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I Giusti italiani
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VITTORIO ZANZI

 Liberamente tratto dall’omonimo libro, edito da EDIT FAENZA

Vittorio Zanzi nasce a Granarolo Faentino (Ra) il 2 febbraio 1896, da Battista e Ernesta Minzolini. Il padre, quando egli è ancora piccolo, emigra in America, ma morirà accidentalmente mentre cerca di riunire la famiglia.

La madre, rimasta vedova con sei figli in tenera età, si trasferisce a Cotignola (Ra) dai suoi genitori.

Il nonno materno prende i nipoti sotto la sua tutela, ma in particolar modo si occupa dell’educazione del più piccolo, Vittorio ed avrà una grande influenza sul carattere e le idee del nipote.

Il nonno, Mazziniano convinto, ha avuto due fratelli combattenti nelle guerre per l’indipendenza e l’unità d’Italia; inoltre uno zio paterno di Vittorio, Domenico, ha fatto parte dei “Mille” di Garibaldi.

In questo contesto il futuro eroe respira a pieni polmoni aria di patriottismo e di avventura.

Nel frattempo studia e, nei ritagli di tempo, impara dal nonno il mestiere di macellaio e lo aiuta nella conduzione di uno dei tre negozi.

Naturalmente, giovanissimo, si iscrive al partito repubblicano, conquistato dai sentimenti di Patria e dagli ideali mazziniani.

Durante la guerra del 1915 – ’18 parteggia, con l’ardore dei suoi 19 anni, per l’intervento dell’Italia a fianco “dell’intesa” contro l’impero Austro-Ungarico e la Germania.

Il governo italiano decide per l’entrata in guerra e nel 1916 chiama alle armi i ragazzi del 1896 – ’97. Vittorio parte per il fronte dove viene aggregato all’VIII° Reggimento Bersaglieri (battaglione ciclisti) che opera sul Carso e qui ha modo di esprimere il suo potenziale eroico ed umano in azioni di guerra, che gli faranno meritare diverse decorazioni al valor militare (tra cui tre medaglie d’argento).

Ma Vittorio era davvero un convinto guerriero?

Un episodio su tutti illumina lo spessore umano dell’uomo e lo restituisce nella sua dimensione più vera.

Lui stesso racconta che durante un’offensiva del suo battaglione, si trova all’improvviso di fronte ad un soldato nemico, che da tempo sparava nella sua direzione; lo riconosce ed adirato, si appresta a sparargli a bruciapelo, per evitare che lui faccia altrettanto. Ma nel suo cuore non c’è odio; egli vede davanti a sé non un nemico, ma un uomo più debole ed indifeso. E racconta:

“In quell’attimo avvertii in me qualche cosa di sensazionale, causato forse dall’osservare quel volto reso improvvisamente terreo dalla paura e da quegli occhi che mi fissavano terrorizzati, con tanta intensità, da farmi sentire impotente, pur essendo armato e pronto a sparare. Quel volto mi ha sempre accompagnato in seguito nella mia vita. E ringrazio il cielo per quel mio subitaneo impulso. Se fosse accaduto qualche cosa di diverso, ora la mia coscienza si roderebbe dal rimorso. Mi limitai soltanto a farlo prigioniero”.

Da mazziniano, accoglie la notizia della rivoluzione russa come una minaccia per tutta l’Europa: “Gli  zar, prima o poi, dovevano decadere. Il loro potere aveva affamato il popolo russo. Io sono per i governi repubblicani; i sistemi monarchici non mi piacciono. Ma con la scelta bolscevica, la Russia non andava a stare meglio. A un regime autoritario se ne sostituiva un altro”.

Con questa convinzione Vittorio decide di partire per la lontana Murmansk (agosto del ’18), nel nord della Russia, assieme ad un gruppo di bersaglieri e ad un contingente di soldati inglesi e francesi in aiuto di alcuni insorti contro i bolscevichi.

Anche in quella occasione salva la vita di un compagno d’armi.

Finalmente, dopo tre anni di guerra vissuti con determinazione e grande coraggio, nel luglio 1918 viene congedato con onore e con diverse medaglie e può riabbracciare la famiglia.

Nel frattempo, merito delle sue gesta conosciute ormai da tutti, Vittorio ha acquisito uno spessore sociale di notevole importanza e il 24 ottobre 1920 viene eletto consigliere comunale nella lista dei repubblicani. Un’esperienza che durerà poco.

Sono gli anni in cui si fa strada la figura di Mussolini e il partito, da lui fondato, dei “fasci combattenti”, che raccolgono le contestazioni dei reduci della Grande Guerra, che si sentono traditi dal governo nelle loro rivendicazioni sociali.

Pur essendo anch’egli un ex combattente (e che combattente!), Vittorio non si fa attrarre dalle lusinghe mussoliniane. Anzi è sempre in prima linea contro i fascisti con i quali spesso si scontra anche a livello fisico. Schedato dalla polizia di regime come “repubblicano pericoloso”, diventerà un sorvegliato speciale fino alla fine del 1928, anno in cui, per merito delle numerose decorazioni e benemerenze militari, verrà cancellato dalle liste fasciste dei “sovversivi”.

Vittorio vive questi avvenimenti con emozione e preoccupazione:

“Erano tempi brutti, quelli. Ricordo quando, nel ’22, gruppi di squadristi  armati invasero Cotignola, per vendicare il ferimento del capo locale del fascio, venuto alle mani, insieme ad alcuni camerati, con due repubblicani. Incendiarono la sede del nostro partito e ferirono alcuni ignari cittadini. Tutta la notte terrorizzarono la popolazione con minacce, atti vandalici, intimidazioni, percosse. Carabinieri e polizia lasciavano fare; nessuno intervenne per reprimere le violenze. Incendiarono oltre a quella dei repubblicani, anche la sede del partito socialista e alcune abitazioni private”.

Nel 1923 si unisce in matrimonio con la concittadina Serafina Bedeschi (altro fulgido esempio di quotidiano eroismo) e nel 1925 l’unione è benedetta dalla nascita della figlia Ernesta.

Nonostante queste nuove responsabilità e i divieti delle autorità, egli rimane il punto di riferimento per i repubblicani di Cotignola e dintorni. Il suo negozio di carni macellate, dove continua nell’attività ereditata dal nonno, insieme ai fratelli Paolo ed Ercole (altri repubblicani e antifascisti convinti) diventa un luogo d’incontro per tutti coloro che hanno accettato, per forza, lo scioglimento dei loro partiti da parte delle ordinanze del governo fascista.

Sono anni, quelli, nei quali molti cotignolesi non hanno di ché tirare avanti. Il lavoro è poco, perlopiù stagionale, ed i redditi scarsi, discontinui e precari gravano sui consumi; ne risente soprattutto l’alimentazione.

Tra i clienti del negozio, pochi hanno la possibilità di pagare; la maggior parte “segna”. Il quaderno dei debiti dei clienti è pieno zeppo di nomi, di date, di cifre, ma Vittorio continua a fare credito a tutti, soprattutto a chi ha una famiglia numerosa ed è disoccupato. Quando li incontra per strada, li invita ad andare in bottega dove troveranno un “cartoccio di carne” per loro:

“I tuoi bambini hanno bisogno di mangiare, per crescere! – E di fronte a chi si vergogna – Non importa se non hai i soldi (i bulè). Vieni ugualmente”.

Tutto questo detto con bonarietà, in stretto dialetto romagnolo!

Vittorio dimentica spesso, a fine anno, la lista dei debitori; il più delle volte la straccia, perché sa che difficilmente verrà saldata.

La gente ora si rivolge a lui anche per avere un consiglio, per risolvere una questione. La stima e la fiducia nei suoi confronti aumentano.

Continua, nel frattempo, l’attività antifascista con varie iniziative, tanto che nel 1934 viene sottoposto a nuova vigilanza speciale, perché sospettato di svolgere propaganda contro il regime fascista. È un poco il criterio del bastone e della carota: da una parte vengono presi provvedimenti disciplinari, dall’altra, visto lo spessore dell’uomo e la stima di cui gode, tentano di blandirlo per attirarlo nelle loro fila. Ma con Vittorio tutto rimane a livello di desiderio. Fino al giugno del 1943.

Nonostante il controllo a cui è sottoposto dalla polizia, ma visto lo spessore morale dell’uomo, Vittorio gode dell’apprezzamento delle autorità provinciali, compresa la prefettura di Ravenna. Tale particolare considerazione induce il Prefetto a chiamarlo in quell’anno, per affidargli, in qualità di Commissario prefettizio, le sorti del Comune di Cotignola, dopo che il Podestà in carica, per cattiva amministrazione, era stato deposto, nel gennaio dello stesso anno, ed allontanato dal paese.

“Se fosse dipeso unicamente da me, avrei rifiutato quella nomina. Ma le mie perplessità e i miei dubbi vennero fugati dai miei più stretti collaboratori, coi quali condividevo, da tempo, iniziative volte a contrastare e a rendere infruttuosi i programmi politici dello Stato fascista contro tutti gli oppositori e gli ebrei. Essi mi consigliarono di accettare quell’incarico che poteva essere sfruttato per rendere maggiormente proficua la rete di aiuto nei loro confronti ed evitare pericolosi sospetti da parte della polizia. Non accettando c’era il rischio che a fare da Commissario prefettizio venisse una persona di provata fede fascista, che avrebbe potuto scoprire ciò che stavamo facendo, con le conseguenze che si possono immaginare”.

Il 25 luglio 1943, caduto Mussolini, Vittorio resta al suo posto, anche durante il governo militare del generale Badoglio e collabora con gli emissari clandestini del governo in carica (all’epoca il gen. De Lorenzo) che trovano in lui un punto di riferimento affidabile per l’organizzazione della rete di solidarietà. Non bisogna dimenticare che il territorio di Cotignola fa parte della Repubblica di Salò ed è occupato dall’esercito tedesco.

In quel momento l’unico filo capace di unire esponenti di diverso orientamento politico e istituzionale è la lotta contro un comune nemico, il nazi-fascismo. In questo modo Vittorio può aiutare i militari a sottrarsi alla leva forzata della repubblica sociale, fornendo clandestinamente documenti idonei agli ufficiali ed alla truppa.

Ordina quindi di non affiggere manifesti che ingiungono ai militari di presentarsi ai comandi tedeschi per l’arruolamento forzato.

Sottrae alla cattura alcuni prigionieri anglo-americani, nascondendoli in case private ed avviandoli, al momento opportuno, ai reparti partigiani combattenti.

Cotignola, nel frattempo, grazie a Vittorio Zanzi è diventata un luogo di approdo sicuro per intere famiglie di ebrei, ospitate nelle abitazioni di molti cotignolesi. Essi possono usufruire di documenti falsi e di carte annonarie per la fornitura di cibo, stampate e vidimate nella tipografia e negli uffici comunali da personale e da impiegati di svariato orientamento politico.

“Tra di essi c’era anche chi era iscritto al partito fascista – racconta Vittorio – ma nessuno fece la spia. Devo spendere, a questo proposito, una parola sull’operato dell’arciprete di Cotignola, don Argnani, che mi diede una mano a convincerli, dato che frequentavano la chiesa, a collaborare con me. Anche i parroci delle frazioni mi furono di grande aiuto, nonostante non fossi mai stato un buon parrocchiano”.

Il 1944 è l’anno più triste e tormentato per la popolazione del territorio ravennate. Il fronte dell’avanzata alleata si ferma al fiume Senio, che lambisce la cittadina di Cotignola, rimanasta in mano tedesca. Inoltre si verificano atti di inaudita ferocia da parte di gruppi della polizia nazi-fascista contro inermi cittadini (e contro intere famiglie), torturati, seviziati ed anche giustiziati sommariamente, per il loro antifascismo, in seguito a delazioni di anonime spie, confuse tra i civili.

In un tale contesto si sviluppa l’azione di privati cittadini, come Vittorio e Serafina Zanzi, che a rischio della vita e senza l’ausilio di istituzioni organizzate, si adoperano per aiutare quanti sono braccati come criminali e costretti a nascondersi per sfuggire la morte. L’azione di Vittorio continua indisturbata fino a quando, in seguito ad una delazione, viene arrestato e rinchiuso, assieme ad altri collaboratori ed amici, nelle carceri di Ravenna. La motivazione è quella di aver aiutato i partigiani con armi sottratte all’esercito italiano, cosa in effetti vera.

 

Comunque, grazie alla genericità dell’accusa e alla mancanza di credibilità del delatore, frequentatore assiduo di osterie ed accanito bevitore, vengono tutti rilasciati, ma Vittorio non è più Commissario prefettizio. Malgrado ciò non desiste dall’azione intrapresa a favore dei perseguitati dal regime, ma è necessario stare molto più in guardia.

Intanto il 19 novembre 1944 cadono le prime bombe su Cotignola. Posta, come detto, a ridosso del fiume Senio, sul quale si è attestata la linea del fronte decisa dagli alleati, in attesa della ripresa dell’offensiva programmata per la primavera successiva, il paese si trova ad essere al centro di pesanti bombardamenti aerei e terrestri da parte dei Neozelandesi e  dell’ottava armata inglese.

Finalmente il 10 aprile Cotignola è libera, ma praticamente rasa al suolo. Incomincia così un difficile dopoguerra ed una ancora più difficile riappacificazione tra le persone di diverso pensiero politico.

A guerra finita viene ricostruito tutto il paese. Riprendono le attività agricole fondamentali per l’economia del comune; ed anche qualche fabbrica incomincia a dare lavoro ai cotignolesi.

Negli anni sessanta incominciano i riconoscimenti da parte delle istituzioni e dello Stato italiano non solo a Vittorio Zanzi e a sua moglie Serafina, ma a tutta Cotignola, tramite il conferimento della medaglia d’argento al valor civile, con la seguente motivazione:

“Rimasta isolata tra due fronti, pur gravemente provata da bombardamenti aerei e terrestri, resistette impavida alle più dure sofferenze, subendo la perdita di molti dei suoi figli migliori e la distruzione di beni ed edifici”.

Anche le associazioni degli Ebrei Italiani e dei partigiani conferiscono attestati di riconoscenza a Vittorio Zanzi, che, perduta l’adorata moglie “Fina” il 14 febbraio 1974, continuerà ad essere personalità più pubblica che privata.

Arriva, così, la fine della sua memorabile esistenza, che avviene serenamente il 28 gennaio 1985. Persona con una mente sveglia, una gran voglia di vivere ed un sorriso spontaneo per tutti, ha lasciato certamente un ricordo positivo ed una eredità stimolante.

Ma la stima e la memoria delle persone e delle autorità continua anche dopo la sua scomparsa.

Il 2 giugno 1986 viene inaugurato a Cotignola il Parco dedicato a Vittorio Zanzi. Sulla targa commemorativa è ricordato:

 

parco

Vittorio Zanzi

1896  -  1985

patriota

amministratore benemerito

animatore della solidarietà

ai perseguitati

 

Il 26 aprile 1987 al Parco Zanzi viene scoperto il busto in bronzo raffigurante Vittorio e, negli stessi giorni, viene inaugurata una stele riportante, a sinistra, l’elenco degli Ebrei ospitati e salvati durante il periodo bellico e, a destra, l’elenco dei cotignolesi che operarono a favore dei perseguitati, offrendo loro ospitalità ed amicizia.

Nel 2002 viene riconosciuta alle figure di Vittorio e Serafina, quella dimensione di grande spessore ed umanità che li innalzano tra i Giusti delle Nazioni, ben oltre i confini del loro piccolo paese, affinché siano degnamente ricordati ed onorati nel mondo.

Come, peraltro, si addice ai grandi!



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pallanimred.gif (323 byte) Storie di Giusti che salvarono ebrei (in inglese)