La
persecuzione degli zingari da parte del Fascismo
Scarsissime le fonti, basate soprattutto
sulle testimonianze orali. Le disposizioni del settembre 1940 relativamente
all'internamento dei rom presenti in Italia. Più che lacunosa la documentazione sui campi
di concentramento nel nostro paese. Le vittime del nazismo furono almeno mezzo milione
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"Mia figlia Lalla è nata in Sardegna a Perdasdefogu il 7 gennaio
1943, perché eravamo lì in un campo di concentramento". Quella di Rosa Raidic
(Lacio Drom n.2/3, 1984) è una delle rarissime voci di zingari testimoni della seconda
guerra mondiale, una delle poche testimonianze che riguardano l'internamento in Italia,
sotto la dittatura fascista, di un popolo sempre perseguitato e, anche per questo,
ignorato e dimenticato dalla memoria e dalla storia delle dittature nazifasciste.
Dello sterminio degli zingari si sa infatti molto poco, troppo poco. Nonostante sia ormai
appurato che, come gli ebrei, furono vittime della persecuzione e dello sterminio razziali
praticati dai nazisti in Germania e nei paesi dell'Europa occupata, normalmente si
tralascia la loro vicenda o, nel migliore dei casi, se ne accenna in lavori che si
occupano del Terzo Reich o del sistema concentrazionario in generale includendoli tra le
vittime per poi tralasciare cause e conseguenze della loro persecuzione. Questo anche a
causa del fatto che per molto tempo dopo la guerra lo sterminio del popolo zingaro non è
stato riconosciuto come razziale ma lo si è considerato conseguenza (quasi ovvia) di
quelle misure di prevenzione della criminalità che ovviamente si acuiscono in caso di
guerra. Una tesi che trova fondamento nella definizione di "asociali" con la
quale inizialmente gli zingari furono deportati, ma che non considera il fatto che,
secondo le teorie nazionalsocialiste, gli zingari erano tali perché le caratteristiche
loro attribuite dai nazisti erano nei loro geni, nel loro sangue, che li rendeva
"irrecuperabili" condannandoli quindi allo sterminio, alla cosiddetta
"soluzione finale".
Va comunque tenuto presente che, almeno per ciò che riguarda il nazismo (e grazie
soprattutto all'impegno della studiosa ebrea Miriam Novitch che dedicò gran parte della
sua vita a raccogliere documenti sullo sterminio del popolo Rom), esiste oggi una
documentazione sufficiente a dimostrare che gli zingari sono stati tra le vittime dello
sterminio razziale e che almeno 500.000 di loro sono morti nei Lager, dopo esser stati
imprigionati, torturati e violentati come tutti gli altri prigionieri. Altri sono stati
uccisi nelle esecuzioni di massa nei paesi dell'est, ma su questo i dati sono davvero
scarsissimi.
Non si può invece parlare di ricerca per quel che riguarda l'Italia dove le conoscenze
sulla persecuzione degli zingari durante il fascismo sono poche e contraddittorie e si
basano quasi esclusivamente sulle testimonianze raccolte nel dopoguerra dai pochi studiosi
(tra i quali spicca la figura di Mirella Karpati, del Centro studi zingari, che ha
raccolto quasi tutta la documentazione orale oggi disponibile) che si sono occupati della
deportazione degli zingari, senza mai ricevere la dovuta attenzione. I dati storici
raccolti a oltre cinquant'anni dai fatti sono scarsi, tanto da non permettere ancora di
stabilire con certezza come e quanto gli zingari siano stati perseguitati nell'Italia
fascista e per quali ragioni.
Eppure la documentazione d'archivio ci fornisce testimonianze orali, ci restituiscono un
quadro ancora contraddittorio ma di grande interesse. Coloro che si sono occupati
dell'argomento hanno finora generalmente affermato che la politica discriminatoria
fascista era indirizzata in particolare contro gli zingari stranieri presenti in
territorio italiano e dovuta a ragioni di ordine pubblico. Secondo questa ipotesi fu
essenzialmente l'occupazione della Jugoslavia e la conseguente fuga degli zingari da quel
paese a costringere le autorità italiane a internare gli zingari. In un certo senso è
persino ovvio che le misure di internamento e deportazione degli zingari siano aumentate e
divenute più intransigenti con l'occupazione della Jugoslavia, anche solo perché è da
quel territorio che molti zingari scapparono in Italia dopo l'occupazione nazifascista. E'
quindi possibile ipotizzare che le misure di deportazione per gli zingari, italiani e non,
si siano acutizzate sul finire del 1941, ma questo non esclude atteggiamenti
discriminatori anche in precedenza e non necessariamente indirizzati contro gli zingari
stranieri.
L'11 settembre 1940 vengono emanate le prime disposizioni per l'internamento degli zingari
italiani: una circolare telegrafica del Ministero degli Interni, firmata dal capo della
polizia Bocchini e indirizzata a tutte le prefetture fa esplicito riferimento
all'internamento degli zingari italiani, dando per scontato il fatto che, in base ad altre
direttive quelli stranieri debbano essere respinti e allontanati dal territorio del regno.
Nella circolare è scritto che "sia perché essi commettono talvolta delitti gravi
per natura intrinseca et modalità organizzazione et esecuzione, sia per possibilità che
tra medesimi vi siano elementi capaci di esplicare attività antinazionale... est
indispensabile che tutti zingari siano controllati". Si dispone quindi "che
quelli nazionalità italiana certa aut presunta ancora in circolazione vengano rastrellati
più breve tempo possibile et concentrati sotto rigorosa vigilanza in località meglio
adatte ciascuna provincia...".
Come si vede si tratta di un ordine importante anche perché, nei documenti d'archivio, è
seguito da una fitta corrispondenza che indica come i prefetti eseguano gli ordini
procedendo al rastrellamento degli zingari nelle loro provincie: esistono lettere e
telegrammi delle autorità di Campobasso, Udine, Ferrara, Ascoli Piceno, Aosta, Bolzano,
Trieste e Verona, che, rispondendo agli ordini, indicano come, rapidamente, gli zingari
diventino una preoccupazione urgente e importante in tutto il Regno. Poi, il 27 aprile
1941, il Ministero dell'Interno emana un'altra circolare avente ancora per oggetto
'l"Internamento degli zingari italiani".
Purtroppo, finora, l'esistenza dei campi di concentramento per zingari è documentata
quasi esclusivamente dalle testimonianze orali. I ricordi degli zingari sono frammentari,
spezzati dalla riservatezza della memoria e dalla mancanza di una tradizione scritta che
caratterizza la loro cultura, ma raccontano l'esistenza di luoghi di detenzione come
Perdasdefogu, in Sardegna, il convento di San Bernardino ad Agnone, in provincia di
Campobasso, Tossicia, in provincia di Teramo.
Mitzi Herzemberg (Lacio Drom n. 1, 1987) ricorda che ad Agnone, dove gli zingari erano
rinchiusi nel convento di San Bernardino, talvolta gli uomini venivano portati fuori a
scavare buchi per le mine che servivano a ritardare l'avanzata alleata. Le guardie
fasciste inferivano con punizioni durissime sui prigionieri: lui, che allora aveva
quattordici anni, lavorava in cucina e cercava di passare un po' di cibo ai suoi
familiari, venne portato fuori per essere fucilato con alcuni altri. Si salvò perché
all'ultimo momento la sua pena fu commutata in bstonature e segregazione.
Antonio Hudorovic è stato prigioniero a Tossicia: "Una volta, - dice - quando
eravamo a Tossicia, è venuto un ufficiale tedesco. Ci ha preso tutte le misure, anche
della testa. Ha detto che era per darci un vestito e un cappello". Tossicia è
l'unico campo di concentramento sul quale si hanno dati abbastanza certi. Le carte e gli
atti degli archivi comunali - sui quali ha lavorato in particolare Anna Maria Masserini
(Storia dei nomadi, GB od., 1990) - dicono che risulta funzionante dal 21 ottobre 1940 e
che dall'estate del 1942 ci sono anche prigionieri zingari, in condizioni miserevoli
descritte dal direttore del campo e dall'ufficiale sanitario come invivibili.
Testimonianze sparse ricordano altri luoghi di detenzione: Viterbo, Montopoli Sabina,
Collefiorito, le isole Tremiti. E' anche documentata la presenza di zingari a Ferramonti
di Tarsia, uno dei più grandi campi di concentramento italiani, esistito dal luglio 1940
al settembre 1943.
Come è noto, dopo l'8 settembre e con l'inizio dell'occupazione tedesca, molti campi
dell'Italia centro-meridionale vennero smantellati, anche per l'arrivo degli alleati, ma
questo non significò la fine della deportazione in Italia, nemmeno per gli zingari. Il
rom abruzzese Arcangelo Morelli racconta di esser stato rinchiuso e torturato nel
manicomio dell'Aquila, trasformato in quartier generale della Gestapo e sappiamo anche che
a Gries di Bolzano, anticamera dei Lager nazisti, erano detenuti anche gli zingari.
Giuseppe Levakovich, in un libro che è la sua memoria, ripercorre molte delle vicende
degli zingari negli anni delle dittature e della guerra, prima in Jugoslavia poi in Italia
e ricorda, con amarezza, lastoria di sua moglie, Wilma, e di altre due giovani zingare,
Muja e Mitska, internate a Ravensbrück e poi a Dachau.Giovanna Boursier
(da Triangolo Rosso, n. 1/98 - gennaio 1998)
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