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Il Settantasette

pallanimred.gif (323 byte) Un giudizio conclusivo

a cura di Sébastien Croquet

Perché il movimento del ‘77 rimane un episodio storico rimosso dalla memoria collettiva italiana, ricordato il più delle volte solo come uno snodo drammatico della sua storia contemporanea o dall’elegiaco racconto dei protagonisti, e resta da più di due decenni ricoperto da uno strato di imbarazzato silenzio dal resto della cultura italiana ?

Perché quest’evento ha lasciato solo un’orma superficiale nella memoria collettiva italiana ?

La prima risposta che sembra uscire dalla lettura dei documenti che abbiamo discusso in questo lavoro è che, contrariamente alla guerra civile che divise l’Italia tra il ‘43 e il ‘45, e più del ‘68, fu un periodo in cui vennero alla luce un insieme di laceranti e profonde fratture e contrapposizioni, di ordine politico, sociale economico e generazionale, che dilaniarono l’intera società italiana, senza che queste fratture si componessero in una soluzione politica .

Il movimento fu incapace di concepire un progetto in positivo, ed ecco perché il ‘77 viene considerato un momento di frattura senza risoluzione.

Poi, perché il movimento del ‘77 venne e viene ancora oggi bollato da diversi storici e giornalisti come la prima manifestazione di massa del terrorismo diffuso, interpretazione che rende difficile la comprensione e la trasmissione del ricordo anche a venticinque anni di distanza.

In realtà, la difficoltà di concepire il ‘77 sta nel suo essere l’ultimo momento di aggregazione di una protesta sociale protrattasi per più di un decennio e nello stesso momento un’ultima e disperata fiammata di rivolta prima della fase aperta della lotta armata. Disperata perché, consapevole del fallimento dei vecchi modelli di rivoluzione e incapace di proporre un’alternativa coerente, se non in forme violente e marginali, sembrò in realtà porre delle domande alle quali la classe politica non fu affatto in grado di rispondere : un movimento non ortodosso che rimase ai margini della società e che generò, contrariamente al movimento del ‘68, solo una profusione di discorsi, senza riuscire ad elaborare teorie valide di progettazione o di gestione, né sul piano sociale, né sul piano politico.

Per molti protagonisti di quella fiammata, la critica della politica si tradusse nella morte della politica. Di fronte al radicalizzarsi della contrapposizione tra lo Stato e le diverse componenti della protesta, la stragrande maggioranza dei giovani contestatari del movimento del ‘77 abbandonarono la speranza di poter risolvere i problemi della società con l’impegno politico, e rifluirono allora verso il privato, chiudendo un intenso periodo storico che, dopo aver portato alla ribalta la volontà di un’intera generazione di cambiare e di rinnovare radicalmente la società italiana, si chiudeva su un sostanziale fallimento.

E così, questa lunga stagione di speranze e di lotte venne rapidamente occultata e a volte negata. Nella tradizione storiografica, il ‘77 è ricordato prevalentemente come l’anno perno dopo il quale la violenza della contestazione sboccò verso la forma più radicale del terrorismo moderno.

La cultura italiana sembra colpita da una giustificabile afasia e fa ancora oggi fatica a fare i conti con questo periodo della storia, di cui il ‘77 rappresenta il punto di massima ribellione. Inoltre, per quasi tutti i giovani protagonisti, il movimento di rivolta studentesca simboleggiò l’unica occasione e l’unica esperienza politica. È comprensibile che, dopo il riflusso e la repressione che colpì i vari movimenti extraparlamentari della protesta sociale, essi non cercarono e non vollero, per paura o per delusione, trasmettere la memoria dell’evento.

Questi fattori impediscono tuttora un’interpretazione pacificata e pacata dell’evento, o addiritura una sua interpretazione tout court.

Rimane però il fatto che interpretare il ‘77 solo come un anno di chiusure e di logoramenti, e dimenticare il suo aspetto composito, innovativo e creativo sarebbe un errore. Il periodo e il movimento che di quest’anno prese il nome devono piuttosto essere considerati come il passaggio dalla fase della stagione di lotte sociali iniziata già prima del ‘68 verso un’altra che dura ancora oggi, che vede l’emergere di tematiche, preoccupazioni e nuovi paradigmi che diventano patrimonio dei movimenti giovanili che scoppiano a scadenze pressocché regolari nell’Italia a cavallo fra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI.

In una formula, il ‘77 fu questo : un baleno di gioco, di festa, di creatività, di fraternità, spazzato via dalla rabbia, dalla violenza e dalla desolazione.

 

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