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Il miracolo economico

1. Il boom economico

Come ha ricordato Giulio Sapelli la fase di più elevata crescita del nostro sistema economico inizia con il 1958 e finisce nel 1963.  Due sono le direttrici lungo le quali si realizza una così rapida trasformazione dell’assetto economico del paese:

·         lo spostamento  della forza lavoro dal settore agricolo a quello industriale;

·         il passaggio ad un’economia legata alle dinamiche dei mercati europei dove le  esportazioni divengono prevalenti. [1]

L’industria italiana, in questo frangente di sviluppo, divenne indiscutibilmente il settore trainante, mentre l’agricoltura stava arretrando sensibilmente.[2]  Infatti, se nel 1951 l’agricoltura aveva contribuito al PIL del settore privato per il 23,5% e nel 1963 per il 15,7%, l’industria, negli stessi anni, era passata dal 33,7% al 43,5%, il terziario dal 42,8% al 40,5%. Il numero degli occupati per settore evidenzia lo spostamento verso il nuovo settore divenuto trainante: nel 1961 gli occupati dell’industria erano il 38% del totale della popolazione attiva mentre quelli del terziario costituivano il 32%. I lavoratori nel settore agricolo erano invece passati dal 42% dal 1951 al 30% della forza lavoro nel 1961[3].

L’esportazione svolse il ruolo trainante nell’espansione con un incremento del 14,55% annuo; questa via sembrò già decisa con la liberalizzazione dei mercati e nel 1957 si firmò il Trattato di Roma (la percentuale di merci che l’Italia destinò alla CEE sul totale nazionale del prodotto crebbe dal 23% del 1953 al 29,8% del 1960[4]).  Queste furono le principali linee seguite dallo sviluppo economico; ad esse andrebbero aggiunte, secondo la visione di Salvati della lunga crescita che attraversò l’Italia dal 1948 al 1963, altre quattro linee direttrici decise dal Governo molti anni prima e che influenzarono (spesso in modo  negativo) anche il “boom”:

·         l’edilizia popolare

·         l’avvio di numerose opere pubbliche

·         la riforma dell’agricoltura

·         l’aiuto alle regioni del Sud tramite la “Cassa del Mezzogiorno”[5]

Alcuni indicatori possono ben evidenziare il perché questa trasformazione, che non coinvolse solo l’Italia ma fu diffusa in tutto l’Occidente industrializzato, venne definita “miracolo economico”: la media di crescita del nostro paese dal 1958 al 1963 raggiunse il 6,3%; percentuale mai più raggiunta sino ad oggi dal nostro paese, inoltre, nel medesimo periodo, la produzione industriale risultò più che raddoppiata con alla testa l’industria metalmeccanica e petrolchimica[6]. Il reddito per abitante raddoppiò quasi passando da 577 dollari USA nel 1952 a 970 nel 1963;[7] anche la disoccupazione scese in modo inaspettato sotto la soglia, detta “frizionale”, del 3% nel 1962, segnando così in pratica il raggiungimento della piena occupazione[8].

Grazie al poderoso e inusitato sviluppo l’Italia riuscì in pochi anni a ridurre il divario storico con i paesi a più vecchia industrializzazione come l’Inghilterra e la Francia.  La fabbricazione di autoveicoli dal 1959 al 1963 quintuplicò, salendo da 148 mila a 760 mila unità. In questo periodo, i frigoriferi passarono da 370 mila a un milione e mezzo, i televisori, che nel 1954 non erano più di 88 mila, salirono a 643 mila. L’aspetto che colpisce di questi ultimi dati non è legato soltanto al fatto che si manifestarono in un paese arrivato all’appuntamento con lo sviluppo in una condizioni di arretratezza diffusa, [9] ma anche al fatto che furono il risultato di un processo estremamente rapido.  Per indicare l’evidente miglioramento della qualità della vita di un italiano medio, può essere interessante sottolineare che tra la fine degli anni ’50 e l’inizio del nuovo decennio il consumo degli elettrodomestici (televisori e frigoriferi) crebbe di circa il 40%.[10] Lo sviluppo fu caratterizzato anche   dalla diffusione delle auto, che passarono dal milione del 1956 ai cinque e mezzo del 1965, e delle autostrade, grazie alla campagna di opere pubbliche avviata dallo Stato indirizzate ad ampliare il chilometraggio autostradale. Inoltre, grazie al progredire del settore dell’edilizia e delle cooperative edili (che edificarono abitazioni e vani a ritmi intensi), anche la costruzione e il mercato delle case di proprietà registrarono un sensibile progresso[11].

Tutti questi aspetti, se da una parte ebbero una sicura valenza positiva e di crescita per il paese, dall’altra portarono con sé degli effetti talvolta tanto negativi da offuscare ogni possibile aspetto favorevole.

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[1] A  questo aspetto, inoltre, si potrebbe sommare  la crescita del commercio mondiale cui, progressivamente,  l’Italia stava entrando  a far parte.

[2] G. Sapelli, L’Italia inafferrabile. Conflitti, sviluppo, dissociazione dagli anni cinquanta ad oggi, Venezia, Marsilio, 1989, p 15 e in Michele Salvati, Economia e politica in Italia dal dopo guerra ad oggi, Milano, Garzanti, 1984,  pp. 81-84.

[3]G. Sapelli, L’Italia inafferrabile.  cit e in  Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopo guerra ad oggi. Società e Politica, Torino, Einaudi, 1989,  Tav. 39.

[4] P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopo guerra ad oggi. Società e Politica, cit. p. 289 e A. Augusto Graziani, L’economia Italiana dal 1945 ad oggi, Bologna, Il Mulino, 1972, p. 25. Graziani ricorda che l’Italia  usciva dalla guerra in una condizione economica molto debole a causa della scarsezza estrema di materie prime, ciò faceva sì che  queste dovessero essere importate. Ma il pagamento delle materie prime importate si sarebbe potuto effettuare soltanto con un aumento delle esportazioni che a sua volta avrebbe mandato in positivo il segno della bilancia commerciale. Ma la povertà di partenza in cui l’economia italiana si trovava rendeva di per sé impossibile quest’ultima risoluzione, non permettendo al paese di uscire da  quello che   Salvati ha definito  “circolo vizioso”. Solo un aiuto finanziario esterno e un’apertura ai mercati, non obbligatoriamente europei, avrebbe potuto rompere il meccanismo e avviare un “circolo virtuoso”: questo, secondo Graziani, fu uno dei motivi per cui l’Italia decise di uscire dalle “secche” cercando di dar vita ad un’economia aperta.

[5] M. Salvati, Economia e politica in Italia dal dopo guerra ad oggi.

[6] P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopo guerra ad oggi. Società e Politica, cit. p. 289.

[7] G. Sapelli, L’Italia inafferrabile. Conflitti, sviluppo, dissociazione dagli anni cinquanta ad oggi, Venezia, Marsilio, 1989, p. 17.

[8] A. Graziani, L’economia italiana dal 1945 ad oggi, Bologna, Il Mulino, 1972 e in Michele Salvati, Economia e politica in Italia dal dopo guerra ad oggi,cit. pp. 61-62. Il ’62 faceva parte di quella che Salvati ha definito la “terza fase” del boom economico che ebbe fine con la crisi soprattutto di  carattere interno del 1963. In quest’annata, secondo l’autore, si assistette ad un fatto tanto  nuovo quanto importante cioè  il  rovesciamento dei tradizionali rapporti di forza tra imprese e sindacati a favore dei secondi; si ruppe  “l’equilibrio della sottoccupazione” che aveva retto i rapporti  scio-politici del paese sino ad quel memento.

[9] G.Crainz, Storia del miracolo italiano,Culture, identità, trasformazioni fra anni cinquanta e sessanta.  Verso la metà del decennio procedente l’Italia non poteva certo essere definita un paese opulento, infatti il più delle famiglie  aveva un reddito inferiore a quello degli altri paesi industrializzati (un quinto di quello tedesco) e la maggior parte di questo era utilizzato per gli alimenti. Inoltre  circa  un quarto delle  case  italiane   era prive di acqua, luce, gas e bagni, cioè di quelli che negli altri paesi erano ritenuti come servizi base.

[10] Ivi.  Infatti la diffusione della televisione fu più veloce di quella dell’auto  e portò con sé importanti trasformazioni sociali: innanzi tutto permise  alle campagne e al chiuso mondo  rurale  di uscire dal loro tradizionale isolamento, poi il suo dilagare favorì indubbiamente un’unificazione culturale e un primo apprendimento dell’italiano in zone dove esso era  scarsamente conosciuto.  

[11] Ivi.  Nella diffusione della casa giocò inoltre un ruolo determinante la crescente “fame di case” generata dal sogno della casa di proprietà, che il “miracolo” aveva reso avverabile per molti italiani.

 

 

 

   

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