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8 Settembre 1943: la fuga del Re
Le trattative con gli anglo americani cominciano ad agosto. Vittorio Emanuele III
è in contrasto con il proprio stato maggiore, propenso ad accettare la resa
incondizionata. Il re la giudica un'esplicita condanna della monarchia e la rifiuta.
Pretende garanzie per la dinastia ed arriva addirittura a chiedere il ripristino
dell'impero coloniale italiano in Libia, Somalia ed Eritrea. Spera poi che le operazioni
militari alleate si concentrino in Francia e nei Balcani, lasciando in pace l'Italia. Si
tratta di pretese assurde. Dal punto di vista strategico, gli alleati vogliono costringere
Hitler a concentrare truppe in Italia per distoglierle dalla Normandia (dove era già in
programma lo sbarco decisivo) e dalla Russia. Gli Alleati non hanno poi motivo di
difendere i Savoia. Il Ministro degli esteri inglese Anthony Eden scrive: "Il nostro
atteggiamento verso Casa Savoia è improntato a cautela perché è così screditata che
non esercita sugli italiani la sua antica attrattiva". Il re, oltretutto, continua a
tergiversare anche sul fronte interno. Permette a Badoglio di abolire il Partito Fascista,
ma gli impedisce di arrestare i gerarchi. Rimangono in vigore le leggi razziali e le norme
che proibiscono la costituzione di partiti politici. Molti fascisti rimangono in carcere,
altri vengono arrestati. Un ministro arriva a dire che il nuovo regime "è più
fascista del vecchio".
In un clima di indecisione ed improvvisazione, le trattative proseguono a rilento. Gli
Alleati hanno più volte la netta sensazione che il re sia interessato a difendere
soltanto le sue prerogative. Il comandante delle forze alleate Dwight Eisenhower avverte
gli italiani che lo sbarco nella penisola è imminente e non c'è più tempo per trattare.
Il 3 settembre il Quirinale si rende conto che ormai è possibile soltanto la resa
incondizionata. Il giorno stesso a Cassibile, in Provincia di Siracusa, il generale
Giuseppe Castellano firma per l'Italia l'armistizio con gli Alleati. L'accordo, che
prevede la fine dell'alleanza con la Germania e la consegna agli anglo americani della
flotta e dei porti del meridione, deve rimanere segreto fino al nuovo sbarco alleato,
programmato a Salerno per l'8 settembre. Gli Alleati si aspettano la collaborazione
dell'esercito italiano, ma i vertici militari riprendono a tergiversare. Vittorio
Emanuele, in preda al panico, l'8 settembre convoca il consiglio della corona. La
maggioranza è pronta a non adempiere agli obblighi assunti con Eisenhower. La decisione
sta per essere messa a verbale, quando un ufficiale subalterno fa notare che la firma
dell'armistizio è stata filmata e fotografata dagli americani. Un dietrofront sarebbe a
questo punto letale per la monarchia. Dopo una breve riflessione, Vittorio Emanuele ordina
a Badoglio di rendere pubblico l'armistizio. Radio New York ha già trasmesso la
notizia ed è cominciato lo sbarco a Salerno. In tarda serata Badoglio si reca negli studi
dell'Eiar e legge l'ambiguo comunicato (non prima della fine di una trasmissione di musica
leggera): "Ogni atto di ostilità contro le forze anglo americane deve cessare da
parte delle forze italiane. Esse però reagiranno ad altri attacchi di qualsiasi altra
provenienza". Ancora il 9 settembre, i giornali parlano di successi contro il
"nemico anglo americano".
La grande fuga
La mattina del 9 settembre il re e Badoglio fuggono verso Pescara. Prima di partire
distruggono gli archivi del ministero degli Esteri e della Guerra, ma non danno alcuna
disposizione ai ministri e ai comandi militari. Alle porte di Roma si registrano i primi
scontri tra italiani e tedeschi. In sei settimane il governo non ha preparato alcun piano
di emergenza. E' l'inizio di una tragedia immane. I soldati italiani, rimasti senza
superiori e senza ordini, sono facili vittime delle rappresaglie tedesche. Il re fugge
verso Brindisi. Durante la traversata, il 10 settembre, invia un telegramma
all'ottantunenne maresciallo Enrico Caviglia, con l'ordine di coordinare la difesa di
Roma. Il telegramma non arriva a destinazione, ma è stato comunque spedito troppo tardi.
Mussolini, prigioniero sul Gran Sasso, viene liberato da paracadutisti tedeschi. Il duce
definisce il re "il più grande traditore della storia d'Italia", colpevole di
aver fatto entrare in Italia un esercito di "ottentotti, sudanesi, indiani venduti,
negri statunitensi ed altre varietà zoologiche".
Una volta a Brindisi, Vittorio Emanuele diffonde una dichiarazione in cui spiega la fuga
come atto necessario per la salvaguardia di un governo libero, dicendosi pronto a morire
per la difesa del suo Paese. Il 23 settembre scrive al re d'Inghilterra e al presidente
Roosevelt. Si dice fedele al regime parlamentare ed auspica una veloce avanzata degli
anglo americani in modo da ritornare presto a Roma. Soltanto il 13 ottobre, dichiara
guerra alla Germania. Rimprovera comunque Badoglio per non aver barattato questa decisone
con qualche concessione territoriale da parte degli Alleati. Tenta poi di imporre Grandi
come ministro degli Esteri, presentandolo come "un simbolo del movimento
antifascista". L'operazione è bloccata dagli anglo americani che ormai non hanno
più nessuna fiducia in lui. A corte, in molti suggeriscono al re di abdicare per salvare
la monarchia. Vittorio Emanuele rimane però geloso della sua posizione. Vuole essere
ancora un re che governa. Intanto il Paese conosce la tragedia della guerra civile. A
Salò, Mussolini guida la Repubblica Sociale, stato fantoccio filo nazista. La guerra
durerà ancora un anno e mezzo.
(Antonello Sacchetti/Grandinotizie.it)
il dibattito:
Fu
una fuga necessaria L'opinione di un navigatore (Matteo Rossi)
No,
il re e Badoglio tagliarono la corda... La risposta di uno storico
Certa storiografia è stata ed è troppo indulgente con il Re...
L'opinione di un altro navigatore (Luca Martelli)
per approfondire:
Cent'anni di Savoia
Dossier sui
Savoia Storia, documenti, biografie, colpe della
dinastia (grandinotizie.it)
Regno del Sud
1943,
l'anno della svolta
Pietro Badoglio
Sito ufficiale della Fondazione Pietro Badoglio.
Biografia
Pietro Badoglio (cronologia.it)
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