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I Giusti italiani
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Carlo Angela, il giusto "ritrovato"

a cura di Franco Brunetta

Le condizioni indispensabili per riconoscere un «giusto» sono tre: aver salvato ebrei, averli salvati sotto la minaccia di un grave pericolo per la propria vita, non aver mai percepito alcun compenso. Ebbene, in un angolo di Canavese, alle porte di Torino, Yad Vashem, l’ente israeliano preposto alla memoria degli eroi e dei martiri dell’Olocausto, ha scoperto un altro «angelo». Una di quelle rare persone che furono capaci di fare per gli altri gesti di straordinaria umanità, dimostrando una grandezza morale al cui confronto ci sentiamo tutti piccoli piccoli. Quest’uomo dal grande coraggio e abnegazione, che, nelle condizioni più rischiose, seppe opporsi alla barbarie con i mezzi non violenti della «resistenza civile» era il direttore sanitario della clinica psichiatrica privata Villa Turina di San Maurizio Canavese e si chiamava Carlo Angela, padre di Piero, il giornalista inventore di Quark.
Sulla base delle prove e delle testimonianze raccolte e che gli sono state presentate, lo Yad Vashem ha deciso di conferire al professor Angela la Medaglia dei Giusti fra le Nazioni: il prestigioso riconoscimento riservato a coloro che disinteressatamente aiutarono gli Ebrei durante la Shoah. Inoltre, a perenne ricordo della solidarietà dimostrata, il suo nome verrà inciso sulla stele d’onore nel Giardino dei Giusti, presso il Museo dell’Olocausto di Gerusalemme.
Carlo Angela, dunque, è un uomo «giusto tra le Nazioni» e la cerimonia di premiazione è avvenuta a San Maurizio Canavese giovedì 25 aprile 2002, una giornata particolarmente significativa nella storia antifascista del professore. A celebrare l’evento è intervenuto il consigliere dell’ambasciata d’Israele a Roma Tibor Schlosser, che a nome di tutta la comunità ebraica mondiale ha consegnato il riconoscimento a Sandra e Piero, i figli di Angela, scomparso nel 1949. Eppure ci sono voluti 56 anni per sollevare dall’oblio il ricordo del professore.
La ragione principale del silenzio che ha circondato per oltre mezzo secolo la sua azione risiede proprio nella sua straordinaria discrezione, tipica dello psichiatra e nel suo assoluto riserbo, come se non avesse compiuto altro che il proprio dovere. Dalle ricerche condotte e non ancora ultimate emerge netta la personalità di un uomo di grande umanità e solida cultura, semplice nei modi ed eccezionale nell’operato. Unì l’ideale di libertà alla solidarietà e, con l’aiuto di fidati collaboratori, come il suo valido vice Giuseppe Brun, l’umanissima Suor Tecla, gli infermieri Fiore Destefanis e Carlo e Sante Simionato, si prodigò nel soccorso alle vittime della persecuzione razziale e agli oppositori politici, sottraendo vite altrimenti destinate alla distruzione nei lager e la sua azione eroica fu tanto più importante, perché non fu estemporanea, bensì meditata, coerente, continuativa. Di quella coraggiosa scelta minoritaria, poco conosciuta e riconosciuta, non parlò, né se ne fece vanto e, coerente fino all’ultimo con le sue idee antifasciste, non chiese mai nulla in cambio.
A San Maurizio Canavese – il comune a una ventina di chilometri da Torino ove operò per oltre venticinque anni in qualità di direttore sanitario della clinica psichiatrica Villa Turina – le persone che ebbero la fortuna di collaborare con lui poco o nulla sapevano della sua solidarietà a favore degli ebrei e degli altri perseguitati. Nella memoria collettiva dei più anziani sopravviveva il ricordo della sua figura carismatica, del gentiluomo, del dotor che curava gratuitamente i più poveri, del sindaco della Liberazione. Col tempo, però, si era persa ogni traccia del salvatore di vite umane, come pure era stata consegnata all’oblio la vicenda del suo impegno di oppositore politico ai tempi del primo fascismo di Mussolini.
Soltanto nel 1986 si tornò a parlare di Carlo Angela. Accadde in occasione della presentazione di una raccolta di memorie sul periodo della Seconda guerra mondiale e della Resistenza a San Maurizio Canavese, curato dall’Associazione Amici di San Maurizio e intitolato Un paese ricorda. Tra le pagine di testimonianze ve n’era una dedicata al professor Angela: una sintetica biografia redatta dal figlio Piero, in cui, però, si accennava alla Villa Turina come «luogo di rifugio per ebrei e ricercati (fatti passare per malati di mente)». Fuori testo venne pure pubblicata una fotografia che ritraeva il professor Angela in età avanzata, accanto al suo vice Giuseppe Brun e signora. Il volume ebbe una discreta diffusione a livello locale, ma per quanto riguardò la storia di Carlo Angela non vi furono sviluppi. Forse i tempi non erano maturi, come dimostrerà emblematicamente anni dopo il film di Steven Spielberg Schindler’s list, che ha avuto il grande merito di divulgare presso il vasto pubblico questo aspetto pressoché sconosciuto della «banalità del bene». Nel disimpegno degli storici, nell’indifferenza delle istituzioni, nell’incapacità della società di saper ascoltare, trascorsero, infatti, altri nove anni di silenzio.
Fu soprattutto per merito dei «salvati» che questa storia si fece faticosamente strada. Decisivo fu il 1995, che si aprì con la proposta avanzata all’amministrazione comunale da parte della sezione sanmauriziese dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia di titolare una via alla memoria del professor Angela nella sua qualità di membro del Cln locale e di sindaco della Liberazione. Sempre in quell’anno, nel mese di maggio, per la prima volta un «salvato», l’avvocato Massimo Ottolenghi, dichiarò pubblicamente di aver beneficiato della solidarietà di Carlo Angela presso la Villa Turina; in particolare il professore protesse la moglie incinta e la bimba di Ottolenghi, nascondendole presso il reparto delle donne pazze furiose. Infine, nell’ottobre, il fatto più sorprendente. La casa editrice palermitana Sellerio pubblicò Venti mesi, un diario scritto all’interno della clinica psichiatrica sanmauriziese da Renzo Segre, ebreo biellese, ma originario di Casale Monferrato, che per sfuggire alla deportazione nei campi di sterminio vi aveva trovato rifugio con la moglie Nella ed era rimasto segregato per un anno e mezzo, fingendosi malato di mente e patendo l’angoscia quotidiana di essere scoperto: un calvario che segnò profondamente il protagonista, per tutta la vita.
Una delle rare testimonianze coeve sulla persecuzione in Italia, ma soprattutto un documento di straordinaria importanza per avvalorare l’operato segreto di Angela, che, dopo la scomparsa dell’autore nel 1973, era rimasto chiuso per vent’anni «nell’armadio dei francobolli», perché, come affermò Anna, la figlia di Segre: «È stato difficile decidere di pubblicare uno scritto così intimo». Dalle pagine di Venti mesi emerge «il ritratto di un uomo che brilla di luce propria – scrive nella prefazione Nicola Tranfaglia – ed è la figura del professor Angela, del medico che accoglie i Segre e tanti altri nella sua clinica e riesce per venti mesi a proteggerli dai nazisti come dai fascisti repubblicani».
Quando nel maggio 1996 Venti mesi venne ufficialmente presentato a Torino, a cura del Consiglio regionale del Piemonte, intervenni al dibattito a nome della cittadinanza sanmauriziese e in quella occasione raccolsi l’invito dei figli di Angela, Sandra e Piero, e dei «salvati» a rendere merito alla luminosa figura del professore. Ebbe così inizio una lunga, difficile ma appassionante attività di ricerca di documenti in archivi pubblici e privati, a cui, parallelamente, si affiancò una sorta di indagine mirata all’individuazione dei testimoni chiave per la raccolta delle loro memorie e così, giorno dopo giorno, l’opera di Carlo Angela si è materializzata in un percorso di vita affascinante ed esemplare, a cavallo tra i due ultimi secoli.
La complessa indagine ha permesso di documentare e sostanziare ciò che i frammentari, episodici e sbiaditi ricordi dei sanmauriziesi più anziani avevano saputo tramandare fino ai giorni nostri e di far emergere tutto lo spessore umano di una personalità assai importante sotto gli aspetti scientifico-culturali, politici e morali. Dopo quattro anni di lavoro, finalmente, tutto era pronto per la prima cerimonia ufficiale di riconoscimento in suo onore. Anche la data scelta era significativa : il 3 giugno 2000, in coincidenza con il cinquantunesimo anniversario della scomparsa avvenuta nel 1949.
In quella luminosa giornata di sole, alla presenza dei figli, dei salvati, dei collaboratori del professor Angela, di testimoni, di amici, dei ragazzi delle scuole, di studiosi, di cittadini venne scoperta una lastra di marmo bianco collocata proprio sul muro esterno della «sua» Villa Turina, che si affaccia sulla piazza del Municipio, con incise le seguenti parole: «In questa casa di cura operò il professor Carlo Angela (1875-1949). Insigne psichiatra e nobile figura del primo antifascismo. Praticò la forma più alta di resistenza civile, offrendo sicuro rifugio a Ebrei e perseguitati politici. Nel cinquantunesimo anniversario della scomparsa i sanmauriziesi ne ricordano pure l’opera generosa ed efficace quale primo sindaco dopo la Liberazione. 3 giugno 2000 – Comune e Sezione Anpi».
In quell’occasione venne anche presentata per la prima volta la mostra Carlo Angela e San Maurizio Canavese – Scienza, politica e solidarietà alle vittime del nazifascismo, a cui, grazie alla sensibilità dell’assessorato alla Cultura della Provincia di Torino, si è recentemente affiancato un catalogo illustrato. Attraverso una scelta di documenti, scritti e immagini significative si possono ora ripercorrere le tappe fondamentali della sua intensa, esemplare avventura umana e, soprattutto, è possibile ricavare un’interpretazione complessiva delle sue alte qualità morali e civili.
Ancor oggi, in un mondo in cui le antiche atrocità, le strategie di disumanizzazione, persecuzione e annientamento trovano forza e nuove possibilità di manifestarsi attraverso l’uso di sempre più sofisticate tecnologie, la lezione del giusto di San Maurizio Canavese offre spunti per riflettere sui modi di opporsi alla barbarie e sulle responsabilità personali.
Infatti, a partire dalla ricchezza culturale delle proprie esperienze di vita, Carlo Angela elaborò e fece propria una visione del mondo improntata a una nobile spiritualità laica, maturò quell’impegno civile che divenne attivismo antifascista negli anni Venti, seppe dignitosamente sopportare le umiliazioni della dittatura, conservando saldi legami con gli amici oppositori del fascismo, soprattutto riuscì a suscitare fiducia e stima tra i suoi collaboratori e mise in atto uno straordinario capolavoro di resistenza civile, che sottrasse vittime altrimenti destinate ai lager, infine aiutò la comunità sanmauriziese a sollevarsi dal disastro della guerra. È la certificazione di una verità dimenticata per oltre cinquant’anni, che consegna idealmente la memoria alla storia. Vale dunque la pena riassumere la biografia di questo «giusto» a lungo dimenticato.
Carlo Angela nasce a Olcenengo, un piccolo centro agricolo nei pressi di Vercelli, il 9 gennaio 1875 da Pietro e Bertone Angela. Dopo la laurea in Medicina nel 1899 a Torino, la sua esperienza di uomo e di medico si matura dapprima nelle lontane foreste congolesi, alle dipendenze dell’esercito coloniale belga, poi a Parigi – cuore della cultura mondiale di inizio secolo – attraverso la frequenza dei corsi di neuropsichiatria del professor Babinsky, con cui studiò anche Freud.
Nel dopoguerra, accanto alla professione medica, comincia a occuparsi direttamente di politica, aderendo a Democrazia sociale, formazione sorta nel 1921 sulle ceneri del vecchio gruppo radicale, con l’obiettivo ambizioso di rivitalizzare la politica italiana, senza ricorrere a forme violente e distruttive. La sezione torinese contraddistingue la sua azione su posizioni di «sinistra», sostenendo l’assoluto distacco dal partito liberale e da altre coalizioni conservatrici. Benché sbandieri l’etichetta progressista, Democrazia sociale si presenta piena di contraddizioni e cela spiriti nazionalisti e autoritari. Il suo gruppo parlamentare giunge addirittura a fornire quattro ministri al gabinetto Mussolini e a votare la fiducia al governo fascista.
Carlo Angela manifesta pubblicamente la sua disapprovazione e coerente con gli ideali di democrazia, tra la fine del 1923 e l’inizio del 1924, insieme a vari altri dirigenti e gruppi demosociali, prende le distanze dal partito e si avvicina alle posizioni del socialismo riformista di Ivanoe Bonomi, tant’è che per le elezioni del 6 aprile 1924 entra a far parte delle liste bonomiane, come capolista per la circoscrizione piemontese, di Opposizione costituzionale, che non raggiunge il quorum e nessuno dei candidati viene eletto, mentre per il «listone» fascista è il trionfo. Dopo il rapimento e l’uccisione dell’onorevole socialista Giacomo Matteotti, avvenuto il 10 giugno 1924, Carlo Angela, senza mezzi termini, accusa sul settimanale Tempi Nuovi il fascismo «per il nefando delitto che ha macchiato indelebilmente l’onore nazionale». La reazione non si fa attendere e nella notte tra il 20 e il 21 giugno 1924 gli uffici della redazione del settimanale vengono saccheggiati e incendiati.
Carlo Angela finisce, quasi «confinato» per oltre vent’anni dalle vicende politiche successive, a San Maurizio Canavese, presso la Casa di cura per malattie nervose e mentali Villa Turina Amione in qualità di direttore sanitario. Risalgono a questo periodo le prime finte certificazioni, il cui esempio più macroscopico è quello del ventenne Paolo Treves, figlio del noto esponente socialista Claudio, al fine di evitargli il duro confino, per aver sottoscritto una lettera di solidarietà al filosofo Benedetto Croce ingiuriato da Mussolini. Nella casa di cura Angela si circonda di persone fidate e getta le basi per realizzare un coraggioso capolavoro di solidarietà umana. Attraverso la solidarietà e l’altruismo combattono la violenza fascista. Quella messa in opera da Carlo Angela non si limita a episodici atti di generosità. Il professore, seppur anziano, con moglie e figli, è l’artefice di una tra le più alte, insolite, rischiose vicende di questa particolare forma di resistenza civile, condotta con dignità e coerenza di principi, senza mai giurare fedeltà alla Rsi. Nella clinica dà ospitalità ad antifascisti, a giovani renitenti alla leva nell’esercito di Salò e, soprattutto, a molti ebrei, la cui già pesante situazione discriminatoria è precipitata. Angela oltre a offrire sicuro rifugio, falsifica pure diagnosi e cartelle cliniche, trasforma ebrei in ariani, sani in malati di mente. Costretto dall’autorità compila elenchi di anziani ebrei degenti, aggravandone lo stato di salute. Con la sua opera discreta e preziosissima salva numerose vite dai lager nazisti e tra queste : Donato Bachi, già direttore di Tempi Nuovi, il colonnello dei carabinieri Lattes, il capitano Finzi, il professor Nino Valobra e poi ancora la moglie e la figlia dell’avvocato Massimo Ottolenghi, la famiglia Fiz, il capitano Dogliotti, il conte Revelli di Beaumont.
Esemplare la storia drammatica vissuta dai coniugi Nella e Renzo Segre, che attesta i sacrifici della simulazione, l’angoscia quotidiana di vedere smascherata la loro vera identità, la paura di essere avviati alla deportazione in Germania. Più volte la pericolosa attività del professore, i cui trascorsi antifascisti sono noti, rischia di essere scoperta. Parecchie sono, infatti, le ispezioni, ma, per fortuna, mai nessuno degli ospiti segreti viene identificato. Il momento sicuramente più drammatico lo vive l’11 febbraio 1944, quando, nel corso di una spietata rappresaglia fascista che provoca tre vittime innocenti, Carlo Angela è sottratto all’ultimo momento alla fucilazione grazie all’intervento del Conte di Robilant presso il federale di Torino Giuseppe Solaro, comandante della truppa fascista repubblicana.
Nei giorni della Liberazione, il professor Carlo Angela per la storica militanza antifascista, per le doti organizzative e, soprattutto, l’autorevolezza viene posto alla testa della giunta comunale. Il primo maggio 1945, in un paese imbandierato a festa, ma sconcertato per l’inaspettato sopraggiungere di una forte colonna tedesca in ritirata, avvia la trattativa per il pernottamento e il passaggio indolore dei militari germanici, spalleggiato da un piccolo nucleo di partigiani che fa credere di presidiare in forze l’abitato. Sempre a lui tocca accogliere, il giorno seguente, con ben altro stato d’animo, un’avanguardia di soldati americani. In seguito, nella vita del professore torna a prevalere la professione medica e viene nominato presidente dell’ospedale Molinette di Torino: un incarico prestigioso, ma che gli procura anche immeritati dispiaceri. Si spegne nel capoluogo piemontese assistito dalle sue fedeli infermiere il 3 giugno 1949, all’età di 74 anni.
Molte persone gli rendono omaggio e indirizzano alla signora Mary, ai figli Sandra e Piero commosse parole di conforto. Tra le tante lettere ricevute ce n’è una proveniente da Biella e datata 5 giugno 1949.
Cara Signora,
come la perdita di un ben caro congiunto ci ha colpito stamane la notizia della scomparsa del Professore.
È una ben grave perdita per Lei, Signora, per i suoi figlioli, ma anche per infiniti altri, a cui il Professore dava l’ausilio della sua scienza, il conforto della sua parola semplice e buona, il suo aiuto in ogni circostanza.
Resta però qualcosa di Lui in questo mondo: l’esempio raro di tutte le sue preclare virtù, di una rettitudine impareggiabile, di un amore pel prossimo sentito e posto in opera, che ne facevano un uomo d’eccezione. Tanto che, quando mia moglie ed io ebbimo la fortuna di incontrarlo nel terribile periodo che Lei ricorda, ebbimo da Lui qualcosa di più dell’incrollabile difesa che il suo spirito di giustizia gli dettava: l’esempio del suo coraggio, della sua rettitudine, della sua infinita bontà, ci conservò, anche in quei momenti, la fede nell’avvenire.
Certo non vi sono parole di conforto bastevoli a lenire il dolore Suo e dei figlioli, ma sappiano che mia moglie ed io piangiamo la Sua perdita come quella di un padre.
Dev. Renzo Segre

(in Diario del mese. Numero 1, anno II. Venerdì 24 gennaio 2003)


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