie di questi intraprendenti soldati sono oggi conservate a Ponti sul Mincio, nella tenuta "Piccola Caprera", donata dal comandante Fulvio Balisti ai suoi soldati.

 

 

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