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Il sindacalismo
cattolico dall'unità sindacale alla nascita della Cisl
Teorici e costruttori del
sindacato nuovo
Dai numerosi scritti di Giulio Pastore (1) possiamo delineare quello
che è stato il dibattito organizzativo e teorico del sindacalismo cattolico del
dopoguerra. Pastore è un personaggio che nella sua attività sindacale è apparso fermo e
deciso nel portare avanti i suoi progetti e le sue opinioni. Antifascista convinto, non si
piegò facilmente all'alleanza tra cattolici e regime, giudicò pesantemente questa
posizione di ambiguità anche nel fronte politico cattolico. La sua difesa del sindacato,
fuori da una ogni diretta influenza politica, fu estrema: <Rendetevi conto, o amici,
che la missione che ci compete andrà a buon fine, nell'interesse dei lavoratori, nella
misura in cui sapremo esserne degni.> (2).
De Gasperi cercò di portare la Cisl sotto l'influenza democristiana e
quindi in un rapporto filogovernativo. Pastore, pur condividendo alcune posizioni
economico-politiche del governo, cercò di orientare la Cisl verso il solo terreno della
contrattazione sindacale. Quando decise di entrare nel governo Fanfani (3), nel 1963,
abbandonò il sindacato perchè era contro il conflitto d'interessi. Importante fu anche
lo scambio di opinioni avvenuto tramite la pubblicazioni di "lettere aperte" nei
giornali tra Pastore e Costa, presidente della Confindustria in quel periodo, dalle quali
emerse lo scontro tra ciò che Pastore aveva dichiarato nei riguardi della Confindustria,
con accuse al metodo di contrattazione e di privilegio rispetto ai sindacati, e la
risposta di Angelo Costa che riteneva non del tutto fondate queste prese di posizione del
segretario della Cisl su l'organo di rappresentanza dei dirigenti d' industria. Va pure
detto che la Cisl fu accusata dalle sinistre di essere un "sindacato dei
padroni", affermazione che, prescindendo dalla sua verità che più o meno potrebbe
essere riscontrabile dall'azione svolta dalla Cisl nei primi anni cinquanta, non piaceva a
Pastore e che cercò di fugare nelle sue relazioni congressuali.
Tornando alle sue idee sindacali, si può affermare che esse furono il
perno centrale di tutto lo sviluppo della Cisl dei primi anni, la sua idea di sindacato
nuovo così espressa in un discorso al congresso della Cisl a Rimini nel 1950:
Per noi, per la Cisl, tutti i lavoratori sono uguali,
tutti hanno gli stessi diritti , tutti devono, mangiare la stessa quantità di pane. Noi
quindi opponiamo al metodo comunista, il metodo nostro che ci impegna a dare alle
categorie, comprese le piccole , le minuscole, quelle che non hanno alcun peso politico la
stessa assistenza.[...] Un comizio in piazza non da carbone alle nostre officine.[...]
Conquistare l'opinione pubblica al sindacato e ai lavoratori : ecco una preziosa
meta.[...] E sarà il sindacato forte, libero e democratico che realizzerà per i
lavoratori la giustizia, soltanto il sindacato forte presiederà la libertà, soltanto il
sindacato libero forte e democratico, formerà la base di una futura pace (4).
Un' idea, quella di Pastore, che ritroviamo espressa in molti i
suoi discorsi.
Pastore ebbe durante la sua carriera sindacale numerosi incontri con
gli esponenti della cultura sindacale nordamericana, che nei piani della Cisl doveva
contrapporsi al modello sindacale marxista.
La sua passata esperienza di fabbrica lo faceva apprezzare dai
lavoratori perchè, come risulta dai suoi discorsi pubblici, sapeva parlare a loro con la
loro stessa semplicità. Non di meno la sua esperienza di giornalista gli permetteva di
portare il suo pensiero sindacale all' interno della carta stampata senza mediazioni di
sorta. Infine la sua lunga esperienza sindacale, vissuta nei momenti difficili del
fascismo e della guerra, facevano di lui un leader sindacale al pari di molti suoi
colleghi di sinistra. Questo è un giudizio che emerge dalle testimonianze dei suoi
collaboratori e amici, come dai suoi maggiori oppositori (5).
Mario Romani, amico di Pastore e suo collaboratore in diverse
occasioni, fu non solo un teorico del movimento sindacale cattolico, ma contribuì,
attraverso le pagine della rivista da lui diretta :"Realtà sociale d'oggi",
alla diffusione e al dibattito delle opinioni all'interno del sindacato nuovo. Lui stesso
in molti saggi scritti durante la sua vita, cercò di delineare quale sarebbe stato, a suo
avviso, il compito nuovo per la dirigenza sindacale della Cisl:
Non risulta più possibile un azione sindacale neutra,
nel senso di azione sindacale che si possa preoccupare delle decisioni dei poteri pubblici
in ordine perlomeno ai problemi dell' economia interna ed internazionale, che si permette
di non avere idee e soluzioni in materia, che non ponga pari accento sul suo significato
rappresentativo, quanto sul suo significato rivendicativo (6).
Per Romani L'effettivo miglioramento delle condizioni di vita
dei lavoratori è legato allo sviluppo economico del Paese ed occorreva un gruppo
sindacale capace di assumere un atteggiamento nuovo rispetto allo Stato, al suo
ordinamento e, ultimo ma non meno importante, al potere politico. Sulla opera di Mario
Romani, Giugni ha affermato in un suo articolo apparso sulla "Repubblica":<A
lui si deve il principale contributo all'elevazione di una dottrina per un sindacato
industriale, non ideologico, contrattualista, ma capace di programmare rivendicazioni
qualitative e non soltanto salariali muovendosi in parallelo con lo sviluppo in atto nel
paese.> (7).
" Realtà sociale d'oggi" (8), la rivista fondata e diretta
da Romani, ebbe una vita breve ma feconda; essa svolse i suoi dibattiti in due fasi:
a) la "prima serie" (1947-1949) , rivolse lo sforzo dei suoi
redattori ad un analisi della realtà economica dell'Italia dall'interno, con le sue
vicende ed i suoi numerosi problemi;
b) la "seconda serie" (1950-1954), dove si concentrarono gli
interessi redazionali sul permanere di situazioni di squilibrio economico-sociale,
l'agricoltura (9) e i rapporti contrattuali e l'industria ed i suoi problemi di
produttività.
F.Vito, economista cattolico, è un altro rappresentante del movimento
teorico del sindacalismo cattolico di quegli anni. Vito scrive opere saggistiche e
articoli sui più diversi argomenti affrontabili al riguardo del lavoro, dell'economia,
della riforma sociale e del sindacato. Fa pubblicare, durante i primi anni del dopoguerra,
il progetto di una "società diversa" nella quale Vito esamina accuratamente la
realtà economica del mercato, incentrando la sua analisi sul piano storico. Volendo
riassumere i punti più importanti del suo pensiero, specialmente in materia economica e
sindacale, potremmo mettere in luce queste tesi:
1) il sistema di concorrenza non è adatto a seguire gli obbiettivi
tecnici di un sistema economico, occorre quindi un piano di lavoro nuovo;
2) la "giustizia sociale" al centro del nuovo piano di
lavoro. Quindi elevazione del proletario e questa si ottiene, secondo Vito, con la difesa
della personalità del lavoratore e della sua dignità di uomo. La collettivizzazione (10)
è: <Soppressione del mercato, come eliminazione della libera
scelta di lavoro, del consumo del risparmio e avocazione di tutte le decisioni ad un
organo centrale [...].La collettivazione è altrettanto lontana da una società orientata
alla difesa della persona quanto il sistema che vuol sostituire.>
(11).
3)analisi dei problemi del lavoro, che si può suddividere in due temi:
a) il lavoratore non può essere ridotto ad un puro concetto
economico-giuridico di "salariato", né classificato secondo i criteri
dell'economia sociale come "povero" e neanche può essere escluso dalla
partecipazione nel settore di partecipazione economico-politica.
b) il "sistema Salariale" (12) e il proletario sono
strettamente legati, Perchè il primo è il presupposto del secondo. Però, tende a
precisare Vito, se questo sistema salariale è finalizzato dalla concezione materialistica
della vita (13) toglie dignità a l' uomo e finisce nel più mero sfruttamento.
Nel 1944 Vito ritiene che il problema più grave del dopoguerra sia
costituito dalla disoccupazione ciclica. Tutto questo avrebbe dovuto essere parte
sistematica e rilevante del bagaglio strumentale della nuova politica sociale. Produzione
e sviluppo sono per Vito inscindibili dalla politica del lavoro.
L'opera teorica di Vito è stata proseguita da un suo allievo
F.Feroldi. Anch'egli insiste sulla politica produttivistica del lavoro, la qualificazione
professionale e il progresso tecnico. L'azione dei sindacati è ritenuta da Feroldi
necessaria per aumentare la capacità contrattuale dei lavoratori e per evitare che
l'espansione del capitale avvenga in direzioni tali da non aumentare l'efficienza del
lavoro. Una politica di interventi finalizzati al coinvolgimento più grande dei
disoccupati.
P. Saracenosi occupa di mettere in primo piano la questione del mezzogiorno per<aumentare
il reddito nazionale attraverso l'occupazione a qualunque costo>. La situazione
dell'Italia dopo il secondo conflitto mondiale era disastrosa, sia al Nord che al Sud, ma
occorreva ,per Saraceno, che l'azione d'intervento sindacale e statale non si focalizzasse
tutta al settentrione. L' "occupazione a qualsiasi costo" del mezzogiorno era
vista da Saraceno come l'arma migliore per sconfiggere il problema del debito pubblico.
Era poi ricominciata la tendenza della migrazione interna in Italia, dove i lavoratori del
Sud si spostavano nei centri industriali del Nord abbandonando le campagne. Nel
mezzogiorno, Saraceno vedeva delinearsi una situazione di squilibrio economico e di
povertà tali da orientarlo in questa lotta all'interno della Cisl.
Note:
1. Cfr. La raccolta di saggi, lettere, comizi
di G.Pastore in I lavoratori nello Stato, Cit. in bibliogr.
2. G.Pastore "Le mete del sindacato democratico-
Discorso all'assemblea organizzativa della Cisl, Rimini 14-16 ottobre 1950", in I
lavoratori nello Stato, cit., p.134.
3. Come ministro per lo sviluppo del Mezzogiorno e delle
aree depresse del Centro-Nord.
4. G.Pastore "La nascita della Cisl-
Discorso dell'assemblea costitutiva della Cisl, Roma, 30 aprile 1950" in I
lavoratori nello Stato, cit. ,pp.120-121.
5. Cfr. Introduzione di M.Romani al libro I lavoratori
nello Stato e V.Saba Giulio Pastore sindacalista, come anche in G. Baglioni, Analisi
della Cisl, tutte in bibliogr., da cui traggo queste considerazioni fatte sul
personaggio
6. M.Romani, "Tendenze e linee di sviluppo del
movimento sindacale", in Sindacalismo, I, 1 luglio 1951, Cfr. G.Baglioni, Analisi
della Cisl, Cit.
7. Id. "Il rebus della Cisl" , La
Repubblica, 29 gennaio 1980, Cfr. S.Fontana, "la concezione sindacale della Cisl
e la cultura cattolica", in G.Baglioni Cit.
8. Cfr. S.Zaninelli ,"Alle origini della cultura
sindacale della Cisl: La rivista <Realtà sociale d'oggi> di Mario Romani", in
G.Baglioni, Analisi della Cisl, Cit. In bibliogr. , pp. 159-175.
9. Specie nel settore mezzadrile (Cfr. S.Zaninelli
"alle origini della cultura sindacale della Cisl", in G.Baglioni, cit.)
10. Per collettivazione si intende l'attribuzione alla
collettività dei mezzi di produzione e di scambio.
11. F.Vito, Economia e personalismo, pp.49-50, Cfr.
"I problemi del lavoro e del sindacato nella cultura economica del periodo
1943-1955" di, in S.Zaninelli, Il sindacato nuovo, pp.146-155 , in bibliograf.
12. Cioè gli stipendi e le pensioni.
13. Se tutti gli stipendi e le pensioni dei lavoratori
dipendenti sono dati in base ad un calcolo non di bisogno del singolo operaio ma affinché
lavori o si costruisca una pensione adatta ad appagare i suoi desideri consumistici. Tutto
questo può portarli ad un vendersi per il bisogno che li priva inconsapevolmente della
propria dignità umana.
(a cura di Simone Galgano)
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