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Introduzione sulla deportazione

a cura di Aldo Pavia e Antonella Tiburzi

La deportazione non è una pratica che rappresenti una novità esclusiva del secolo scorso. Era infatti già in uso, in modi diversi fino dall’antichità. Nella Roma di Augusto il deportato veniva allontanato per sempre dalla sua città, perdendo definitivamente la cittadinanza romana. I luoghi deputati alla deportazione erano la Sardegna, le isole greche dell’Egeo, i deserti africani e dell’Asia. La deportazione tornò in auge in età moderna e fu utilizzata da Francia, Spagna, Russia e Portogallo, sia nell’epoca delle conquiste coloniali sia successivamente.Venivano colpite, in particolare, le persone che venivano ritenute pericolose, i vagabondi, gli oziosi, i “diversi”. Gli zar russi deportavano in Siberia e nell’isola di Sahalin gli oppositori politici, costringendoli anche ai lavori forzati. Successivamente questa pratica venne utilizzata dal regime sovietico, che creò il sistema concentrazionario dei Gulag, acronimo di “Glavnoe Upravlenie Lagerei”.

I deportati erano, in molti casi, utilizzati come forza lavoro, a costo estremamente conveniente, per la colonizzazione di terre lontane e di recente scoperta. Si può affermare, ad esempio, che l’Australia fu una delle principali destinazioni per i deportati dalla Gran Bretagna e che la sua colonizzazione fu, in concreto, loro opera esclusiva.

Alla deportazione si affiancò poi “l’internamento”, ovvero un provvedimento amministrativo che costringeva gli individui che ne erano oggetto, a vivere in speciali strutture, chiamate “campi di concentramento”o “campi di internamento”, situati in luoghi lontani dai centri abitati, poco accessibili e quanto più possibile isolati, pur rimanendo all’interno del Paese interessato alla costituzione di questo tipo di campi.

Inizialmente i campi di concentramento erano destinati soprattutto ai prigionieri di guerra quando a partire dalla seconda metà dell’Ottocento si iniziarono ad elaborare norme e convenzioni internazionali che portavano a superare la visione del prigioniero come nemico da uccidere o da ridurre in schiavitù, individuandone un vero e proprio status giuridico.

Nel 1864, durante la guerra di secessione americana, fu istituito quello che può essere ritenuto il primo campo di concentramento, ad Andersonville in Georgia. Un campo in cui, in quindici mesi, morirono 13.000 prigionieri dell’esercito nordista. Militari in maggior parte ma anche civili.

Nello stesso anno, a Ginevra, una prima convenzione internazionale, tesa a stabilire e a garantire le condizioni di vita dei prigionieri militari, fu firmata dalle più importanti nazioni europee.

Campi di concentramento furono istituiti a Cuba nel 1896, nel 1900 dagli americani nelle Filippine e dagli inglesi in Sudafrica, ove morirono tra 20 e 28.000 prigionieri, nel corso della guerra anglo-boera.

Con la prima guerra mondiale, prese sempre più piede la definizione di “campo di concentramento” rispetto a quella di campo di prigionia.

Nel 1929, alla luce di quanto accaduto nel corso del devastante e atroce conflitto mondiale, a Ginevra 47 Stati firmarono una convenzione, composta di 97 articoli, sul “Trattamento dei prigionieri di guerra”. L’Italia la ratificò e la rese esecutiva il 23 ottobre 1930.

Tuttavia quanto contemplato dalla convenzione di Ginevra rimase spesso inapplicato e durante la seconda guerra mondiale numerosissime furono le violazioni.

Gravissime quelle commesse dai nazisti e dai loro sostenitori e complici, per i quali  valeva soprattutto il concetto che il prigioniero, vero e assoluto nemico, era da disprezzare, da umiliare e da distruggere, non solo moralmente.

Basterebbe ricordare ciò che fu commesso nei confronti dei militari polacchi, di quelli sovietici e di quanto accadde ai militari italiani, imprigionati dopo l’8 settembre 1943. Catturati dai nazisti su tutto il fronte di guerra, deportati in Germania, circa 650.000 soldati italiani furono definiti “internati militari” – condizione senza alcun significato giuridico – e sostanzialmente ridotti a manodopera schiava.

Anche l’Italia ricorse alla costituzione di campi di concentramento e alla deportazione, quest’ultima a partire dal 1863 e definita amministrativamente “domicilio coatto”. Già nel 1912 furono “esiliati”, in verità deportati, 1.080 civili libici, nell’isola di San Nicola, nelle Tremiti. Altri libici erano già stati imprigionati a Ustica, ove ne morirono 161 nel 1911 e altri 141 nel 1915/16. Nel 1930, il generale Graziani pacificò la Libia ricorrendo a deportazioni ed a internamenti delle popolazioni del Gebel, della Marmarica e della zona di Anghiar. Circa 100.000 persone furono racchiuse, dietro il filo spinato, in 15 grandi tendopoli nella Sirtide. El-Agheila, Marsa el-Brega, Agedabia, Soluch, Ain Gazala, in queste ed in altri lager italiani – alcuni capaci di ventimila tende – morirono di stenti, di fame, di malattie, migliaia di libici. Certamente non meno di 40.000. Il campo di el-Agheila, ove erano concentrati i famigliari dei guerriglieri, fu certamente quello in cui più dure erano le condizioni di vita. In quello di Saluch venne impiccato Omar al-Muktar, capo della resistenza contro gli occupanti italiani.

Quelli della Libia furono veri e propri campi di concentramento, anche se Mussolini, al fine di non incorrere negli strali della stampa internazionale, raccomandò i generali di evitare tale definizione, ricorrendo, soprattutto negli atti ufficiali, a diciture quali “campo di raccolta” o “accampamento di popolazioni”.

Diverse ed ognuna con connotazioni affatto particolari sono state, nel corso dei tempi, le tipologie di deportazione e dei campi di concentramento.

Oggi il campo di sterminio nazista di Auschwitz è diventato il luogo simbolo dell’universo concentrazionario e dello sterminio, in particolare della Shoah, l’annientamento degli ebrei europei. E’ giusto che Auschwitz, la sua storia e quella delle sue vittime, riassuma oggi l’intera storia della deportazione. E’ tuttavia altrettanto giusto e doveroso che si conoscano, quanto più possibile, tutte le pagine di una vicenda che ha visto vittime (ma anche protagoniste del male) intere generazioni di esseri umani, intere popolazioni, colpite per la loro fede, la loro cultura, le loro idee sociali e politiche.

Se oggi la deportazione è assolutamente vietata e perseguita, lo si deve alle condanne, moralmente giuste ed indiscutibili, che il Tribunale di Norimberga comminò ai criminali nazifascismi, rivelando al mondo intero non solo l’orrore delle persecuzioni, i genocidi, l’efferatezza dei loro crimini, ma soprattutto facendo conoscere ciò a cui l’uomo può arrivare quando si incammina sulla strada della negazione dei principi di giustizia, di libertà, di fratellanza.

 

Deportazione e sterminio

Nel 1932 i nazisti tentarono un colpo di stato in Baviera. Fallì e portò all’arresto di Hitler e alla sua condanna. In carcere colui che diventerà il Fuehrer del Reich millenario, scrive il “Mein Kampf” (la mia battaglia) che diventerà il “vangelo” nazista e che, negli anni del potere, renderà molto ricco il suo autore. In questo libro Hitler enuncia i principi fondanti del nazismo: lo stato razzista, l’abolizione di qualsivoglia regime democratico e parlamentare, l’uso del terrore fisico e spirituale come strumento di conquista e di mantenimento del potere, la soppressione violenta degli oppositori a qualunque titolo ritenuti tali. E il potere assoluto nelle mani di un solo uomo: il Fuehrer della Nazione.

Rimesso in libertà nel 1925, Hitler ricostituisce la sua, personale guardia del corpo e la chiama Schutzstaffel (reparto di protezione), da cui l’acronimo SS, composta da volontari “anziani” che giurano assoluta e fanatica obbedienza alla sua persona e alla causa nazista. Ne diventerà comandante nel 1929, accrescendone sempre di più il potere, Heinrich Himmler. Saranno le SS che si incaricheranno della soppressione violenta degli oppositori politici e dello sterminio degli ebrei e di quanti altri ritenuti appartenenti a razze inferiori. Sempre alle SS verrà affidata la gestione e la custodia dei campi di concentramento e di sterminio. I loro Einsatzgruppen (squadre speciali), con il pretesto di rendere sicure le retrovie, durante la guerra massacreranno intere popolazioni.

Il 30 gennaio 1933, il feldmaresciallo Hindenburg, Capo dello Stato tedesco, conferisce a Hitler il mandato di formare il Governo. Dopo soli quattro giorni, il 4 febbraio, vengono emanate leggi che limitano il diritto di riunione e la libertà di stampa. Il 28 dello stesso mese Hitler fa varare una legge “per la protezione dello Stato e la difesa del popolo” e mette in atto “l’arresto cautelativo” con cui la vita dei cittadini è di fatto alla mercé del partito nazista e degli apparati di polizia.

Il 20 marzo 1933, infine, dopo giorni e giorni di violenze, viene aperto il primo campo di concentramento (Konzentrationszentrum o KZ) a Dachau, nelle vicinanze di Monaco. I primi deportati sono dirigenti e funzionari dei sindacati e dei partiti di opposizione, già schedati illegalmente prima dell’avvento di Hitler.

Accanto alle SS, agirà con poteri illimitati la Gestapo, la polizia politica segreta. SS e Gestapo saranno i pilastri di una dittatura spietata. Per la direzione e sorveglianza dei campi di concentramento vengono istituiti speciali reparti delle SS, i “Totenkpfverbande” (reparti testa di morto) che useranno per la gestione più capillare e quotidiana, delinquenti comuni, condannati a lunghe detenzioni, recuperati nei vari penitenziari. Loro responsabilità l’ordine nelle baracche, la gestione dei servizi interni e soprattutto l’efficienza delle brigate di lavoro forzato (Arbeitkommando). Denominati “Kapo” (acronimo di Kamaradschafpolitzei) esercitarono con sadismo il diritto di vita e di morte, infliggendo disumane punizioni, rendendosi protagonisti di violenze inaudite, veri aguzzini di altri prigionieri, quali anche loro erano. Questi miserabili furono con le SS i responsabili degli orrori del regime concentrazionario e concorsero a rendere possibile il piano di sterminio dei nazisti. Il 15 settembre 1935 vengono promulgate le “Leggi di Norimberga”, dette anche “Leggi per la protezione del sangue e dell’onore tedesco”, che mettono, di fatto, gli ebrei al bando come nemici del Reich. I loro beni vengono via via confiscati e, in un crescere di persecuzioni, nessun diritto civile – e umano – viene loro più riconosciuto.

L’odio antisemita diventa materia insegnata nelle scuole di ogni ordine e grado. La spirale di violenza esercitata sugli ebrei troverà un momento di massima asprezza nella “Notte dei Cristalli” quando, espulsi ormai da ogni settore della vita pubblica e professionale, in coincidenza temporale con l’emanazione delle leggi razziste in Italia (novembre 1938), verranno infrante le vetrine dei loro negozi, distrutte le case e incendiate le sinagoghe e decine di migliaia di loro internati nei lager. E insulto su insulto, costretti a pagare al Reich, organizzatore delle violenze, i danni da loro stessi subiti. Nel 1938 già funzionano, oltre a Dachau, i KZ di Esterwegen, Sachsenhausen, Buchenwald, Mauthausen, Flossenbuerg, cui si aggiungeranno nel 1939 quelli di Terezin, Ravensbrueck, Stutthof, Hinzert, quest’ultimo “campo speciale SS”.

In questi campi vengono deportati politici ed ebrei tedeschi, nonché patrioti e partigiani cecoslovacchi, austriaci e, con lo scoppio della guerra nel 1939, militari e antinazisti polacchi. Il 20 gennaio 1942 la politica concentrazionaria e di sterminio nazista, subisce una svolta e una drastica accelerazione. Quel giorno ha luogo la “Conferenza di Wannsee” nel corso della quale viene decisa la totale eliminazione degli ebrei, definita burocraticamente “Soluzione finale del problema ebraico” (Commende Endloesung). Annientamento che già era iniziato in Polonia, Ucraina, Bielorussia e nelle nazioni del Baltico con i massacri di massa, le fucilazioni di centinaia di migliaia di esseri umani, le gigantesche fosse comuni ad opera delle “Einsatzgruppen”, vere e proprie formazioni speciali naziste, bande di assassini ben addestrati.

Da tutta l’Europa, dell’Est e dell’Ovest, milioni di ebrei – bambini, donne, uomini – strappati alle loro case, vengono deportati a migliaia di chilometri di distanza, in Polonia, per essere sterminati nelle camere a gas dei campi di annientamento appositamente predisposti: Auschwitz-Birkenau, Treblinka, Chelmno, Sobibor, Majdaneck, Belzec (Vernichtunslager o VL).  Uguale sorte toccherà agli zingari, parimenti ritenuti appartenenti a razza inferiore. Non meno di 6 milioni gli ebrei assassinati – oltre un milione i bambini – e più di 500.000 gli zingari.

 Per i deportati politici la morte non sarà per gas, ma avverrà “per lavoro”. Poiché la guerra assorbe tutta la forza lavoro tedesca, il generale nazista Pohl, con una apposita circolare del 30 aprile 1942, stabilisce che tutti gli uomini e le donne deportate nel KZ, vengano utilizzati come lavoratori schiavi, a costo zero. Affittati alle aziende tedesche, molte quelle di proprietà delle SS, che ne trarranno anche enormi benefici finanziari, e costretti a lavorare, in condizioni disumane, affamati e laceri, fino allo stremo delle forze.

Fino agli ultimi giorni del secondo conflitto mondiale, i nazisti cercarono di portare a termine il loro progetto criminale di sterminio e di uccisioni di massa, anche quando la guerra era ormai chiaramente persa e finito in valanghe di macerie il tragico sogno di dominare tutta l’Europa. Fino all’ultimo istante vennero emanati ordini tesi ad eliminare fino all’ultimo essere umano rinchiuso nei 1634 lager, tra principali e sottocampi.

Ancora oggi, avendo i nazisti distrutto quanto più possibili prove dei loro efferati crimini, non è possibile conoscere le cifre esatte dello “Sterminio in Europa”. Tuttavia lo stato attuale delle ricerche permette di affermare che non meno di 12 milioni di esseri umani furono deportati nei KZ e nei VL e che non meno di 11 milioni vi vennero assassinati

Ebrei, zingari, omosessuali, Testimoni di Geova, militari, ministri di culto di tutte le religioni, antifascisti, partigiani, ostaggi, scioperanti, malati mentali, portatori di handicap. Donne, bambini, uomini.

Un tragico, tremendo progetto criminale, crudelmente ma altrettanto lucidamente pianificato, che fu reso possibile anche dalla attiva collaborazione che i nazisti trovarono nei regimi fascisti e collaborazionisti dell’Europa e dall’indifferenza – e dall’opportunismo – di chi avrebbe potuto ostacolarli e non lo fece.

 

 pallanimred.gif (323 byte) I triangoli dei deportati

 pallanimred.gif (323 byte) Progetto T4: l'eliminazione dei disabili e dei malati di mente

 

 

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