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I mille giorni di Allende

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Cronaca dell'11 settembre 1973

È la mattina dell'11 settembre 1973. A fianco del presidente, le due figlie, pochi intimi e collaboratori, alcuni ufficiali della polizia civile e dei carabineros . Alle 11.52 comincia il bombardamento della Moneda. Allende costringe gli ufficiali di polizia e carabinieri, amici e familiari, ad allontanarsi dal palazzo: "Non voglio martiri, chiaro?", urla loro. Per tre volte quella mattina rifiuta un areo DC-6 che i militari golpisti gli offrono. Alla seconda proposta di poter fuggire con familiari e amici che intende portare con sé, Allende perde la pazienza: "Ma chi vi credete, traditori di merda?! Mettetevi l'aereo nel sedere. State parlando con il presidente della Repubblica. E il presidente eletto dal popolo non si arrende". Quella mattina, Allende risponde per le rime anche a quel Partito socialista che non gli è stato vicino come doveva. A un inviato della direzione socialista che gli chiede cosa fare, dove debbono andare i suoi compagni di partito, il presidente risponde: "Nessuno fino ad oggi ha chiesto la mia opinione. Perché me la chiedono adesso?".
L'11 settembre doveva essere il giorno dell'annuncio del plebiscito sulla politica economica e sociale di Allende e di Unidad Popular. Di questo Augusto Pinochet - ministro degli Interni nominato da Allende e comandante supremo dell'esercito - era a conoscenza. Il presidente Allende era convinto che Pinochet e il comandante della Forza Aerea, il generale Leigh, e il generale Mendoza (autonominatosi comandante in jefe, guida suprema, dei carabineros) gli fossero fedeli e stroncassero la ribellione di Valparaiso, attuata dalla marina militare guidata dall'ammiraglio Merino, anche lui autonominatosi comandante supremo. Niente di piu' sbagliato. Alle 13.20 si arrendono, su indicazione di Allende, i pochi rimasti alla Moneda ormai bombardata e indifendibile da persone pressoche' inermi. Familiari e stretti collaboratori del presidente escono a mani alzate dal palazzo, attraverso la porta Morande' 80 che Allende era solito usare per accedere al palazzo presidenziale situato nel centro di Santiago.
Allende resta indietro. E' l'ultimo della fila. Indossa un elmetto e imbraccia il fucile Aka che gli aveva regalato Fidel Castro durante una criticatissima visita di un mese a Santiago: il presidente e' un buon tiratore. "Allende non si arrende", sente urlare un medico, amico del presidente. Si volta al suono della voce di Allende e lo vede morire: suicidio od omicidio? Il mistero resta ancora intatto e cosi' le versioni contrapposte di chi sta dalla parte del presidente socialista e di chi ne era e ne e' nemico. Allende muore. I militari conquistano il potere. Il generale Augusto Pinochet assume la guida il governo e la giunta militare, dove siedono i comandanti delle quattro armi (esercito, aeronautica, marina e carabinieri). Nell'Estadio Nacional - ora dedicato al cantautore ivi torturato e poi ucciso, Victor Jara - si consuma una pagina triste e drammatica: l'assembramento, come in altri luoghi, la tortura, la morte e la sparizione di tanti uomini e donne. Tremila? Quattromila? Dieci volte tanto? La questione dei "diritti umani", con i processi a carico dei militari e le rivendicazioni dei familiari delle vittime, e' ancora aperta. (m.c.)

(Il Giornale di Vicenza, 10 settembre 2003)

 

 

 

   

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