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Il Settantasette

pallanimred.gif (323 byte) Origini e storia del Movimento del '77

a cura di Sébastien Croquet

Fu la circolare del ministro della pubblica istruzione Malfatti del 3 dicembre 1976, che vietò agli studenti il diritto di dare più esami nella stessa materia e venne interpretata dagli studenti "…come la prima mossa in vista di altri e ben più gravi provvedimenti di controriforma…", ad unificare e saldare in un movimento di protesta strutturato (in questo caso, studentesco), l’entropia generale e il clima di forte tensione.

La cosiddetta circolare Malfatti venne quasi immediatamente applicata dal senato accademico di Palermo, cosa che provocò una viva e rabbiosa reazione da parte degli studenti siciliani, i quali occuparono l’ateneo della città.

Nacque dunque, nel corso del mese di gennaio, una mobilitazione generale di portata nazionale, che Luigi Manconi e Marino Sinibaldi descrissero comme uno "strano movimento di strani studenti ", nella quale vennero implicati, oltre alle organizzazioni studentesche, la stragrande maggioranza dei liceali e numerosi giovani operai e disoccupati.

Lo scatto d’ira e di protesta divampò molto rapidamente nel paese, contro quella che venne percepita come una riforma elitista, mirante a ristabilire il vecchio modo selettivo e conseguentemente antidemocratico, che avrebbe di nuovo impedito o almeno limitato l’accesso all’insegnamento superiore e ai diplomi universitari agli strati sociali più modesti e popolari.

L’università venne definita, dal movimento studentesco, come la centralità dell’organizzazione di un sistema arcaico, opaco e ermetico in mano ai " baroni ", cioè i docenti universitari.

Un sistema basato sull’esclusione, concepito e elaborato per regolare e controllare il flusso e il rinnovamento del ceto accademico e della cultura, in un certo senso del potere culturale, politico e finanziario.

Si accentuò via via la volontà evidente da parte degli studenti di " rovesciare la gerarchia del comando sui processi di selezione e di stratificazione in quanto corrispondenti ad altrettanti processi di disaggregazione e di esclusione… ".

Tuttavia, ridurre il ruolo, la funzione e l’immagine dell’università durante il 1977, all’unica opposizione tra gli studenti e il corpo insegnante, significherebbe dimenticare che per il movimento, l’ateneo simboleggiò anche il luogo unico in cui si concentrò una delle rare forme di ricomposizione e di aggregazione, dove i giovani, studenti o meno, si ritrovarono "per discutere della loro condizione di forza-lavoro", delle loro angosce e dei loro problemi e tentarono di risolverli col dialogo e l’azione politica comune.

Ma questo desiderio di espressione e questa prospettiva politica costruttiva furono resi rapidamente quasi irrealizzabili dai dissensi interni che dilaniarono le varie componenti del movimento e dalla propensione dell’Autonomia di imporre prepotentemente, durante le assemblee, i suoi orientamenti e le sue scelte politiche.

Questo provocò il disimpegno massicio di un numero importante di studenti, che scelsero di non subire e/o non sostenere la deriva radicale, ideologica e a volte terroristica di alcuni gruppi dell’autonomia.

Da questo momento in poi, il nucleo centrale del movimento, si sfasciò e cominciò ad andare progressivamente alla deriva.

Quest’ondata di contestazione venne macchiata sin dall’inizio dalla violenza dei gruppi dell’ala dura e estremistica dell’autonomia, per lo più romana, abbinata alla sistematica presenza delle formazioni terroristiche durante i cortei e le dimostrazioni.

La presenza delle Br e di Prima linea ad ogni sfilata studentesca, insieme al radicalizzarsi estremo delle rivendicazioni, dei mezzi di protesta e di lotte, finirono nell’arco di due mesi coll’indebolire fortemente il movimento.

Possiamo situare l’inizio dello scontro di massa e del processo di aggregazione, il quale segnò anche quello dell’autodistruzione del movimento, nell’episodio del comizio di Luciano Lama a Roma.

Questo evento clou tradusse più di ogni altro, l’incomprensione, il disprezzo e l’incomunicabilità che opposero il movimento giovanile da una parte, il Pci e i sindacati dall’altra.

Durante il mese di febbraio e in modo ancora più significativo il mese di marzo, " le forze che si erano espresse nel movimento, non erano più attrici del processo, ma ne diventavano testimoni e vittime ".

L’eterodossia, la sovversione e la contestazione politiche vennero superate e cancellate dalla violenza, che impedì tra l’altro lo sviluppo e il protrarsi del dibattito di idee iniziato col movimento del ‘77, fino a renderlo marginale per l’opinione pubblica e i mass-media.

L’interpretazione comune più diffusa nel 1977, cioè quella delle due società di A.Asor Rosa, venne sostituita da una definizione onnicomprensiva, monolitica e deforme del composito, complesso ed eteroclito movimento di protesta.

La chiave interpretativa e l’analisi nelle quali fu circoscritto il movimento, non tennero conto del doppio aspetto della violenza nel 1977, cioè terroristica, ma anche e soprattutto contestataria. Quest’amalgama e questo fraintendimento, allo stesso tempo concettuale e sociale, permise, anzi favorì una repressione sistematica generalizzata, quindi il rifiuto categorico di mediazione da parte dello Stato.

Secondo alcune teorie, il terrorismo brigatista ebbe l’effetto inverso di quello previsto, perché legittimò la repressione che colpì il movimento del ‘77, forse per analogia e/o semplificazione della disastrosa situazione sociale, di cui il movimento era la prova visibile e il riflesso.

Il declino rapido della protesta, non significò, però, la sua morte effettiva. In effetti i dissensi interni e la violenza sempre più dura e incoerente dello scontro, avevano per esempio spinto gli indiani metropolitani e i gruppi femministi, a autodefinirsi come " corrente trasversale " del movimento, e a rifiutare di andare più avanti sul piano politico.

Quantunque fosse in via di dissoluzione già dal mese di aprile, la fine avvenne solo al convegno di settembre di Bologna, di fronte all’impossibilità di conciliare le diverse componenti del movimento e di fronte all’aperta ostilità dei gruppi dell’autonomia, soprattutto romana, di accettare una qualsiasi partecipazione delle donne e dei " creativi " al dibattito.

Dal canto loro, i trasversalisti e la parte creativa nel suo insieme, scelsero di organizzare un controconvegno.

Invasero le strade, dando vita e luogo ad un vero e proprio festival di teatro avanguardista e ad una festa che raggruppò la più grande parte dei seguaci presenti nella capitale emiliana.

Dopo il convegno, il maggior numero degli studenti disertarono i cortei e si distaccarono dal movimento, il quale simboleggiò per un’intera generazione l’unica occasione, ma anche il solo pretesto e momento in cui si impegnarono politicamente, socialmente e associativamente.

Lo vedremo nei seguenti capitoli dedicati alle sue diverse componenti : il movimento del ‘77, con le sue numerose richieste, le sue aspettative e le modalità di espressione, impose per quasi nove mesi, un’incontestabile dinamica al dibattito civile.

 

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