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Gianni
Agnelli
Giovanni Agnelli nasce a Torino il 12 marzo 1921 in una città scossa da
tensioni politiche e sindacali. Secondo di sette figli nati da Edoardo e Virginia Bourbon
del Monte, primo dei maschi, trascorre la sua fanciullezza tra la casa torinese di Corso
Matteotti e la residenza di campagna dei nonni a Villar Perosa, frequenta il liceo Massimo
d'Azeglio per poi laurearsi in giurisprudenza, ufficiale dell'esercito viene ferito in
Africa. Gianni, come lo chiamano in famiglia, manifesta sin da ragazzo le doti del
"capo" inteso come punto di riferimento per le sorelle e i due fratelli più
giovani di lui. "E' stato sempre naturale chiedere il suo parere per qualsiasi
cosa" ricorda Susanna Agnelli.
Per il fondatore della Fiat Gianni è stato il vero delfino, il successore per
antonomasia. E al nonno il "bel cit" è legato fin da bambino da un rapporto di
affetto e di grande rispetto e devozione. Prima di morire il vecchio senatore gli
consiglia di "girare il mondo, divertirsi un poco, far conoscenze utili"
lasciando temporaneamente la guida dell'azienda al professor Vittorio Valletta. Gianni lo
prende in parola e si tuffa nel bel mondo internazionale diventando una sorta di mito
delle notti brave della Costa Azzurra. Dove nel 1952 un grave incidente automobilistico
gli costa una menomazione alla gamba destra. Nel novembre del 1953 sposa Marella
Caracciolo di Castagneto e dal matrimonio nascono Edoardo e Margherita.
Vicepresidente della Fiat dal 1946, esattamente vent'anni dopo, assume il comando
dell'azienda di famiglia ed è come la svolta, il passaggio dalla vecchia alla nuova Fiat.
Quasi contemporaneamente comincia ad accostarsi più di quanto non abbia fatto in passato
al mondo imprenditoriale italiano e a quello politico. Con la Fiat sta cambiando anche lo
scenario politico italiano e l'Avvocato è interessato a questa "metamorfosi"
che in qualche modo lo vede tra i protagonisti. Nel 1974, anno durissimo per le finanze
della Fiat ricordato anche per l'ingresso nel gruppo di un manager che si chiama Cesare
Romiti, Agnelli diventa presidente della Confindustria. Due anni più tardi sta quasi per
cedere alla tentazione della politica o, almeno così si dice.
"Il mio cuore batte repubblicano" ammette ed è nota la sua amicizia con Ugo La
Malfa. Ma non lesina appoggi e sempatie ai liberali. In politica invece finisce il
fratello Umberto la cui esperienza come indipendente nelle file della Dc non è
entusiasmante. Dicono che lui non l'abbia né incoraggiata né apprezzata. Al rientro
dalla Confindustria pilota l'ingresso nel capitale Fiat dei libici di Gheddafi. In quegli
anni fronteggia, assieme ai suoi manager, due fatti, diversi tra loro ma entrambi duri per
la Fiat. Il terrorismo e il grande scontro con il sindacato culminato nell'autunno dell'80
con la marcia dei quarantamila.
Il fenomeno terroristico, al quale l'azienda paga un pesante tributo di morti e feriti, lo
preoccupa. Dicono che in quegli anni ha meditato seriamente di portare via la Fiat
dall'Italia. Negli ani Ottanta lui regna sulla Fiat governata da Romiti. Annette l'Alfa
Romeo che definisce "la provincia debole", manca l'alleanza con la Ford, liquida
il socio scomodo Gheddafi. A metà di quel decennio indica come suo successore alla
presidenza di Fiat il fratello Umberto. Ma le cose andranno diversamente. Nel 1993, un
altro periodo finanziariamente difficile per il gruppo, è costretto a bussare alle porte
di Mediobanca dove ancora impera l'anziano Enrico Cuccia. La banca milanese organizza e
sostiene un maxiaumento di capitale per Fiat ma la contropartita è la rinuncia di Umberto
alla successione.
L'Avvocato deve mandare giù un boccone amaro, ma lo fa con classe. Cerca di rifarsi nel
1996 indicando come successore, almeno sul fronte della famiglia, Giovanni Alberto, figlio
di Umberto. Ma Giovannino morirà giovanissimo tre anni dopo. E per lui è un colpo
durissimo perché avverte l'interruzione di una continuità della famiglia sulla quale ha
fatto affidamento dal momento in cui si è reso conto che il suo diretto discendente,
Edoardo, non è adeguato al ruolo di guida del gruppo. Quando, settantacinquenne, lascia
il comando della Fiat gli succede Cesare Romiti.
La morte prematura del nipote sul quale ha fatto affidamento e il suicidio di Edoardo
segnano il vecchio patriarca che è costretto, quasi ottuagenario, a riprendere in mano il
comando, per lo meno della famiglia. Adesso più che mai è un punto di riferimento per
tutto il clan Agnelli. Riversa affetto e attenzioni su un altro nipote, John, Yaki per i
familiari, figlio di Margherita e di Alain Elkann, un ragazzo poco più che ventenne che
si laurea a Torino e viene mandato in America a "farsi le ossa". Ma la
possibilità per questo giovane erede di assumere le redini del gruppo di famiglia è
ancora molto lontana.
Quando Romiti compie settantacinque anni l'Avvocato non ha dubbi. "La regola degli
anni vale per tutti" dice e chiama al comando Paolo Fresco, un avvocato che per molti
anni è stato vicepresidente della General Electric. Amministratore delegato diventa Poalo
Cantarella. Sempre più "torinese" e sempre più attento alle sorti della Fiat,
Agnelli riprende un ruolo che probabilmente non aveva messo in conto per la sua vecchiaia.
I nipoti che affollano Villa Frescot sulla collina torinese, le sorelle, gli impegni di
rappresentanza, i convegni internazionali, le frequenti incursioni al campo di Villar
Perosa dove si allena la Juventus, un gruppo di amici che impietosamente l'anagrafe
sfoltisce: così il "bel cit" approda al suo ultimo appuntamento.
Le cronache dell'ultimo anno, discrete sul piano privato non altrettanto su quello
societario e aziendale, descrivono un Avvocato ormai fuori dalla scena e tuttavia attento
alle vicende della famiglia. Partecipa telefonicamente all'assemblea della Fiat del maggio
2002, segue per tutta l'estate gli sviluppi della situazione e interviene direttamente nei
momenti delicati e difficili. E' lui che convince Paolo Cantarella a farsi da parte e a
lasciare il posto a Gabriele Galateri come amministratore delegato del Gruppo. Ed è
sempre lui che si occupa successivamente del passaggio da Galateri ad Alessandro Barberis
nel dicembre scorso. Certo, le sue condizioni di salute si andavano aggravando col passare
dei giorni e lui lo sapeva. Ma ha voluto recitare il ruolo di capitano d'industria fino in
fondo.
E' morto il 24 gennaio del 2003, all'età di 82 anni.
(da Salvatore Tropea, "la Repubblica", 24 gennaio 2003)
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