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Biografie fascisti
Giuseppe Bottai
Nato a Roma nel 1895. Figlio di un vinaio toscano, abbandona gli
studi per arruolarsi volontario nella Grande guerra. Combatte nei battaglioni d'assalto,
viene ferito e decorato. Alla fine della guerra si laurea in giurisprudenza e collabora
all'ufficio romano del "Popolo d'Italia". Nel marzo 1919 fonda il Fascio romano
e dirige l'Associazione romana degli arditi d'Italia. Nel 1921 crea nella capitale le
prime squadre d'azione ed entra alla Camera (elezione poi annullata, non avendo raggiunta
l'età richiesta). Letterato e giornalista, partecipa alla "marcia su Roma" e
nel 1924 viene rieletto deputato. Tra le figure più in vista del fascismo, si dedica, in
particolare alla riorganizzazione dello Stato in senso corporativo. Nel novembre 1926 è
sottosegretario del ministero delle Corporazioni (diventerà ministro nel 1929) e
contribuisce all'elaborazione della Carta del lavoro; fonda la rivista "Il diritto
del lavoro"(1927); promuove la legge sul Consiglio nazionale delle corporazioni
(1930). Nel frattempo è nominato professore universitario e pubblica numerosi studi
economici e giuridici. Nel 1932 è allontanato dal ministero e nominato presidente
dell'Istituto nazionale fascista della previdenza sociale. Tra il 1935 e il 1936 è
governatore di Roma e promuove diversi interventi urbanistici nella capitale. Prende parte
alla guerra in Africa orientale ed è il primo governatore civile di Addis Abeba. Ministro
dell'Educazione nazionale dal novembre 1936, redige la Carta della scuola (1939). Nel 1940
fonda la rivista di cultura "Primato", alla quale collaborano storici, letterati
e artisti anche antifascisti. Prende parte alla seconda guerra mondiale sul fronte
occidentale e su quello greco. Nel febbraio 1943 è rimosso dal ministero e il 25 luglio
vota in Gran Consiglio l'ordine del giorno Grandi, per cui sarà poi condannato a morte in
contumacia dal tribunale di Verona della RSI. Nel 1944 espatria e si arruola nella Legione
straniera. Condannato all'ergastolo dopo la liberazione di Roma, è amnistiato nel 1947 e
rientra in Italia l'anno seguente. Nel 1953 fonda la rivista di critica politica
"ABC". Muore a Roma nel 1959.
don
Tullio Calcagno
Gian Galeazzo Ciano
Nacque a Livorno il 18 marzo 1903. Figlio dell'Ammiraglio Costanzo Ciano, medaglia d'onore
nella 1° guerra mondiale. Nell'ottobre del 1922 partecipò alla marcia su Roma. Dopo
aver lavorato nel campo del giornalismo, nel 1925 entrò in politica. Tra i primi
incarichi ci fu quello di ambasciatore a Peking, Rio de Janiero e Buenos Aires. Nel
1930 sposò Edda, figlia di Benito Mussolini. Pilota volontario dello
squadrone di bombardieri "La Disperata" durante la guerra in Etiopia (1935), fu
decorato con due medaglie d'argento al valore di guerra. Nel giugno di 1936 fu
nominato ministro degli esteri, incarico che mantenne fino alla fine di febbraio del
1943. Il 22 maggio 1939 firmò assieme a Ribbentrop, ministro degli esteri tedesco, il
" Patto d''Acciaio" tra Italia e Germania. In principio Ciano fu tra i
fautori dell'asse con i tedeschi, ma dopo la riunione a Saltzburg nel 1939 con Hitler e
Ribbentrop, cominciò ad opporsi alla loro politica di guerra. Quando la Germania invase
la Polonia, riuscì a convincere Mussolini a dichiarare lo stato di
"non-belligeranza". Ma quando il 10 giugno del '40 Mussolini
dichiarò guerra a Francia e Inghilterra, Ciano continuò a servirlo con zelo. Nel '42,
però, cominciò a dubitare sulla possibilità di vincere la guerra; l'anno dopo fu
sollevato dalla carica di ministro degli esteri e designato ambasciatore. Il 24 luglio del
'43, alla riunione del Gran Consiglio del fascismo, fu tra i sostenitori della
mozione Grandi, che portò alla caduta di Mussolini. Si trasferì con la famiglia in
Germania, nella speranza di poter trovare ospitalità in Spagna. Dopo l'armistizio e
la costituzione della Repubblica Sociale, fu arrestato e tradotto nelle carceri di Verona.
Processato davanti al tribunale speciale per alto tradimento, fu condannato a morte e
fucilato il 11 gennaio 1944 a San Procolo vicino a Verona. La moglie tentò invano varie
volte di salvargli la vita. Mussolini non intervenne.
Giovanni Gentile
Filosofo. Nato a Castelvetrano nel 1875. Docente a
Palermo dal 1906 al 1914; passò poi a Pisa alla cattedra di filosofia teoretica; nel 1915
partecipò attivamente al Comitato pisano di preparazione e mobilitazione civile, secondo
i principi espressi ne "La filosofia della guerra" (1914). Nel 1919 venne
chiamato all'Università di Roma; dal 1922 al 1924 fu ministro della Pubblica Istruzione e
legò al suo nome la riforma della scuola. A conclusione di quanto aveva scritto e fatto
nel decennio precedente, nel 1923 si iscrisse al partito fascista, adoperandosi per dargli
un programma ideologico e culturale: primo atto di questo suo impegno fu il
"Manifesto degli intellettuali del fascismo" (1925), a cui Croce rispose con un
contromanifesto che da allora rese insanabile il contrasto fra i due filosofi. Gentile
tentò di collegare il fascismo direttamente al Risorgimento. Dal 1920 in poi il filosofo
diresse il Giornale critico della filosofia italiana e numerose collane di classici e di
testi scolastici; dal 1925 al 1944 diresse l'Enciclopedia Italiana. Negli ultimi anni del
fascismo Gentile tentò di porsi al di sopra dei contrasti con un nuovo programma di
unità nazionale ("Discorso agli Italiani", 1943). Fu ucciso dai partigiani
fiorentini il 15 aprile del 1944 in quanto considerato uno dei maggiori responsabili del
regime fascista.
Dino Grandi
Nato a Mordano (BO) nel 1895. Dopo aver
combattuto durante la prima guerra mondiale, si laurea in legge a Bologna (1919) ed entra
nei Fasci di combattimento romagnoli. Eletto deputato di Bologna alle elezioni del luglio
1921, deve rifiutare il mandato parlamentare perché non in possesso del requisito
dell'età (sarà rieletto tre anni dopo). Nell'estate del 1921, guida la rivolta dello
squadrismo agrario contro la dirigenza dei Fasci e cerca, senza successo, di strappare la
leadership a Mussolini, con il quale si riconcilia nel congresso nazionale del novembre
1921. Da allora diventa l'interprete della tendenza moderata del fascismo. Sottosegretario
dell'Interno nel 1924, diventa sottosegretario agli Esteri due anni dopo. Nel settembre
1929 diventa ministro degli Affari esteri. Sostenitore di una politica di concertazione
con la Gran Bretagna, lascia il suo incarico alla testa del ministero per andare a Londra
nel luglio 1932 come ambasciatore. Nell'aprile 1938 è tra i principali artefici
dell'accordo anglo-italiano. Nel 1939 è richiamato in Italia per assumere le cariche di
ministro guardasigilli e di presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni e
presiede all'ultima fase della riforma fascista dei codici. Contrario all'entrata in
guerra dell'Italia, nel febbraio 1943 lascia il suo incarico nel governo, ma resta
presidente della Camera. Alla seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943 propone una
mozione di sfiducia verso Mussolini, che, approvata a maggioranza, decreta la fine della
dittatura. Nell'agosto 1943 si rifugia in Portogallo. Al processo di Verona (gennaio 1944)
è condannato a morte in contumacia. Dopo alcuni anni trascorsi in Brasile e in Spagna,
rientra in Italia e si ritira a vita privata. Muore
a Bologna nel 1988.
Rodolfo Graziani
Nato a
Filettino (Fr) nel 1882. Dopo aver combattuto negli eserciti coloniali di Eritrea e di
Libia, è capitano e poi maggiore nella prima guerra mondiale. Dopo la guerra viene
inviato in Libia, dove porta a termine, con feroce energia, la riconquista della
Tripolitania (1924) e della Cirenaica (1928-1930), di cui diviene governatore. Generale di
corpo d'armata nel 1932, è nominato governatore della Somalia (marzo 1935) e durante la
guerra d'Etiopia guida le operazioni sul fronte sud. Dopo aver ricevuto il titolo di
maresciallo d'Italia, nel giugno 1936 succede a Badoglio come vicerè d'Etiopia. In questa
funzione opera durissime repressioni in tutto il territorio dell'Impero, sinché, dopo
l'attentato del 7 febbraio 1937, torna in Italia e ottiene il titolo di marchese di
Neghelli (1938). Nel 1940 è capo di Stato maggiore dell'esercito e comanda le forze
armate dell'Africa settentrionale. Dopo la sconfitta (inverno 1940-41) viene esonerato
dall'incarico. Rientra nella vita militare e politica dopo l'8 settembre 1943, quando si
schiera con la RSI diventando ministro della Difesa e comandante del nuovo esercito
repubblicano. In tale veste combatte contro gli angloamericani in Garfagnana (agosto
1944). Consegnatosi agli alleati il 1° maggio 1945, viene condannato a 19 anni di carcere
come criminale di guerra. Liberato il 3 marzo 1950, si ritira a vita privata. Nel 1954 si
avvicina al MSI. Muore a Roma nel 1955.
Ettore Muti
Nato a Ravenna
nel 1902. Volontario
nella grande guerra, a 15 anni è tra gli arditi del Piave e poi tra i legionari di Fiume.
In quei giorni incontra Mussolini, da cui resta folgorato e per il quale conserverà
sempre una venerazione. È tra i fondatori delle squadre d'azione nel ravennate. Uomo
d'azione, agli ambienti romani della politica preferisce le corse in automobile e le
scazzottate contro i rivali. Nel 1924 è nominato console della Milizia fascista. Nel 1927
viene gravemente ferito in un attentato a Ravenna. A 34 anni entra nell'Aeronautica con il
grado di tenente e combatte in Etiopia e in Spagna. Nel 1939 Mussolini lo chiama alla
segreteria nazionale del PNF per sostituire Achille Starace. Nominalmente rimane
segretario del PFN fino all'ottobre del 1940 (verrà sostituito da Adelchi Serena), ma dal
1° giugno rientra nell'Aeronautica per prendere parte attiva alla guerra. Anche dopo il
25 luglio 1943 e l'arresto di Mussolini, Muti continua a manifestare apertamente il suo
culto del duce. Arrestato a Fregene la notte del 24 agosto, viene ucciso mentre i
carabinieri lo stanno portando in carcere. Porterà il suo nome, durante i 600 giorni di
Salò, una delle più famigerate squadre della Repubblica di Salò.
Alessandro Pavolini
Nato a Firenze il 27 settembre del 1903 da Paolo Emilio.
Fin da giovanissimo manifesta la sua vocazione per lattività letteraria. A dodici
anni fonderà un giornaletto scolastico in cui scriverà articoli interventisti. E'
studente brillante, si laurea in Giurisprudenza e in Scienze Politiche, frequentando due
atenei, quello di Firenze e quello di Roma. E proprio a Roma, per ragioni di studio, il
giovanotto si trova nel giorno "fatale" del 28 ottobre del 1922. Si accoda alle
colonne fiorentine di camicie nere per la parata finale, quando Mussolini ha già ricevuto
la nomina a Primo Ministro. Collaboratore di riviste letterarie, scrittore di saggi
politici, si cimenta anche nel romanzo e nel 1928 ottenne un primo buon successo con
"Giro d'Italia". Nel 1929 Pavolini diviene, a soli ventisei anni, federale di
Firenze. Una delle sue creature, il "Maggio musicale fiorentino" è tutt'oggi
una delle più importanti rassegne artistiche a livello internazionale. Fonda anche una
rivista letteraria, "Il Bargello". Nel 1932 viene chiamato a far parte del
Direttorio Nazionale del Partito. Nel 1934 è eletto deputato e stringe una grande
amiciziacon Galeazzo Ciano. Chiamato a presiedere la Confederazione Professionisti ed
Artisti, istituisce i "Littoriali", una specie di olimpiade della cultura e
dell'arte. Scrive anche sul Corriere della Sera. Nel '35 parte volontario per la guerra
d'Africa. Proprio col suo amico Galeazzo Ciano comanderà una squadriglia aerea cui viene
dato il nome di una squadra d'azione famosa a Firenze ai tempi della marcia su Roma: la
Disperata. In Etiopia trova il tempo di mandare corrispondenze al Corriere della Sera, e
dall'esperienza bellica in Africa trarrà il suo secondo libro: "La Disperata".
Finita lavventura africana, Pavolini diventa una specie di "inviato
speciale" del regime. Viaggia in tutto il mondo, inviando al "Corriere"
corrispondenze che poi raccoglierà in volume. Il 31 ottobre 1939, diventa Ministro della
Cultura Popolare. Dopo i rovesci militari, il 5 febbraio del 1943 Mussolini lo domina
direttore del quotidiano "Il Messaggero". Caduto il fascismo, riesce a riparare
in Germania. Aderisce alla Repubblica Sociale ed è lui, neo segretario del Pfr (Partito
fascista repubblicano) a sollecitare Mussolini ad assumere la guida del nuovo regime,
essendone "il capo naturale". E' lui a tenere le fila del cogresso di Verona, a
chiedere il processo e la condanna dei "tradiotori" del 25 luglio e a
ricostituire le "Brigate nere". Nella primavera del '45 la Rsi si avvia all'atto
finale. Pavolini vaneggia di raccogliere ventimila fedelissimi per costituire
l'ultima resistenza in Valtellina: là vuole far trasportare anche le ossa di Dante,
simbolo dellitalianità.. Si avvia con il Duce, il 25 aprile del '45, per l'ultimo
viaggio, dalla Prefettura di Milano al lungolago di Dongo, dove viene fucilato il 28 dai
partigiani della 52a brigata garibaldina, dopo un inutile tentativo di fuga a nuoto nel
lago.
Edmondo Rossoni
Edmondo Rossoni nacque a Trisingallo nel 1884. Dopo aver frequentato il
ginnasio siscrisse al Partito socialista e partecipò attivamente agli scioperi
agrari del 1903-1904. Nel novembre del 1904 si trasferì a Milano dove, due anni dopo, fu
eletto membro del gruppo di propaganda sindacalista della Federazione milanese, s'impegnò
in battaglie antimilitariste e diventò corrispondente della "Gioventù
socialista". Nel 1907, in linea con gli indirizzi del sindacalismo rivoluzionario,
abbandonò la Federazione per impegnarsi a tempo pieno nelle organizzazioni della Camera
del lavoro. Nel novembre sostituì a Piacenza il Commissario amministrativo della Camera
del lavoro locale e nei mesi seguenti tenne una lunga serie di comizi che, a causa dei
toni accesi e dei contenuti violenti, gli valsero, il 16 giugno 1908, una condanna a
quattro anni di reclusione e a due di sorveglianza speciale. Per sfuggire alla pena
Rossoni si trasferì prima a Nizza, dove fu diffidato, e poi in Brasile dove riuscì a
trovare lavoro, grazie ad Alceste de Ambris, presso il giornale "Il Fanfulla".
Partito dalla Francia nel marzo soggiornò in Brasile solo pochi mesi: espulso per
attività sindacale si trasferì a Parigi e quindi, nel luglio del 1910, a New York dove
aderì alla Federazione socialista italiana. Divenuto organizzatore della Federazione,
collaborò come redattore al giornale "Il Proletario" e fu arrestato per
istigazione allo sciopero. Tornato in Italia, nel gennaio del 1913 fu nominato segretario
del sindacato provinciale Edile di Modena e diresse uno sciopero durato settanta giorni
che terminò con la sconfitta delle maestranze. Il fallimento dello sciopero edile e il
timore di un nuovo arresto lo indussero nuovamente alla fuga. Fece quindi ritorno a New
York dove assunse la direzione de "Il Proletario". Allo scoppio della Grande
guerra, come altri sindacalisti rivoluzionari, assunse posizioni interventiste; abbandonò
quindi "Il Proletario", fedele alla linea neutralista, per andare a dirigere la
"Tribuna", giornale dispirazione nazionalista. Richiamato alle armi
rientrò in Italia e nel 1918 fondò e diresse il settimanale "LItalia
nostra", organo dellUnione sindacale milanese. In seguito partecipò alla
costituzione dellUnione Italiana del Lavoro, della quale rimase segretario fino al
marzo del 1919 quando lasciò lincarico per prendere la direzione della Camera del
lavoro di Roma. Nel giugno del 1921, fu chiamato a dirigere la Camera del lavoro di
Ferrara e il 10 febbraio del 1922 fu nominato segretario generale della Confederazione
nazionale delle corporazioni sindacali, i nuovi sindacati fascisti costituitisi con il
convegno di Bologna nel gennaio precedente. Assunse inoltre la direzione de "Il
lavoro dItalia", giornale della nuova Confederazione, e promosse lidea di
un sindacalismo integrale, vale a dire la fusione in un unico organismo sia dei sindacati
operai sia di quelli padronali. Fallito tale obiettivo, cercò a tutti i costi di ottenere
per le Corporazioni il monopolio della rappresentanza sindacale del mondo operaio; una
posizione che lo portò a scontrarsi con la "Commissione dei diciotto",
istituita dal regime con il compito di studiare le problematiche politiche e sociali. Dopo
non poche difficoltà, il monopolio sindacale fu ad ogni modo realizzato il 2 ottobre del
1925, grazie agli accordi di Palazzo Vidoni. Da quel momento la posizione di Rossoni e
delle Corporazioni, per via del potere che detenevano, fu guardata dai vertici del
fascismo con sospetto. Questo indusse il regime, mosso anche dal progetto di realizzare un
sistema corporativo, ad indebolire il movimento sindacale separando la Confederazione
fascista in sei sindacati autonomi, cui corrispondevano altrettante organizzazioni
padronali, e dando vita ad ununica Confederazione per gli artisti e gli
intellettuali. Dopo lo "sbloccamento" del 1928, accettato da Rossoni senza
alcuna polemica, il leader sindacale si trovò sempre più isolato e ormai privo di
qualsiasi potere reale. Nel settembre del 1930, ritornato nelle grazie del regime, fu
nominato membro del Gran Consiglio e due anni dopo rivestì la carica di sottosegretario
alla presidenza del Consiglio. Nel marzo del 1935 fu nominato ministro
dellAgricoltura e foreste, carica che mantenne fino al 1939. Il 25 luglio del 1943
votò a favore dellordine Grandi, atto che gli costò la condanna a morte decretata
dal Tribunale di Verona. Rifugiatosi dapprima in Vaticano, dopo la condanna
allergastolo inflittagli nel maggio 1945, riparò in Canada dove rimase un solo
anno. Amnistiato fece ritorno in Italia e si ritirò a vita privata. E morto a Roma
l8 giugno 1965. (a cura di Massimiliano Tenconi)
Carlo Scorza
Nacque a Paola nel 1897 e partecipò, come volontario, al primo
conflitto mondiale. Fu il fondatore del fascio di Lucca e diresse le squadre dazione
in numerose spedizioni ponendosi alla loro testa anche in occasione della marcia su Roma.
Incontrastato ras di Lucca, fu segretario federale della città dal 1921 al 1929 e
deputato al Parlamento dal 1924 al 1939. Per alcuni anni, nel periodo compreso fra il 1920
e il 1925, si occupò di giornalismo dirigendo l"Intrepido" e, per un breve
periodo, "La lucchesia". Dallottobre del 1929 al dicembre del 1931 fu
incluso nel direttorio del Pnf, fu incaricato di costituire i Fasci Giovanili di
Combattimento e, infine, nominato ispettore della milizia nazionale. Nello scontro del
1931 fra il regime e la Santa Sede assunse posizioni radicali tendenti
allesasperazione dello scontro. Dietro diretta richiesta del Vaticano, il regime lo
costrinse a dimettersi da tutte le cariche allora ricoperte. Lanno seguente, a causa
della concorrenza apertasi fra lui e Storace, il Partito aprì uninchiesta sullo
stato del fascismo in provincia di Lucca. Linchiesta si concluse con la proibizione,
fatta a Scorza, di recarsi nella intera provincia: il vecchio ras di Lucca evitava
lespulsione dal Partito, ma il suo futuro politico appariva ormai segnato. Negli
anni successivi prese parte alla campagna dEtiopia e alla guerra di Spagna. Nel
1940, con la nomina a presidente dellEnte stampa, tornò a rivestire incarichi
politici riprendendo anche la scalata nel Partito del quale, il 21 dicembre 1942 divenne
vicesegretario, e, quattro mesi più tardi, il 17 aprile, segretario. Il 25 luglio votò
contro lordine del giorno Grandi. Nei giorni immediatamente successivi alla caduta
del fascismo riuscì a sottrarsi allarresto nascondendosi a Roma. Nel dicembre fu
arrestato, processato dalla Rsi e liberato solo dietro intervento di Mussolini. Alla fine
del conflitto emigrò in Argentina. E morto a San Godenzo nel 1988. (a cura di
Massimiliano Tenconi)
Achille Starace
Nato a Gallipoli (Lecce) nel 1889.
Ufficiale dei bersaglieri nella prima guerra mondiale, pluridecorato, organizzatore dello
squadrismo trentino e fondatore del Fascio di Trento (1920), diventa vice segretario del
PNF (1921), ispettore per la Sicilia (1922) e deputato nel 1924. Dal 1926 è vice capo
della MVSN. Nel 1931 sostituisce Giuriati alla segreteria del PNF. Estende la rete del
partito nella società, irregimentando le masse in organizzazioni che coinvolgono i
cittadini, dalla scuola elementare all'università, al dopo lavoro. Impone uno "stile
fascista" denominato "staracismo", caratterizzato dall'obbligo per gli
italiani di partecipare a cerimoniali coreografici di massa (le feste della nazione, gli
anniversari del regime, le vittorie della rivoluzione fascista, il culto dei caduti e la
glorificazione degli eroi), a usare il "voi" al posto del "lei", a
sostituire il saluto romano alla stretta di mano, a indossare le divise.Partecipa alla
campagna d'Etiopia (1935), sulla cui esperienza nel 1937 pubblica il volume "La
marcia su Gondar". Tra il 1936 e il 1938 fa parte della commissione per la fusione
del Consiglio nazionale del partito con il Consiglio nazionale delle corporazioni. Nel
1938 è tra gli organizzatori della campagna antiebraica e tra i principlai sostenitori
delle leggi razziali. Sostituito alla segreteria del PNF da Muti, è progressivamente
emarginato da ogni incarico di rilievo, anche nella RSI. Nell'aprile del '45 viene
catturato dai partigiani e giustiziato. Il suo cadavere è esposto a Piazzale Loreto.
Augusto Turati
Nacque a Parma nel 1888. Trasferitosi a Brescia fu redattore presso la
"Provincia di Brescia", giornale di ispirazione liberal-democratica, e
intraprese studi in legge senza però conseguire la laurea. Attivo interventista prese
parte al primo conflitto mondiale con il grado di capitano e fu decorato. Smobilitato nel
1919 fece ritorno a Brescia dove riprese a lavorare presso "La Provincia di
Brescia" in qualità di capo redattore. Alla fine del 1920 aderì ai fasci di
combattimento conquistando, perlomeno a livello locale, una discreta fama. Dal 1923 al
1926 fu segretario del fascio di Brescia indirizzandolo, data la sua impostazione
sindacale, verso unattenta cura dei problemi di carattere economico. La sua figura
conobbe una risonanza a livello nazionale in seguito al grande sciopero dei metallurgici
lombardi svoltosi nella primavera del 1925. Nel 1926 fu nominato segretario del Partito
nazionale fascista mantenendo tale compito fino al 1930. I quattro anni della sua gestione
furono segnati da grandi epurazioni, da un ridimensionamento dei capi provinciali in
favore del potere centrale e da un rigido inquadramento degli iscritti. Sotto la sua
segreteria il Partito perse la sua autonomia in favore dello Stato. Entrato in contrasto
con Mussolini per ragioni di carattere economico, Turati era assai critico nei confronti
della politica di "quota novanta", rassegnò le sue dimissioni. Dopo una breve
collaborazione con il "Corriere della sera" fu chiamato, nel 1931-1932, a
dirigere "La Stampa". Nello stesso anno, dopo una campagna scandalistica sul suo
nome, fu però espulso dal Partito ed esiliato a Rodi dove rimase fino al 1937
partecipando come socio ad un impresa agricola. Ritornato in Italia nel 1937 fu riammesso
nel Partito a condizione di intraprendere un esperimento agrario in Etiopia. Il fallimento
del progetto lo riportò in patria allinizio del 1938. Successivamente esercitò la
professione di consulente legale abbandonando qualsiasi aspirazione di tipo politico. Non
aderì perciò alla Rsi ma, a guerra terminata, fu in ogni caso processato. Amnistiato,
morì a Roma nel 1955. (a cura di Massimiliano Tenconi)
altre biografie:
I gerarchi
fascisti (storiadelfascismo.com)
Biografie
di antifascisti
Biografia Mussolini
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