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La rinascita dei partiti politici

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Alla vigilia dell’arresto di Benito Mussolini, il 25 luglio 1943, il processo di riorganizzazione dei partiti politici antifascisti è già in corso. Le forze che faticosamente provano a riorganizzarsi sono le stesse dell’epoca prefascista, con la sola novità del Partito d’Azione. Ma lo scenario sociale, politico ed istituzionale è radicalmente mutato.

La caduta del fascismo ha causato un vuoto di consenso e una crisi di identità negli italiani, che la chiesa cattolica può colmare meglio di chiunque altro grazie al proprio bagaglio di valori profondamente radicati in tutti gli strati della popolazione e al sistema delle parrocchie e all’Azione Cattolica, le uniche organizzazioni capillarmente diffuse su tutto il territorio sopravvissute durante il ventennio fascista. A sfruttare questi elementi, per tradurre i valori del cattolicesimo in forza politica, è la Democrazia Cristiana. Erede del Partito Popolare di don Luigi Sturzo, la Dc si propone come partito dei cattolici, anche grazie all’abilità politica del suo leader Alcide De Gasperi e al ruolo svolto in Vaticano da Montini.

Il Partito Liberale, che agli occhi dell'opinione pubblica si porta sulle spalle il peso storico di aver causato la crisi che ha permesso l’avvento del fascismo, non riesce a trasformarsi in un grande partito di massa. I liberali infatti, pur essendo portatori di ideali profondamente radicati nell’elettorato, non riescono a coagulare intorno a sé un vasto consenso popolare. Anche perché, personaggi come Benedetto Croce, sono ancora legati ad una anacronistica visione elitaria della Politica.

Anche il Partito d’Azione, fondato a Roma nel luglio del 1942, è portatore di una visione elitaria del confronto politico, ma finalizzata alla cosiddetta "rivoluzione democratica". Questo partito è l’erede del movimento antifascista fondato dai Fratelli Rosselli, Giustizia e Libertà, ma oltre ai rosselliani raccoglie al proprio interno tendenze politiche eterogenee, dal liberalismo classico al socialismo. Si propone come partito-guida dell’antifascismo e perciò è destinato a scomparire con la fine del periodo dei governi di unità nazionale. Pur avendo un forte legame col mondo degli intellettuali infatti, come il Partito Liberale, non riesce ad instaurare un raccordo col corpo elettorale.

A sinistra, sopravvivono due partiti, quello Comunista e quello Socialista. Durante il ventennio fascista, il Partito Comunista ha mantenuto clandestinamente in patria una propria struttura e perciò la sua riorganizzazione è più agevole. Nell'immediato dopoguerra, la linea politica adottata da Togliatti è caratterizzata dalla cosiddetta doppiezza: da un lato la preoccupazione di "farsi accettare", cioè di non esasperare lo scontro politico per accreditarsi come partito democratico di massa degno di partecipare ad una libera competizione politico-elettorale, dall'altro il fine ultimo della lotta per l’affermazione del comunismo. Mentre la base auspica ancora la rivoluzione, i vertici del partito ne comprendono l’impossibilità e imboccano la via moderata e quindi l'alleanza con gli altri partiti (a partire della svolta di Salerno).

 

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Il 25 luglio '43

I partiti antifascisti

 

   

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