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La persecuzione degli zingari

 

LO STERMINIO DEGLI ZINGARI DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE (parte II)

di Giovanna Boursier

in Studi Storici 2, aprile-giugno 1995 anno 36

Non è facile dire quanti zingari morirono ad Auschwitz, cosí come non si conosce con precisione nemmeno il numero di quelli uccisi in quella tragica notte. Secondo i calcoli piú accreditati sono circa 23.000 gli zingari morti in quel lager 29.

Altrettanto difficile stabilire il numero totale degli zingari vittime del nazismo: le cifre ufficiali indicano circa 500.000 persone ma sembrano non tenere conto di molti dati e scontare la carenza di materiale e documentazione sull'argomento. Il materiale d'archivio testimonia infatti che molti zingari, oltreché nei lager, furono uccisi nelle esecuzioni di massa delle Eisatztruppen e tanti altri furono sterilizzati e rimessi in libertà.

In realtà il numero totale degli zingari uccisi sotto la dittatura nazista non è documentabile con precisione, in primo luogo perché è incerto il numero degli zingari presenti in Europa prima della guerra. Per lo sterminio degli ebrei una valutazione indiretta è stata ricavata dalla scomparsa, o dal gravissimo indebolimento delle comunità ebraiche europee. Dopo la guerra, queste comunità hanno potuto, certo con approssimazione e difficoltà, contare i superstiti e quelli che non erano tornati. È evidente a tutti che fare lo stesso per gli zigani non era possibile, e tantomeno lo è oggi. Gli stessi zingari, poi, non hanno una cultura scritta e non sono quindi protagonisti attivi della memoria della loro storia.I paragoni numerici tra lo sterminio degli ebrei e quello degli zingari - che spesso vengono fatti - sono inutili. In questo ambito le precisazioni non conducono mai a indicazioni univoche o a criteri semplici per capire. L'unico paragone possibile è sulla sostanza dell'ideologia e della politica razziale naziste, che li accomunano nel loro destino di morte. Il giudizio su uomini che predicano l'annientamento di altri uomini perché di razza diversa va infatti pronunciato unicamente sulle azioni e sul pensiero, e le cifre diventano in una certa misura irrilevanti.

Nella storia dello sterminio degli zingari anche il periodo successivo alla guerra riveste grande importanza, non solo perché apre ulteriori prospettive di indagine storica, ma anche perché evidenzia l'inizio di un nuovo capitolo nella storia della persecuzione degli zingari30.

La fine della guerra e la scoperta dei campi di sterminio nazisti non riguardarono gli zingari.

Da subito, persino negli aiuti immediati dei giorni successivi alla liberazione, gli zingari furono ex deportati di ultima categoria. Michail Krausnick, riferendosi alla città di Karlsruhe, riporta il primo rapporto - del 14 settembre 1945 - fatto dalle autorità cittadine e locali responsabili degli aiuti ai perseguitati, offerti tramite la pubblica assistenza, nel quale vengono indicate le cifre massime concesse: prigionieri politici 229 -RM, ebrei 263 -RM, perseguitati religiosi 283 -RM, zingari 42 -RM.

Nei processi ai nazisti responsabili di crimini contro l'umanità che seguirono la liberazione, primo tra tutti quello di Norimberga, gli zingari non ebbero considerazione: mai nessuno zingaro fu chiamato a deporre come testimone o parte in causa.

Eppure nei resoconti dei dibattimenti processuali gli zingari sono ripetutamente citati, anche se indirettamente. Molto spesso sono menzionati nelle deposizioni, in particolare come vittime degli esperimenti medici: ad esempio, nella sua testimonianza Franz Blaha, un medico cecoslovacco dal 1939 prigioniero a Dachau, racconta che nell'autunno del 1944 « un'ottantina di prigionieri, tutti ungheresi e zingari, vennero sottoposti a esperimenti col sale. Chiusi in una baracca per cinque giorni ebbero come unico cibo e bevanda dell'acqua salata [...]» . 31 Ma nella sentenza finale sull'operato dei « gruppi d'azione» c'è un unico paragrafo che riguarda lo sterminio degli zingari:

I gruppi d'assalto ricevettero l'ordine di fucilare gli zingari. Non fu fornita nessuna spiegazione circa il motivo per cui questo popolo inoffensivo, che nel corso dei secoli ha donato al mondo, con musica e canti, tutta la sua ricchezza, doveva essere braccato come un animale selvaggio. Pittoreschi negli abiti e nelle usanze, essi hanno dato svago e divertimento alla società, l'hanno talvolta stancata con la loro indolenza. Ma nessuno mai li ha condannati come una minaccia mortale per la società organizzata, nessuno tranne il nazionalsocialismo, che per bocca di Hitler, di Himmler, di Heydrich, ordinò la loro eliminazione32.

Il processo Eichmann, tenutosi a Gerusalemme nel 1961 - quando ormai erano passati piú di quindici anni dalla fine della guerra e le informazioni sullo sterminio degli zingari iniziavano a disegnare il quadro tragico di questa vicenda -, non ebbe esiti diversi. Anche in questo caso nel corso del dibattimento molte testimonianze avevano ricordato lo sterminio degli zingari, anche perché Eichmann era stato, durante la guerra, uno dei principali responsabili della « questione zingara» . Louis Frank, che era stato prigioniero ad Auschwitz e aveva lavorato nel lager di Birkenau come contabile, rese una deposizione sul ruolo svolto da Eichmann nel lager di Birkenau, in cui, tra l'altro disse:

[...] Comunque Eichmann è sicuramente implicato nella creazione del lager zingaro di Birkenau, che fu poi chiuso gasando tutti i suoi abitanti: donne, uomini e bambini. Questo campo aveva le stesse caratteristiche di quello per le famiglie ceche, era costruito allo stesso modo e come l'altro finí nelle camere a gas. Il fatto che oggi non si parli pubblicamente dei crimini dei nazisti contro gli zingari è soltanto perché, non essendoci tra loro uomini con specifiche competenze, nessuno vuole riconoscere le loro ragioni [...].33

Il 14 agosto, dopo 114 udienze, il dibattimento terminò e l'11 dicembre si ebbe la sentenza. Tra i vari capi di imputazione, quelli 9-12 riguardavano i crimini contro i « non ebrei» , e, in particolare, il capo d'accusa numero 11 accusava Eichmann della deportazione di « decine di migliaia di zingari» ad Auschwitz. Eppure la sentenza finale stabiliva che « non è stato provato che l'imputato sapesse che gli zingari erano portati via per essere sterminati» . La ragione di un simile verdetto risulta incomprensibile, poiché lo stesso Eichmann, in istruttoria, aveva ricordato che lo sterminio degli zingari era stato ordinato da Himmler; che per gli zingari non c'erano direttive precise come c'erano invece per gli ebrei; che il suo ufficio era stato incaricato di evacuare 30.000 zingari dal territorio del Reich; e che, nonostante non riuscisse a ricordare tutti i particolari e le date perché c'erano state molte interferenze e grande confusione, non aveva mai dubitato del fatto che gli zingari, come gli ebrei, fossero portati via per essere sterminati34. Eichmann, insomma, si era dimostrato consapevole del loro sterminio come di quello degli ebrei. Inconsapevoli, e indifferenti, si rivelarono, invece, i tribunali che non considerarono il « problema zingaro» argomento dei loro dibattimenti.

Dunque sullo sterminio degli zingari nessun riconoscimento di errore, nessuna colpa, nessuna vergogna. Tra i responsabili nessun colpevole.

Nel 1964 un procedimento a carico di Eva Justin si concluse con una sentenza che riteneva le incriminazioni insufficienti a rinviarla a giudizio. Si diceva che Eva Justin aveva - evidentemente in maniera inconsapevole - desunto le sue argomentazioni dal dottor Ritter, ma senza convinzione profonda. E si aggiungeva che, comunque, dopo tanti anni, i testimoni zingari non potevano essere sicuri che la donna che li aveva personalmente seviziati e torturati nei lager fosse proprio lei 35.

Un altro fatto molto grave è che la documentazione relativa alla persecuzione degli zingari rimase, per lungo tempo dopo la guerra, nelle mani di polizia e organi competenti per essere catalogata. Nei processi intentati dagli zingari per ottenere i risarcimenti mancò quindi la documentazione necessaria.

Nel dopoguerra, inoltre, erano gli stessi Rassenforschen, o i medesimi Zigeuner-Sach-bearbeiter che durante la guerra lavoravano per l'Rkpa, ad occupare i luoghi deputati alla verifica degli atti dei tribunali tedeschi, e quindi a « dimostrare» che nessun danno materiale e morale andava ricompensato. Questi funzionari sempre zelanti continuavano a sostenere l'esistenza di una « specie» zingara e a definirla asociale, pericolosa e diversa. Ciò permise di negare la persecuzione nazista degli zingari in quanto razza. Cosí, ad esempio, quando, nel 1951, Anna Eckstein avanzò una richiesta di risarcimento come ex deportata zingara, fu immediatamente citata dalla polizia criminale e condotta davanti all'ex Ss Leo Karsten, responsabile dell'ufficio per la « questione degli zingari» a Berlino. Karsten dimostrò quindi l'invalidità dei vecchi NS-Atti degli zingari e negò alla donna ogni risarcimento36.

Come si intuisce, la sottovalutazione, per non dire la negazione, della « questione zingara» nel dopoguerra nasconde in verità un problema molto complesso e concreto, quello dei risarcimenti dovuti alle vittime del nazismo. Il non riconoscimento dello sterminio razziale permise di negare i fatti e trascurare le responsabilità.

Dopo la seconda guerra mondiale, infatti, la Germania federale aveva dovuto sottoscrivere la Convenzione di Bonn che prescriveva il pagamento di un indennizzo a coloro che erano stati perseguitati per motivi di « nazionalità, razza o religione» e che avessero sofferto la perdita di libertà, di proprietà o danni fisici. Come abbiamo visto, in questa categoria di persone rientravano, a pieno titolo, anche gli zingari. Se lo sterminio di oltre mezzo milione di zingari fosse stato riconosciuto e la loro persecuzione identificata come razziale, le riparazioni sarebbero state concesse anche a loro. Invece, si sosteneva, la deportazione degli zingari era stata motivata da ragioni di ordine pubblico e di prevenzione della criminalità o dello spionaggio.

Alle prime richieste di risarcimento intentate dagli zingari tedeschi nel dopoguerra rispose ufficialmente una circolare del ministero degli Interni del W&uumlrtemberg datata 9 maggio 1950 sostenendo che le riparazioni previste dalla convenzione non riguardavano gli zingari in quanto « perseguitati sotto il regime nazista, non già per motivi razziali, bensí per i loro precedenti asociali e delinquenziali» .

Nel corso degli anni Cinquanta, però, la discussione sul riconoscimento o meno di uno sterminio razziale dovette misurarsi non solo con l'aumento delle richieste di risarcimento presentate dagli zingari, ma soprattutto con l'emergere della documentazione. In proposito l'atteggiamento delle autorità fu assolutamente elusivo: si fissò una data di inizio delle persecuzioni « di tipo razziale» , identificando due fasi nei tempi della persecuzione degli zingari e continuando a considerare i primi provvedimenti nazisti come semplici « misure di sicurezza» .37

Una delle prime domande di indennizzo sulla « questione zingara» era stata presentata da Erik Balasz, arrestato dai nazisti nel 1940, quando aveva solo sedici anni, con tutta la sua famiglia. La madre era stata fucilata a Ravensbr&uumlck, mentre lui era stato sottoposto a esperimenti medici a Benninghausen, dove si era anche ammalato gravemente di tubercolosi. Nel 1955 la Commissione per le richieste di indennizzo stabilí che il risarcimento non era dovuto perché Balasz era stato arrestato in territorio polacco per motivi di sicurezza e non per motivi di razza. Il tribunale concludeva riconoscendo che i provvedimenti contro gli zingari erano diventati di ordine razziale solo dopo il decreto di Auschwitz del 16 dicembre 194238.

Un caso analogo a quello Balasz è quello di Wacslaw Mierzinski, ex deportato polacco, che nel 1955 presenta richiesta di risarcimento al tribunale di L&uumlnenburg, nella Bassa Sassonia. Anche in questo caso il tribunale non riconosce gli estremi della deportazione razziale, sostenendo che, poiché il padre del richiedente era stato arrestato per presunta appartenenza ad un'organizzazione clandestina polacca, anche il figlio doveva essere stato considerato nemico dello Stato. La sentenza conclude che la questione della razza « non aveva avuto parte alcuna nella motivazione del provvedimento» di internamento di Wacslaw Mierzinski39.

Queste e altre decisioni della magistratura tedesca a livello locale ebbero poi il pieno avallo istituzionale nel 1956, quando la Corte suprema della Germania federale sentenziò ufficialmente che la persecuzione nazista degli zingari non era stata « razziale» almeno fino al famigerato decreto di Auschwitz del 1943 e che quindi, prima di allora, si era trattato solo di misure dovute a una « campagna preventiva contro i crimini» . Di conseguenza gli zingari catturati dai nazisti prima del 1° marzo 1943 erano considerati deportati in quanto asociali e criminali e non in quanto zingari, perciò non avevano diritto ai risarcimenti. Gli indennizzi si potevano concedere solo a coloro che erano stati imprigionati dopo quella data, o che allora si trovavano già nel lager e, in questo caso, si considerava soltanto l'ultimo periodo di prigionia.

Sulla base di questa sentenza e dello schietto tono dei giuristi tedeschi la maggior parte delle richieste di risarcimento finirono come quella di Karl G., deportato con tutta la famiglia in Polonia dai nazisti, e al quale fu negato ogni diritto al risarcimento. A sua figlia, Froscha G., che al momento della deportazione aveva solo sei anni e che dovette lasciare la scuola perché zingara, fu risposto, nel 1958, che « in base alla sentenza del BGH del gennaio 1956 si stabilisce la ragione del decreto del Reichsf&uumlhrers e capo della polizia tedesca del 27/4/40 [...] la deportazione degli zingari in epoca nazista non fu una misura coercitiva per ragioni di razza» .40

La sentenza del 1956 assume quindi un grande valore simbolico: non solo per il mancato riconoscimento della storia, ma per la negazione dei diritti dei sopravvissuti zingari ai lager nazisti.

Per anni il lavoro forzato, il furto di beni, di appartamenti, carrozzoni, utensili o strumenti musicali, i danni alla salute, la deportazione coatta e la morte non vennero considerati.

Questa situazione andò avanti almeno fino alla prima metà degli anni Sessanta quando furono gli zingari a cercare un'alternativa, prima di tutto unendosi in un organismo rappresentativo di tutta la collettività zingara e poi chiedendo che gli indennizzi fossero riconosciuti collettivamente, al popolo intero, e non a individui singoli la cui debolezza era facile da strumentalizzare.

Nel 1956 venne fondata la Verband Deutscher Sinti und Roma, un'associazione che ancora oggi costituisce un ottimo punto di riferimento per chiunque voglia reperire materiale e documentazione sullo sterminio degli zingari.

Il 7 novembre 1960 questa associazione ottenne, dal tribunale di Kiel, il diritto al risarcimento - peraltro già rifiutato in precedenza - per uno zingaro deportato nel maggio 194041.

Tre anni dopo, nel 1963, il verdetto del 1956 venne finalmente rivisto e annullato. Erano però trascorsi diciotto anni dalla fine della guerra: molti sopravvissuti zingari erano morti, altri avevano ormai rinunciato ai loro diritti.

Le autorità tedesche continuavano a dilazionare i tempi, sostenendo che le richieste di indennizzo risultavano inaccettabili dal momento che non esisteva alcun organismo rappresentativo del popolo zingaro. Nemmeno la fondazione, nel 1971, della Romani Union, riconosciuta poi a livello internazionale come organizzazione non governativa dell'Onu con statuto consultivo, valse al caso, tanto è vero che ancora nel 1978, al secondo congresso mondiale della Romani Union, Grattan Puxon sottolineava « to the German representatives our claim for some form of block reparations in respect of the war crimes committed against the Romani people» .42

Alla fine del 1979, in seguito a un'importante iniziativa della Verband Deutscher Sinti und Roma, che raccolse a Bergen-Belsen piú di 1.500 persone, fra le quali Simone Veil43, il governo tedesco accettò, per la prima volta dopo la guerra44, di incontrare una delegazione di zingari.

Nell'aprile del 1980 il governo tedesco riconobbe ufficialmente che gli zingari avevano subito, sotto il regime nazista nell'Europa occupata, « una persecuzione razziale» .

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Note

29 Recentemente, proprio sulle cifre degli zingari deportati e sterminati, sta lavorando Donald Kenrick ma non ha ancora pubblicato i nuovi dati. Nel testo di Kenrick e Puxon comunque è già redatta una sorta di tabella sulle cifre dei deportati suddivisi per paese.

30 Michael Krausnick in un utile libro, Unfarth karlsruhe - a cura della Verband der Sinti und Roma, e. V., Karlsruhe, 1990 - intitola significativamente il capitolo dedicato al dopoguerra La seconda volta.

31 T. Taylor, Anatomia dei processi di Norimberga, Milano, Rizzoli, 1993.

32 E. Marcolungo-M. Karpati, Chi sono gli zingari?, Torino, Ed. Gruppo Abele, 1985, p. 33.

33 Institut fur Zeitgeschichte, München, doc. Eich/1497.

34 Institut fur Zeitgeschichte, München, doc. Eich. Cfr. anche H. Arendt, La banalità del male, Milano, Feltrinelli, 19922 (I ed. 1964), p. 252.

35 Sui processi ai responsabili dello sterminio degli zingari si veda anche B. Muller-Hill, op. cit.

36 M. Krausnick, op. cit. Si veda anche R. Rose, Bürgerrechte für Sinti und Roma, Heidelberg, Zentralrat Deutscher Sinti und Roma, 1987.

37 Un atteggiamento che si è mantenuto fino ad anni piú vicini a noi, anche tra alcuni storici che, persino dove riconoscevano la persecuzione razziale, discutevano poi sul quando si potesse fissarne la data di inizio, dando per scontato che nei primi anni del regime nazista gli zingari fossero stati sottoposti a misure coercitive in quanto criminali e asociali, e che solo da un certo punto in poi fosse cominciata la vera «lotta contro la piaga zingara».

38 Sappiamo invece che molti zingari erano stati deportati ben prima della fine del 1942 e che a quell'epoca molti erano già stati uccisi, violentati, sterilizzati e internati in tutti i paesi occupati dai nazisti. Un documento ancora riservato dell'IZG, che deve essere il resoconto di un processo a carico di un certo Arndt (i nomi sono ancora coperti da segreto), racconta «la fucilazione di 10-12 zingari [...] donne e uomini tra i dieci e i cinquantanni», avvenuta nel bosco di Bonschecker, intorno «alla metà di ottobre del 1939» (Institut fur Zeitgeschichte, München, doc. Gg. 01.20).

39 Questi e altri casi sono raccontati da Kenrick-Puxon, op. cit., pp. 210-211.

40 Institut fur Zeitgeschichte, München, Landesamt für Wiedergutmachung, doc./EK-Nr. 22136-B3a/Wg.

41 Institut fur Zeitgeschichte, München, doc. 05.30.

42 G. Puxon, Gypsies Seek Reparations, in «Patterns of prejudice», London, Institut of Jewish affairs, n. 15, 1981.

43 Simone Veil durante la guerra era stata deportata a Bergen Belsen, dove perse la madre. In questa occasione la sua presenza, dovuta a una scelta personale e motivata, fu di grande aiuto alla causa dei rom e dei sinti tedeschi.

44 L'ultima volta era accaduto nel 1942 e il governo tedesco era rappresentato da Heinrich Himmler.

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