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Il biennio "rosso" (1919-1920)

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trangolino.gif (131 byte) 1919. La Guardia Rossa ad Alessandria

di Donato D'Urso

Il primo dopoguerra fu un periodo di straordinarie tensioni e un po’ in tutte le città italiane accaddero fatti drammatici. Il “biennio rosso” vide  un’ondata di scioperi e agitazioni mai accaduta prima e c’era anche l’influenza emotiva della rivoluzione bolscevica. L’Italia era uscita vittoriosa ma stremata dalla guerra. Al terribile tributo di sangue s’aggiungeva una situazione economica difficilissima per l’aumento vertiginoso dei prezzi e un immenso debito estero. S’era sull’orlo del baratro economico né dalla conferenza di pace di Parigi sembravano venire all’Italia tutti i vantaggi sperati.

Anche ad Alessandria la primavera-estate 1919 fu agitata. Ha scritto Pietro Gallo (Alessandria e la Grande Guerra):

“Di fronte a questo peggiorare della qualità della vita  il Comune socialista fa quello che glielo consentono i suoi scarsi mezzi: apre tre spacci comunali per i generi di prima necessità ed interviene con elargizione di somme a favore degli operai licenziati. Ma questi interventi di carattere straordinario aggravano la rigidità di un bilancio comunale già di per sé asfittico”.

La stampa denunciava: “Le pesche dai produttori furono vendute ai bagarini a L. 1,15 in monte. I bagarini di piazza Goito, che con quelli del mercato del pesce sono i veri affamatori del popolo – e noi non comprendiamo come e perché l’amministrazione del Comune non cerchi di eliminarli – le hanno rivendute a L. 2,30 assicurandosi l’onesto guadagno del 100%. I minuti rivenditori a loro volta non hanno voluto essere da meno dei bagarini: ne hanno fatto due scelte: le migliori dovevano essere vendute a 4 lire e le meno belle a 3,30: un nuovo profitto quindi del 100 e del 150%”  (La Fiamma, 10 luglio 1919).

E non c’era l’Euro!

 

In un rapporto  dell’11 aprile 1919 il prefetto di Alessandria riferiva al governo:

“Le condizioni generali dello spirito pubblico nella Provincia sono buone per quanto produca qualche apprensione l’instancabile attività dei socialisti ufficiali nella propaganda rivoluzionaria. Tale considerazione mi induce a ritenere che serii turbamenti dell’ordine pubblico non avranno a verificarsi in Provincia, se non per istigazione  dei dirigenti del movimento socialista nazionale o per ripercussione di gravi fatti che si svolgessero altrove. Ad ogni buon fine, in previsione di improvvisi moti o di uno sciopero generale, nel mese di marzo u. ho provveduto, mediante personali accordi col Comandante la Divisione Militare, ad aggiornare gli ordini riservatissimi relativi agli speciali servizi da eseguirsi ad un primo cenno per la tutela delle persone, della proprietà, dei pubblici Istituti e per assicurare i pubblici servizi. Ritengo che la truppa dislocata in provincia attualmente sia sufficiente per provvedere ad ogni evenienza. Il suo dislocamento è tale che, ove occorra, qualche reparto può essere facilmente spostato a mezzo di camions militari. […]

Ritengo che il grano esistente nei magazzini della Provincia possa essere sufficiente ai bisogni della popolazione fino al nuovo raccolto o poco meno, purché non venga distratto per i bisogni di altre province o per altri motivi. Noto però che il razionamento troppo esiguo, corrispondente appena a grammi 250 per persona che intende imporre il Ministero di Ql. 39.300 di grano per il mese di aprile, e il conseguente proposito manifestato dal Ministero degli Approvvigionamenti e Consumi di voler ridurre ancora tale quantità del 12% per il mese di maggio, è già causa di malcontento manifestato da molti Comuni e provocherebbe certamente turbamenti dell’ordine pubblico, quando non si provvedesse fin da questo mese all’aumento dei 5 mila quintali già in varie riprese richiesti [...]

Sempre per evitare altri pretesti a turbamenti dell’ordine pubblico, è da consigliarsi che si elimini l’inconveniente fin qui verificatosi dell’invio di granoturco avariato e non adatto al consumo della popolazione. Questa, che era abituata al consumo di ottimo granoturco di propria produzione, per il mancato raccolto del corrente anno deve assoggettarsi al consumo di quello proveniente dall’estero e non si adatta a consumare quello avariato quale giunge dai centri di sbarco”.

 

Qualche notizia sul prefetto estensore di questo rapporto che conteneva evidenti note di preoccupazione.

Michele DARBESIO era già stato in Alessandria nel 1901 come Consigliere di Prefettura. Nato a Pinerolo nel 1865 ed entrato in carriera a 24 anni, aveva prestato servizio anche ad Acireale, Lecco, Varese, Roma. Successivi suoi incarichi: Ispettore generale, Capo di gabinetto del Ministro delle Finanze, prefetto dal 1914. Dopo essere stato a  Rovigo, dall’ottobre 1917 si trovava nella città di Gagliaudo, dove rimase sino al gennaio 1923 per andare poi a Genova e a Roma come Vice governatore. Nel 1925 fu nominato Consigliere di Stato.

Nel primo dopoguerra ogni emergenza di ordine pubblico era resa più grave dall’esiguità delle forze di polizia: le Guardie di Città (l’odierna Polizia di Stato) erano in tutt’Italia 12.500, i Reali Carabinieri 28.000.  Nell’ipotesi di estesi moti di piazza era giocoforza chiedere l’intervento dell’esercito, come avvenuto tante volte (come dimenticare le cannonate fatte sparare dal gen. Bava Beccaris nel 1898 a Milano?). Tra i soldati, però, cominciava a fare breccia la propaganda “sovversiva” e le gerarchie  non nascondevano timori per fenomeni di “sovietismo”.

 

All’inizio di luglio del 1919 una serie impressionante di agitazioni contro il caroviveri partì dalla Romagna e s’estese al resto d’Italia con un impeto che nulla avrebbe fermato se non un bagno di sangue. Le autorità colte di sorpresa aspettarono che l’onda passasse, rinunziando di fatto a contrastare  i tumulti di piazza. Come ha scritto Gaetano Salvemini (Le origini del fascismo in Italia) la prudenza fu in quell’occasione il merito principale di Nitti,  neo-Presidente del Consiglio.

Ad Alessandria sabato 5 e domenica 6 luglio avvennero fatti gravi.

 

“L’origine, il lievito della sommossa lo troviamo nel calmiere della frutta e la verdura, applicato improvvisamente dal Municipio la mattina di sabato scorso.   La brama spogliatrice dei proprietari dei campi, la speculazione degli intermediari, tutto ciò aveva prodotto da tempo un fantastico, arbitrario rincaro dei generi di consumo popolare, come la frutta, la verdura, le uova. Il calmiere municipale era il primo gesto di insurrezione, sia pure legale contro uno stato di cose che non poteva assolutamente durare; esso poneva il consumatore contro il venditore, campagnolo o negoziante che fosse. […] Cominciarono sin dalle prime ore, in via Cavallotti e nel mercato, i primi battibecchi; le nostre operaie erano ormai arcistufe di lasciarsi taglieggiare, di lasciarsi estorcere i sudati salari dalla immensa combriccola degli affamatori. La polveriera era colma; non mancava che la scintilla e questa fu data dall’alterco fra una contadina e una proletaria. Poiché le uova scarseggiavano, la contadina seguendo gli esempi dei Pirelli, dei cotonieri, dei siderurgici ecc. aveva subito portato il prezzo delle sue uova da 5 a 6 lire; l’operaia che si vedeva imposta così cervelloticamente una taglia di una lira protestò; ma la contadina piuttosto che arrendersi, nell’eccitamento della rapacità, distrusse le sue uova. In un attimo, la gente dopo aver punito con svariati ceffoni l’affamatrice, presa da un’ira collettiva si slanciò sui polli, sulle uova, sui conigli e ne fece una distribuzione sommaria, col ribasso del…100x100  […]

Intanto, mentre all’avanzarsi dei nuvoloni burrascosi, i negozi si andavano chiudendo, il Sindaco, d’accordo col prefetto mobilitava degli operai perché custodissero le barriere, essendo prevedibile che si cercasse di fare uscire la merce per non sottostare al calmiere […] Si forma un comitato d’azione che… requisisce il palazzo delle scuole De Amicis e vi impianta gli uffici e i magazzini. Ed ecco venire le prime guardie rosse volontarie: si muniscono di bracciale e si spediscono agli sbocchi della città. Non passa un’ora che ritornano accompagnando carri carichi di merce che emigrava (L’Idea Nuova, 10 luglio 1919).

Nel pomeriggio del giorno stesso in molte fabbriche della città gli operai si erano astenuti dal lavoro per presenziare ad un comizio che sarebbe stato tenuto in Piazza Vittorio Emanuele per protestare contro il caroviveri (La Lega Liberale, 12 luglio 1919).  Parlarono dal balcone di Palazzo Rosso il sindaco Pistoia, l’avv. Belloni, il Prof. Zanzi e il cappellaio Orecchia (L’Ordine, 12 luglio 1919).  

Con parole roventi gettarono la colpa dello stato di malcontento, di esasperazione sul Governo inetto, passivo e sull’ingordigia sfrenata dei produttori, di grossisti e incitarono la turba acclamante a far quella giustizia, per cui lo Stato si dimostrò impotente. L’ultimo più scalmanato tribuno esclamò: Andate, entrate nei negozi e fate da padroni e da legislatori. Viva Lenin e il bolscevismo. Fu il razzo caduto in una massa di esplosivi (Antonio Bobbio, Memorie).

Una fitta colonna di dimostranti, in massima parte composta di donne, si avviò verso la via Umberto I: venne subito preso di mira il negozio in tessuti della ditta Debenedetti & Vitale, riuscendo in breve a divellere le serrande e asportare pezze di stoffa (L’Ordine, cit.).

I camions sono stati requisiti sulla strada; un soldato che ne guidava uno se lo fa togliere senza protestare, anzi se ne va… a piedi, ridendo. Poiché la caratteristica del movimento è la grande fusione tra soldati e plebi, il soldato ha fatto causa comune colla folla, il che ha dato luogo a certi commoventi episodi che non narriamo per non esporre i protagonisti alle ire dei loro gallonati superiori. Così la merce del negozio, parte a spalla, parte sui carri passa ai depositi di via Marsala, dove viene accuratamente accatastata e classificata […] Dopo la stoffa, le scarpe: altro elemento indispensabile del vestiario. La grande calzoleria della fabbrica Angelo Vitale viene quasi completamente vuotata […] La folla ripete le sue visite ad altri negozi di tessuti e generi di abbigliamento. Ma non basta vestirsi, bisogna mangiare. Altre folle requisiscono i generi alimentari della ditta Della Torre e della ditta Moraschi, ove si trovano tra l’altro centinaia di forme di parmigiano, di quello stravecchio, antebellum. Ma ahimè! L’indomani bisognò restituire il formaggio perché era dell’autorità militare e serviva pei soldati. Veramente questi giuravano che, di quel formaggio lì, non ne avevano mai visto nei quattro anni di guerra, ma d’altra parte è probabile che lo mangeranno i soldati del 1950, quando l’autorità militare sarà ben rassicurata sulla stagionatura. In ogni modo qualcuno lo mangerà; c’è sempre sotto le armi chi… mangia (L’Idea Nuova, cit.).

Un vero sfacelo, che non giustifica la protesta contro il caro viveri venne fatto al negozio Frova ove nulla venne rispettato: le serrande sfasciate, frantumati i cristalli e gli specchi, asportata e dispersa la merce, un vero vandalismo nel completo significato della parola (L’Ordine, cit.).

Vista la mala parata i proprietari degli altri negozi, comprendendo che ogni chiusura sarebbe stata vana davanti all’impeto della folla, seguirono il consiglio e l’esempio di qualcuno, mettendosi, per salvarsi da maggiori guai sotto l’egida della Camera del Lavoro. In breve tutti i negozi di generi alimentari, di tessuti, di calzature, di mode ecc. portavano affisso il cartellino d’adesione ai deliberati della C. d. L. alla quale vennero consegnate nel frattempo le chiavi dei locali (La Lega Liberale, cit.).

          I socialisti più autorevoli intanto corrono di qua e di là per impedire che qualche pezza di stoffa prenda la via di altre camere che non siano quella del Lavoro. Si sa, c’è sempre della gente distratta a questo mondo. Così molta roba viene fatta portare nel corpo di guardia dei vigili urbani, essendo stata trovata a percorrere delle vie che non erano le più brevi per andare a via Marsala (L’Idea Nuova, cit.).

E le autorità civili e militari? Lasciavano fare; e a spettacolo, a sipario calato, squadre di carabinieri, di soldati uno squadrone di cavalleria uscirono fuori dal palazzo prefettizio e si posero proprio come narra il Manzoni dopo il saccheggio della plebe milanese ai forni a guardia dei negozi più danneggiati e malmenati (Antonio Bobbio, cit.).

Intanto la cavalleria comincia a girare lentamente, con aria di chi dica: Fate pure, io me ne cavalco […]  A un tratto arriva un carro portando una grande botte di vari ettolitri di vino bianco. È un padrone di bar che l’ha mandato con un cartello: “Offerto alla brava guardia rossa”. Ovazione! La botte servirà a calmare le gole irritate dal vociare e per dar da bere non solo ai borghesi, ma anche ai soldati messi dai loro superiori a guardia delle serrande infrante  (L’Idea Nuova, cit.).

La notte passò calma. Nella domenica i viveri vennero venduti realmente con un ribasso, ma non fu possibile a tutti di rifornirsi del necessario stante la ressa agli spacci. Nel pomeriggio vennero riaperti i pubblici ritrovi, i bar ed i caffè e ripresa la circolazione dei tram, la quale era stata interrotta al sabato. La Camera del Lavoro pubblica un manifesto in cui notifica che essendo intervenuto un accordo fra l’organizzazione operaia e i negozianti, questi ultimi possono ritirare le chiavi dei loro negozi per vendere le merci ai prezzi di calmiere (L’Ordine, cit.).

In una riunione colla Giunta Municipale, dopo una vivace discussione in cui la tendenza moderatrice ed equa del sindaco Pistoia si trovò ancora opposta a quella estremista dello Zanzi si stabilì di imporre una diminuzione del quaranta per cento su tutti i generi, classificati come indumenti. Coll’intervento del prefetto Darbesio che convocò i commercianti della città e il sindaco Pistoia, in prefettura vennero stabiliti d’accordo i prezzi di calmiere pei generi alimentari. In seguito all’accordo vennero restituite le chiavi e le merci che erano state depositate nei locali della Camera del Lavoro. La giornata di domenica fu caratterizzata dall’apparizione delle “guardie rosse”, un corpo di volontari che per mezza giornata e nella notte governò e sgovernò, con qualche buona intenzione, ma con molto più bollore leninistico, senza che ne derivassero però incidenti notevoli  (La Lega Liberale, cit.).

A proposito di guardie rosse è sintomatico il fatto che la sera del sabato una di queste, certo Remondino, venne arrestata perché tentava di trafugare una forma di formaggio (L’Ordine, cit.).

Giovanotti dai sedici ai diciotto anni, investiti di autorità in nome e per merito di una fascia rossa, si sono messi a visitare i banchi di vendita, i negozi rimasti aperti e i carri che circolavano per la città con tale autorità e tanta mancanza di tatto che se invece di guardie rosse fossero stati questurini avremmo assistito a qualche linciaggio.  Le prodezze delle guardie rosse si sono manifestate specialmente alle porte della città dove collo scopo certo encomiabile di impedire l’esodo di generi di consumo hanno commesso vessazioni senza fine. Di questa sottomissione di un intero comune a poche decine di giovanotti la colpa è tutta e sola del prefetto il quale di fronte alla protesta del popolo si è mostrato assolutamente impari alla sua carica. Preso dalla paura ha fatto completa dedizione dei suoi poteri a un partito che ha creduto di iniziare l’epoca comunista coi saccheggi […]  No, non è più crisi di governo, è crisi di regime (La Fiamma, cit.).

Al lunedì eccezione fatta per le botteghe di generi alimentari, tutti i negozi sono chiusi e la città presenta un aspetto calmo ma triste, in modo da formare uno stridente contrasto con ciò che è l’abituale movimentato giorno di mercato per Alessandria. Al martedì si riaprono  quasi tutti i negozi, specialmente affollati sono quelli di tessuti, calzature e mercerie, nei quali si fa la coda come nei tempi di guerra (L’Ordine, cit.).

I moti popolari, le requisizioni popolari, i calmieri imposti a furore di popolo sono una lezione, ma non rappresentano una soluzione. Diremo di più: i calmieri stabiliti come lo furono – e non si poteva fare diverso – in una cifra globale, assoluta, uguale per tutti i generi di consumo e gli articoli di uso, se recano momentaneamente un bene, producono però un male più grave forse di quello precedente. Già fu esperimentato in Romagna ed ora sta avvenendo anche da noi, ed è la scomparsa dal mercato di tutto ciò che è necessario alla vita. Già manca la frutta e la verdura si è fatta scarsa (La Fiamma, cit.).

Fra i mestatori di piazza gli aizzatori di turbe  vanno segnalati due energumeni: un Assessore alla Pubblica Istruzione e un Direttore generale delle scuole alessandrine, dei quali l’uno eccitava le masse a compiere i più criminosi atti vandalici e rivoluzionari come si fece in Russia, l’altro eccitava le plebi, insegnava a dare lo sfratto a tutte le norme della vecchia scuola e ad instaurare nella scuola quelle del bolscevismo (Bobbio, Memorie, cit.).

Una semplice sommossa, ma contenente una premessa di rivoluzione sociale ormai insopprimibile, poiché l’azione popolare che espropria il negoziante e ne porta la merce alla Camera del Lavoro è un fatto compiuto, è una soppressione del diritto alla proprietà privata, è una prima attuazione di collettivismo; e tutto ciò non si cancella dall’anima proletaria […] Lo stato borghese scelga: o inizi i provvedimenti auto-espropriatori e ci lasci intanto preparare alla presa ordinata dei poteri, o lasci andare le cose alla deriva, creando una situazione tale che ci sia necessario prima disfare tutto per poi con uno sforzo poderoso procedere alla riedificazione”.  Questo il commento del giornale socialista  L’Idea Nuova,  assai diverso da quello del periodico moderato La Lega Liberale, del giornale cattolico L’Ordine e dell’organo della “Cesare Battisti”  La Fiamma.

 

Nel resto d’Italia si ebbero anche conflitti con morti e feriti ma “poco alla volta l’uragano si placò da sé” (Salvemini, cit.).

A distanza di pochi giorni, per il 20 e 21 luglio 1919,   fu indetto uno sciopero generale per protestare conto la politica delle potenze occidentali ostile alle repubbliche bolsceviche di Russia e Ungheria.

Il governo Nitti era preoccupato perché temeva che lo sciopero potesse sfociare in un moto rivoluzionario. In Alessandria un sedicente Consiglio Esecutivo dei Soldati (una sorta di Soviet) diffuse un volantino, rivolto ai commilitoni, che conteneva queste espressioni:

 

“Col popolo ci saranno le nostre madri e i nostri figli, i nostri fratelli mutilati, ci saremo noi soldati rivoluzionari.

Sparerete voi contro di noi e contro i soldati smobilitati?

Oggi non vi è che una disciplina: quella che unisce in un solo fascio tutti i poveri, tutti i proletari sfruttati.

Soldati, mezzo milione di nostri fratelli morti alla fronte ci invitano a non versare sangue fraterno. In nome di questi morti, in nome di tutto quanto abbiamo sofferto, delle lagrime e del sangue versato in cinque anni di guerra, soldati: non sparate sul popolo!”

 Per il servizio di ordine pubblico erano disponibili in Alessandria solo 16 guardie di città, 34 carabinieri e 5 guardie di finanza. Fu inevitabile ricorrere massicciamente alla truppa. Ho rinvenuto il piano riservato predisposto dalla Prefettura per le giornate del 20 e 21 luglio. Si prevedeva di impiegare una forza imponente: 1.484 soldati a piedi, 150 cavalleggeri, 10 ciclisti, 22 mitragliatrici, 10 autoblinde.                            

 Ha scritto Pietro Nenni (Storia di quattro anni): “Si può dire che l’Italia visse alla vigilia di questo sciopero di una emozione senza precedenti: Tutto ciò che era stato detto negli ordini del giorno della Direzione del Partito e della stessa Confederazione, il linguaggio della stampa, l’allarme dell’opinione pubblica, tutto pareva preludere ad avvenimenti decisivi. Lo stesso governo era preoccupatissimo”.

Invece, lo sciopero generale fu “senza mordente, nient’affatto rivoluzionario e addirittura piuttosto festaiolo; i comizi furono poco affollati. Sicché il risultato politico fu sostanzialmente controproducente: invece di dimostrare la forza del movimento operaio socialista esso ne mise in luce l’intima debolezza e invece di mettere paura al governo e alla borghesia li rianimò”  (De Felice, Mussolini il rivoluzionario).

 La grande paura per il momento era passata ma ulteriori e ancora più gravi emergenze s’avvicinavano.

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