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Biografie fascisti

Giuseppe Bottai

Nato a Roma nel 1895. Figlio di un vinaio toscano, abbandona gli studi per arruolarsi volontario nella Grande guerra. Combatte nei battaglioni d'assalto, viene ferito e decorato. Alla fine della guerra si laurea in giurisprudenza e collabora all'ufficio romano del "Popolo d'Italia". Nel marzo 1919 fonda il Fascio romano e dirige l'Associazione romana degli arditi d'Italia. Nel 1921 crea nella capitale le prime squadre d'azione ed entra alla Camera (elezione poi annullata, non avendo raggiunta l'età richiesta). Letterato e giornalista, partecipa alla "marcia su Roma" e nel 1924 viene rieletto deputato. Tra le figure più in vista del fascismo, si dedica, in particolare alla riorganizzazione dello Stato in senso corporativo. Nel novembre 1926 è sottosegretario del ministero delle Corporazioni (diventerà ministro nel 1929) e contribuisce all'elaborazione della Carta del lavoro; fonda la rivista "Il diritto del lavoro"(1927); promuove la legge sul Consiglio nazionale delle corporazioni (1930). Nel frattempo è nominato professore universitario e pubblica numerosi studi economici e giuridici. Nel 1932 è allontanato dal ministero e nominato presidente dell'Istituto nazionale fascista della previdenza sociale. Tra il 1935 e il 1936 è governatore di Roma e promuove diversi interventi urbanistici nella capitale. Prende parte alla guerra in Africa orientale ed è il primo governatore civile di Addis Abeba. Ministro dell'Educazione nazionale dal novembre 1936, redige la Carta della scuola (1939). Nel 1940 fonda la rivista di cultura "Primato", alla quale collaborano storici, letterati e artisti anche antifascisti. Prende parte alla seconda guerra mondiale sul fronte occidentale e su quello greco. Nel febbraio 1943 è rimosso dal ministero e il 25 luglio vota in Gran Consiglio l'ordine del giorno Grandi, per cui sarà poi condannato a morte in contumacia dal tribunale di Verona della RSI. Nel 1944 espatria e si arruola nella Legione straniera. Condannato all'ergastolo dopo la liberazione di Roma, è amnistiato nel 1947 e rientra in Italia l'anno seguente. Nel 1953 fonda la rivista di critica politica "ABC". Muore a Roma nel 1959.

 

don Tullio Calcagno

 

Gian Galeazzo Ciano

Nacque a Livorno il 18 marzo 1903. Figlio dell'Ammiraglio Costanzo Ciano, medaglia d'onore nella 1° guerra mondiale. Nell'ottobre del 1922 partecipò alla marcia su Roma. Dopo aver lavorato nel campo del giornalismo, nel 1925 entrò in politica. Tra i primi incarichi ci fu quello di ambasciatore a Peking,  Rio de Janiero e Buenos Aires. Nel 1930 sposò  Edda,  figlia di Benito Mussolini. Pilota volontario dello squadrone di bombardieri "La Disperata" durante la guerra in Etiopia (1935), fu decorato con due medaglie d'argento al valore di guerra. Nel giugno di 1936  fu nominato ministro degli esteri, incarico che  mantenne fino alla fine di febbraio del 1943. Il 22 maggio 1939 firmò assieme a Ribbentrop, ministro degli esteri tedesco, il " Patto d''Acciaio" tra Italia  e Germania. In principio Ciano fu tra i fautori dell'asse con i tedeschi, ma dopo la riunione a Saltzburg nel 1939 con Hitler e Ribbentrop, cominciò ad opporsi alla loro politica di guerra. Quando la Germania invase la Polonia, riuscì a convincere Mussolini a dichiarare lo stato di "non-belligeranza".  Ma quando il 10 giugno del '40 Mussolini dichiarò guerra a Francia e Inghilterra, Ciano continuò a servirlo con zelo. Nel '42, però, cominciò a dubitare sulla possibilità di vincere la guerra; l'anno dopo fu sollevato dalla carica di ministro degli esteri e designato ambasciatore. Il 24 luglio del '43, alla riunione del Gran Consiglio del fascismo,  fu tra i sostenitori della mozione Grandi, che portò alla caduta di Mussolini. Si trasferì con la famiglia in Germania, nella speranza di poter trovare ospitalità  in Spagna. Dopo l'armistizio e la costituzione della Repubblica Sociale, fu arrestato e tradotto nelle carceri di Verona. Processato davanti al tribunale speciale per alto tradimento, fu condannato a morte e fucilato il 11 gennaio 1944 a San Procolo vicino a Verona. La moglie tentò invano varie volte di salvargli la vita. Mussolini non intervenne.

 

Giovanni Gentile

Filosofo. Nato a Castelvetrano nel 1875. Docente a Palermo dal 1906 al 1914; passò poi a Pisa alla cattedra di filosofia teoretica; nel 1915 partecipò attivamente al Comitato pisano di preparazione e mobilitazione civile, secondo i principi espressi ne "La filosofia della guerra" (1914). Nel 1919 venne chiamato all'Università di Roma; dal 1922 al 1924 fu ministro della Pubblica Istruzione e legò al suo nome la riforma della scuola. A conclusione di quanto aveva scritto e fatto nel decennio precedente, nel 1923 si iscrisse al partito fascista, adoperandosi per dargli un programma ideologico e culturale: primo atto di questo suo impegno fu il "Manifesto degli intellettuali del fascismo" (1925), a cui Croce rispose con un contromanifesto che da allora rese insanabile il contrasto fra i due filosofi. Gentile tentò di collegare il fascismo direttamente al Risorgimento. Dal 1920 in poi il filosofo diresse il Giornale critico della filosofia italiana e numerose collane di classici e di testi scolastici; dal 1925 al 1944 diresse l'Enciclopedia Italiana. Negli ultimi anni del fascismo Gentile tentò di porsi al di sopra dei contrasti con un nuovo programma di unità nazionale ("Discorso agli Italiani", 1943). Fu ucciso dai partigiani fiorentini il 15 aprile del 1944 in quanto considerato uno dei maggiori responsabili del regime fascista.

 

Dino Grandi

Nato a Mordano (BO) nel 1895. Dopo aver combattuto durante la prima guerra mondiale, si laurea in legge a Bologna (1919) ed entra nei Fasci di combattimento romagnoli. Eletto deputato di Bologna alle elezioni del luglio 1921, deve rifiutare il mandato parlamentare perché non in possesso del requisito dell'età (sarà rieletto tre anni dopo). Nell'estate del 1921, guida la rivolta dello squadrismo agrario contro la dirigenza dei Fasci e cerca, senza successo, di strappare la leadership a Mussolini, con il quale si riconcilia nel congresso nazionale del novembre 1921. Da allora diventa l'interprete della tendenza moderata del fascismo. Sottosegretario dell'Interno nel 1924, diventa sottosegretario agli Esteri due anni dopo. Nel settembre 1929 diventa ministro degli Affari esteri. Sostenitore di una politica di concertazione con la Gran Bretagna, lascia il suo incarico alla testa del ministero per andare a Londra nel luglio 1932 come ambasciatore. Nell'aprile 1938 è tra i principali artefici dell'accordo anglo-italiano. Nel 1939 è richiamato in Italia per assumere le cariche di ministro guardasigilli e di presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni e presiede all'ultima fase della riforma fascista dei codici. Contrario all'entrata in guerra dell'Italia, nel febbraio 1943 lascia il suo incarico nel governo, ma resta presidente della Camera. Alla seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943 propone una mozione di sfiducia verso Mussolini, che, approvata a maggioranza, decreta la fine della dittatura. Nell'agosto 1943 si rifugia in Portogallo. Al processo di Verona (gennaio 1944) è condannato a morte in contumacia. Dopo alcuni anni trascorsi in Brasile e in Spagna, rientra in Italia e si ritira a vita privata. Muore a Bologna nel 1988.

 

Rodolfo Graziani

Nato a Filettino (Fr) nel 1882. Dopo aver combattuto negli eserciti coloniali di Eritrea e di Libia, è capitano e poi maggiore nella prima guerra mondiale. Dopo la guerra viene inviato in Libia, dove porta a termine, con feroce energia, la riconquista della Tripolitania (1924) e della Cirenaica (1928-1930), di cui diviene governatore. Generale di corpo d'armata nel 1932, è nominato governatore della Somalia (marzo 1935) e durante la guerra d'Etiopia guida le operazioni sul fronte sud. Dopo aver ricevuto il titolo di maresciallo d'Italia, nel giugno 1936 succede a Badoglio come vicerè d'Etiopia. In questa funzione opera durissime repressioni in tutto il territorio dell'Impero, sinché, dopo l'attentato del 7 febbraio 1937, torna in Italia e ottiene il titolo di marchese di Neghelli (1938). Nel 1940 è capo di Stato maggiore dell'esercito e comanda le forze armate dell'Africa settentrionale. Dopo la sconfitta (inverno 1940-41) viene esonerato dall'incarico. Rientra nella vita militare e politica dopo l'8 settembre 1943, quando si schiera con la RSI diventando ministro della Difesa e comandante del nuovo esercito repubblicano. In tale veste combatte contro gli angloamericani in Garfagnana (agosto 1944). Consegnatosi agli alleati il 1° maggio 1945, viene condannato a 19 anni di carcere come criminale di guerra. Liberato il 3 marzo 1950, si ritira a vita privata. Nel 1954 si avvicina al MSI. Muore a Roma nel 1955.

 

Ettore Muti

Nato a Ravenna nel 1902. Volontario nella grande guerra, a 15 anni è tra gli arditi del Piave e poi tra i legionari di Fiume. In quei giorni incontra Mussolini, da cui resta folgorato e per il quale conserverà sempre una venerazione. È tra i fondatori delle squadre d'azione nel ravennate. Uomo d'azione, agli ambienti romani della politica preferisce le corse in automobile e le scazzottate contro i rivali. Nel 1924 è nominato console della Milizia fascista. Nel 1927 viene gravemente ferito in un attentato a Ravenna. A 34 anni entra nell'Aeronautica con il grado di tenente e combatte in Etiopia e in Spagna. Nel 1939 Mussolini lo chiama alla segreteria nazionale del PNF per sostituire Achille Starace. Nominalmente rimane segretario del PFN fino all'ottobre del 1940 (verrà sostituito da Adelchi Serena), ma dal 1° giugno rientra nell'Aeronautica per prendere parte attiva alla guerra. Anche dopo il 25 luglio 1943 e l'arresto di Mussolini, Muti continua a manifestare apertamente il suo culto del duce. Arrestato a Fregene la notte del 24 agosto, viene ucciso mentre i carabinieri lo stanno portando in carcere. Porterà il suo nome, durante i 600 giorni di Salò, una delle più famigerate squadre della Repubblica di Salò.

 

Alessandro Pavolini

Nato a Firenze il 27 settembre del 1903 da Paolo Emilio. Fin da giovanissimo manifesta la sua vocazione per l’attività letteraria. A dodici anni fonderà un giornaletto scolastico in cui scriverà articoli interventisti. E' studente brillante, si laurea in Giurisprudenza e in Scienze Politiche, frequentando due atenei, quello di Firenze e quello di Roma. E proprio a Roma, per ragioni di studio, il giovanotto si trova nel giorno "fatale" del 28 ottobre del 1922. Si accoda alle colonne fiorentine di camicie nere per la parata finale, quando Mussolini ha già ricevuto la nomina a Primo Ministro. Collaboratore di riviste letterarie, scrittore di saggi politici, si cimenta anche nel romanzo e nel 1928 ottenne un primo buon successo con "Giro d'Italia". Nel 1929 Pavolini diviene, a soli ventisei anni, federale di Firenze. Una delle sue creature, il "Maggio musicale fiorentino" è tutt'oggi una delle più importanti rassegne artistiche a livello internazionale. Fonda anche una rivista letteraria, "Il Bargello". Nel 1932 viene chiamato a far parte del Direttorio Nazionale del Partito. Nel 1934 è eletto deputato e stringe una grande amiciziacon Galeazzo Ciano. Chiamato a presiedere la Confederazione Professionisti ed Artisti, istituisce i "Littoriali", una specie di olimpiade della cultura e dell'arte. Scrive anche sul Corriere della Sera. Nel '35 parte volontario per la guerra d'Africa. Proprio col suo amico Galeazzo Ciano comanderà una squadriglia aerea cui viene dato il nome di una squadra d'azione famosa a Firenze ai tempi della marcia su Roma: la Disperata. In Etiopia trova il tempo di mandare corrispondenze al Corriere della Sera, e dall'esperienza bellica in Africa trarrà il suo secondo libro: "La Disperata". Finita l’avventura africana, Pavolini diventa una specie di "inviato speciale" del regime. Viaggia in tutto il mondo, inviando al "Corriere" corrispondenze che poi raccoglierà in volume. Il 31 ottobre 1939, diventa Ministro della Cultura Popolare. Dopo i rovesci militari, il 5 febbraio del 1943 Mussolini lo domina direttore del quotidiano "Il Messaggero". Caduto il fascismo, riesce a riparare in Germania. Aderisce alla Repubblica Sociale ed è lui, neo segretario del Pfr (Partito fascista repubblicano) a sollecitare Mussolini ad assumere la guida del nuovo regime, essendone "il capo naturale". E' lui a tenere le fila del cogresso di Verona, a chiedere il processo e la condanna dei "tradiotori" del 25 luglio e a ricostituire le "Brigate nere". Nella primavera del '45 la Rsi si avvia all'atto finale.  Pavolini vaneggia di raccogliere ventimila fedelissimi per costituire l'ultima resistenza in Valtellina: là vuole far trasportare anche le ossa di Dante, simbolo dell’italianità.. Si avvia con il Duce, il 25 aprile del '45, per l'ultimo viaggio, dalla Prefettura di Milano al lungolago di Dongo, dove viene fucilato il 28 dai partigiani della 52a brigata garibaldina, dopo un inutile tentativo di fuga a nuoto nel lago.

 

Edmondo Rossoni

Edmondo Rossoni nacque a Trisingallo nel 1884. Dopo aver frequentato il ginnasio s’iscrisse al Partito socialista e partecipò attivamente agli scioperi agrari del 1903-1904. Nel novembre del 1904 si trasferì a Milano dove, due anni dopo, fu eletto membro del gruppo di propaganda sindacalista della Federazione milanese, s'impegnò in battaglie antimilitariste e diventò corrispondente della "Gioventù socialista". Nel 1907, in linea con gli indirizzi del sindacalismo rivoluzionario, abbandonò la Federazione per impegnarsi a tempo pieno nelle organizzazioni della Camera del lavoro. Nel novembre sostituì a Piacenza il Commissario amministrativo della Camera del lavoro locale e nei mesi seguenti tenne una lunga serie di comizi che, a causa dei toni accesi e dei contenuti violenti, gli valsero, il 16 giugno 1908, una condanna a quattro anni di reclusione e a due di sorveglianza speciale. Per sfuggire alla pena Rossoni si trasferì prima a Nizza, dove fu diffidato, e poi in Brasile dove riuscì a trovare lavoro, grazie ad Alceste de Ambris, presso il giornale "Il Fanfulla". Partito dalla Francia nel marzo soggiornò in Brasile solo pochi mesi: espulso per attività sindacale si trasferì a Parigi e quindi, nel luglio del 1910, a New York dove aderì alla Federazione socialista italiana. Divenuto organizzatore della Federazione, collaborò come redattore al giornale "Il Proletario" e fu arrestato per istigazione allo sciopero. Tornato in Italia, nel gennaio del 1913 fu nominato segretario del sindacato provinciale Edile di Modena e diresse uno sciopero durato settanta giorni che terminò con la sconfitta delle maestranze. Il fallimento dello sciopero edile e il timore di un nuovo arresto lo indussero nuovamente alla fuga. Fece quindi ritorno a New York dove assunse la direzione de "Il Proletario". Allo scoppio della Grande guerra, come altri sindacalisti rivoluzionari, assunse posizioni interventiste; abbandonò quindi "Il Proletario", fedele alla linea neutralista, per andare a dirigere la "Tribuna", giornale d’ispirazione nazionalista. Richiamato alle armi rientrò in Italia e nel 1918 fondò e diresse il settimanale "L’Italia nostra", organo dell’Unione sindacale milanese. In seguito partecipò alla costituzione dell’Unione Italiana del Lavoro, della quale rimase segretario fino al marzo del 1919 quando lasciò l’incarico per prendere la direzione della Camera del lavoro di Roma. Nel giugno del 1921, fu chiamato a dirigere la Camera del lavoro di Ferrara e il 10 febbraio del 1922 fu nominato segretario generale della Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali, i nuovi sindacati fascisti costituitisi con il convegno di Bologna nel gennaio precedente. Assunse inoltre la direzione de "Il lavoro d’Italia", giornale della nuova Confederazione, e promosse l’idea di un sindacalismo integrale, vale a dire la fusione in un unico organismo sia dei sindacati operai sia di quelli padronali. Fallito tale obiettivo, cercò a tutti i costi di ottenere per le Corporazioni il monopolio della rappresentanza sindacale del mondo operaio; una posizione che lo portò a scontrarsi con la "Commissione dei diciotto", istituita dal regime con il compito di studiare le problematiche politiche e sociali. Dopo non poche difficoltà, il monopolio sindacale fu ad ogni modo realizzato il 2 ottobre del 1925, grazie agli accordi di Palazzo Vidoni. Da quel momento la posizione di Rossoni e delle Corporazioni, per via del potere che detenevano, fu guardata dai vertici del fascismo con sospetto. Questo indusse il regime, mosso anche dal progetto di realizzare un sistema corporativo, ad indebolire il movimento sindacale separando la Confederazione fascista in sei sindacati autonomi, cui corrispondevano altrettante organizzazioni padronali, e dando vita ad un’unica Confederazione per gli artisti e gli intellettuali. Dopo lo "sbloccamento" del 1928, accettato da Rossoni senza alcuna polemica, il leader sindacale si trovò sempre più isolato e ormai privo di qualsiasi potere reale. Nel settembre del 1930, ritornato nelle grazie del regime, fu nominato membro del Gran Consiglio e due anni dopo rivestì la carica di sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Nel marzo del 1935 fu nominato ministro dell’Agricoltura e foreste, carica che mantenne fino al 1939. Il 25 luglio del 1943 votò a favore dell’ordine Grandi, atto che gli costò la condanna a morte decretata dal Tribunale di Verona. Rifugiatosi dapprima in Vaticano, dopo la condanna all’ergastolo inflittagli nel maggio 1945, riparò in Canada dove rimase un solo anno. Amnistiato fece ritorno in Italia e si ritirò a vita privata. E’ morto a Roma l’8 giugno 1965. (a cura di Massimiliano Tenconi)

 

Carlo Scorza

Nacque a Paola nel 1897 e partecipò, come volontario, al primo conflitto mondiale. Fu il fondatore del fascio di Lucca e diresse le squadre d’azione in numerose spedizioni ponendosi alla loro testa anche in occasione della marcia su Roma. Incontrastato ras di Lucca, fu segretario federale della città dal 1921 al 1929 e deputato al Parlamento dal 1924 al 1939. Per alcuni anni, nel periodo compreso fra il 1920 e il 1925, si occupò di giornalismo dirigendo l"Intrepido" e, per un breve periodo, "La lucchesia". Dall’ottobre del 1929 al dicembre del 1931 fu incluso nel direttorio del Pnf, fu incaricato di costituire i Fasci Giovanili di Combattimento e, infine, nominato ispettore della milizia nazionale. Nello scontro del 1931 fra il regime e la Santa Sede assunse posizioni radicali tendenti all’esasperazione dello scontro. Dietro diretta richiesta del Vaticano, il regime lo costrinse a dimettersi da tutte le cariche allora ricoperte. L’anno seguente, a causa della concorrenza apertasi fra lui e Storace, il Partito aprì un’inchiesta sullo stato del fascismo in provincia di Lucca. L’inchiesta si concluse con la proibizione, fatta a Scorza, di recarsi nella intera provincia: il vecchio ras di Lucca evitava l’espulsione dal Partito, ma il suo futuro politico appariva ormai segnato. Negli anni successivi prese parte alla campagna d’Etiopia e alla guerra di Spagna. Nel 1940, con la nomina a presidente dell’Ente stampa, tornò a rivestire incarichi politici riprendendo anche la scalata nel Partito del quale, il 21 dicembre 1942 divenne vicesegretario, e, quattro mesi più tardi, il 17 aprile, segretario. Il 25 luglio votò contro l’ordine del giorno Grandi. Nei giorni immediatamente successivi alla caduta del fascismo riuscì a sottrarsi all’arresto nascondendosi a Roma. Nel dicembre fu arrestato, processato dalla Rsi e liberato solo dietro intervento di Mussolini. Alla fine del conflitto emigrò in Argentina. E’ morto a San Godenzo nel 1988. (a cura di Massimiliano Tenconi)

 

Achille Starace

Nato a Gallipoli (Lecce) nel 1889. Ufficiale dei bersaglieri nella prima guerra mondiale, pluridecorato, organizzatore dello squadrismo trentino e fondatore del Fascio di Trento (1920), diventa vice segretario del PNF (1921), ispettore per la Sicilia (1922) e deputato nel 1924. Dal 1926 è vice capo della MVSN. Nel 1931 sostituisce Giuriati alla segreteria del PNF. Estende la rete del partito nella società, irregimentando le masse in organizzazioni che coinvolgono i cittadini, dalla scuola elementare all'università, al dopo lavoro. Impone uno "stile fascista" denominato "staracismo", caratterizzato dall'obbligo per gli italiani di partecipare a cerimoniali coreografici di massa (le feste della nazione, gli anniversari del regime, le vittorie della rivoluzione fascista, il culto dei caduti e la glorificazione degli eroi), a usare il "voi" al posto del "lei", a sostituire il saluto romano alla stretta di mano, a indossare le divise.Partecipa alla campagna d'Etiopia (1935), sulla cui esperienza nel 1937 pubblica il volume "La marcia su Gondar". Tra il 1936 e il 1938 fa parte della commissione per la fusione del Consiglio nazionale del partito con il Consiglio nazionale delle corporazioni. Nel 1938 è tra gli organizzatori della campagna antiebraica e tra i principlai sostenitori delle leggi razziali. Sostituito alla segreteria del PNF da Muti, è progressivamente emarginato da ogni incarico di rilievo, anche nella RSI. Nell'aprile del '45 viene catturato dai partigiani e giustiziato. Il suo cadavere è esposto a Piazzale Loreto.

 

Augusto Turati

Nacque a Parma nel 1888. Trasferitosi a Brescia fu redattore presso la "Provincia di Brescia", giornale di ispirazione liberal-democratica, e intraprese studi in legge senza però conseguire la laurea. Attivo interventista prese parte al primo conflitto mondiale con il grado di capitano e fu decorato. Smobilitato nel 1919 fece ritorno a Brescia dove riprese a lavorare presso "La Provincia di Brescia" in qualità di capo redattore. Alla fine del 1920 aderì ai fasci di combattimento conquistando, perlomeno a livello locale, una discreta fama. Dal 1923 al 1926 fu segretario del fascio di Brescia indirizzandolo, data la sua impostazione sindacale, verso un’attenta cura dei problemi di carattere economico. La sua figura conobbe una risonanza a livello nazionale in seguito al grande sciopero dei metallurgici lombardi svoltosi nella primavera del 1925. Nel 1926 fu nominato segretario del Partito nazionale fascista mantenendo tale compito fino al 1930. I quattro anni della sua gestione furono segnati da grandi epurazioni, da un ridimensionamento dei capi provinciali in favore del potere centrale e da un rigido inquadramento degli iscritti. Sotto la sua segreteria il Partito perse la sua autonomia in favore dello Stato. Entrato in contrasto con Mussolini per ragioni di carattere economico, Turati era assai critico nei confronti della politica di "quota novanta", rassegnò le sue dimissioni. Dopo una breve collaborazione con il "Corriere della sera" fu chiamato, nel 1931-1932, a dirigere "La Stampa". Nello stesso anno, dopo una campagna scandalistica sul suo nome, fu però espulso dal Partito ed esiliato a Rodi dove rimase fino al 1937 partecipando come socio ad un impresa agricola. Ritornato in Italia nel 1937 fu riammesso nel Partito a condizione di intraprendere un esperimento agrario in Etiopia. Il fallimento del progetto lo riportò in patria all’inizio del 1938. Successivamente esercitò la professione di consulente legale abbandonando qualsiasi aspirazione di tipo politico. Non aderì perciò alla Rsi ma, a guerra terminata, fu in ogni caso processato. Amnistiato, morì a Roma nel 1955. (a cura di Massimiliano Tenconi)

 

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