Italia in guerra
Economia e guerra
I
pescecani
di Maurizio Attanasi
La situazione economica italiana vive un momento di
depressione legato ad un quadro mondiale negativo nel 1904-1905. Questa situazione si
aggrava per lItalia nel 1907 con il terribile terremoto che scuote Reggio Calabria e
Messina e che dissesta ulteriormente il già provato bilancio dello stato italiano
(distruzione in una notte di non meno di 4 miliardi di ricchezza privata fonte Cabaita in
G. Porosini, Il capitalismo italiano nella prima guerra mondiale).
In un panorama così provato il regno dItalia si imbarca in
guerra coloniale per conquistare la quarta sponda. Nell1911-12 lItalia
combatte contro limpero ottomano per Tripoli e la Libia. La guerra sarà un piccolo
laboratorio di quello che accadrà, poi, in misura molto più ampia con la prima guerra
mondiale, con laffacciarsi nellaffaire guerra di industrie che grazie
allo sforzo bellico vedranno crescere i propri profitti, la propria potenza
politico-economica; il deficit dello stato si aggraverà di circa due miliardi di lire.
Lo scoppio della guerra
Lo scoppio della guerra nel giugno 1914 assesta in un primo momento un
colpo gravissimo alleconomia; si verificano subito problemi con le importazioni e
poi arrivano le misure restrittive al commercio imposte dal governo, successivamente
attenuate, per cui cè una limitazione anche alle esportazioni. Ma successivamente
la situazione migliora e lItalia inizia a trarre qualche minimo beneficio dalla sua
posizione di neutralità.
Ma il movimento intenso, dietro le quinte, degli stati già coinvolti
nel conflitto (soprattutto Francia e Germania) che cercano di tirare lItalia
nelluno o nellaltro campo raggiunge il suo scopo quando nel 1915 lItalia
dopo le radiose giornate di maggio dichiara guerra allAustria per quella che viene
presentata come la quarta guerra di indipendenza.
LItalia allo scoppio della guerra è fondamentalmente un paese
agricolo, con una industria ancora poco competitiva e con alcuni suoi settori chiave
dominati da capitali stranieri (notevole, ad esempio, la presenza di capitale tedesco nel
settore delle energia e della nascente chimica).
Il governo italiano si trova a confrontarsi con realtà che hanno una
diversa forza economica e industriale. Nel 1913 la produzione di acciaio era di 900 mila
tonnellate contro i 17 milioni e 600 mila della Germania, i 7 milioni e 800 della Gran
Bretagna e i 4 milioni e 600 della Francia cifra analoga a quella prodotta dalla Russia.
Nella produzione di ghisa il divario era ancora maggiore con lItalia che produceva
circa 427 mila tonnellate un quinto di quanto prodotto dallAustria Ungheria,
un decimo di quello che produceva la Russia zarista.
Arriva, comunque, il maggio del 1915 e lItalia è in guerra. Lo
stato si trova a doversi organizzare in maniera nuova per adeguare il proprio esercito
alle esigenze dello sforzo bellico. In questottica i controlli della pubblica
amministrazione nei confronti delle aziende fornitrici vengono ad essere molto più labili
che in situazioni di pace; in alcuni momenti cruciali del conflitto questo
"controllo" viene quasi a sparire del tutto.
LoSstato nellorganizzarsi per razionalizzare lo sforzo produttivo
nel periodo bellico arriverà a creare nel 1915 il ministero delle armi e munizioni;
ministero che oltre al gabinetto del sottosegretario, ha due uffici per le ispezioni e per
le richieste, tre ripartizioni (servizi generali, mobilitazione industriale, servizio
tecnico armi e munizioni) e tre direzioni (artiglieria, del genio e aeronautica).
La ripartizione che incideva maggiormente nella programmazione
dellattività bellica dello Stato e, in cui, più stretti erano i rapporti con i
privati era quella per la mobilitazione industriale. Ad essa compete "di determinare
gli stabilimenti da considerare "ausiliari", di agevolare il coordinamento delle
attività di questi con lattività degli opifici militari, di intervenire nelle
controversie economiche e salariali fra dirigenti e personale, autorizzare "le
dimissioni, i licenziamenti ed i passaggi di personale fra luno e laltro
stabilimento, sorvegliare il lavoro delle maestranze minorili e femminili, nonché
occuparsi delle scuole, del tirocinio dei nuovi operai, delle garanzie igienico sanitarie
sul lavoro". (pg 127 G. Porosini, Il capitalismo italiano nella prima guerra
mondiale)
In questi comitati un ruolo importante verrà assunto dagli industriali
che con questi contatti riusciranno a stringere accordi e posizioni migliori per le
proprie industrie.
La grande mobilitazione richiesta per la guerra non fu solo in termini
umani con la richiesta di migliaia di combattenti per diventare la "carne da
macello" che verrà sacrificata nelle trincee, ma fu anche mobilitazione
delleconomia. Lo Stato, non solo in Italia, ma in tutta Europa vedrà crescere il
proprio ruolo in maniera esponenziale, assumendo dovunque una deriva autoritaria con la
limitazione o sospensione delle pratiche e delle prassi della democrazia
borghese-parlamentare.
Per dare un senso della crescita delle competenze e degli impegni dello
Stato in Italia il numero dei dipendenti della pubblica amministrazione passò da 339 a
519mila unità.
Intervento "totalizzante" , quindi, dello Stato che gestiva
ora più direttamente la vita dei cittadini: chiede agli italiani di sottoscrivere diversi
prestiti obbligazionari per sostenere la guerra, rastrella i risparmi del pubblico.
"Nel settore dellagricoltura, il governo interviene con calmieri, requisizioni,
incoraggiamenti, obblighi di lavoro e di produzione , tesseramenti, minacce di confische.
Per accrescere la produzione promette ai contadini somme in denaro proporzionate
allentità dei raccolti, si impegna a pagare contributi a coloro che dissodano
terre, bandisce concorsi a premi a favore di quei proprietari che effettuano semine
primaverili. Per tutta la durata della guerra promuove ed organizza ed impone coltivazione
di terre e trasformazioni colturali e nei periodi di più intenso lavoro nelle campagne
disciplina gli esoneri e la concessione di manodopera militare." (Porosini, Il
capitalismo italiano nella prima guerra mondiale)
L'industria di guerra
Ma il campo dove la prima guerra mondiale produsse una situazione molto
particolare fu lindustria. Abbiamo detto che lItalia era un paese arretrato
non solo nei confronti dei principali paesi ostili (Austria-Ungheria e impero tedesco) ma
era lontana anche dai paesi alleati (Usa, Francia e Gran Bretagna). Lo stato perciò
decise di intervenire in maniera consistente in questo settore non solo come era accaduto
per lagricoltura con prezzi calmierati o con limitazioni alle importazioni ed
esportazioni ma volle intervenire direttamente nella produzione e nella programmazione di
svariate attività (materiale bellico, cantieristica, trasporti e più in generale nella
siderurgia e nella metallurgia) creando in alcuni casi direttamente impianti.
Quando lapprovvigionamento delle materie prime per le industrie
si rivela scarso e difficile, assoggettata a controllo il relativo commercio, "rende
obbligatoria la denuncia della disponibilità, fissa i prezzi dimperio, acquista
direttamente dallestero (o requisisce allInterno) i materiali necessari,
privilegia il consumo bellico con divieti di vendita non autorizzata dalle amministrazioni
militari. Per il carbone importa direttamente da paesi stranieri, adotta provvedimenti
tendenti a stimolare la produzione di quello nazionale e promuove economie di
consumo." (Porosini, Il capitalismo italiano nella prima guerra mondiale)
A tal scopo si individuano industrie che vennero definite
"ausiliare", su cui lo stato esercita un controllo maggiore, anche nei confronti
degli operai ma che beneficiavano in maniera privilegiata nellapprovvigionamento di
materie prime, fattore non trascurabile man mano che il conflitto renderà più difficile
reperire tali risorse, e avevano più facilità nellaggiudicarsi le commesse dello
stato.
Gli stabilimenti industriali coinvolti e dichiarati
"ausiliari" erano 125 nel 1915 con 115 mila operai; 1976 nel 1918 con oltre 900
mila operai (inclusi una sessantina di stabilimenti militari).
La prima guerra mondiale rappresenta, quindi, loccasione per
lindustria italiana di fare il balzo e in molti casi di emanciparsi dalle ingerenze
stranieri presenti nella penisola. La "grande guerra" vedrà (e la nostra
attenzione si focalizzerà sui maggiori gruppi industriali) un aumento di capitale per le
maggiori industrie costante dal 1914 fino a dopo la fine del conflitto, una crescita della
produzione, del numero della forza lavoro, delle dimensioni stesse delle aziende che
vedranno il moltiplicarsi degli stabilimenti.
Il proletariato e la guerra
Le profonde trasformazioni non riguardano solo lattività degli
imprenditori. La guerra muta profondamente anche il proletariato italiano.
LItalia già dal 1914, ma la situazione peggiora notevolmente con
lentrata in guerra e sarà una costante degli anni di guerra, assiste ad una forte
svalutazione della moneta e quindi ad una forte perdita del potere di acquisto del
salario. Questa diminuita capacità di acquisto viene aggravata dalla penuria di mezzi che
nel corso di quegli anni sarà sempre maggiore.
La classe operaia sarà profondamente trasformata. Se è vero che gran
parte della "carne da cannone" che percorrerà le trincee sarà formata da
contadini, anche il proletariato industrializzato darà un contributo fondamentale
allesercito.
Le esenzioni dallandare al fronte, prevista dallo stato per
alcune figure professionali dellindustria, spingerà molti commercianti e piccoli
borghesi a cercare un lavoro in una industria al fine "di imboscarsi". E alcuni
giornali socialisti dellepoca non mancheranno di sottolineare la peculiarità della
nuova classe operaia e stigmatizzare la volontà del piccolo borghese a "diventare
operaio".
Lo Stato promulga una "speciale legislazione di guerra" che
va a modificare le norme regolatrici dei turni di lavoro domenicali e del riposo,
permettendo agli industriali di reclutare decine di migliaia di donne "senza le
usuali garanzie; di concentrarle in stabilimenti spesso inadatti e improvvisati, di
occuparle molte ore al giorno e della notte in dispregio alle norme consuete; di
moltiplicare ed di generalizzare ore di lavoro supplementari; di adottare misure di
estrema gravità per evitare le assenze collettive e individuali dalle fabbriche, i
rifiuti di obbedienza, le minacce; di comminare pene severe anche a donne e bambini"
(Porosini, Il capitalismo italiano nella prima guerra mondiale)
Si vennero a creare quattro "figure giuridiche" di operaio:
gli "operai militarmente comandati" a disposizione del comando territoriale; gli
operai militari, in virtù di mansioni speciali che svolgono; gli operai
"borghesi" senza obblighi militari; le donne e i ragazzi (Vittorio Castronovo, Giovanni
Agnelli).
E sono proprio questi due soggetti che contribuiscono a modificare
ulteriormente la classe operaia; con un lavoro minorile quantitativamente in forte aumento
(il limite dei 15 anni non viene mai rispettato) mentre la presenza femminile arriverà a
toccare alla fine della guerra le 180 mila unità.
La presenza delle donne è massiccia soprattutto nelle industria
pesante, dove vengono dirottate le operaie già impiegate negli stabilimenti tessili.
"La manodopera negli stabilimenti militari venne militarizzata,
quella degli stabilimenti ausiliari venne assoggettata a un pesante regime disciplinare
(sospensione di tutte le conquiste sindacali a cominciare dal diritto di sciopero) orari e
cottimo in funzione dellemergenza, multe e licenziamenti per donne e ragazzi,
disciplina militare per gli uomini (prigione, processi e invio al fronte). Da questo punto
di vista soltanto gli operai austriaci vennero trattati come gli italiani, negli altri
paesi la disciplina di fabbrica venne mantenuta senza militarizzazione." (Mario
Isnenghi Giorgio Rochat, La grande guerra 1914-1918, La nuova Italia 2000)
La legislazione adottata dal governo durante la guerra porta alla
soppressione di norme che tutelavano la sicurezza degli operai; "Alcuni comitati
regionali segnalavano ben presto laumento degli infortuni, imputandolo non solo al
deterioramento dei macchinari e alla inesperienza, ma anche allesaurimento
degli operai".( Porosini, Il capitalismo italiano nella prima guerra mondiale)
Le rivendicazioni operaie si faranno sentire nel 1917 quando con il
crollo di Caporetto e con quello che sembra imminente dello stato, le privazioni, le
sofferenze patite per tanti anni faranno esplodere il malcontento (in quei giorni alcune
città rimangono prive di viveri per carenze di approvvigionamenti).
Gli scioperi del 1917-18 che si verificarono in Italia furono meno
consistenti di quelli avuti in Germania o in Gran Bretagna (qui lattività sindacale
non venne mai bloccate dalla guerra).
Già dai primi anni di guerra si scatenano voci su gli enormi profitti
che le grandi industrie vanno accumulando in quelle circostanze, in cui, sacrifici e
privazioni vengono imposte a tutti. Tale questione sarà sollevata sia da parte socialista
(lordine nuovo di Torino parlerà di pescecani che si aggirano tra i banchi del
parlamento) ma anche da parte dei giolittiani (anche se queste critiche saranno
interessate in quanto i seguaci dellex presidente del consiglio attaccheranno in
particolare la Fiat che era passata da posizioni neutraliste ad un atteggiamento più
dichiaratamente bellico il vicepresidente era nel consiglio di direzione
dellIdea nazionale, noto quotidiano interventista) e da parte di esponenti liberali
che sottolineavano come la discrepanza economico-sociale nel paese stava aumentando in
misura rischiosa per la stessa sopravvivenza dello stato.
"Nelle industrie belliche a produttività crescente, la forte
lavorazione ha permesso la formazione di facili e poderosi profitti, derivanti non meno
che dallaumento dei prezzi, dalla diminuzione dei costi a mano che la produzione in
serie aumentava. Di tali giganteschi guadagni si sono avvantaggiati, più ancora che le
società industriali, i singoli dirigenti , i commercianti , gli intermediari, con le loro
partecipazioni, talora modeste ma diffuse su una larga massa di unità fabbricate o
vendute." (Porosini, Il capitalismo italiano nella prima guerra mondiale)
Di questo si occuperanno anche saltuariamente le autorità dello stato
che apriranno inchieste su singole aziende; una indagine complessiva dellintera
condotta dellindustria e più in generale del mondo imprenditoriale nel corso del
conflitto mondiale sarà effettuata dal parlamento nel 1923 (Relazione della commissione
parlamentare dinchiesta per le spese di guerra 6 febbraio).
"Abolito ogni calcolo di costi ci si gettò alla moltiplicazione
del prodotto, sotto lo stimolo degli alti prezzi garantiti dalle forniture belliche. I
profitti medie delle anonime, che erano del 4,26% alla vigilia del conflitto, balzano nel
1917 al 7,75%; e ancor più significativi gli incrementi nei settori più direttamente
impegnati nella produzione bellica. Così i profitti siderurgici salgono al 6,30 % al
16,55%; quelli dellindustria automobilistica dall8,20% al 30,51%; gli utili
dei fabbricanti di pellami e calzature dal 9,31 al 30,51%; quelli dei lanieri dal 5,18% al
18,74%; quelli dei cotonieri, che ancora alla vigilia del conflitto si dibattevano in una
gravissima crisi, da -0,94 al 12,27%; quelli dei chimici dallo 8,02 al 15,39%; quelli
dellindustria della gomma dall8,57% al 14,95%." (Rosario Romeo, Breve
Storia della grande industria in Italia 1861-1961, Cappelli).
"Il settore metalmeccanico si sviluppa in una sorta di forzato
isolamento autarchico, con effetti positivi in termini di maturazione di autonome
conoscenze tecnologiche da un lato e negativi dallaltro , per quanto concerne
lattenzione al controllo dei costi , che non è certo al centro delle preoccupazioni
degli imprenditori in quel momento .Altro elemento caratterizzante levoluzione
delleconomia italiana è il processo di concentrazione oligopolista che vede
emergere alcune società oltre allAnsaldo, particolarmente lIlva e la fiat,
che diversificando la loro produzione abbracciavano nuovi campi di attività." (Pg
100 Doria, Ansaldo limpresa e lo stato, Franco Angeli Editore)
Le industrie principali di quegli anni
Vediamo quindi alcuni dei principali soggetti di quegli anni che hanno
dominato la scena economica e sono stati tra i maggiori soggetti coinvolti con le commesse
dello stato.
Agli inizi del 1914 la Fiat era al 30° posto tra le
aziende italiane e rappresentava il 50% del contingente autovetture nazionale. Legata agli
ambienti giolittiani era su posizioni neutralista. La crisi del 1907 aveva portato un
rafforzamento delle banche (banca commerciale in testa).Nel 1914 perde le commesse della
marina tedesca, in seguito al mutato clima internazionale. La situazione è grave; la
posizione neutralista viene modificata dallatteggiamento assunto dal vicepresidente
Ferraris che si avvicina agli ambienti nazionalisti del quotidiano lIdea Nazionale;
posizione che irrita gli ambienti della banca commerciale. Il Ferraris in seguito
allatteggiamento della Commerciale si allontanerà dal quotidiano nazionalista. Nel
1914 non riesce la collocazione sul mercato di un prestito obbligazionario per la Fiat San
Giorgio (società deòg ruppo) e il prestito viene assunto in toto direttamente dalla casa
madre.
La Fiat aveva già collaborato con lo Stato in occasione della guerra
libica; nel 1915 oltre che con il miglioramento dei mezzi di autotrasporto, la Fiat
raggiunge una grande specializzazione nella produzione delle mitragliatrici e di
esplosivi. Tra il 14 gennaio e il 31 agosto del 1915 una nuova ingente massa di
ordinazioni militari per circa 55 milioni si era riversata sulle controllate del gruppo.
La legislazione speciale introdotta dopo la proclamazione della guerra
farà si che tutto il personale addetto agli stabilimenti sarà soggetto alla
giurisdizione militare, con gli operai sorvegliati dai militari e dai carabinieri.
"Entrando alla Fiat - scriveva lAvanti del 22 marzo 1916-
gli operai devono dimenticare in modo più assoluto di essere uomini per rassegnarsi ad
essere considerati come utensili" (pg 81 Vittorio Castronovo, Giovanni Agnelli,
Einaudi 1977), garantendo con questo sfruttamento lincremento senza precedenti del
rendimento della manodopera.
Nel 1916 viene stipulato tra lazienda e il sindacato un
concordato a cui, però, erano contrari i lavoratori a causa dei ritmi di lavoro ritenuti
da questi micidiali e alle manipolazioni coercitive. La situazione si aggrava ancora di
più quando in seguito alla strafexpidetion del maggio la perdita di tanto materiale, e
quindi la sua sostituzione chiese un ulteriore sforzo di produzione.
Nel 1917 avvengono le manifestazioni operaie a Torino in cui si chiede
la pace che ponga fine alle restrizioni e alle privazioni che il proletariato vive; in
seguito a questi episodi, su pressioni anche della casa Torinese, il governo proclama
Torino zona di guerra riducendo libertà e diritti dei sudditi italiani.
Nello stesso anno avviene lincorporazione nella Fiat di diverse
società (società ferriere piemontesi, società industrie metallurgiche).
Nel 1916 ci furono voci di scalata allazienda ad opera dei
fratelli Perrone del gruppo Ansaldo, anche se successivamente ci furono esperienze di
collaborazione tecnica tra le imprese. Il tentativo di scalata aveva portato la Fiat ad un
aumento del capitale sociale nella Fiat San Giorgio da 5 milioni e 500 mila a 22 milioni e
questo aveva di fatto impedito ai Perrone di entrare nella controllata Fiat.
Questo era avvenuto alla luce di un accordo per cui lAnsaldo si
sarebbe occupato di "cose di mare", mentre la Fiat si sarebbe occupata di
autotrasporti e ferrovie. Ma lacquisto di Fiat di altre aziende metallurgiche aveva
fatto saltare tutto.
Nel 1916 Fiat esportava 4000 motori in Inghilterra e Francia.
A giugno del 1918 Agnelli chiede un aumento di capitale trovando
lobiezione da parte di alcuni azionisti di minoranza. I Perrone approfittando degli
attriti avevano con lappoggio della Bis rastrellato numerose azioni. Ad ottobre del
1918 ci fu laumento di capitale.
Nel 1918 la Fiat effettua insieme con il finanziere Gualino la scalata
al credito italiano (istituto che aveva già cooperato con la Fiat) per rispondere al
tentativo di scalata, fallito grazie a mosse interne, alla banca Commerciale da parte dei
Perrone e della Bis che avevano elaborato questa mossa per mettere in crisi
listituto di piazza della scala che era il maggiore finanziatore dellazienda
di Torino.
Il nuovo tentativo fu bloccato nel 1919 con lappoggio
dellIlva di Max Bondi che contributi a recuperare azioni in mano alla Bis. Fiat e
Ilva firmarono un patto di sindacato con in pegno reciproco scambio di azioni; con questo
accordo inoltre veniva allontanata la Bis dal sindacato della Comit. Tuttavia
laccordo con lIlva durò solo pochi mesi sufficienti per far fallire il
secondo tentativo dei Perrone.
La Fiat subì già negli anni del conflitto lattacco degli
antichi referenti politici giolittiani venendo accusata di accumulare eccessivi profitti,
in un momento difficile per il paese. Lavvocato Giovanni Torelli, azionista di
minoranza della Fiat, pubblica sulla stampa nel marzo del 1916 un articolo in cui
affermava "I singoli direttori.. percepiscono centinaia di migliaia di lire ciascuno.
Ora nemmeno il comandante delle armate dItalia, nemmeno il presidente del consiglio
dei ministri ha questi favolosi stipendi
Questa guerra lascerà un mondo
sanguinante per molte rovine. Non è equo che persone privilegiate nella vita sociale
diano esempio di avidi, improvvisi, colossali lucri quandassistiamo ad una fioritura
meravigliosa di rinunzie e di sacrifici da parte degli umili e dei meno abbienti."
(p10 Vittorio Castronovo, Giovanni Agnelli, Einaudi 1977)
I guadagni della Fiat nel 1915 ammontavano a quasi il 90% rispetto al
capitale azionario.
"Due aumenti di capitale
erano serviti a porre al riparo da
ogni eventuale provvedimento fiscale di indole corretti a, i cospicui profitti accumulati
dalla fiat nei primi sei mesi di guerra
Il decreto luogotenenziale del 7 febbraio
1916
. Aveva inteso limitare, a partire dallesercizio del 1915 per le società
anteriori al conflitto, il dividendo massimo all8% del capitale, salvo che
nellultimo triennio esso avesse superato tale limite, nel qual caso (cosi per la
Fiat la cui media era stata dell11% il nuovo dividendo poteva pareggiare il livello
triennale." (pg 90 p10 Vittorio Castronovo, Giovanni Agnelli, Einaudi)
La legge prevedeva che gli utili accantonati e non distribuiti ai soci
non fossero gravati da imposta di ricchezza mobile e non veniva esclusa la possibilità di
aggregare questo risparmio con il preesistente capitale sociale. Di tutte e due queste
ipotesi si avvalse la Fiat.
La Fiat fu sottoposta ad una campagna di accusa da parte de "la
Stampa" che condannava il patriottismo interessando della azienda degli Agnelli; la
campagna tornò utile, comunque, alla Fiat.
Il prezzo delle proprie azioni subii un ribasso cosi come quello di
diverse aziende metallurgiche che la Fiat stava per assorbire e che entrarono nella
società degli agnelli con costi minori.
La Fiat aveva nel 1914 4000 addetti che diventarono nel 1918 40510; gli
utili dichiarati moltiplicarono velocemente; il capitale sociale passava da 25 milioni e
mezzo del 1914 ai 128 milioni del 1918.
La Caproni rappresenta un caso particolare, ma non il
solo di quegli anni. Un piccolo laboratorio gestito dai fratelli Caproni diventò nel
corso del conflitto bellico una delle più importanti se non la più importante industria
nel nascente settore aeronautico. La Caproni riuscii come molte altre industrie ad
ottenere dallo stato garanzie, anticipazioni ed esclusione delle imposte sui
sovrapprofitti di guerra.
Ma ci furono anche pesantissime critiche sul lavoro della fabbrica
aeronautica che non si spensero neppure nel 1917 quando fu istituito il commissariato
generale dellaeronautica ufficialmente per dare vigore e ordine allo sforzo di
costruzioni, in realtà per limitare le voci di favoritismi e sperperi che si
diffondevano.
Nel 1918 la Caproni avrebbe dovuto consegnare 1 aereo al giorno a
partire dal 1 aprile; in ottobre aveva costruito una trentina. Dei 361 milioni di lavoro
commessi dallo stato rivendico la restituzione di 300 milioni.
LIlva nasce a Bagnoli agli inizi del 900 dalle
stesse imprese del gruppo Terni per produrre ghisa beneficiando della legge del 1903 che
prevedeva agevolazioni per larea di Napoli.
Nel 1911 si era visto affidare lesercizio degli impianti di
Piombino, Elba siderurgica, Ligure metallurgica e ferrerie Italiane.
Il referente creditizio del Consorzio era rappresentato da quella Banca
commerciale che sarà a più riprese oggetto di attacchi da parte del mondo industriale e
da settori degli ambienti politici nazionalisti accusata di essere una banca tedesca.
Nel periodo dal 1910 al 1915 LIlva produceva il 90 per cento
della lavorazione della ghisa in altoforno in Italia e i tre quinti della produzione
nazionale di acciaio.
La guerra portò ad una ulteriore crescita dellIlva.
"Nel solo ultimo anno di guerra il consorzio denunciava 300
milioni di capitale versato, circa altrettanto di impianti e attrezzature, 200 milioni di
partecipazioni e gli addetti al gruppo risultavano in numero di circa 50 mila" (G.
Porosini, Il capitalismo italiano nella prima guerra mondiale)
Nel 19 però lamministrazione militare vantava nei
confronti dellIlva 100 milioni solo per i casi di indebito lucro; cifra che venne
ridotto prima a 44 milioni e poi a definitivi 12 milioni circa di lire.
" La Società degli Altiforni, Acciaierie e Fonderie di Terni
venne fondata il 10 marzo 1884 per costruire e gestire impianti capaci di produrre acciaio
secondo le tecniche più avanzate in uso nei principali paesi industriali e col proposito
specifico di fabbricare le piastre necessarie alla corazzatura delle navi della Regia
Marina." (pg 3 F Monelli, Lo sviluppo di un grande impresa in Italia la terni dal
1884 al 1962, Einaudi 1975 )
La nascita della società è segnata da una commistione tra interesse
pubblico e privato. Lo stato per motivi di sicurezza nazionale non voleva dipendere
dallestero in un settore così vitale e delicato per lo sviluppo economico, ma anche
per un eventuale impegno bellico; gli industriali, daltra parte, in un paese ancora
fondamentalmente agricolo investivano in questi settori della nascente industria in
qualche modo garantiti dallintervento diretto o indiretto della protezione statale.
La Terni dal 1899 al 1904 è la storia dellalleanza tra interessi
borsistici, bancari e industriali che trovano in alcuni momenti nellimpresa il loro
punto di convergenza.
Per molti anni la Terni fu lunica referente
dellamministrazione militare italiana, producendo corazze, cannoni e proietti
perforanti. Tra il 1901 e il 1914 la quota della produzione nazionale di acciaio grezzo
spettante alla Terni si stabilizzò intorno al 5-6 % una percentuale esigua a prima vista,
ma rilevante se si pensa che con essa venne fabbricata una gran parte dei prodotti
siderurgici speciali che le imprese nazionali erano allora in grado di fornire.
La Terni fu in realtà un gruppo sui-generis. Di fatto fu unaltra
creatura della Banca Commerciale e dei suoi interessi. Monelli parla del gruppo Terni
"soltanto, come di un mero fatto di potere destinato ad avere ad un certo punto ad
avere una rilevanza più nellinfluenza esterna esercitata dai suoi dirigenti sulle
scelte di politica economica e finanziaria dei governi, che non per i risultati conseguiti
sul piano tecnico, industriale e finanziario." (pg 90 F Monelli, Lo sviluppo di un
grande impresa In italia la terni dal 1884 al 1962)
La Terni funzionò a pieno regime dalla fine del 15 e il suo ruolo fu
essenziale nella fase iniziale del conflitto perché assicurò i prodotti di base che
venivano lavorati negli stabilimenti statali e da altre imprese private quando ancora non
erano pronti i nuovi impianti della Ansaldo.
Un raffreddamento tra i rapporti tra stato e Terni si ebbero a ridosso
dellinchiesta sulla marina scaturita dalla violenta polemica che oppose il ministro
della marina Bettolo e il deputato socialista Ferri; inchiesta che, però, non porto a
nessun risultato concreto se non allabbandono del dicastero da parte del Bettolo, e
d'altronde la conclusione non poteva essere diversa visto che non vennero interrogati né
sentiti amministratori della società né persone ad esse appartenenti.
La macchina produttiva dellacciaieria produttiva esplicitò le
massime sue possibilità proprio tra il 1916 e il 1917. Durante il 18 lo sforzo
produttivo non rallentò ma laumento ulteriore della produzione non poté mantenere
il ritmo dei due anni precedenti; per ovvi limiti tecnici essendosi la terni impegnata
nellattività di produzione trascurando di creare una nuova capacità produttiva e
per crescenti scompensi organizzativi determinati dalle difficoltà di approvvigionamento
di materie prime soprattutto di combustibile.
Lo stato si rivelò un cliente difficile, non perché impedì di
spuntare ottimi margini di profitti ma perché concentrò sempre la sua spesa in pochi
esercizi, tardò altre volte a definire i particolari ordinati, in altri casi rinvio i
collaudi e tardo a pagare. Limpresa da parte sua pur di non lasciarsi sfuggire le
commesse procedette alla cieca si espose al rischio di errori di valutazioni nelle
previsioni dei costi da sopportare.
I crediti verso lo Stato permisero alla Terni di avere agevolazioni
nellottenere dalla Comit i fondi necessari.
"Il livello dei sovrapprofitti di guerra della Terni, sebbene
notevole, non fu trai più elevati; avrebbe potuto certamente essere maggiore se
limpresa avesse potuto lavorare da sola tutto lacciaio che fondeva." ( pg
117 F Monelli, Lo sviluppo di un grande impresa in Italia la Terni dal 1884 al 1961)
LAnsaldo fu senza dubbio uno dei soggetti più
coinvolti nelle complesse vicende societarie e in quella che qualcuno definì la guerra
parallela tra i grandi gruppi industriali.
I fratelli Perrone, che guidarono la società in quegli anni,
riuscirono a "vendere" così bene la loro immagine a tal punto che il generale
Cadorna affermò che senza lAnsaldo non sarebbe stata possibile la riscossa del
Piave.
La società Ansaldo si trasforma da accomandita in spa agli inizi del
900 fondendosi con la società Armstrong. Ferdinando Maria Perrone arriverà alla
direzione nel 1902; nel corso di un decennio la famiglia Perrone, nel frattempo sono
arrivati alla guida i figli Mario e Pio, riesce ad estromettere la Armstrong divenendo di
fatto il solo controllore della società.
Nel momento in cui scoppia la guerra lAnsaldo capisce che la
situazione può essere promettente, ma ha bisogno di capitali. Visto il panorama del
settore del credito con i maggiori Istituti (Credito Italiano, Banco di Roma, Banca
Commerciale) legati ai concorrenti i Perrone sono tra i principali artefici della nascita
della Banca Italiana di Sconto che vedrà la luce negli anni immediatamente precedenti lo
scoppio del conflitto e che si legherà a doppio filo allAnsaldo.
LAnsaldo ha nel 1914 un patrimonio industriale di 45 milioni di
lire che arriveranno alla fine del conflitto a 135,5 milioni; gli stabilimenti passano da
9 nel 1914 a 18 alla fine della guerra; i titoli di proprietà da 174 mila lire prima
dello scoppio della guerra a 40 milioni nel 1917; i dipendenti passeranno da diecimila a
più di 60 mila nel 1918 , anche se i Perrone parleranno di 80 mila.
Il capitale della società passerà da 30 milioni di lire a 500 milioni
nel 1918 (fonte Doria, Ansaldo limpresa e lo stato, Franco Angeli Editore)
con crediti vantati per 701 milioni di lire del 1918 a fronte di 300 milioni di debiti (la
situazione nel 1915 era di 19 milioni di lire di crediti e 23 di debiti diversi).
Nel corso degli anni 1914-1918 lAnsaldo si scontrerà con gli
altri gruppi italiani: uno dei primi scontri sarà contro la Fiat e porterà la società
dei Perrone ad acquisire la Fiat Sangiorgio, poi divenuta Ansaldo San Giorgio.
La presenza del gruppo torinese in alcuni settori venne ritenuta
inaccettabile e venne attaccata come fosse un nemico. Dapprima lAnsaldo cercò di
scalare la Comit per tagliare i fondi alla casa di Torino, tentando di raggiungere il
duplice scopo di sbarazzarsi di due nemici. Ma la scalata venne bloccata, e comunque la
Fiat era riuscita ad assicurarsi altre linee di credito entrando a controllare il Credito
Italiano. A quel punto i Perrone tentarono direttamente la conquista della società di
Agnelli. Ma anche questo tentativo andò male.
Le continue battaglie ingaggiate dai Perrone avevano lo scopo di creare
un complesso industriale che fosse un "sistema verticale a ciclo completo", già
"iniziato prima della guerra e durante questa portata a compimento, del sistema
verticale a ciclo completo composto di tre raggruppamenti industriali: il siderurgico
(materia prima, energia elettrica e semilavorati) il meccanico e il marittimo che si
integravano a vicenda". (pg 81 Anna Maria Falchero, La Banca Italiana Di Sconto
1914-1921, Franco Angeli Editore 1990)
Lo sviluppo integrale dellindustria dei fratelli Perrone prevede,
quindi, anche la conquista del settore elettrico. LAnsaldo già nel 15 soffre per le
temporanee diminuzioni dellerogazione di elettricità, fornitale dalla società
elettrica Negri e dalle Officine Elettriche Genovesi (oeg). Nei due anni successivi le
polemiche con la Negri, relativamente alla quantità erogata e ai prezzi, sono frequenti e
salgono di tono quando sul finire del 17 la Negri passa sotto il controllo della banca
commerciale. I Perrone, temendo di cadere vittime delle manovre dellistituto di
credito, reagiscono acquistando azioni della Negri e della stessa Comit. Uno dei tentativi
di scalata della Comit operati dai Perrone si conclude nel giungo del 918 con un accordo
che prevede, tra laltro, la cessione allAnsaldo di 50 mila azioni della negri;
Mario Perrone diviene presidente della negri e delle oeg che entrano a far parte del
gruppo Ansaldo insieme ad altre imprese elettriche controllate dalla Negri: la società
forze idrauliche della Maira, la società alto Po, la società idroelettrica ligure di la
Spezia, In tal modo i Perrone intenti alla realizzazione del complesso elettro-siderurgico
di Aosta, possono fondatamente ipotizzare la creazione di una grande rete di produzione e
trasporto denergia che copra larco alpino occidentale e quello appenninico e
alimenti un poderoso organismo industriale.
Le fonti a cui i Perrone avevano attinto le centinaia di milioni
necessari alla attuazione del loro programma erano sostanzialmente tre: la bis, che fini
col rappresentare il loro unico grande creditore; lo stato, che attraverso gli anticipi
sui lavori in corso, in percentuali crescenti, dal 67 al 75% delle somme dovute per
forniture militari (il che si traduceva in veri e propri finanziamenti governativi
ottenuti per questa via dalla società ligure); nonché gli obbligazionisti e gli
azionisti che sottoscrissero in due anni ben 70 milioni di nuove azioni e 100 milioni di
obbligazioni. Lo stato per parte sua tra il 15 e il 1917 ampliò la propria
esposizione creditizia verso la società ligure da 10 a 170 milioni di lire garantendo
inoltre i due aumenti di capitale effettuati dallAnsaldo tra il 16 e il 17 ed
assumendo le concomitanti emissioni di obbligazioni ipotecari. (pg 88 Anna Maria Falchero,
La banca italiana di sconto 1914-1921, Franco Angeli Editore 1990)
LAnsaldo manterrà, nonostante una discordanza nelle cifre,
"in aumento costante il volume della produzione che raggiunge i suoi massimi proprio
dopo il disastro di Caporetto: in un momento critico per le sorti della guerra, dunque
lAnsaldo può presentarsi come salvatrice della patria." (Pg 115 Marco Doria, Ansaldo
limpresa e lo stato, Franco Angeli Editore, 1989).
Da Doria vediamo che nel 1918 risultano (pg 103) numerose aziende
collegate nel gruppo nelle materie prime (ad esempio miniere di Murlo e di Cogne) e fonti
di energia (Negri e OEG), nella metallurgia (Fonderie e acciaieria Genova Cornigliano,
Stabilimenti siderurgici Aosta) nella meccanica (meccanico Genova Sampierdarena e
artiglieria Genova sampierdarena e Cornigliano, Sit torino) e nelle compagnie di
navigazione (Nazionale di navigazione e Translatantica Italiana).
Ultimo argomento da trattare parlando delleconomia e del
capitalismo italiano di quel tempo è il mondo creditizio.
Abbiamo già accennato alla nascita della Banca Italiana di sconto per
volontà anche dellAnsaldo, ma anche di ambienti politici (F.Saverio Nitti) che
volevano contrastare il ruolo che giocavano nellambito delleconomia italica
istituti di credito che in misura diversa erano accusati di essere stranieri (nello
specifico Banca Commerciale, e in misura minore anche il credito Italiano, vennero
accusati di essere banche "tedesche").
La Banca Italiana di Sconto (BIS) nasce nel 1914 successivamente si
fonde e incorpora altri due istituti di credito (società Bancaria, credito provinciale e
pgobank). La bis nasce con laiuto di capitali francesi per spostare lItalia,
ancora neutrale, su posizioni più favorevoli allintesa. Presidente del cda fu
nominato Guglielmo Marconi per motivi di prestigio e per cercare di ottenere finanziamenti
dagli Usa.
La Bis, al cui interno lAnsaldo aveva una posizione dominante,
possedeva il Secolo XXI di Genova, e aveva ottimi rapporti con Naldi, direttore de Il
resto del carlino; successivamente il neonato istituto di credito acquistò Il Messaggero
ed entrò nel capitale di Idea nazionale, quotidiano nazionalista. Con questi giornali
lAnsaldo-bis conduceva una campagna contro il tentativo da parte francese di scalare
la Comit (tentativo fallito) perchè voleva rimanere lunico referente della finanza
doltralpe.
"I primi anni di guerra si erano comunque rivelati estremamente
redditizi e gli ingenti soprapprofitti di gran parte delle imprese avevano creato le
condizioni di mercato per poter reperire sulla piazza italiana i milioni occorrenti per il
previsto ed ormai improrogabile aumento di capitale della Sconto superando così
limpasse provocato dalle cautele dei finanzieri statunitensi riconfermate
nella meta del 1916". (pg 66 Anna Maria Falchero, La banca italiana di sconto
1914-1921, Franco Angeli Editore 1990)
Listituto di credito di riferimento dellAnsaldo vide il
proprio rapporto tra utile di esercizio e patrimonio netto passo dal 7,5 % del 1915 al 12%
del 1917.
La Bis aumentò il capitale sociale, allunanimità, nel 1917
portandolo da 70 a 115 milioni.
Dopo aver parlato della Banca Italiana di Sconto nata a ridosso del
conflitto bellico, e che proprio per la sua spregiudicata condotta non sopravviverà per
molto tempo (la liquidazione avverrà agli inizi degli anni 20), esaminiamo, brevemente il
mondo del credito di quegli anni.
Lo scoppio della guerra permise anche il rafforzarsi degli istituti di
credito e in particolar modo dei principali quattro (oltre alla Bis, Banca Commerciale,
Credito Italiano e Banco di Roma) che se prima del conflitto riuscivano a distinguere le
loro attività da quelle industriali che finanziavano, dopo la commistione del 14/18 ciò
non fu più possibile. Nel corso della guerra i tentativi di scalata reciproci che ci
furono tra le banche, cosi come accadde nellindustria, furono finanziati secondo
Falchero (pg 129), di fatto dagli anticipi versati dallo stato per le commesse di
guerra e quindi alla fine fu lo stesso stato a finanziare queste operazioni.
Dalla breve carrellata fatta, emerge un dato innegabile: in
corrispondenza degli anni della prima guerra mondiale ci furono personaggi che accrebbero
a dismisura la loro fortuna mentre cera chi la guerra la viveva al fronte tra
indicibili sofferenze e privazioni e non nelle situazioni edulcorate che i giornali
descrivevano.
Un intero popolo "visse" la guerra, ma furono in pochi a
trarre vantaggi da quella che, al di là di ogni retorica, fu un utile strumento di
arricchimento .
Lo storico inglese Dennis Mack Smith sostiene che quelle sui pescicani
" che accumulavano ricchezze grazie alla guerra" erano storie deprimenti; e
certamente saranno state deprimenti per chi viveva al fronte e nelle città il dramma di
una guerra e vedeva spesso arrivare in prima linea materiale inservibile (una storia, di
cui però non ho trovato fonti scritti, parla di scarponi che sulla neve si scoloravano
lasciando vedere che erano fatti con il cartone e non col cuoio).
Bibliografia di riferimento
Mario Isnenghi Giorgio Rochat, La grande guerra 1914-1918,
La nuova Italia 2000
D. Mack Smith, Storia dItalia 1861-1961, CDE Milano1969
G. Porosini, Il capitalismo italiano nella prima guerra mondiale, La nuova
Italia editrice 1975
Rosario Romeo, Breve Storia della grande industria in Italia
1861-1961, Cappelli
Anna Maria Falchero, La banca italiana di sconto 1914-1921,
Franco Angeli Editore 1990
Marco Doria, Ansaldo limpresa e lo stato, Franco Angeli
Editore, 1989
F Monelli, Lo sviluppo di un grande impresa in Italia la Terni dal
1884 al 1962, Einaudi 1975
L. Gianotti, Gli operai della Fiat hanno 100 anni, Editori
Riuniti 1999
Vittorio Castronovo, Giovanni Agnelli, Einaudi 1977
AAVV, Fiat documenti 1989-1949.
P Spriano, Storia di Torino operaia e socialista : da De Amicis a Gramsci,
Einaudi,1972.
N. Colajanni, Storia della Banca in Italia, Newton 1995
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