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Il Settantasette

pallanimred.gif (323 byte) Il '77 e il femminismo

a cura di Sébastien Croquet

Il movimento femminista partecipò al movimento del ‘77 e lo influenzò fortemente, con le sue tematiche e le sue rivendicazioni. Appare utile descrivere quale fu il suo percorso politico e come si inserirono nel dibattito pubblico le preoccupazioni di un’intera generazione, che misero in piena luce le debolezze e l’arretratezza dell’arcaico quadro sociale, " patriarcale " e cattolico.

In un primo momento analizzeremo gli esordi del movimento femminista, collocandoli nella stagione dei tumulti sociali. Poi in una seconda parte, vedremo il suo impegno nel movimento del ‘77, e infine, per concludere, mostreremo quali furono le conseguenze di dieci anni di lotte, per il femminismo e le sue militanti.

Nel giugno 1971, si tenne a Milano, il primo convegno nazionale dei gruppi femministi, i cui due gruppi maggiori erano allora il Demau e Rivolta femminile.Fare iniziare il movimento femminista a partire da quest’evento, non significa che la questione femminista non fosse mai stata abbordata prima questa data:

" Certo, il movimento operaio e il Partito comunista italiano avevano superato una concezione secondo la quale la rivoluzione di classe avrebbe portato a soluzione la "questione femminile". E la "questione femminile" era già diventata questione nazionale, una di quelle che attraversavano "la via italiana al socialismo". Ma aggiungere "femminile" al posto di "meridionale", "giovanile" accanto al termine "questione" equivaleva a tenere in piedi il concetto di "interesse generale" " .

Questa volontà di autonomia si tradusse nel separatismo gruppettaro, per " assolversi dall’egemonia maschilista " e dalla subalternità alla quale erano ridotte le militanti comuniste o/e della Nuova sinistra, nelle loro rispettive formazioni politiche.

In realtà, quello che motivò in modo significativo la costituzione di un vero e proprio movimento femminista, fu la prospettiva di una redifinizione completa di alcuni concetti. Tra questi la famiglia (soprattutto il rapporto tra l’uomo e la donna), il corpo (la richiesta di una maggiore emancipazione e il diritto alla contraccezione), la rimessa in discussione del modo di fare politica…

Dal 1973, nacquero dei gruppi e dei collettivi di medicina, dei centri per la salute della donna…tutti autogestiti e, elemento importante, aperti a tutte le donne.

Il loro obbiettivo dichiarato era di sottrarre ai medici e agli ospedali la gestione della salute e del corpo. Questo perché l’Italia era ancora molto ancorata alla dottrina cattolica e rimaneva ermetica ai mezzi di contraccezione. La rivendicazione del diritto di aborto (libero, gratuito e assistito), era infatti una parte della rivendicazione di base, cioè quella del diritto all’autodeterminazione della donna, in ogni settore.

Poi, a partire dal 1974, questi gruppi femministi cercarono di imporre politicamente la legittimità della pratica dell’aborto, praticandolo clandestinamente. Un numero sempre più importante di donne (nella loro grande maggioranza, giovani) prese parte a queste pratiche.

Questa stagione di lotte favorì, anzi provocò l’approvazione, nel luglio del 1975, della legge sui consultori. Le rivendicazioni delle femministe erano state " istituzionalizzate " e riconosciute, però inserite in una logica e in una prospettiva riformistica, e addiritura familistica.

Il diritto all’aborto rivelò presto il progetto molto più complessivo di un vero e proprio riconoscimento della donna come soggetto politico attivo, ma senza perdere tuttavia le sue specificità femminili.

D’allora in poi si crearono nuovi collettivi politici, nelle fabbriche, nelle scuole, nei sindacati (soprattutto nella Cgil e nella Csil), nei quartieri ( che parteciparono attivamente allo sviluppo dei centri sociali), con l’evidente volontà di fare della diversità femminile, una particolarità indispensabile della vita politica, e non una debolezza.

È durante quel periodo che si teorizzò e praticò l’autogestione, che permise inoltre una partecipazione più ampia e un livello maggiore di democrazia nelle assemblee e nell’organizzazioni politiche.

Furono proprio i temi dell’autogestione e dell’autoorganizzazione a creare tensioni tra il Mld e il Pci. In effetti il partito comunista vide nel femminismo il pericolo di un movimento eversivo, difficilmente integrabile nella sua strategia politica interamente diretta verso il compromesso storico. Le sue reazioni nei confronti delle femministe lasciarono intravedere un sentimento di diffidenza, quando non anche di aperta ostilità, almeno fino al dibattito sull’aborto, in cui le due parti si ritrovarono costrette a conpartecipare alla lotta.

Le idee e le tematiche femministe ebbero quindi qualche difficoltà per permeare il dibattito civile e politico, e non solo nella destra tradizionale e cattolica.

Il biennio 1975-1976, segnò un grande ripensamento del concetto del femminismo, delle sue dottrine, dell’impegno nella lotta (sociale e armata), negli orientamenti e delle prospettive da darsi, da parte delle femministe.

La loro attenzione si indirizzò molto più verso le relazioni fra donne, a scapito del loro impegno sul piano sociale.

Il fallimento, alle elezioni del 20 giugno 1976, della sinistra rivoluzionaria e della Nuova sinistra, insieme all’avanzata del Pci e della sinistra storica, resero possibile l’operazione riformistica dell’istituzionalizzazione dei conflitti e delle rivendicazioni. Dopo questa vittoria il movimento per le donne si sottrasse a questo compito e si orientò piuttosto verso delle questioni e dei problemi di interesse sociale, di ordine generale, ma mantenendo sempre un legame molto forte con gli interessi della donna.

Benché le donne patissero la preponderanza maschile e la volontà di certi militanti (di Lc per esempio) di imporre il loro punto di vista, tutto ciò non significò l’abbandono delle rivendicazioni e delle tematiche puramente femministe, nei gruppi della sinistra e nel campo della contestazione e delle lotte sociali.

Le donne rimettevano in questione le grandi linee della politica e i modi di praticarla, tramite una critica radicale, rivolta all’intera organizzazione, il che produsse grandi tensioni, fino ad arrivare allo scioglimento di Lotta continua, e all’uscita delle donne dal gruppo de " Il Manifesto ". Questo isolazionismo politico fu dovuto essenzialmente a dei punti di vista ideologici troppo discordanti, tra il movimento femminista e ogni altra formazione politica.

" Nel 1977 il movimento degli studenti parla di bisogni e vuole dare valore all’individuo nella sua irriducibilità al collettivo e al progetto. C’è Eugenio Finardi che canta " Il politico è personale ". Gli indiani metropolitani fanno i girontondi e si dipingono il viso. " Riprendiamoci la vita " è lo slogan di massa. Sembra possibile ritrovare le ragioni di una lotta comune. Ma anche lì esplode il conflitto. Spesso in modo violento ".

Come riassumono Nanni Balestrini e Primo Moroni, la concordanza di certi temi femministi con le rivendicazioni studentesche e la loro cospicua influenza sul movimento universitario e creativo che scaturì nel 1977, lasciò presagire l’inizio di una lotta inedita con nuove tematiche.

In effetti, il terreno sociale (la disoccupazione giovanile) e i nuovi assetti politici conseguenti alle elezioni svoltesi nel 1976, permisero un’intesa e un ravvicinamento dei due movimenti.

Entrambi, dalla loro propria realtà sociale soggettiva (precarietà e disoccupazione), rivendicarono e favorirono una più grande radicalità e autonomia del movimento nei confronti del sistema politico classico, contro il quale esaltarono un rifiuto totale di insubordinazione.

La contrapposizione si fece più evidente dal momento in cui il Pci decise di sostenere apertamente il governo Dc, ciò che rese impossibile ogni mediazione politica " tradizionale ".

Prima e durante il ‘77 una grande parte delle femministe praticarono la " doppia militanza ", cioè per lo più, una partecipazione e un impegno politico attivo nel Pci e nel movimento, il che permise l’unico esempio di permeabilità tra le due formazioni, che però si deve relativizzare dato che rimase circoscritto nell’ambiente femminista.

Col movimento studentesco le donne condivisero l’opposizione alla legge Malfatti, il desiderio di cambiare e rinnovare radicalmente la società, la politica, il ciclo produttivo, il rifiuto e/o la redifinizione del concetto del lavoro, l’affermazione di un soggetto sociale e politico sottratto alla centralità delle organizzazioni partitiche della sinistra, l’autogestione del proprio corpo con la richiesta di una più grande liberazione sessuale e la depenalizzazione delle droghe…

Con la parte creativa condivisero un’attenzione estrema ai " nuovi bisogni " attinenti alla sfera della creatività, dell’affettività e della comunicazione, del complesso rapporto tra l’individuo, la società e l’arte…

L’opposizione tra i gruppi femministi e quelli maschili che si inasprì durante il 1977, non fu causato dal movimento di contestazione eponimo, ma dall’atteggiamento egemonico e isolazionista delle organizzazioni dell’Autonomia che respinsero e rifiutarono qualsiasi forma di partecipazione delle donne . In effetti la confiscazione della parola e a volte l’interdizione, per le autonome, di partecipare ai meeting, alle dimostrazioni, alle tavole rotonde fu una pratica molto diffusa nell’ambiente autonomo.

Ciò ebbe per effetto di accentuare il divario e il dissenso che opponeva il Mld, ma anche le altre formazioni femministe, dal resto della sinistra e di accrescere le discordie interne e l’isolazionismo nel quale si erano da poco confinate.

Il mondo politico (senza distinzione partitica o ideologica) non era ancora pronto a cambiare o a modulare la sua organizzazione sociale e gerarchica, e il rimpensamento tanto atteso avvenne solo dopo il 1977, innanzitutto nel Pci.

Esiste attualmente una linea interpretativa secondo la quale una parte importante delle donne che scelsero di rimanere nell’autonomia organizzata sarebbe passata alla lotta armata. Questa tesi può essere accettata solo nella misura in cui una parte del movimento femminista, fu ricettiva al discorso militarista e rivoluzionario dei gruppi clandestini e alle loro ideologie. Tuttavia si deve relativizzare quest’analisi, perchè la percentuale delle donne nelle organizzazioni armate rimase molto debole.

In realtà la stragrande maggioranza delle donne impegnata organizzativamente o politicamente non sostenne la deriva armata, e anzi si oppose alla radicalizzazione della lotta, che fu una delle ragioni del disimpegno massiccio delle militanti femministe.

Il movimento femminista fu duramente colpito dalla repressione che si abbatté sul movimento contestatario e sovversivo del 1977 e dal riflusso che segnò la fine della più grande stagione di lotte sociali e politiche del dopoguerra.

Per alcuni, il movimento del ‘77 simboleggiò l’ultima occasione per le donne di associarsi con un altro movimento. Per altri la teoria femminista basata sul ruolo centrale dell’individuo nel meccanismo politico-sociale avrebbe favorito lo sviluppo di certe tematiche che si ritrovarono negli anni ottanta, che esaltavano l’individualismo e la preponderenza dell’interesse personale sull’interesse collettivo.

Sul piano politico la doppia militanza funzionò : " ..finché il movimento era organizzato in collettivi e gruppi. Allora era reltivamente facile : da una parte il partito, dall’altra lo stare fra donne. Ma i collettivi fra il 1978 e il 1979 si sciolgono e quelle donne si trovano nel loro partito a dover fare i conti, per così dire, senza rete, con la necessità di una mediazione in loco fra le due militanze. La strada scelta (dagli uomini e dalle donne) è quella della lotta comune per il rinnovamento della politica. Il Pci si aprì ai temi dell’individuo, organizzò convegni sui sentimenti ". Le donne diventarono " ..portatrici di valori salvifici.. ", il che venne perfettamente riassunto nell’allocuzione di Enrico Berlinguer quando affermò " che la politica doveva allargare i propri confini e per questo chiede il contributo delle donne ", che diventarono così " nuovi soggetti di una vecchia rivoluzione ".

Il movimento del ‘77 fu per vari aspetti un anno perno per il femminismo, dal suo frastagliarsi " in mille rivoli ", il che non significò la sua scomparsa, ma piuttosto una redifinizione dei suoi temi e dei veicoli della lotta.

Come scrisse Pina Sardella nel 1997, si deve concepire il " dopo ‘77 " come " ..l’inizio di una nuova fase del movimento (femminista) : frantumatasi l’idea di un progetto totale e totalizzante, si riparte da quell’identità collettiva, riconosciuta socialmente, che anni di movimento avevano prodotto. Il senso di questa identità è forte e costituisce il patrimonio comune, al di là degli ambiti e delle modalità in cui le donne agiranno. Le scelte di campo si diversificano, secondo gli interessi e le capacità professionali ".

Il che segnò un nuovo orientamento politico e una visione alla volta personale e plurale dell’impegno sociale, che rimasero tuttavia condizionati dal retaggio di due decenni di lotte femministe.

 

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