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El Alamein e Grecia, un peso e due misure

di Mark Brown

Come ogni anno, nell'anniversario della Battaglia di El Alamein, si parla si scrive e si polemizza sull'eroica resistenza dei soldati della Folgore. E come ogni anno la Destra ex missina, con macabra euforia, monopolizza quel tragico massacro esaltando commossa la "gloriosa" fine di migliaia di soldati italiani, privi di tutto se non di coraggio, additandoli ad esempio perpetuo di sacrificio ed amor di Patria. Ma perché, in queste rievocazioni, non viene mai ricordato che l'eroica resistenza con le unghie e coi denti (e non solo metaforicamente parlando !) dei paracadutisti e di tutti gli altri reparti italiani che si batterono ad El Alamein, non fu una virtù ma una necessità? Perché non viene mai ricordato, anche in un'ottica esclusivamente militare, che quei soldati avrebbero certamente ottenuto dei risultati tatticamente migliori se al posto delle bombe molotov avessero avuto a disposizione delle moderne armi anticarro? Perché non viene mai ricordato che ad El Alamein si affrontarono un esercito armato con i cannoni della guerra del '15-'18, faticosamente portati dai musei del Trentino sulle sabbie del Sahara, contro un altro dotato di centinaia di aerei e carri armati nuovi di zecca che una efficiente organizzazione militare aveva portato dalle fabbriche di Stati Uniti e Gran Bretagna fin sulle rive del Nilo. E non si può certo fare una colpa agli alleati se la loro capacità offensiva era superiore alla nostra. In ultima analisi in base a quale teoria un soldato ben armato e ben nutrito è meno coraggioso di uno che combatte con i pochi mezzi a sua disposizione ? Senza bisogno di scomodare von Clausewitz è fin dal tempo degli Assiro-Babilonesi che quando uno Stato scende in guerra lo fa pensando di vincerla, e prepara uomini e mezzi a questo scopo. La logistica in guerra, da Cesare a Napoleone, è sempre stata di fondamentale importanza, ma questo aspetto della guerra non preoccupò affatto regime, monarchia e Stato Maggiore italiani che, tra il 1940 ed il 1943, mandarono allo sbaraglio milioni di nostri soldati, dalle sabbie del deserto fino alle gelide steppe russe, alla ricerca di una gloria militare assolutamente impossibile: sia dal punto di vista tecnico che strategico. Chiunque abbia un minimo di cognizioni militari e non sia influenzato da tendenze politiche non può non riconoscerlo. Può sembrare una banalità, ma è bene ricordare che un soldato è semplicemente un uomo in divisa che uccide con delle armi per vincere un nemico. Certo, la retorica "alata" opporrà a questa affermazione lapalissiana l'importanza del coraggio e dell'eroismo del soldato, ma l'evidenza rimane: i petti gonfi di coraggio ma privi di difesa sono destinati ad essere bucati da piccole capsule di piombo chiamate pallottole. Il coraggio e l'eroismo aiutano, ma non sono indispensabili in un esercito: tra un vigliacco con una pistola in mano ed un eroe disarmato ha sempre avuto la peggio quest'ultimo. Ora, senza neanche voler sfruttare l'imprescindibile fatto che quella guerra vedeva il nostro paese ed il nostro esercito schierati dalla parte dei massacratori nazisti, da un punto di vista strettamente militare nella guerra mussoliniana non vi fu mai alcuna traccia di preparazione tattica e di organizzazione militare: la partecipazione italiana alla seconda guerra mondiale fu, come storicamente ammesso anche dai più sfegatati nostalgici di Destra, un'azzardata mossa opportunistica più degna di un tavolo verde che di un governo responsabile. Al di là di qualsiasi giudizio umano e politico, il fascismo, nei suoi venti anni di governo, non si pose mai il problema della modernizzazione delle nostre Forze Armate, né dal punto di vista economico né dal punto di vista industriale. In un lasso di tempo molto più breve il pur schizofrenico, fanatico, folle e sanguinario regime nazista riuscì, tra il 1933 ed il 1939, a trasformare un piccolo esercito post armistiziale in una potente ed efficiente macchina da guerra che, per ben sei anni, tenne in scacco gli eserciti riuniti di tutto il mondo. La rituale commossa esaltazione del soldato italiano, privo di tutto ma pieno di coraggio, è invece sempre stata una comoda alibi per nascondere le dirette responsabilità di quei gerarchi e di quei generali che nulla fecero per consentire al nostro Esercito di battersi quanto meno alla pari contro il nemico (una colpevole inettitudine militare che nessun tribunale italiano ha mai condannato nel dopoguerra), e che ha per effetto quello di uccidere per la seconda volta i nostri soldati, cui non servivano slogan o fotografie del duce (quelle non mancavano mai nei pacchi dono inviati ai nostri soldati al fronte), ma armi, se non il cibo: "..colonnello non voglio pane dammi piombo pel mio moschetto" cantavano i ragazzi di Giarabub che invece non ricevettero né cibo né munizioni, e non per gli imprevedibili casi della guerra, ma per la conclamata incapacità del Governo e dello Stato Maggiore italiani. Del resto anche molti fascisti, è giusto dirlo, nel corso della seconda guerra mondiale pagarono di persona il loro attaccamento al regime, perché le pallottole, assolutamente apolitiche ed insensibili alla retorica, bucarono anche le camicie nere, sia quelle sudate dei Giovani Fascisti di Bir el Gobi, sia quelle indurite dal ghiaccio delle Legioni di Camicie Nere del Don, anch'essi eroici, anch'essi male armati. Se ottobre è il mese dell'anniversario della battaglia di El Elamein perché nessuno si degna di ricordare che è anche la ricorrenza del proditorio attacco italiano alla Grecia, 28 ottobre 1940. Perché i caduti di Quota 731 in Albania sono meno ricordati di quelli di Quota 33 in Egitto ? Eppure anche lì i soldati italiani combatterono e morirono in quella stessa identica guerra, in quelle stesse pietose condizioni, in quella stessa ignavia dei Comandi Superiori. Basti pensare che l'attacco alla Grecia venne discusso, valutato e deciso in una riunione che si tenne il 15 ottobre del 1940 a Palazzo Venezia, iniziata alle ore 11.00 e terminata alle ore 12.30, un'ora e mezza in tutto: dura molto di più una qualsiasi riunione di condominio per stabilire la riparazione del citofono. Eppure due settimane dopo, il 28 ottobre, l'esercito italiano invadeva, senza alcuna motivazione di sorta, la Grecia filo fascista di Metaxas, cinque giorni dopo iniziava la ritirata verso l'Albania !!! Perché quei morti non vengono mai ricordati ? "Secondo i dati ufficiali del Ministero della difesa la campagna di Grecia è costata all'Italia 13.755 morti, 50.874 feriti, 12.368 congelati, 25.067 dispersi, 52.108 ricoverati in luoghi di cura" (Mario Cervi, "Storia della guerra di Grecia", Oscar Mondadori, Verona, 1969). Perché nessuno onora la memoria di questi 154.172 soldati italiani ?! Perché i soldati della Folgore sono più "ricordabili" politicamente mentre i fanti della Arezzo, della Bari, della Modena sono così scomodi da ricordare ? Naturalmente il discorso è identico per i caduti in Francia, Russia ed Africa Orientale. tutti rimosi, tutti dimenticati, per coprire le stesse colpe e le stesse responsabilità. Un breve inciso: gli inglesi ricordano giustamente con onore la ritirata di Dunquerke, noi non possiamo fare altrettanto per la tragica ritirata di Russia che trasformò una mossa tattica, comprensibile in una strategia di guerra, in una enorme fossa comune. Anche in quel caso viene elevato il canto a "l'eroico sacrificio" di alpini e fanti, senza però ricordare che se avessero avuto a disposizione un efficace servizio logistico nessun soldato avrebbe scelto di fare volontariamente la ritirata a piedi per centinaia di chilometri, perchè anche lì fu necessità e non virtù; ma come è noto con i "se" non si fa la storia.

 

 

 

 

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