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La rivoluzione russa

  La fine dei Romanov: la guerra civile

Gli ultimi Romanov pagarono dunque a caro prezzo la sconvolgente guerra civile che, dalla conquista del potere da parte dei bolscevichi, stava dilaniando sempre più una Russia già distrutta dalla fame e dalle carestie.

In effetti fin dalla fine del 1917, gruppi di ufficiali fedeli all’imperatore, forti anche dell’appoggio dei movimenti indipendentisti nati in Caucaso, Ucraina, paesi Baltici, cominciarono ad organizzarsi al fine di abbattere il costituito potere degli uomini di Lenin:

il giorno di natale del 1917, il generale Kornilov assumeva il comando delle armate contro-rivoluzionarie, radunate per iniziativa dell’ex capo di stato maggiore dello zar Mihail Vasilevic Alekseev e cui aderirono i cosacchi.

Dopo una prima fase di ripetute sconfitte, caratterizzata da una ritirata che sarebbe stata ricordata come "la marcia del ghiaccio" e dopo la morte, in battaglia, dello stesso Kornilov, le armate bianche trovarono grande slancio nell’iniziativa del nuovo comandante supremo Anton Ivanovic Denikin e del cosacco Petr Nikolaevic Krasnov ; sotto la loro direzione l’esercito contro-rivoluzionario lanciò una poderosa offensiva, in grado di sbaragliare le forze bolsceviche e di conquistare la Russia meridionale, anche grazie al supporto delle truppe inviate da Francia, Inghilterra, Stati Uniti.

I rivoluzionari si trovavano in situazione di grande difficoltà anche ad oriente, per l’inesorabile avanzata degli uomini dell’ex comandante della flotta del Mar Nero, Aleksandr Vasilevic Kolcak, mentre un altro esercito bianco, condotto da Nikolaj Nicolaevic Judenic premeva verso Pietrburgo, la città simbolo del deposto potere zarista.

Verso la fine del 1918, la situazione per i bolscevichi era drammatica e il potere di Lenin sull’orlo del collasso: i bianchi avanzavano ovunque e l’esercito rivoluzionario era apparentemente impotente; esso era stato plasmato ed organizzato dal braccio destro di Lenin, Lev Trotskij, assumendo un nome destinato ad assurgere a grande notorietà e ad entrare nella storia: fu proprio a tutela della rivoluzione, nella guerra civile, che nacque infatti l’Armata Rossa.

 

Ciononostante, come detto, nulla e nessuno sembravano in grado di fermare i generali zaristi, anch’essi certi della vittoria, tanto che lo stesso Kolcak, sulla spinta dei continui trionfi militari, che lo portarono alla conquista anche della stessa Ekaterinburg, si autoproclamò capo supremo di tutta la Russia.

Con l’armata rossa stretta in una implacabile morsa, i controrivoluzionari commisero però un errore fatale, quello stesso errore che poco più di 20 anni più tardi avrebbe commesso, durante l’"operazione barbarossa", il fuhrer del III reich Adolf Hitler.

In effetti gli eserciti filo-imperiali, invece di conquistarsi il favore di una popolazione già dubbiosa circa i reali risvolti della rivoluzione bolscevica e circa il suo reale significato, agirono con una ferocia e una violenza inaudita, dando il via al cosiddetto "terrore bianco", sinonimo di stragi e deportazioni, talmente grave da far passare in secondo piano e da far dimenticare, agli inermi cittadini, le già gravi angherie perpetrate dalle forze rivoluzionarie, ora in ritirata, tra cui, in primis, il già enunciato sterminio della famiglia imperiale; coloro che apparivano come liberatori, si ersero, agli occhi della gente, a feroci carcerieri, in un contesto allucinante, in cui il cosiddetto terrore "rosso" della ceka, aveva lasciato spazio e palcoscenico, al sopraccitato "terrore bianco".

Inoltre, dopo averli inizialmente legittimati, per ragioni di opportunità, i generali zaristi disconobbero e frustrarono i movimenti indipendentisti che si erano formati in varie regioni dell’immenso paese.

Infine numerosi strati sociali temevano la vittoria dei bianchi per una restaurazione del potere zarista che li avrebbe potuti ricondurre alle agghiaccianti condizioni di vita di servitori dei grandi proprietari terrieri.

Per tutti questi motivi e per la contestuale riorganizzazione dell’armata rossa, dalla fine del 1919, prese corpo l’inarrestabile riscossa bolscevica:

le armate bianche, scosse da numerosissime diserzioni di giovani ammaliati dalle sirene rivoluzionarie, vennero ripetutamente sbaragliate; nel febbraio 1920 il comandante Kolcak, che solo pochi mesi prima sembrava destinato al trionfo, fu catturato e fucilato, Judenic, dopo aver tentato la conquista di Pietroburgo, venne respinto dall’armata rossa e costretto a rifugiarsi in Estonia, mentre Denikin, attaccato in Ucraina, non trovò di meglio che ripiegare in Crimea, ove la popolazione locale lo accolse con ostilità, avendo i bianchi represso, nei primi mesi di guerra, ogni tentativo di indipendenza della regione; Denikin, depresso per l’imminente capitolazione, lasciò il comando dei suoi uomini e partì per l’esilio.

Nel frattempo la Polonia, approfittando della guerra civile, aveva attaccato la Russia dilaniata, ma l’armata rossa, dopo lo sbigottimento iniziale, alla guida del maresciallo Tuhacesvkij, lanciò una potente controffensiva.

Sul fronte interno il generale Wrangel, subentrato a Denikin, tentò il tutto per tutto, con una disperata azione militare, ma la conclusione della pace di Riga con la Polonia, permise ai bolscevichi di attaccare in massa e di avere la meglio; a Wrangel e ad un esercito bianco ormai in rotta, non restò altro che imbarcarsi verso Costantinopoli e di abbandonare, pertanto, la madrepatria..

Al termine di un drammatico conflitto civile, nel 1921, fatto di orrori e sofferenze, caratterizzato dal cosiddetto "terrore rosso e bianco", la rivoluzione comunista aveva definitivamente trionfato, con la sconfitta dei contro-rivoluzionari e con la nascita dell’ Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

 

 

 

 

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