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Partito Radicale (1955-1998)
Ernesto Rossi
Il Partito Radicale era nato nel dicembre 1955 come scissione delle
correnti di sinistra del Partito Liberale. In esso erano confluiti anche elementi
provenienti da Unità Popolare (che si era formata nel 1953 per combattere contro la legge
maggioritaria detta "legge truffa") come Leopoldo Piccardi; ex azionisti che non
avevano militato in altri partiti dopo lo scioglimento del Partito d'Azione, come Leo
Valiani e Guido Calogero; collaboratori prestigiosi del "Mondo" come Ernesto
Rossi; numerosi intellettuali, pubblicisti e giornalisti dell'area laica; e altrettanto
numerosi giovani e universitari che avevano fatto o stavano facendo esperienze di milizia
politica nell'università attraverso l'Unione Goliardica Italiana (Ugi) e gli organismi
rappresentativi locali e nazionali (Unuri).
Nello schieramento politico la nuova formazione rappresentava il segno
della crisi del centrismo e dell'appoggio che le forze moderate progressiste gli avevano
conferito. In modi e tempi analoghi a ciò che avviene tra le sinistre dove intorno al
1955 i socialisti mettono in discussione la politica frontista (XXXI) congresso del Psi a
Torino), al centro gli ambienti laici, di cui il Partito Radicale è una espressione,
denunciano il prepotere democristiano, indicando la necessità di dar vita a una nuova
formazione politica come quella radicale. I riferimenti generali dei radicali, pur non
univocamente espressi dalle varie componenti del partito, sono con le parole di uno dei
più lucidi interpreti della posizione radicale, Leo Valiani, alla costituzione del
partito: "i metodi dell'esperienza radicale occidentale, laburista
rooseveltiana" con la critica di "quanto vi è di rigido anche in quelle
esperienze", ragion per cui i radicali devono condurre "la lotta per lo
smantellamento non solo delle basi politiche, ma anche delle basi economiche e corporative
del fascismo". Partito che tende a fondarsi su progetti concreti di riforma, il Pr
propugna nei primi due anni di vita, fino al 1958, una fiera opposizione alla Dc, al suo
malgoverno e alla sua occupazione dello Stato, facendo riferimento alle forze laiche
minori (Pri e Psdi) e al processo autonomistico del Psi acceleratosi con il 1956 e con il
rapporto Kruscev al XX congresso del Pcus.
Il Pr è quindi "terzaforzista", in favore di una opposizione
costituzionale al centrismo, ritenuto degenerato in forme reazionarie, e per una
"alternativa laica" di cui sono chiari i contenuti e le forze, non tali tuttavia
da costituire di per sé uno schieramento in grado di candidarsi alla direzione del paese.
L'equidistanza e la contrapposizione dei radicali è sul piano ideale e politico sia verso
il "centrismo clericale" che verso il "totalitarismo comunista"
rispetto ai quali non è possibile nessun compromesso; essi auspicano invece il dialogo su
progetti di studio e di azione con tutti gli uomini e i gruppi dell'"area laica e
socialista non totalitaria".
"Lo studio e la meditazione" aveva affermato Valiani nel 1956
"valgono a distinguerci dai socialisti. Nulla ci può distinguere dai socialisti
democratici se non la nostra abitudine liberale allo studio obiettivo, disinteressato e
coraggioso... Solo i frutti del nostro studio, della nostra filosofia ci permettono e di
impongono di distinguerci da loro, perché la nostra è cultura liberale, mentre la loro
è eclettica, praticista, sotto il manto di un marxismo nel quale in realtà credono ben
poco. Avere questa volontà e onestà intellettuale, mettere sotto esame dettagliato,
stringente, i reali problemi concreti della scuola dell'economia, della vita sociale,
dell'amministrazione." I "convegni del Mondo", succedutisi con intensa
frequenza dal 1955 al 1959, rappresentano lo strumento di intervento e di pressione in
questo senso, non del Partito Radicale in quanto tale ma dell'ambiente ad esso
collaterale.
Sul piano elettorale l'ipotesi politica laica si realizzava
nell'alleanza con Pri e Unità Popolare nelle diverse prove amministrative del 1956 e 1957
attraverso le liste di "rinnovamento democratico". Nel 1958 l'alleanza tra il
Pri e il Pr alle politiche rappresentava il momento culminante di questa tendenza e al
tempo stesso la più compiuta espressione politica radicale e quella che ne mostrò i
limiti elettorali. I radicali portarono nella campagna elettorale il vigore del loro più
deciso impegno di sinistra democratica anticonformista con la proposizione di temi da
altri trascurati o ignorati: separazione rigorosa tra Stato e Chiesa e difesa dello Stato
laico; eliminazione dei monopoli, dei privilegi di casta, delle bardature corporative,
dell'elefantiasi amministrativa, del sottogoverno; creazione della scuola moderna; difesa
del cittadino contro gli abusi del potere esecutivo; della libertà di stampa, della
libertà di migrazione interna, della disciplina delle fonti di energia, della lotta
contro le speculazioni sulle aree fabbricabili.
Quello che era stato l'impegno di un ristretto gruppo arrivato con il
Partito Radicale fino al momento politico elettorale per mantenere, con le parole di Galli
della Loggia, "qualche spazio aperto alla ragione e alla discussione" rifuggendo
"dalle mitologie più smaccate e dalle apologie più insulse arrecando in tal modo un
esempio non trascurabile di onestà intellettuale", si trovò, all'indomani
dell'infelice (quanto a risultati) prova elettorale, e forse anche a causa di essa, di
fronte alla contraddizione di una posizione liberal-democratica fattasi, per le
circostanze politiche del paese, di tono e di contenuto radicale: o spingere alle
conseguenze politiche l'opposizione al regime democristiano e quindi entrare magari in
conflitto con la propria maniera di essere e di tenere alte le bandiere della libertà
nella sinistra, oppure rimanere coinvolti nella ricerca dei nuovi equilibri politici verso
cui le diverse forze partitiche, dalla Dc al Psi, andavano convergendo tra la fine degli
anni 50 e l'inizio degli anni '60. Dalla fine del 1958 in poi, il Partito Radicale scelse
dapprima con riluttanza, e poi progressivamente accettò, una strada del secondo tipo: di
subordinare cioè alla "ragion politica" di ciò che si chiamò il
centro-sinistra, quelli che erano i suoi propri contenuti specifici e il modo del tutto
singolare con cui si poneva di fronte alla politica del paese.
Il partito era fragile: aveva sì in un primo momento raccolto nomi
prestigiosi della cultura, del giornalismo e dell'intellettualità laica (talvolta
inserendoli magari d'ufficio tra gli aderenti), ma non si era dato, o non si era voluto o
saputo dare, vere strutture da forza politica. I suoi soci non superarono mai i 2000. Più
che nei suoi organi e organismi politici, la classe dirigente radicale faceva affidamento
su un ambiente che si esprimeva nei settimanali "Il Mondo" (pubblicato dal 1949)
e poi "l'Espresso" (pubblicato dal 1955). Lo stesso gruppo dirigente era diviso
da diverse culture politiche o da diversi atteggiamenti a seconda delle origini e
provenienze, sicché alcuni temi importanti ma controversi erano tenuti fuori dal
dibattito e dall'iniziativa del partito. Primo tra questi la politica estera di fronte a
cui i liberali di sinistra del "Mondo" avevano un atteggiamento
filo-angloamericano e fortemente "atlantico", mentre alcune personalità
provenienti da Unità Popolare non erano immuni da sentimenti neutralisti.
I risultati delle elezioni politiche del 25 maggio 1958, affrontate dal
Pr insieme ai repubblicani, in cui non fu eletto neppure un radicale in parlamento,
contribuirono a far scoppiare le contraddizioni del Pr come partito, sia nel suo gruppo
dirigente, sia nei rapporti tra le diverse componenti, sia infine nel modo stesso di
affrontare la politica, contrapponendosi da una parte l'intervento diretto anche
elettorale e dall'altra l'azione di pressione condotta tramite altre forze politiche.
La crisi suscitata dal governo Tambroni nel luglio 1960 e la reazione
che il paese vi oppose, costituirono un momento cruciale che provocò l'accelerazione del
processo verso il centro-sinistra. Il Pr, nelle sue ipotesi politiche, si era sempre
dichiarato contrario a collaborazioni con la Dc ed aveva valutato negativamente, ancora
all'inizio del 1959, anche la proposta di "apertura a sinistra" dei socialisti.
Nel periodo che corre all'incirca dalla metà del 1959 alla fine del 1961, quando si tenne
il convegno sulle "prospettive di una politica economica" organizzato da sei
riviste della sinistra democratica tra cui "Il Mondo" e "L'Espresso",
i radicali, attraverso la loro classe dirigente, mutarono sostanzialmente atteggiamento
nei confronti della Dc e della prospettiva di centro-sinistra. Pur con oscillazioni tra la
paura dell'incontro di socialisti con i cattolici che avrebbe potuto esaltare le
caratteristiche illiberali delle due forze, e la speranza di una "politica liberale
di riforme" imposta dalle forze laiche in un nuovo equilibrio politico, i radicali
aderirono all'ipotesi politica che andava maturando. E in particolare una parte del Pr,
facente capo a Leopoldo Piccardi e a Eugenio Scalfari, puntava decisamente a una alleanza
organica con i socialisti per sostenere e contribuire al corso politico che si andava
imponendo.
Il Partito Radicale, del resto, anche sotto la spinta della propria base
e della parte che mostrava più dinamismo all'interno della dirigenza, aveva stretto
alleanze con i socialisti nelle elezioni amministrative del 6 novembre 1960 in quasi tutti
i capoluoghi, ottenendo ovunque successi di opinione e di eletti, a cominciare da Roma e
Milano. Questi risultati, la fiducia nelle possibilità riformatrici del centro-sinistra e
dell'azione che in esso potevano svolgere i socialisti, l'accentuazione dei temi economici
riferentesi alle speranze di una risolutrice "pianificazione democratica" a
scapito dei più tradizionali temi istituzionali radicali, la prospettiva di un'alleanza
politica per le elezioni del 1963, furono tutti fattori che portarono alla crisi il
piccolo partito.
Crisi di identità politica; crisi tra le diverse componenti, di cui una
moderata filo-repubblicana e l'altra filo-socialista: crisi del ruolo nei confronti del
centro-sinistra realizzato insieme con la Dc che inevitabilmente si prospettava come lo
sbocco dell'azione radicale iniziata in funzione antidemocristiana: tali le ragioni di
fondo per le quali il partito si disgregò, allorché fu suscitato, alla fine del 1961, il
cosiddetto "caso Piccardi", che da personale fu trasformato in pretesto
politico. Anche il forte nucleo giovanile che aveva rappresentato l'aspetto più dinamico
e più nuovo del partito si ruppe per non aver avuto il tempo, secondo la valutazione di
Giovanni Ferrara, di fissare le comuni esigenze in una visione politica matura e unitaria:
"Il gruppo... si scisse principalmente sul problema della valutazione
dell'atteggiamento politico concreto da tenere nei riguardi dei comunisti, nel contesto
della situazione europea. Di fronte alla violenza dei temi politici, gli elementi comuni
dell'esperienza giovanile radicale passarono in secondo piano, anche se i giovani radicali
continuarono fino all'ultimo a dialogare tra di loro e a sentirsi contemporaneamente
investiti della responsabilità di tutto il partito. I due grandi problemi che toccavano
in quel momento la sensibilità democratica e europea... erano da una parte la guerra di
liberazione algerina e il connesso trionfo di De Gaulle in Francia, e dall'altra la lotta
per il raggiungimento di un nuovo assetto politico di centro-sinistra, in Italia".
Si verificarono allora - insieme alla spaccatura del gruppo giovanile in
una "destra" e una "sinistra", l'unico che avrebbe potuto tenere
insieme il partito - anche le dimissioni, l'uscita o il ritiro di tutti i personaggi di
maggiore rilievo che avevano costituito il Pr, ad eccezione della componente,
prevalentemente giovanile ma non soltanto, che si era costituita in "sinistra
radicale".
Partito Radicale
(1955-1977) a cura di Massimo Teodori, Piero Ignazi, Angelo
Panebianco
Cronologia della storia del Partito Radicale e dei Movimenti Radicali (1955
- 1998)
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