Interventismo e neutralismo
Quello che, nelle intenzioni di tutti, doveva
essere un conflitto di stampo ottocentesco e, quindi, di breve durata, si tramutò,
viceversa, da semplice questione austro-serba, in una tragedia sempre più ampia, fino ad
assumere, per il numero di paesi coinvolti, una dimensione, prima europea e poi mondiale:
dopo gli avvenimenti di Sarajevo, infatti, nel giro di poche settimane, lEuropa
intera dimenticò i fasti della "belle èpoque" e si trovò coinvolta in prima
linea, con lunica eccezione del nostro paese.
Allo scoppio delle ostilità, nel giugno del 1914, il regno
dItalia, legato ad Austria e Germania da un trattato difensivo, dichiarò la propria
neutralità, in quanto era stato proprio limpero di Francesco Giuseppe a scatenare
la guerra, senza, peraltro, nemmeno consultare la giovane monarchia di Vittorio Emanuele
III.
La scelta operata consentiva di prendere tempo per decidere il da farsi
e, nel contempo, permetteva di sganciarsi dal rapporto instaurato, negli anni precedenti,
con una nazione che rimaneva, pur sempre il nemico storico e, come tale, invisa alla
popolazione.
Per tutto il periodo che ne seguì il paese fu travolto dal contrasto
che nacque, sempre più ampio ed incontenibile, tra interventisti e neutralisti; la lotta
fu aspra: a favore della neutralità si schierò la stragrande maggioranza del parlamento,
tra cui i giolittiani, i cattolici e i socialisti, convinti che fosse più conveniente
ottenere dallAustria, concessioni territoriali, in cambio della non belligeranza;
favorevoli allintervento furono, invece, gli irredentisti e personalità come
Dannunzio e lallora direttore dell"Avanti" Benito Mussolini,
tutti convinti che fosse giunto il momento di completare lannessione delle terre
"irredente"ancora sotto dominazione austriaca.
Particolare attenzione merita, in questo contesto, la figura del futuro
duce: iscritto al partito socialista, direttore dell"Avanti", passò dal
sostegno alla causa neutralista, al più acceso interventismo, che gli provocò, nel
novembre 1914, lespulsione da un partito che più di ogni altro si stava battendo
per impedire lingresso in guerra dellItalia.
Dopo lallontanamento subito, Mussolini si attestò su posizioni
di stampo nazionalista, confermando tutto il suo appoggio per la politica di intervento,
sostenuta, con veemenza, dalle pagine del Popolo dItalia, il giornale da
lui fondato a Milano, il 15 novembre 1914.
Fu lepisodio chiave nella vita di un uomo che avrebbe sconvolto i
destini di un paese, destinato, nel giro di pochi anni, a cadere preda di una terrificante
e spietata dittatura, che trasse le sue fondamenta proprio dagli eventi legati al
conflitto tra interventisti e neutralisti e proprio dalla conversione politica che ne
seguì, in capo alla futura guida del movimento fascista.
Anche grazie alla trascinante arte oratoria di DAnnunzio, che
infiammò le folle con discorsi esaltanti la lotta per Trento e Trieste, la stampa
italiana sposò decisamente la causa interventista, che ottenne consensi sempre più ampi,
fino ad arrivare a conquistare i favori del re e del governo presieduto da Salandra;
muovendosi sul filo della diplomazia, dopo aver cercato, invano, nonostante le pressioni
tedesche, di ottenere, da Vienna, in via pacifica, le terre irredente (il ministro degli
esteri asburgico Burian dichiarò testualmente: "Se qualcuno mi punta una pistola
scarica, non gli do il mio portafoglio, ma prenderò una decisione quando la pistola sarà
carica"), rappresentanti del governo firmarono, il 26 aprile 1915, a Londra, un patto
dalleanza con le forze dellIntesa, con il quale lItalia si
impegnava ad entrare in guerra, in cambio del riconoscimento dei diritti su Trentino, Alto
Adige, Trieste, Istria e Dalmazia.
La vittoria del conflitto avrebbe, dunque, permesso di coronare i sogni
irredentisti di unità nazionale, di chiudere, una volta per tutte, la disputa con
limpero austro-ungarico, di ottenere il controllo sull Adriatico e
lespansione verso i Balcani.
I progetti del governo Salandra erano condivisi anche da Vittorio
Emanuele III, che, dopo una iniziale prudenza, avallò la decisione di intervenire in
quella che appariva, anche ai suoi occhi, come una sorta di IV guerra dIndipendenza.
Si trattava, ora di trovare il modo di scavalcare un parlamento ancora
schierato su posizioni neutraliste e il cui rifiuto di ratificare il patto di Londra,
indusse il Salandra alle dimissioni.