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Storia
dell'emancipazione femminile in Italia
di Valentina Piattelli
Adesso le donne sono cittadine di serie A, al pari degli uomini. Esse
sono padrone di se stesse e godono delleguaglianza giuridica e di tutti gli stessi
diritti degli uomini. Possono accedere a tutte le professioni e a tutti gli uffici (tranne
che nel clero e nellesercito, per ora). Non è sempre stato così però.
In passato la donna era un accessorio del capofamiglia (padre o
marito). Nel Codice di Famiglia del 1865 le donne non avevano il diritto di esercitare la
tutela sui figli legittimi, né tanto meno quello ad essere ammesse ai pubblici uffici. Le
donne, se sposate, non potevano gestire i soldi guadagnati con il proprio lavoro, perché
ciò spettava al marito. Alle donne veniva ancora chiesta l"autorizzazione
maritale" per donare, alienare beni immobili, sottoporli a ipoteca, contrarre mutui,
cedere o riscuotere capitali, né potevano transigere o stare in giudizio relativamente a
tali atti. Tale autorizzazione era necessaria anche per ottenere la separazione legale. Larticolo
486 del Codice Penale prevedeva una pena detentiva da tre mesi a due anni per la donna
adultera, mentre puniva il marito solo in caso di concubinato.
Nel periodo Risorgimentale in Italia il dibattito sui diritti delle
donne, la loro educazione ed emancipazione fu assai provinciale. Molti degli
"illustri pensatori" del Risorgimento italiano si limitarono a ribadire la
soggezione della donna. Secondo Gioberti: "La donna, insomma, è in un certo modo
verso luomo ciò che è il vegetale verso lanimale, o la pianta parassita
verso quella che si regge e si sostentata da sé". Per Rosmini: "Compete
al marito, secondo la convenienza della natura, essere capo e signore; compete alla
moglie, e sta bene, essere quasi unaccessione, un compimento del marito, tutta
consacrata a lui e dal suo nome dominata". Secondo Filangieri spetta alla donna lamministrazione
della famiglia e della prole, mentre le funzioni civili spettano alluomo. Simili
teorie furono alla base del diritto di famiglia dellItalia unita, riformato soltanto
nel 1975. Anche per quanto riguardava i diritti politici, il dibattito in Italia era stato
assai poco acceso. Le stesse donne attive sulla scena politica erano uno sparuto gruppo di
eccezioni.
NellItalia unita le donne vennero quindi escluse dal godimento
dei diritti politici. Nel 1966 la contessa di Belgioioso, patriota e letterata, scriveva
in proposito: "quelle poche voci femminili che si innalzano chiedendo dagli uomini
il riconoscimento formale delle loro uguaglianza formale, hanno più avversa la maggior
parte delle donne che degli uomini stessi. [...] Le donne che ambiscono a un nuovo ordine
di cose, debbono armarsi di pazienza e abnegazione, contentarsi di preparare il suolo,
seminarlo, ma non pretendere di raccoglierne le messi". Infatti, la Camera dei
Deputati del Regno dItalia respinse la proposta dellon. Morelli volta a
modificare la legge elettorale che escludeva dal voto politico e amministrativo le donne
al pari degli "analfabeti, interdetti, detenuti in espiazione di pena e falliti"
ed a concedere quindi alle donne tutti i diritti riconosciuti ai cittadini. Dopo la
bocciatura delle legge, Mazzini scrisse al deputato:
"Lemancipazione della donna sancirebbe una grande verità
base a tutte le altre, lunità del genere umano, e assocerebbe nella ricerca del
vero e del progresso comune una somma di facoltà e di forze, isterilite da quella
inferiorità che dimezza lanima. Ma sperare di ottenerla alla Camera come è
costituita, e sotto listituzione che regge lItalia [la monarchia] è, a un
dipresso, come se i primi cristiani avessero sperato di ottenere dal paganesimo linaugurazione
del monoteismo e labolizione della schiavitù".
Nonostante Anna Maria Mozzoni avesse fondato nel 1879 una Lega
promotrice degli interessi femminili - che si batteva per il diritto di voto alle donne -,
le prime femministe italiane si interessarono molto di più delle questioni sociali, anche
per influenza del neonato Partito Socialista.
Effettivamente la condizione socioeconomica delle donne fra fine 800
e primi del 900 era di drammatica disparità. I dati stessi su cui basare le
ricerche sono assai scarsi perché, pur essendo più diffuso di adesso, il lavoro
femminile difficilmente veniva riconosciuto come tale: quasi tutte le donne occupate nellagricoltura
non venivano riconosciute come lavoratrici, a meno che non fossero titolari di una
proprietà o di un contratto di affitto. In ogni caso lo stipendio delle lavoratrici era
in genere poco più della metà di quello dei lavoratori di sesso maschile. Poiché anche
il lavoro dei bambini era assai diffuso, e sottopagato, prima della prima guerra mondiale
furono emanate alcune leggi per tutelare "donne e fanciulli", quali soggetti
deboli e sfruttati. I salari più bassi delle donne venivano percepiti dagli altri
lavoratori come una forma di concorrenza sleale, e quindi le prime proposte di legge
cercavano di garantire un minimo salariale alle lavoratrici, anche per "mantenere sul
mercato" la manodopera maschile. La legge sul lavoro femminile del 1902 finì per
limitare ancora una volta i diritti delle donne: se da un lato essa concedeva quattro
settimane di riposo - non pagato - alle puerpere, dallaltro vietava limpiego
di lavoratrici in alcuni lavori ritenuti "pericolosi". I lavori
"pericolosi" contenuti nel decreto attuativo erano in realtà lavori
ideologicamente ritenuti incompatibili con le attitudini femminili (attivazione di
macchine, trattamenti di polveri e materiali "sconvenienti" o tali da richiedere
una manipolazione complessa etc.). Lo Stato mostrava così di voler favorire al massimo il
rientro delle donne in quella che riteneva essere la loro sede naturale: la casa. Daltronde
nellenciclica papale Rerum Novarum, uscita in quegli anni, era scritto:
"Certi lavori non si confanno alle donne, fatte da natura per i lavori domestici, i
quali grandemente proteggono lonestà del debole sesso". La legge del 1902
tradiva anche la speranza di ridurre il divario salariale con gli uomini: le lavoratrici
fra i 16 e i 21 anni, venivano equiparate in capacità e abilità (e quindi in stipendio)
ai lavoratori con meno di 15 anni. E questa era lunica prescrizione in materia di
stipendi.
Nel frattempo era emersa chiaramente lostilità della maggioranza
dei lavoratori di sesso maschile a qualunque norma a favore delle lavoratrici nel timore
che potesse aumentare la concorrenza del lavoro femminile. Così anche il Partito
Socialista e le sue organizzazioni sindacali non perorarono la causa della tutela del
lavoro femminile, nonostante lo slogan socialista: "Le donne che lavorano come voi
sono uomini" (sic!).
Sul versante dei diritti civili e politici, erano nate frattanto lAssociazione
nazionale per la donna a Roma nel 1897, lUnione femminile nazionale a Milano nel
1899 e nel 1903 il Consiglio nazionale delle donne italiane, aderente al Consiglio
internazionale femminile.
Nel 1881 Anna Maria Mozzoni tenne unaccorata perorazione del
suffragio femminile (il Comizio de Comizi): "Se temeste che il suffragio alle
donne spingesse a corsa vertiginosa il carro del progresso sulla via delle riforme
sociali, calmatevi! Vi è chi provvede freni efficace: vi è il Quirinale, il Vaticano,
Montecitorio e Palazzo Madama, vi è il pergamo e il confessionale, il catechismo nelle
scuole e ... la democrazia opportunista!". Ed infatti tutti i progetti di legge
per garantire il voto alle donne, o meglio ad alcune categorie di donne, venivano
regolarmente bocciati (Minghetti 1861, Lanza 1871, Nicotera 1876-77, Depretis 1882 etc.).
Sul fronte dellistruzione, venne permesso soltanto nel 1874 laccesso
delle donne ai licei e alle università, anche se in realtà continuarono ad essere
respinte le iscrizioni femminili. Ventisei anni dopo, nel 1900, risultano comunque
iscritte alluniversità in Italia 250 donne, 287 ai licei, 267 alle scuole di
magistero superiore, 1178 ai ginnasi e quasi 10.000 alle scuole professionali e
commerciali. Quattordici anni dopo le iscritte agli istituti di istruzione media (compresi
gli istituti tecnici) saranno circa 100.000.
Il titolo di studio però non garantisce ancora laccesso alle
professioni. Nel 1881 infatti una sentenza del Tribunale annullò la decisione dellOrdine
degli avvocati di ammettere liscrizione di Lidia Poët, laureata in legge e
procuratrice legale. Nel 1877 venne però approvata una legge che ammetteva le donne come
testimoni negli atti di stato civile.
Nel 1903 venne convocato il primo Consiglio nazionale delle donne
italiane, articolato in vari settori sui diritti sociali, economici, civili e politici.
Negli anni seguenti nasceranno associazioni orientate al raggiungimento dei diritti civili
e politici - come lAlleanza Femminile e il Comitato nazionale pro suffragio - e
associazioni legate a partiti e ideologie di altro tipo - come lUDACI, Unione Donne
di Azione Cattolica Italiana, che si batteva contro la laicizzazione della scuola - e lUnione
nazionale delle donne socialiste, che svolse interessanti inchieste sul lavoro femminile.
I socialisti però si scontrarono spesso con le femministe, accusate di
essere portatrici di interessi borghesi. Bissolati affermò che "la proposta
femminista ha lo scopo di attribuire maggiori diritti alla donna, entro la cerchia delle
forme di proprietà e di famiglia borghese. Dunque il movimento femminista è un movimento
conservatore. Quandanche raggiungesse i suoi fini, non avrebbe ottenuto altro che
interessare attivamente un maggior numero di persone alla conservazione degli attuali
ordinamento sociali. Allopposto, la lotta di classe porta con sé una vera
elevazione sociale della donna ... [Il femminismo] esiste in quanto non vede tale
soluzione. Esso non è dunque altro che un fenomeno di incoscienza sociale". Dal
lato femminista, Mozzoni invece sosteneva che: "Lemancipazione femminile è
la suprema, la più vasta e radicale delle questioni sociali, capace di unire le donne di
tutti i ceti per a causa della loro libertà e del loro riscatto".
Intanto nel 1906 la studiosa di pedagogia Maria Montessori si appellò
alle donne italiane attraverso le pagine de "La Vita" affinché si iscrivessero
alle liste elettorali. Un gruppo di studentesse affisse lappello sui muri e molte
donne tentarono quindi di iscriversi alle liste elettorali, così come fatto con successo
negli USA. Sulla stampa si scatenò un dibattito fra i fautori del voto alle donne e i
contrari. Le corti di appello delle varie città respinsero però tali iscrizioni, tranne
la corte di Ancona, dovera presidente Ludovico Mortara, ma anche questa sentenza
venne annullata dalla Corte di Cassazione.
Nel frattempo però alcune donne riuscirono ad entrare in ambiti da cui
fino ad allora erano escluse: nel 1907 Ernestina Prola fu la prima donna italiana ad
ottenere la patente, nel 1908 Emma Strada si laureò in ingegneria, nel 1912 Teresa
Labriola si iscrisse allAlbo degli Avvocati e Argentina Altobelli e Carlotta
Chierici vennero elette al Consiglio Superiore del lavoro.
Nel 1908 si era tenuto a Roma, nel Campidoglio, il primo Congresso
delle Donne Italiane, inaugurato dalla Regina Elena ed al quale erano presenti molte donne
della nobiltà. Le risoluzioni del congresso auspicavano una rigorosa applicazione sullobbligo
scolastico, la fondazione di casse di assistenza e previdenza per la maternità e la
richiesta di poter esercitare gli uffici tutelari (autorizzate dal marito se sposate).
Tutte le mozioni vennero accettate a maggioranza, tranne una sullinsegnamento
religioso, che determinò la scissione delle donne cattoliche e la creazione dellUDACI,
poi Unione Femminile Cattolica.
Nel 1909 lAlleanza pro-suffragio lanciò un Manifesto di protesta
alla riapertura del parlamento: "I deputati eletti da soli uomini, di qualsiasi
partito essi siano, lasceranno ancora per troppo tempo sussistere quellingranaggio
di leggi restrittive, di costumi medioevali, di giurisdizione antiquata, che inceppano la
libera espansione delle forze femminili e ritardano il cammino del progresso civile. [...]
NellItalia di Mazzini e Garibaldi, voi non dovete più oltre sopportare lingiuria
di essere respinte dalle urne come gli idioti o i mentecatti. Venite dunque a unirvi al
nostro pacifico esercito delle donne che vogliono il voto per il bene proprio, dei figli,
dellumanità!".
Nel 1910 il Comitato Pro-Suffragio chiese al Partito Socialista di
pronunciarsi sulla questione del suffragio femminile. Turati si pronunciò contro il voto
alle donne fintanto che "la pigra coscienza politica e di classe delle masse
proletarie femminili" finisca con il rafforzare le forze conservatrici. Anna
Kuliscioff, compagna di Turati, gli rispose dalle pagine di "Critica Sociale"
difendendo il suffragio femminile. Al Congresso socialista del 1910 però Kuliscioff finì
con il sostenere che "il proletariato femminile non può schierarsi col femminismo
delle donne borghesi [...] Per la donna proletaria il suffragio politico è unarma
per la propria emancipazione economica". Su "Critica Sociale" però
scrisse: "Non mi riesce di spiegarmi tanta rigidità verso il movimento femminile
non proletario, mentre nei rapporti con i partiti politici borghesi, i socialisti hanno
smussato così generosamente gli spigoli della loro intransigenza [...]. Se i socialisti
fossero convinti fautori del suffragio universale, saluterebbero con gioia le suffragiste
non proletarie come un coefficiente efficace alla vittoria, riservandosi di combattere
qualunque proposta di legge che intendesse limitare il voto ad alcune categorie femminili
privilegiate".
Nel maggio del 1912 durante la discussione del progetto di legge della
riforma elettorale, che avrebbe concesso il voto agli analfabeti maschi, i deputati
Mirabelli, Treves, Turati e Sonnino proposero un emendamento per concedere il voto anche
alle donne. Giolitti però si oppose strenuamente, definendolo "un salto nel
buio". Secondo Giolitti il suffragio alle donne doveva essere concesso gradualmente,
a partire dalle elezioni amministrative: le donne avrebbero potuto esercitare i diritti
politici solo quando avessero esercitato effettivamente i diritti civili. Nominò quindi
unapposita commissione per la riforma giuridica del Codice Civile, rimandando in
pratica la questione sine die.
Con la Prima Guerra Mondiale i posti di lavoro persi dagli uomini
richiamati al fronte vennero occupati dalle donne, nei campi, ma soprattutto nelle
fabbriche. Circolari ministeriali permisero infatti luso di manodopera femminile
fino all80% del personale nellindustria meccanica e in quella bellica (da cui
le donne erano state escluse con la legge del 1902). Con la fine della guerra però, le
donne, accusate di rubare lavoro ai reduci, persero questi posti di lavoro.
Nel dopoguerra riprese il dibattito sul voto alle donne. Il neonato
Partito Popolare appoggiava il suffragio femminile. Secondo Don Sturzo infatti: "Noi
che abbiamo nel nostro programma cristiano lintegrità e lo sviluppo dellistituto
familiare, sentiamo che a questo programma non si oppone, in alcun modo, la riforma del
suffragio alla donna, che anzi è conseguente ad esso ogni riforma la quale tenda ad
elevare al donna e a conferirle nella vita autorità, dignità e grandezza".
Nel 1919, venne abolita lautorizzazione maritale - pur con
notevoli limitazioni -, dando così alla donne almeno lemancipazione giuridica. Il 6
settembre del 1919 la Camera approvò la legge sul suffragio femminile, con 174 voti
favorevoli e 55 contrari. Le camere però vennero sciolte prima che anche il Senato
potesse approvarla. Lanno successivo di nuovo la legge venne approvata alla Camera,
ma non fece in tempo ad essere approvata al Senato perché vennero convocate le elezioni.
La presidente del Comitato pro suffragio dichiarò: "La legge non è stata votata
per paura dellincognita che lingresso della donna nella vita politica
rappresenta per tutti i partiti. [...]. Nella mentalità dei dirigenti politici, il
suffragio femminile deve essere un servizio calcolato e ben sicuro".
Nel marzo del 1922, Modigliani presentò una semplice proposta di
legge, il cui articolo unico recitava: "Le leggi vigenti sullelettorato
politico e amministrativo sono estese alle donne". Tale proposta, ancora una
volta, non poté essere discussa ed in ottobre vi fu la Marcia su Roma.
Il fascismo in verità concesse il diritto di voto passivo ad alcune
categorie donne per le sole elezioni amministrative. Mussolini stesso, intervenendo al
congresso dellAlleanza internazionale pro suffragio aveva detto che il fascismo
aveva intenzione di concedere il voto a parecchie categorie di donne. La legge Acerbo
(ironicamente chiamata del "voto alle signore") concedeva infatti il voto alle
decorate, alle madri di caduti, a coloro che esercitassero la patria potestà, che
avessero conseguito il diploma elementare, che sapessero leggere e scrivere e pagassero
tasse comunali pari ad almeno 40 lire annue.
Il fascismo però subito dopo abolì quelle stesse elezioni
amministrative a cui aveva ammesso le donne. LAssociazione per la donna fu sciolta,
mentre la nuova presidente del Consiglio nazionale delle donne italiane fu nominata da
Mussolini, segnando così la fine dellassociazione. LUnione femminile
nazionale rimase in vita a lungo, anche se priva di significato politico. Sopravvisse
insomma soltanto lUnione femminile cattolica, allineata al fascismo e al ruolo di
subordinazione della donna ribadito dal papa nellEnciclica Casti Connubi,
dove fra laltro auspicava: "Da una parte al superiorità del marito sopra la
moglie e i figli, dallaltro la pronta soggezione e ubbidienza della moglie, non per
forza ma quale raccomandata dallapostolo".
Nel frattempo il fascismo inaugurava una sua politica sul tema dei
diritti delle donne. Le donne vennero spinta, per quanto possibile, entro le mura
domestiche, secondo lo slogan: "la maternità sta alla donna come la guerra sta
alluomo", scritto sui quaderni delle Piccole Italiane. Le donne prolifiche
venivano insignite di apposite medaglie. Leducazione demografica e il controllo
delle nascite era formalmente vietato dal Codice Rocco che lo considerava un "attentato
allintegrità della stirpe".
Per quanto riguarda il lavoro, i salari delle donne vennero fissati per
legge alla metà di quelli corrispondenti degli uomini. Inaugurando una strategia che poi
sarebbe stata ripresa per la politica razziale, loffensiva cominciò nella scuola,
dove fu formalmente vietato alle donne di insegnare lettere e filosofia nei licei e alcune
materie negli istituti tecnici e nelle scuole medie; inoltre fu vietato loro di essere
presidi di istituti, mentre le tasse scolastiche delle studentesse vennero raddoppiate.
Nel pubblico impiego le assunzioni di donne furono fortemente limitate, escludendole dai
bandi di concorso e concedendo loro un numero di posti limitato (in genere il 10%). Furono
inoltre vietate loro la carriera e tutta una serie di posizioni prestigiose allinterno
della pubblica amministrazione. Anche la pubblicistica fascista tendeva a dissuadere le
donne lavoratrici ridicolizzandole. Nel libro "Politica della Famiglia" del
teorico fascista Loffredo, si legge: "La donna deve ritornare sotto al sudditanza
assoluta delluomo, padre o marito; sudditanza e, quindi, inferiorità spirituale,
culturale ed economica" per far questo consiglia agli Stati di vietare listruzione
professionale delle donne, e di concedere soltanto quellistruzione che ne faccia
"uneccellente madre di famiglia e padrona di casa".
Il Codice di Famiglia era già abbastanza retrivo, ma venne lo stesso
inasprito dal fascismo: le donne vennero poste in uno stato di totale sudditanza di fronte
al marito che poteva decidere autonomamente il luogo di residenza ed al quale le donne
devono eterna fedeltà, anche in caso di separazione. Sul piano economico tutti i beni
appartenevano al marito, ed in caso di morte venivano ereditati dai figli, mentre alla
donna spettava solo lusufrutto.
Il nuovo Codice Penale confermò tutte le norme contrarie alle donne,
aggiungendo inoltre lart. 587 che prevedeva la riduzione di un terzo della pena per
chiunque uccidesse la moglie, la figlia o la sorella per difendere lonore suo o
della famiglia (il cosiddetto "delitto donore").
Le donne condannate per antifascismo durante il ventennio sono poche,
ma le partigiane furono tuttaltro che poche. Secondo il CNL-Alta Italia le donne
aderenti alla Resistenza furono: 75.000 appartenenti ai Gruppi di Difesa, 35.000
partigiane, 4563 tra arrestate torturate e condannate, 623 fucilate e cadute, 2750
deportate, 512 Commissarie di guerra, 15 decorate con Medaglia dOro. Se si pensa che
il numero complessivo dei partigiani è valutato in circa 200.000 persone, si può vedere
che le donne rappresentarono circa il 20% di essi (ma la percentuale è assai più alta
fra i fiancheggiatori del movimento); fra i caduti e i fucilati invece il loro numero
delle donne è nettamente inferiore (circa l1%), perché i combattimenti di prima
linea, così come le fucilazioni, coinvolgevano raramente le donne, tenute la riparo dai
loro commilitoni maschi.
Il 1 febbraio del 1945, su proposta di Togliatti e De Gasperi venne
infine concesso il voto alle donne. La Costituzione garantiva luguaglianza formale
fra i due sessi, ma di fatto restavano in vigore tutte le discriminazioni legali vigenti
durante il periodo precedente, in particolare quelle contenute nel Codice di Famiglia e il
Codice Penale. Per un soffio lindissolubilità del matrimonio non fu iscritta nella
Costituzione stessa, grazie allemendamento di un deputato saragattiano.
Nel 1959 uscì il libro di Gabriella Parca Le italiane si confessano
suscitando un vero scandalo. Per la prima volta donne di ogni strato sociale confessavano
i rapporti con laltro sesso, i ricatti subiti, le prevaricazioni, ma anche i diffusi
pregiudizi. Scrisse Zavattini nella prefazione al libro: "LItalia è ancora
un grande harem".
Lemancipazione comunque andava avanti, anche se a piccoli passi,
spesso ambigui. Nel 1951 viene nominata la prima donna in un governo (la democristiana
Angela Cingolani, sottosegretaria allIndustria e al Commercio). Nel 1958 viene
approvata la legge Merlin, che abolisce lo sfruttamento statale della prostituzione e la
minorazione dei diritti delle prostitute. Nel 1959 nasce il Corpo di polizia femminile,
con compiti sulle donne e i minori. Nel 1961 sono aperte alle donne la carriera nel corpo
diplomatico e in magistratura.
Alla fine degli anni 60, sulla spinta anche degli avvenimenti
europei e mondiali, nascono anche in Italia gruppi femministi da donne che si staccano dal
movimento studentesco nel quale si sentivano emarginate e sfruttate dai loro compagni
maschi, che cercavano di affidare loro compiti di segretaria o comunque subordinati
("Dallangelo del focolare allangelo del ciclostile").
Allinizio del 1970, nellambito di una seminario organizzato
dal Partito Radicale, nasce il Movimento di liberazione della donna (MDL), il quale,
contrariamente ai suoi omologhi allestero, ammette fra i suoi aderenti anche uomini.
Nel documento costitutivo si propone di informare sui mezzi anticoncezionali anche nelle
scuole e ottenere la loro distribuzione gratuita, liberalizzare e legalizzare laborto,
eliminare nelle scuole i programmi differenziati fra i sessi (educazione domestica e
tecnica), socializzare i servizi che gravano sulle spalle delle donne sotto forma di
lavoro domestico, creazione di asili-nido, improntati ad una visione antiautoritaria. I
mezzi per raggiungere tali obiettivi sono anche le azioni di disobbedienza civile.
Parallelamente allMDL si costituisce nel settembre del 1973 il
Centro di Informazione Sterilizzazione e Aborto (CISA) per iniziativa di Adele Faccio,
federato anchesso al Partito Radicale.
Nel 1974 parte la prima raccolta di firme per un referendum abrogativo
che avrebbe legalizzato laborto, ma non vengono raggiunte le 500.0000 firme
necessarie. Nel 1975 viene arrestato Giorgio Conciani per aver organizzato una clinica
clandestina per gli aborti a Firenze. Gianfranco Spadaccia, segretario del PR, Adele
Faccio e Emma Bonino del CISA si dichiarano corresponsabili e vengono arrestati nei mesi
seguenti. Nella primavera del 1975 (anche grazie allappoggio de "LEspresso")
vengono raccolte oltre 800.000 firme su un nuovo referendum abrogativo sullaborto.
Prima che i cittadini venissero chiamati a votare il referendum, il Parlamento approva nel
1977 una legge sulla legalizzazione dellaborto.
Frattanto nel 1970 era stato concesso il divorzio (vittoria ribadita
con la vittoria dei no al referendum promosso nel 1974 dai clericali che ne chiedevano labolizione);
nel 1975 era stato infine riformato il diritto di famiglia, garantendo la parità legale
fra i coniugi e la possibilità della comunione dei beni.
La società italiana era notevolmente cambiata e le leggi avevano in
parte sancito tale cambiamento. Rimanevano però tracce della passata discriminazione in
leggi quali quella che comprendeva fra i "delitti contro la morale" anche lo
stupro e lincesto, legge eliminata soltanto recentemente. Allinizio del nuovo
secolo è caduto anche lultimo baluardo di esclusione delle donne in ambito statale,
quello militare.
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