Dossier: La strage di
Marzabotto
a cura di Arrigo Petacco
La strage di Marzabotto del 29 settembre 1944 fu la tragica tappa finale
di una «marcia della morte» che era iniziata in Versilia. L'esercito alleato indugiava
davanti alla Linea Gotica e il maresciallo Albert Kesserling, per proteggersi
dall'«incubo» dei partigiani, aveva ordinato di fare «terra bruciata» alle sue spalle.
Kesserling fu il mandante di una strage che nessun'altra superò per dimensioni e per
ferocia e che assunse simbolicamente il nome di Marzabotto anche se i paesi colpiti furono
molti di più.
L'esecutore si chiamava Walter Reder. Era un maggiore delle SS soprannominato «il monco»
perché aveva lasciato l'avambraccio sinistro a Charkov, sul fronte orientale. Kesserling
lo aveva scelto perché considerato uno «specialista» in materia.
Al comando del 16° Panzergrenadier «Reichsfuhrer», il «monco» iniziò il 12 agosto
una marcia che lo porterà dalla Versilia alla Lunigiana e al Bolognese lasciando dietro
di sé una scia insanguinata di tremila corpi straziati: uomini, donne, vecchi e bambini.
In Lunigiana si erano uniti alle SS anche elementi delle Brigate nere di Carrara e, con
l'aiuto dei collaborazionisti in camicia nera, Reder continuò a seminare morte. Gragnola,
Monzone, Santa Lucia, Vinca: fu un susseguirsi di stragi immotivate. Nella zona non
c'erano partigiani: lo dirà anche la sentenza di condanna di Reder: «Non c'erano
combattenti. Nei dirupi intorno al paese c'era soltanto povera gente terrorizzata...».
A fine settembre il «monco» si spinse in Emilia ai piedi del monte Sole dove si trovava
la brigata partigiana «Stella Rossa». Per tre giorni, a Marzabotto, Grizzana e Vado di
Monzuno, Reder compì la più tremenda delle sue rappresaglie. In località Caviglia i
nazisti irruppero nella chiesa dove don Ubaldo Marchioni aveva radunato i fedeli per
recitare il rosario. Furono tutti sterminati a colpi di mitraglia e bombe a mano.
Nella frazione di Castellano fu uccisa una donna coi suoi sette figli, a Tagliadazza
furono fucilati undici donne e otto bambini, a Caprara vennero rastrellati e uccisi 108
abitanti compresa l'intera famiglia di Antonio Tonelli (15 componenti di cui 10 bambini).
A Marzabotto furono anche distrutti 800 appartamenti, una cartiera, un risificio, quindici
strade, sette ponti, cinque scuole, undici cimiteri, nove chiese e cinque oratori. Infine,
la morte nascosta: prima di andarsene Reder fece disseminare il territorio di mine che
continuarono a uccidere fino al 1966 altre 55 persone. Complessivamente, le vittime di
Marzabotto, Grizzano e Vado di Monzuno furono 1.830. Fra i caduti, 95 avevano meno di
sedici anni, 110 ne avevano meno di dieci, 22 meno di due anni, 8 di un anno e quindici
meno di un anno. Il più giovane si chiamava Walter Cardi: era nato da due settimane.
1944, i funerali delle vittime
Dopo la liberazione Reder, che era riuscito a raggiungere la Baviera, fu
catturato dagli americani. Estradato in Italia fu processato dal Tribunale militare di
Bologna nel 1951 e condannato all'ergastolo. Dopo molti anni trascorsi nel penitenziario
di Gaeta fu graziato per intercessione del governo austriaco. Morì pochi anni dopo in
Austria senza mai essere sfiorato dall'ombra del rimorso.
(in il Resto del Carlino, 12 aprile 2002)
I sopravvissuti
A Marzabotto gli unici sopravvissuti furono due bambini, Fernando Piretti,
di otto anni, e Paolo Rossi di sei, e una donna, Antonietta Benni, maestra d'asilo delle
Orsoline. Per 33 ore finse di essere stata abbattuta anche lei e quando finalmente potè
alzarsi, commentò ad alta voce: «Tutti morti, la mia mamma, la mia zia, la mia nonna
Rosina, la mia nonna Giovanna, il mio fratellino... Tutti morti». Anche a Marzabotto
alcune SS parlavano un italiano perfetto: erano italiani.
I collaborazionisti italiani
Per i fatti di Marzabotto ci fu anche una coda processuale italiana. Prima
della condanna del maggiore Reder, nel 1946, la corte d'assise di Brescia aveva giudicato
Lorenzo Mingardi e Giovanni Quadri, due repubblichini (il primo, reggente del Fascio di
Marzabotto, nonché commissario prefettizio durante la carneficina), per collaborazione,
omicidio, incendio e devastazione. Mingardi ebbe la pena di morte, poi trasformata in
ergastolo. Il secondo, 30 anni, poi ridotti a dieci anni e otto mesi. Tutti e due furono
successivamente liberati per amnistia.
La strage di Marzabotto, la
testimonianza di Renato Giorgi (da "Marzabotto
parla", Ed. Avanti!, 1955)
I responsabili della strage di Marzabotto,
di Renato Giorgi (da "Marzabotto parla", Ed.
Avanti!, 1955)
Marzabotto, «Hanno avuto quel che si meritavano» La testimonianza del
nazista Albert Meier (da l'espresso.it)
Marzabotto, perché l'eccidio rimase
impunito di Mimmo Franzinelli
Le stragi
nazifasciste in Toscana del 1944 (a cura di Claudio Biscarini)
L'eccidio di S. Anna di Stazzema (12 agosto 1944)
Le stragi tedesche in
Italia
attualità:
L'armadio della vergogna: i fascicoli insabbiati sulle stragi nazifasciste
(l'espresso, settembre 2001)
Inchiesta tedesca sugli
ex nazisti accusati della strage di Marzabotto e di Sant'Anna di Stazzema (aprile
2002)
Ciampi: delitti indescrivibili
vogliamo siano puniti (Corriere della Sera, 18 aprile 2002)
Il testo del
discorso di scuse per la strage di Marzabotto pronunciato dal presidente tedesco Rau
(17 aprile 2002)
Oltre 50 anni dopo, le scuse della
Germania per Marzabotto (aprile 2002)
I sopravvissuti: "Non perdoneremo
mai quegli assassini" (aprile 2002)
documenti:
Stragi
naziste. Il documento della Commissione Stragi della Camera dei Deputati sul
rinvenimento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti (dal sito dell'Anpi nazionale).
Scene di violenza,
rappresaglie e stragi naziste nell'Italia occupata (1943-45) Saggi sugli
eccidi compiuti dall'esercito tedesco e dalle SS (link dal sito Iperstoria).
Le sentenze di condanna di Theodor Saevecke e di Siegfried Engel
(link al sito dell'Ismec di Milano)
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